Inferno Canto XIII PDF

Title Inferno Canto XIII
Author annaseline Battiante
Course Mod. I - Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Foggia
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INFERNO CANTO XIII –VII CERCHIO-I VIOLENTI -II GIRONE

Testo

Parafrasi

Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 3

Nesso non era ancora arrivato sull'altra sponda (del Flegetonte), quando noi ci incamminammo attraverso un bosco in cui non c'era nessun sentiero.

Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco: 6

Le foglie non erano verdi, ma di colore scuro; i rami non erano lisci, ma nodosi e contorti; non c'erano frutti, ma spine velenose.

non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che ’n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9

Quelle belve selvagge che in Maremma, tra Cecina e Corneto, evitano i luoghi abitati, non hanno sterpi così aspri né così intricati.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. 12

Qui nidificano le sudicie Arpie, che cacciarono dalle isole Strofadi i Troiani preannunciando loro delle tristi disgrazie.

Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. 15

Esse hanno grandi ali, colli e volti umani, zampe artigliate e un gran ventre piumato; emettono lamenti sugli strani alberi.

E ’l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se’ nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre 18

E il buon maestro cominciò a dirmi: «Prima che tu ti addentri nella selva, sappi che sei nel secondo girone e vi resterai finché entreremo nel sabbione infuocato. Perciò guarda bene, perché vedrai cose che non sarebbero credute se mi limitassi a dirtele».

che tu verrai ne l’orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone». 21 Io sentia d’ogne parte trarre guai, e non vedea persona che ’l facesse; per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24

Io sentivo levarsi lamenti da ogni parte, ma non vedevo nessuno che li emettesse; allora mi fermai, confuso.

Cred’io ch’ei credette ch’io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi da gente che per noi si nascondesse. 27

Io credo che Virgilio credette che io credessi che tra quei cespugli uscissero tante voci, emesse da anime che si nascondevano da noi.

Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d’una d’este piante,

Perciò il maestro disse: «Se tu spezzi qualche ramoscello da una di queste piante, i tuoi pensieri non avranno più ragion d'essere».

li pensier c’hai si faran tutti monchi». 30 Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 33 Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? 36 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». 39 Come d’un stizzo verde ch’arso sia da l’un de’capi, che da l’altro geme e cigola per vento che va via, 42 sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond’io lasciai la cima cadere, e stetti come l’uom che teme. 45 «S’elli avesse potuto creder prima», rispuose ’l savio mio, «anima lesa, ciò c’ha veduto pur con la mia rima, 48 non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51 Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece». 54 E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi, ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi perch’io un poco a ragionar m’inveschi. 57 Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì

Allora stesi un poco la mano e strappai un ramoscello da un gran pruno; e il suo tronco gridò: «Perché mi spezzi?»

Dopo aver perso sangue nero, ricominciò a dire: «Perché mi laceri? non hai alcuno spirito di pietà?

Fummo uomini, e adesso siamo diventati cespugli: la tua mano sarebbe certamente più pietosa, se anche fossimo state anime di serpenti». Come quando si brucia un ramoscello verde da una delle estremità, e dall'altra cola la linfa e si sente un cigolio in quanto esce dell'aria, così dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; allora io lasciai cadere il ramo spezzato e restai lì pieno di timore.

Il mio maestro rispose: «Se egli avesse potuto credere ciò che ha letto solo nei miei versi, anima offesa, (Dante) non avrebbe certo levato la mano contro di te; ma la cosa incredibile mi costrinse a indurlo a un'azione che pesa anche a me.

Ma digli chi fosti in vita, così che per rimediare lui possa restaurare la tua fama nel mondo terreno, dove può tornare».

E il tronco: «Con le tue dolci parole mi alletti in tal modo che non posso stare zitto; e a voi non sia fastidioso se io mi attardo un po' a parlare di me. Io sono colui che tenni entrambe le chiavi del cuore di Federico II, e che le usai così bene nel chiudere e nell'aprire che esclusi dai suoi segreti quasi tutti (divenni il suo più fidato consigliere): fui fedele al mio alto incarico, al

soavi,

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che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63 La meretrice che mai da l’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, 66 infiammò contra me li animi tutti; e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69 L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 72 Per le nove radici d’esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che ’nvidia le diede». 78 Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». 81 Ond’io a lui: «Domandal tu ancora di quel che credi ch’a me satisfaccia; ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». 84 Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia liberamente ciò che ’l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87 di dirne come l’anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s’alcuna mai di tai membra si spiega». 90

punto che persi per questo la pace e la vita.

La prostituta (invidia) che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore, e che è morte di tutti e vizio delle corti, infiammò tutti gli animi (dei cortigiani) contro di me; ed essi infiammarono a loro volta l'imperatore, al punto che i miei onori si trasformarono in lutti (caddi in disgrazia).

Il mio animo, spinto da un amaro piacere, credendo di sfuggire il disonore con la morte, mi rese ingiusto contro me stesso, che pure non avevo colpe. Per le nuove radici di questo albero, vi giuro che non fui mai infedele al mio signore, che fu tanto degno di onore.

