Le fiabe Italiane e Calvino PDF

Title Le fiabe Italiane e Calvino
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi della Basilicata
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Le fiabe Italiane e Calvino - Giovannin senza paura...


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Le fiabe Italiane - ITALO CALVINO INTRODUZIONE 1.Un viaggio tra le fiabe. La spinta a comporre questo libro è stata data da un’esigenza editoriale: perché, accanto ai grandi libri di fiabe stranieri, non ne se pubblicava una italiana? Ma esisteva un “Grimm” italiano? Le fiabe italiane sono nate in anticipo rispetto a quelle di altri stati: metà del XVI, a Venezia, Straparola pubblica Piacevoli Notti: la novella cede il campo alla sua antenata: la fiaba. 1600  a Napoli, Giambattista Basile sceglie i “cunti”, le fiabe appunto, per la sua opera Il Pentamerone. E’ un’opera con un’ossessione per l’orrido, un mondo in cui il sublime si mischia al volgare. 1700  a Venezia, Carlo Gozzi, fa rivivere le fiabe sul palcoscenico. Nel 1800, seguendo l’esempio di scrittori stranieri, gli autori italiani iniziarono a ricercare fiabe tra la popolazione italiana. La passione si trasmise a uno stuolo di ricercatori locali, collezionisti di curiosità. Furono fondati anche vari giornali: “Il Giambattista Basile” oppure “ Rivista delle tradizioni popolari italiane”. Tra i vari nomi si annovera anche quello di Benedetto Croce, appena 17enne. Ma era un patrimonio destinato a fermarsi nelle biblioteche degli specialisti, non a circolare tra il pubblico.  Un Grimm italiano non venne mai fuori. Il genere “fiaba” divenne dominio degli autori di fiabe per bambini, come Collodi. Ogni tanto qualche grande scrittore pubblicava un libro di fiabe, come ad esempio Capuana con il suo “C’era una volta…” Ma una grande raccolta di fiabe popolari di tutta Italia, non l’abbiamo mai avuta. Fu scelto Calvino per portare a termine questo ambizioso progetto. Cominciando a lavorare Calvino iniziò a rendersi conto dell’enorme materiale esistente, divise i tipi di fiabe, e poco a poco che si ampliava “venivo a poco a poco preso come da una smania, una fame, un’insaziabilità di versioni e di varianti, una febbre comparatistica e classificatoria.” Era stato catturato dalla particolarità delle fiabe: la sua infinita varietà ed infinita ripetizione. Andava scoprendo che il panorama fiabistico popolare italiano non aveva niente da invidiare a quello della Germania o dei popoli slavi. Calvino iniziò il lavoro di ricerca con un controllato distacco e finì per immergersi in modo totale.

“Le fiabe sono vere” 2.Criteri del mio lavoro. Il metodo di trascrizione di fiabe orali s’andò codificando in canoni “scientifici” dopo il lavoro dei fratelli Grimm. Non si può certo dire che il lavoro dei due fratelli sia stato oggettivo: i racconti ascoltati oralmente girando la Germania, furono ampliati molto dai Grimm. Non solo traducendo i dialetti, ma integrando e riscrivendo parti che erano troppo “rozze”, ritoccando immagini e dando unità alla fiaba. - Calvino dice di aver seguito un metodo il più rigoroso possibile tranne che per una cosa: lo scrittore infatti, tra molteplici versioni di una stessa fiaba, scelse sempre la più completa, arricchendola ma cercando di tenere il suo carattere intatto, integrando i punti elisi con mano leggera. - Calvino lavora su materiale già raccolto, pubblicato in libri e riviste specializzate, o reperibili nelle biblioteche. Non andò di persona a farsi raccontare le storie dagli anziani (come invece i Grimm)

