Canto 3 Inferno PDF

Title Canto 3 Inferno
Author Ludovica Tomaciello
Course italiano (letteratura)
Institution Liceo (Italia)
Pages 6
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Summary

terzo canto inferno dante...


Description

CANTO 3 In questo canto non siamo ancora nell'Inferno, ma "Anti Inferno", dove stanno dei peccatori che non sono accettati nell'Inferno. Questo canto è perfettamente tripartito in tre sequenze: – prime tre terzine: porta dell'inferno – contrappasso – fiume Acheronte e incontro Caronte ’Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. 3 Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e ’l primo amore. 6 Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterna duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’. 9 1 I primi tre versi sono l'anafora che esprimono il complemento di moto per luogo. Attaverso la porta si va nella città > indica la città di Dite, ossia l'ingresso al cosiddetto Basso Inferno dove c'è il regno diretto di Satana. È una città vera e propria, che Dante sembra descrivere come una città musulmana. Attraverso questa porta si raggiunge anche il dolore eterno e la perduta gente, gente smarrita, perduta, che non avrà mai più speranza di uscire (a differenza delle anime del Purgatorio). Dante, uomo in carne ed ossa, si era già reso conto che dovra "far guerra" con la pietà, egli infatti non dovrà provare dolore per quelle anime che sono all'Inferno per la giustizia dell' alto fattore (alto in senso proprio) ossia quella di Dio. Al verso 5 un verbo solo al singolare regge tre soggetti > Dio è uno e trino, per cui è descritto attaverso la trinità, per questo la scelta del verbo fecemi. Prima che la porta dell'Inferno fosse creata non erano state create altre cose se non etterne (il significato di eterno in questo caso ha l'accezione di immortale, infinito, non nel senso che esistono da sempre). Si conclude con una frase che colpisce il Dante personaggio ma anche lo stesso lettore. Se la parola dolore apre questa prima sequenza del terzo canto, la parola speranza, utilizzata ovviamente in negativo, la chiude e la sigilla; il dolore è amplificato dal fatto che non c’è speranza che la loro condizione possa cambiare. Nel mondo c’è ancora il tempo, e questa condizione influenza quello che avviene nell’oltre mondo. Queste anime sono solo anime, tuttavia ad un certo punto con il giudizio universale, lasceranno un momento il luogo e andranno sulla terra per riprendere il corpo. Poi andranno a sentire il giudizio universale, e con il corpo torneranno nel luogo dove si viene. Come dice Virgilio avere il corpo significa sentire di più il dolore o la gioia. Quando ci sarà il giudizio universale non ci sarà più il purgatorio e le anime saranno destinate all’inferno o al paradiso. 2 Queste parole di colore oscuro vid’ïo scritte al sommo d’una porta; per ch’io: "Maestro, il senso lor m’è duro". 12 Le parole sono scritte di colore oscuro in senso letterale. Il senso di queste parole è per Dante duro, nel senso di arduo da accettare per le sue implicazioni, spaventose per la loro crudeltà.

Ed elli a me, come persona accorta: "Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. 15 Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’ hanno perduto il ben de l’intelletto". 18 Virginio da persona accorta, consapevole di cosa stia provando, dice al suo protetto che conviene smettere di essere pusillanimi, ma diventare consapevoli della propria forza e lasciare stare ogni incertezza > tranquillizzato come da un genitore. Le genti dell'Inferno hanno perso il ben dell'intelletto > secondo San Tommaso l’anima dell’uomo tende per natura, verso il bene, ma quella delle anime è stato deviato dalla retta via. Il discorso di Virgilio va a definire la condizione di tutte le persone dolorose, che provando dolore perché hanno perduto il bene dell’intelletto. Essendo particella di Dio, l’intelletto muove verso il bene a meno che l’uomo abbia deciso inconsciamente o meno di abbandonarlo. L’uomo cade del male sono per libero arbitrio, perché per natura l’intelletto dell’uomo esiste con il solo scopo di tornare alla sua origine, ovvero al bene. Virgilio è per Dante madre ma anche padre, cerca di tranquillizzarlo in tutti i modi, e lo mette dentro alle cose segrete, dove per "segreto" si intende nascosto, quindi interrato. Dopo questa piccola parentesi finalmente si entra. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. 24 Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle 27 facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. 30 L'inferno è un luogo oscuro, buio, che Dante descrive con grande cura dei particolari anche se solo intravisto, poichè non c'è luce (l'unico mondo che possa essere visto nel senso umano del termine è il Purgatorio). I primi sensi umani a percepire sono quelli uditivi e olfattivi, prima ancora che visivi; infatti le terzine dal v.22 al v.30 descrivono ciò che sente e annusa. L'Inferno si presenta come fenomeno uditivo, si percepiscono i sospiri, i pianti, i profondi lamenti ( guai) che risuonano in un'atmosfera priva di luce e quindi subito Dante prova una forte commozione (pietade comincia già a far guerra). Prosegue il regime semantico del senso dell'udito, egli sente lingue diverse, poichè i dannati vengono da diverse parti del mondo, e diverse favelle ossia linguaggio, fatto probabilmente di bestemmie. Queste parole erano alte e fioche, confuse con un suono di mani che si picchiano (i dannati sfogano il loro dolore picchiandosi tra loro, tra i dannati non esiste complicità), c'è un forte brusio di voci che si espande sente in quell'atmosfera oscura senza tempo (eternità). Il brusio di voci è paragonato alla sabbia fatta roteare in arti quando soffia il vento forte. Questa prima parte è atmosferica, presenta un paesaggio che si basa su percezioni uditive anche se estremamente realistiche (anche se Dante non si può definire autore realista). Ed elli a me: "Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. 36

Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. 39 Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli". 42 Dante è molto confuso davanti a questo spettacolo e chiede a Virgilio chi siano. Virgilio indica la tipologia del peccato di questi dannati. Le anime sono corpi astrali, percò capaci di provare dolore. La parola triste (plurale di tristo) significa malvagio, sono le anime di coloro vissuti senza infamia e senza lode, condizione esatta dei PUSSILANIMI, coloro che o non hanno compreso le qualità possedute oppure pur conoscendole non hanno avuto la forza di percorrere la rotta via, non hanno preso decisioni ma hanno sospeso la decisione. Queste sono le categorie dell'Inferno: 1. Categoria degli incontinenti: tutti dal 3 al 9 canto, mancanza di volontà 2. Basso Inferno: volontà deliberatamente utilizzata per compiere il male Queste anime non fanno parte di nessuna delle due categorie. Dante ritiene molto grave la non esercitazione del libero arbitro. In mezzo a loro ci sono anche gli angeli che non hanno parteggiato nè per Dio nè per Lucifero > preso da Apocalisse, contenuto teologico ben preciso. Questi sono gli ignavi, che non hanno deciso. Ovviamente i cieli non vogliono questi angeli, ma non li vuole nemmeno l'Inferno, perchè gli altri peccatori avrebbero un motivo per vantarsi > hanno quindi un posto tutto loro. E io: "Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?". Rispuose: "Dicerolti molto breve. 45 Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. 48 Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa". 51 CONTRAPPASSO Punizione che i dannati ricevono, che sta in un rapporto direttamete proporzionale alla natura del peccato quando avviene per analogia (vedi Paolo e Francesca) se in un rapporto inversamente proporzionale per contrasto (vedi Ciacco). Prende ispirazione da quelle che erano delle prediche dei pastori dell'epoca che raccontavano delle pene orribili (vedi prediche San Bernardino). Virgilio qui insiste su quale sia la condizione di queste anime. Queste anime sono già morte, ma vorrebbero accedere all’annullamento totale, al non essere. Così come tutti gli altri dannali si consolerebbero della loro condizione, così i pusillanimi sono in una condizione così bassa che invidiano le pene di tutti gli altri dannati. Non ne parlano perché non gli è concesso di parlare di loro al mondo; loro non sono identificati. Dante quindi può solo limitarsi ad osservare. Virgilio gli dice che non è permesso che nel mondo dei vivi ci sia un ricordo di questi dannati, di conseguenza non bisogna fare domande, nè sapere i nomi. Essi non hanno scelto quindi ora sono costretti a seguire alla cieca per l'eternità uno stemma, un'insegna.

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. 60 Lì in mezzo Dante vede e riconosce l'anima di un tale che ha fatto per viltà il grande rifiuto, egli non dice il nome, ma si tratta di Celestino V, che su pressioni di Bonifacio VIII si è tirato indietro dalle sue responsabilità, non sapendo resistere alle pressioni degli altri potenti e perchè non ci si sente all'altezza. Celestino V era stato preso da esempio per il suo eremitismo in una chiesa corrotta, ma ha deluso tutti i cristiani. Per i contemporanei aveva investito un ruolo profetico. Per la sua condizione di vita e per il suo pensiero, da frate, era considerato come colui che avrebbe salvato la chiesa dalla corruzione. Sarebbe stato il papa grazie al quale si sarebbe avverata la profezia di Giaocchino da Fiore, in cui l’uomo avrebbe messo da parte il materiale e avrebbe aspirato a ricongiungersi a Dio già nel mondo terreno. Dietro alla sua rinuncia, papa Bonifacio VIII ha portato la chiesa all’strema condizione. Bonifacio VIII ha lasciato Roma e si è trasferita ad Avignone, in Provenza. Evento drammatico per la cristianità dell’epoca. Dante è duro con la Chiesa, poichè sa che essa è corrotta (Dante entra nell'Indice dei libri proibiti nel 500 e nel 600). Setta dei cattivi, etimologicamente captivi, ossia i prigionieri del Diavolo, i peccatori. Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch’eran ivi. 66 Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. 69 Comincia al verso 64 la spiegazione di questo contrappasso, ripreso dalla tradizione popolare. Essi erano nudi e punzecchiati da mosconi e bestie che facevano si che tutto il corpo fosse coperto di sangue e, mischiato con le lacrime, scendeva a etrra dove dei vermi se ne cibavano. 3 E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d’un gran fiume; per ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi 72 ch’i’ sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com’i’ discerno per lo fioco lume". 75 Comincia la terza parte del canto: Dante vede un altro gruppo di persone alle rive del fiume e chiede a Virgilio chi siano e perchè sembrino così pronti per il viaggio. Virgilio gli dice che capirà chi siano quando arriverà alle rive del fiume Acheronte, Dante, temendo di aver parlato troppo, si avvicina al fiume del parlare , termine che richiama il latino fiumen eloquentiae, ossia un parafrasi per descrivere Virgilio, che ha saputo usare al meglio la sua lingua latina e la sua arte retorica (retorica nel Medioevo era un’arte suprema e indispensabile). Dante vede una nave che attaversa il fiume guidata da un vecchio bianco per antico pelo ossia bianco per la vecchiaia. Egli urla contro le anime che sono appena morte con il peccato. Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: "Guai a voi, anime prave! 84

Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 87 Ed ecco= cambio situazione. Caronte, traghettatore (= sesto dell’Eneide). Anche in Virgilio Caronte è vecchio e bianco per i capelli antichi. Spesso nell’inferno lo stile nominale prevale sullo stile verbale. Lo stile verbale, dove ci sono i verbi, è quello che ci fa assistere ad una condizione mutevole. Aggettivi e sostantivi, stile nominale, sono quella parte grammaticale che indicano una sostanza e la qualità di quella sostanza, che non cambia mai. La frase nominale è per indicare una situazione di fermezza. (in Virgilio prevale la descrizione verbale; Dante demonizza un essere mitologico) > questo avverrà sempre nell’inferno perché i guardiani presenti nell’Inferno erano protagonisti della mitologia greca e latina. Mentre in Virgilio Caronte è un uomo, qui in Dante assume una dimensione demoniaca (occhi infuocati). Caronte è lì per portarli nell’Inferno, caratterizzato dal caldo e dal gelo (per lo sbattere d’ali di Lucifero). E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti". Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90 disse: "Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti". 93 Anima= polisemia (doppio significato di un termine). Si intende sia animale, essere vivo in carne ed ossa e nel senso di spirito. Caronte insiste su questo concetto per sottolineare la grazia che accompagna Dante perché Dante ha ancora l’anima viva, a differenza delle altre anime che sono morte perché hanno perso la grazia di Dio. Caronte gli rivela poi che egli finirà in Purgatorio > piu lieve legno convien che ti porti, Dante prima ancora di morire sapeva di finire nel cerchio dei superbi del Purgatorio (al Dante personaggio è già stato detto che ha la grazia). Virgilio risponde vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare ossia spiega che i vaiggio è voluto da Dio. A questo punto il volto del nocchiero (metonimia di guance) si calma, egli aveva il cerchio dell'occhio infuocato > si limita nella descrizione a riportare ciò che Dante diceva nell'Eneide (le similitudine e le immagini sono per i primi quattro canti seguono pedissequamente l'Eneide). Le anime dell'Inferno sono nude > segno di degrado, e alle parole di Caronte diventano pallide per a paura e battono i denti, la paura è una consapevolezza del male compiuto che li porta a bestemmiare Dio, i loro genitori, l'umanità, il luogo e il periodo in cui sono nati e il seme vero e proprio della loro famiglia e stirpe. Essi sanno ciò che li aspetta e si ritraggono piangendo nella riva malvagia (i luoghi fisici dell'inferno vengono aggettivati on caratteristiche umane, quali malvagità e cattiveria). A questo punto Caronte ammassa le anime nella barca e le picchia con il remo se una qualsiasi delle anime prova a mettersi comode o a sedersi. Al verso 113 due similitudini (foglie e falco). Una volta salite, le anime partono attaversando l'Acheronte, una sorta di palude scura e, prima che scendano, nuove anime si sono già radunate. "Figliuol mio", disse 'l maestro cortese, "quelli che muoion ne l'ira di Dio tutti convegnon qui d'ogne paese; 123 e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio. 126

Virgilio spiega la condizione a Dante rivolgendosi a lui chiamandolo figliuol: tutti coloro che muoiono nell'ira di Dio sono ben disposti a partire, perchè la giustizia divina trasforma la paura in desiderio > sfumatura sia teologia che, in un certo senso, psicologica. Questa trasformazione ritornerà identica all'inizio del 5 canto quando queste anime si troveranno davanti a Minosse e vorrano comunicare tutti i loro peccati. Per questa riva non passano anime disposte al bene quindi, una volta sentito caronte, Dante ha già capito che non finirà alla'inferno, anche se Dante era sull'orlo del peccato mortale ed è l'intervento della grazia divina a far si che lui si salvi, dato che Dio lo aveva già destinato all'Inferno. Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. 132 La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento; 135 e caddi come l’uom cui sonno piglia. Il canto si conclude con una strategia narrativa che tornerà più avanti: e caddi come l’uom cui sonno piglia > un terremoto scuote la terra talmente forte che anche a raccontare a Dante suda la fronte, il vento che si era raccolto all'interno della terra si sprigiona e Dante, dopo aver visto quella luce vermiglia perde i sensi. La strategia consente a Dante di evitare un punto narrativo un pò pericoloso, egli infatti si sveglia direttamente dall'altra parte nel 4 canto....


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