E se qualcuno di voi tornerà nel mondo terreno, riabiliti la mia memoria, che ancora soffre del colpo subìto a causa dell'invidia».

Virgilio rimase un poco in silenzio, poi mi disse: «Dal momento che tace, non perdere tempo; parla e chiedigli quello che vuoi».

E io a lui: «Domandagli tu ancora di quegli argomenti che credi possano interessarmi; io non potrei, tanto è il turbamento che provo». Allora Virgilio riprese: «Possa realizzarsi ciò che le tue parole hanno richiesto grazie all'azione spontanea (di Dante), o spirito imprigionato: ti prego ancora di dirci come l'anima si lega a questi tronchi, e dicci, se puoi, se mai accade che qualcuna si liberi da queste piante».

Allora il tronco soffiò forte e poi quell'aria si tramutò in queste parole: «Vi risponderò in breve.

Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce: «Brievemente sarà risposto a voi. 93

Quando l'anima feroce (del suicida) si separa dal corpo dal quale ella stessa si è staccata, Minosse la manda al settimo Cerchio.

Quando si parte l’anima feroce dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta, Minòs la manda a la settima foce. 96

Cade nella selva e non finisce in un punto prestabilito; ma dove il caso la scaglia, lì germoglia come un seme di farro.

Cade in la selva, e non l’è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta. 99 Surge in vermena e in pianta silvestra: l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra. 102 Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 105 Qui le trascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». 108 Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch’altro ne volesse dire, quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111 similemente a colui che venire sente ’l porco e la caccia a la sua posta, ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114 Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte, che de la selva rompieno ogni rosta. 117 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!». E l’altro, cui pareva tardar troppo, gridava: «Lano, sì non furo accorte 120

Cresce come un arbusto e una pianta selvatica: le Arpie, poi, nutrendosi delle sue foglie provocano dolore, e aprono una via attraverso la quale il dolore fuoriesce. Come le altre anime, anche noi andremo a riprendere i nostri corpi (il giorno del Giudizio), ma non per rivestircene: infatti non è giusto riavere ciò che ci si è tolti. Li trascineremo qui e i nostri corpi saranno appesi per la triste selva, ciascuno all'albero della propria ombra nemica».

Noi eravamo ancora in attesa accanto all'albero, credendo che volesse aggiungere altro, quando fummo sorpresi da un rumore, in modo simile a colui che sente arrivare il cinghiale e la muta dei cani sulle sue tracce, e che ascolta le bestie e il fogliame che stormisce.

Ed ecco arrivare da sinistra due dannati, nudi e graffiati, che fuggivano così veloci che rompevano ogni ramo della foresta.

Quello davanti urlava: «Presto, vieni in aiuto, vieni, o morte!» E l'altro, al quale sembrava di andare troppo lento, gridava: «Lano, le tue gambe non furono così agili alle giostre (battaglia) di Pieve del Toppo!» E poiché forse gli mancò il respiro, si nascose accanto a un cespuglio.

le gambe tue a le giostre dal Toppo!». E poi che forse li fallia la lena, di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123

Dietro di loro la selva era piena di cagne nere, che correvano affamate come cani da caccia scatenati.

Di rietro a loro era la selva piena di nere cagne, bramose e correnti come veltri ch’uscisser di catena. 126

Esse azzannarono il dannato che si era nascosto e lo fecero a brandelli; poi portarono via le sue carni ancora doloranti.

In quel che s’appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti. 129 Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea, per le rotture sanguinenti in vano. 132 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, che t’è giovato di me fare schermo? che colpa ho io de la tua vita rea?». 135 Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo, disse «Chi fosti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo?». 138 Ed elli a noi: «O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141 raccoglietele al piè del tristo cesto. I’ fui de la città che nel Batista mutò il primo padrone; ond’ei per questo 144 sempre con l’arte sua la farà trista; e se non fosse che ’n sul passo d’Arno rimane ancor di lui alcuna vista, 147 que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibetto a me de le mie case».

Allora la mia guida mi prese per mano e mi condusse al cespuglio che piangeva, inutilmente, attraverso i rami rotti e sanguinanti.

Diceva: «O Iacopo da Sant'Andrea, a cosa ti è servito usarmi come scudo? che colpa ho io della tua vita peccaminosa?»

Quando il mio maestro si fu fermato sopra di lui, disse: «Chi sei stato in vita, tu che soffi parole dolorose e sangue attraverso tanti rami spezzati?» E quello rispose: «O anime che siete giunte a vedere lo scempio disonesto che ha separato da me le mie fronde, raccoglietele al piede del triste cespuglio.

Io fui della città (Firenze) che mutò in san Giovanni Battista il primo protettore (Marte); e lui per questo la rattristerà sempre con la sua arte (la perseguiterà con guerre); e se non fosse che su un ponte dell'Arno rimane un frammento di una sua statua, quei cittadini che la ricostruirono sulle ceneri lasciate da Attila, avrebbero lavorato inutilmente. Io mi impiccai nella mia casa»

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