Ciò che Calvino si augura, è che il suo libro, arrivando al maggior numero di persone, serva a ravvivare l’interesse per queste ricerche folkloristiche. Il libro ha due grandi obiettivi: 1. Rappresentare ogni tipo di fiaba di cui è documentata l’esistenza nei dialetti italiani 2. Rappresentare tutte le regioni italiane. Per quanto riguarda la fiaba vera e propria: - Tutti i “tipi” di qualche importanza sono rappresentati da più versioni, le più rappresentative. - Ci sono leggende religiose, novelle, favole d’animali, storielle, aneddoti e qualche storiella locale. - Calvino si è servito poco di leggende locali riguardanti l’origine di luoghi, usanze o ricordi storici. - All’inizio di ogni fiaba è indicato il nome di località o regione. Ciò, spiega Calvino, non significa che quella fiaba è di quel luogo lì. Le fiabe sono uguali dappertutto. Il luogo indicato vuole soltanto far sapere che Calvino ha tenuto presente la fiaba proveniente da quel luogo, poiché era la più ricca, completa e convincente. - Le fiabe in dialetto sono tradotte da Calvino (perché dovevano arrivare a tutti) ma egli fece in modo che la storia preservasse “il diverso” che proviene dal modo di raccontare del luogo. 3.Le raccolte folkloristiche. Grandi e esaurienti raccolte di fiabe/racconti del luogo si hanno in due particolari regioni d’Italia: SICILIA e TOSCANA. Toscana: 60 novelle popolari montalesi (1880) di Gherardo Nerucci.  la fiaba toscana è un genere aperto a tutti gli influssi: faceva da spugna a tutti i racconti che dilagavano per l’Italia. Sicilia: Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani di Giuseppe Pitré.  racchiude trecento racconti di tutte le province siciliane. Protagonista della raccolta di Pitré è una donna analfabeta, Agatuzza Messia, che lo scrittore indica come “narratrice-modello”. La sua narrazione è: - Piena di colori, di natura, di oggetti. - Sollecita al meraviglioso, nato spesso da aspetti realistici. - Personaggi femminili attivi, intraprendenti e coraggiosi, quasi in contrasto con l’idea della donna chiusa tipica della Sicilia. - Soliti motivi e argomenti. Dopo la Sicilia e la Toscana, il luogo in cui Calvino trovò grandi raccolte fu Venezia e di tutti i dialetti veneti. Venezia: il nome più illustre è quello di Domenico Giuseppe Bernoni. Nonostante la ripetizione di tipi notissimi, si respira l’aria di Venezia. Trentino: fiabe tendenti al grottesco, al pauroso e al sentenzioso – moralistico. Friuli: la leggenda ha predominio sulla fiaba e il dialetto a una intonazione evocativa. Bologna: a Bologna già il Pentamerone ebbe molta diffusione, tradotto da 4 sorelle e pubblicato. Nella seconda metà dell’800 Carolina Coronedi-Berti pubblica una raccolta di fiabe in dialetto. Abruzzo: ha due grandi raccolte: - I due volumi di Gennaro Finamore di testi dialettali - Il volume di Antonio De Nino, che narrò in italiano Puglia: 8 “cunti” in dialetto pugliese, in cui ci sono “tipi” notissimi, che hanno una recitazione spiritosa, con una deformazione grottesca. Calabria: ha una raccolta piena di curiosi “tipi” e varianti, di un’immaginazione carica, colorata e complicata. Oltre a queste regioni “ricche” di fiabe il materiale si fa scarso. In Piemonte esistono soltanto racconti legati alla campagna e al paese. In Lombardia non troviamo racconti fantasiosi, ma soltanto un gusto per la fiaba infantile o la filastrocca. Dalla Liguria proviene pochissimo. Infatti in quei luoghi prevale il gusto del fantastico grottesco. Nelle Marche Calvino ha trovato solo 12 racconti.

Quasi nulla esiste nell’Umbria, e nel Molise. Nemmeno in Campania, quindi non abbiamo riferimenti del terreno da cui trasse i suoi racconti Basile. Poco abbiamo della Basilicata, che predilige racconti di grande slancio romantico. La Sardegna non ha grandi raccolte, con un modo di raccontare triste e magro ma pur sempre ironico, tipico di quella regione. La Corsica invece presenta varianti curiose, con il gusto per il grottesco e il giocoso. 4.Caratteristiche della fiaba Italiana. Gli studiosi che si occupano dell’origine della fiaba, danno risultati sorprendenti. Propp pensa che molte della fiabe arrivate fino a noi siano state originate con il passaggio dalla società dei clan, basate sulla caccia, alle tribù sedentarie. Infatti le storie che corrispondevano a riti magici persero il loro significato magico, per passare a essere semplici racconti. Infatti, compito più importante della fiaba è stato quello di allietare, di far divertire. Possiamo dire con sicurezza che l’influenza germanica si è diffusa quasi totalmente nei paesi settentrionali; mentre la corrente dominante in Italia è stata quella francese. Il Sud Italia risente invece dell’influenza della fiaba araba, rappresentata da “tipi” propri della cultura araba. - Descrizioni scheletriche. - Terminologia generica (es. in Italia non si parla mai di castello, ma di palazzo). - Impronta medievale (tornei, principesse, cavalieri).  il medioevo è stata l’epoca più importante per la fiaba. - Accostamento – metafora (donna e frutto) - C’è da specificare che in Italia trionfa l’armonia  non c’è quell’aspetto truculento tipico delle fiabe dei Grimm, la crudeltà non è protagonista. E nel casi ci fosse, la storia non si sofferma sui particolari di questa cattiveria, ma va oltre, va alla soluzione riparatrice. Essa consiste nella punizione del maligno, che quasi sempre muore. - L’amore è una continua sofferenza  non esiste uno schema lineare come: innamoramento  varie prove da superare  ricongiungimento e lieto fine. Nella fiaba italiana l’amore è precario, è un sentimento che unisce due mondi differenti. - Inoltre troviamo una grande differenza tra fiaba per bambini di ieri e di oggi  le fiabe antiche per bambini erano caratterizzati da particolari truculenti, espressioni volgari e elementi crudeli. Tutto il contrario di quelli che oggi richiede la letteratura per l’infanzia. Ci sono però due temi comuni:  Il gusto per il meraviglioso e il fantastico  La morale implicita La fiaba è costruita sia su elementi e passaggi fissi che su una certa libertà di inventiva: - Esistono un certo numero di passaggi obbligati per arrivare alla soluzione - I temi o i “tipi” trattati sono il risultato di un’esperienza storica: ad esempio in Sicilia “re”, “corte” o “nobiltà” sono istituzioni ben precise, con una loro gerarchia e un ordine. Al contrario, in Toscana, che non aveva mai avuto un re, la figura si identifica semplicemente con un signore molto potente. Anche il mondo dei contadini è molto presente nella fiaba italiana: solitamente il contadino vive nella miseria, finchè non si imbatte in qualcosa che gli cambierà la vita. Nei paesi di mare al contadino si sostituisce il pescatore. 1.Giovannin senza paura Giovannin senza paura era chiamato così perché non aveva paura di niente. Girando per il mondo capitò in una locanda che lo mandò a passare la notte in un castello, mettendolo in guardia: coloro che erano usciti da quel palazzo erano tutti morti. Giovannino entra, e mentre mangia compare un uomo che, tramite una serie di “prove” lo porta in un sotterraneo. Qui gli comunica che ha spezzato l’incantesimo e gli dona 3 marmitte d’oro: - Una per lui - Una per gli uomini che il giorno dopo sarebbero andati a prenderlo con la lettiga - L’ultima per il primo povero che passa

Giovannino visse nel castello in cui aveva trovato fortuna, finchè un giorno, ormai anziano, muore, spaventandosi della sua stessa ombra. 2.Il naso d’argento (Langhe) - La fiaba deriva da storie originarie delle Langhe - Il “naso d’argento” è il Barbablù delle Langhe  DIAVOLO La stanza dove Barbablù mette le donne uccise rappresenta l’INFERNO. E’ una fiaba contaminata  contaminatio di versioni diverse (bolognese + veneziana). Le leggende che stanno alla base sono di origine medievale (Dante) e cristiane. Una lavandaia aveva 3 figlie, insoddisfatte della loro vita. Un giorno si presentò un uomo elegante, con un naso d’argento. Chiese il permesso di portare la 1° figlia con sé, nel suo palazzo. Lo strano signore le consegnò tutte le chiavi, dandole l’ultima la mise in guardia “non aprire per nessuna ragione questa porta”. L’indomani, prima di andare in città, mise tra i capelli della ragazza una rosa. Questa, piena di curiosità, aprì la porta e vide lingue di fuoco, e in mezzo al fuoco anime dannate: era l’inferno, e lui il diavolo. Quando tornò a casa, il Diavolo vide che la rosa era bruciacchiata, la prese e la buttò tra il fuoco. Il giorno successivo si presentò dalla lavandaia e chiese la 2° figlia. Anche a lei diede le chiavi delle porte e il mattino dopo gli mise tra i capelli un garofano. La ragazza aprì la porta, il garofano si seccò, e il Diavolo la buttò nella stanza. Ed ecco che il diavolo chiese la terza, Lucia, che era la più intelligente. Quando si svegliò con il fiore tra i capelli (gelsomino), pensò bene di metterlo in un bicchiere, per conservarlo. Poi andò ad aprire la porta proibita. Quando vide le due sorelle tra le lingue di fuoco pensò, e organizzò un piano. Prese la prima sorella e la mise in un sacco, e con la scusa che era roba sporca chiese al Diavolo di portarla dalla mamma lavandaia. E la prima sorella fu salva. Con lo stesso trucco salvò anche la seconda. Lucia, per salvarsi, si finse malata, cucì una bambola della sua stessa grandezza, la mise nel letto al posto suo e lei si chiuse nel sacco dei “vestiti sporchi”. Il diavolo non si accorse di nulla, e una volta a casa piantò una croce davanti all’uscio. 3.La barba del conte (Bra) C’è un chiaro riferimento a Giovanni Arpino, che la raccolse a Bra da un’anziana signora  è particolare perché è l’unica fiaba raccolta oralmente (da Arpino); infatti Calvino raccoglieva le sue fonti in archivi e biblioteche. La storia è ambientata a Pocapaglia, dove gli abitanti sono giudicati dal resto dei paesi vicini come “addormentati”; in realtà erano solo gente tranquilla, a cui non piaceva litigare. Il protagonista è Masino, che tra tutti è il più intelligente e coraggioso. Purtroppo Masino è a fare la guerra in Africa e a Pocapaglia si è scatenato un disastro. Infatti, ogni notte, la masca Micillina, appostata nel bosco, con un solo soffio addormentava i contadini, dopodichè rubava tutti gli animali. Gli abitanti, disperati, presero coraggio e andarono a chiedere aiuto al Conte. Egli disse loro che finchè non avesse visto non ci credeva e che quindi non li avrebbe aiutati. Ancora più disperati scrissero una lettera a Masino, e la spedirono in Africa: ed eccolo tornato a Pocapaglia. Il ragazzo si fece raccontare il tutto, e fece 3 domande: 1. Al barbiere chiese a quante persone avesse tagliato i capelli questo mese  tutti 2. Al ciabattino chiese quante scarpe avesse prodotto e venduto  nessuno 3. Al cordaio chiese quante corde avesse venduto  tante Così Masino si incamminò nel bosco e tornò con il Conte: era lui la masca Micillina. 4.I biellesi, gente dura (Mantova) La storia narra di un contadino che, malgrado il brutto tempo, a testa bassa si dirige verso Biella, a fare il mercato. Ed ecco che a un certo punto spunta un signore, che gli domanda dove sta andando. Al signore non piacque la sua risposta ed ecco che subito lo condannò a essere per 7 anni rana.

Dopo 7 anni il contadino si ritrasformò in umano, ed ecco spuntare di nuovo quello strano vecchio: la scena si ripeté, ma il contadino aveva imparato la lezione.  Il vecchio è Gesù: ELEMENTO RELIGIOSO  Il vecchio si trasforma in una rana: ELEMENTO MAGICO 5.Le tre casette (Mantova) C’era una volta una povera donna che aveva tre figlie. La donna poco prima di morire disse alle sue figlie di andare dai loro zii a farsi costruire una casetta. Così, morta la mamma, partirono. Arrivarono dal 1° zio: era uno stuoiaio e fece una casetta di stuoie alla prima figlia, Caterina. Arrivarono dal 2° zio: era un falegname, che subito costruì una casetta di legno alla seconda, Giulia. Ormai Marietta, da sola prosegue, finchè non incontra il terzo zio, un fabbro, che gli costruisce una casa in ferro. Alla sera, il lupo arrivò da Caterina, distrusse la casetta e la mangiò. La notte dopo giunse alla casa della secondogenita, che non volle aprirgli. Allora il lupo con una forte spinta buttò giù la casa di legno. Il lupo, ormai davanti a casa di Marietta, chiese di entrare, ma la ragazza, scaltra e sicura della sua robusta casa, non gli aprì. Il lupo cercò di attirarla fuori casa con varie trappole, senza riuscire a prendersi gioco di Marietta. Una sera, dopo l’ennesima beffa al lupo, la ragazza era in casa tranquilla, fuori nevicava: sentì un rumore provenire dal caminetto, era il lupo. Riempì un paiolo d’acqua e la mise a bollire, il lupo ci cascò dentro, e morì. 6.Il paese dove non si muore mai (Verona) Il protagonista è un giovane ragazzo, che stufo dell’idea che le persone prima o poi muoiano, parte alla ricerca di un paese dove non si muore mai. Incontra un vecchio per strada che gli promette 100 anni di vita, il giovane però non soddisfatto, decise di continuare il suo cammino. Incontrò un vecchio falegname che in quel momento stava tagliando gli alberi: se fosse rimasto con lui sarebbe vissuto 200 anni. Il giovane rifiutò e proseguì. Arrivò in presenza di un signore che guardava un’anatra in un laghetto. Gli promise 300 anni: il tempo che l’anatra ci avrebbe impiegato a svuotare il laghetto. Proseguì, finchè non giunse a un palazzo: ci abitava un signore, che finalmente promise al ragazzo che lì non sarebbe mai morto. Passarono gli anni, e a un certo punto al giovane venne voglia di tornare a casa, per rivedere i suoi parenti. Il proprietario del palazzo gli diede il suo cavallo e gli fece promettere di non scendere mai: sarebbe subito morto. Ritornò al paese natio, dove nessuno lo riconobbe, così decise di riprendere la strada del ritorno. Sulla strada incontrò un carrettiere, che si portava dietro tantissime scarpe vecchie e rovinate: il vecchio gli chiese una mano per sollevare una ruota. Il protagonista scese, travolto dalla compassione, ma appena mise una gamba a terra il vecchio lo abbrancò: era la morte e tutte quelle scarpe erano state consumate al fine di corrergli dietro.  gusto gotico  tema della morte 7.Giricoccola (Bologna) Riprende la fiaba di Cenerentola. Un mercante, prima di partire per un viaggio d’affari volle fare un dono alle sue tre figlie: - Alla prima regalò oro da filare - Alla seconda argento - Alla terza seta  Giricoccola Si misero a filare alla finestra e quando la luna passò elogiò la bellezza delle tre sorelle, dicendo però che la più piccola le superava di gran lunga. Così fu per tre sere, e le due sorelle più grandi, ormai piene di odio, decisero di chiudere

Giricoccola nel granaio. Quella stessa sera la luna la portò con sé, a casa sua. Le sorelle, quando lo scoprirono, si consultarono con un’astrologa che disse loro che Giricoccola stava bene, ed era ospitata dalla luna. Così diedero l’ordine alla maga di ucciderla. Giricoccola credette sempre all’astrologa: infatti travestita da zingara cercava di venderle oggetti (spille, pettini, camice) che però si rivelavano fatali. Infatti trasformavano subito la ragazza in statua. La luna, intenerita la salvò, seppur l’avesse avvisata di non aprire nessuno. Finchè per la terza volta Giricoccola non fu solidificata. La luna, spazientita, la vendette a uno spazzacamino, che la vendette a un giovane principe, che si invaghì di quella statua, e se la portò con sé, mettendola in camera da letto. Una sera, prima di un ballo, le sorelle del principe andarono a prendere la camicia che indossava la statua: l’incantesimo si spezzò, Giricoccola raccontò la sua storia e si sposò. intanto le sorelle morivano d’invidia. 8.Il gobbo tabagnino (Bologna) Il gobbo tabagnino era un povero ciabattino, che partì per il mondo in cerca di fortuna. Una sera, in cerca di un posto dove passare la notte, bussò a una casupola in un bosco. Gli aprì una donna, con il volto terrorizzato, che alla sua richiesta, lo fece entrare, dicendogli però che avrebbe dovuto stare sotto la cenere del camino, perché suo marito, l’Uomo Selvatico, l’avrebbe mangiato. L’Uomo Selvatico tornò a casa, e annusando l’aria si accorse subito che c’era qualcuno di estraneo in casa. Mangiò e i maccheroni avanzati propose di darli allo straniero. La moglie impaurita gli fece promettere di non mangiarlo e tirò fuori Tabagnino. I due si misero a parlare e l’Uomo Selvatico gli elencò le sue molteplici ricchezze: - La coperta d’oro e d’argento - I due sacchi pieni di monete - Il pappagallo parlante - La bacchetta del bel tempo - Una cavalla bellissima e veloce Il mattino dopo proseguì e arrivò dal re di Portogallo, chiedendogli ospitalità. Poi gli raccontò la sua avventura; il sovrano gli ordinò di andare a rubare la coperta d’oro e d’argento e portarla a corte. Tabagnino ci riuscì e con molti stratagemmi portò via ogni ricchezza al malvagio uomo. Il re gli diede un ultimo incarico: uccidere l’Uomo Selvatico. Travestendosi da falegname, arrivò alla casupola e chiese al mostro se poteva donargli alcune delle sue assi, poiché era morto il gobbo tabagnino, e doveva costruirgli una bara. L’Uomo Selvatico, tutto contento, lo aiutò; per essere sicuri...


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