Capitolo-2 - legis actiones PDF

Title Capitolo-2 - legis actiones
Course Istituzioni di Diritto Romano - Ag 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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legis actiones...


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2 . Legis actiones

2a. Lege agere: carattere e struttura delle cinque azioni ‘di legge’

Il processo più antico fu quello per legis actiones. Su di esso siamo scarsamente informati (anche a causa dell’oralità di quel processo), ma possiamo ricostruire le linee fondamentali grazie ad alcune fonti, tra cui le Istituzioni di Gaio. Le ‘azioni di legge’ erano così denominate sia perché introdotte dalla legge, precisamente dalle legge delle XII Tavole e successive, sia perché le espressioni solenni che i litiganti dovevano pronunciare al cospetto del magistrato erano quelle indicate da tali legge: anche la minima deviazione rispetto la terminologia prescritta conduceva alla perdita della causa. Le legis actiones erano cinque: la legis actio sacramento, la legis actio per iudicis arbitrive postulationem, la legis actio per condictionem, la legis actio per manus iniectionem, la legis actio per pignori capionem. Le prime tre erano di accertamento, idonee a dare impulso al processo bisafico; le ultime due erano azioni esecutive di una sentenza già pronunciata. Caratteristiche comuni a tutte le legis actiones erano: a) il formalismo orale rendeva ‘rigido’ l’intero procedimento, occorreva rispettare alla lettera i formulari delle azioni; b) la ‘tipicità’ delle azioni ciascuna legis actio serviva a tutelare determinate situazioni giuridiche. Le legis actiones più antiche, preesistenti alle XII Tavole, furono la legis actio sacramenti in rem e la manus iniectio; le altre vennero istituite da leggi successive le XII Tavole. Veniamo alla struttura del processo di cognizione. Gaio lo descrive come bisafico, cioè diviso in due parti, la fase in iure e la fase apud iudicem. La fase in iure delle legis actiones in età monarchica era gestita dal rex, in età repubblicana dai consoli e, infine, dal praetor urbanus. Secondo quanto illustra Gaio, la procedura relativa alle prime tre azioni prevedeva: 1. la introduzione del procedimento in iure mediante la ‘chiamata in giudizio’ del convenuto (in ius vocatio); 2. lo svolgimento della fase in iure del processo, presieduta dal magistrato, il quale procedeva anche alla nomina del giudice privato che avrebbe dovuto decidere la lite ed emanare la sentenza; 3. lo svolgimento della fase apud iudicem (‘presso il giudice’). Nella fase in iure si doveva impostare la controversia e a tale fine le parti dovevano inscenare gestualità solenni e pronunciare i certa verba prescritti per le singole azioni. Dato il ‘formalismo orale’, era indispensabile che entrambi i litiganti prendessero parte attiva al processo. - Quanto alla introduzione del procedimento in iure, consisteva nella in ius vocatio del reus. Ai fini di questa non era previsto alcun intervento da parte degli organi pubblici. Una volta ricevuta l’intimazione orale dell’attore, il convenuto doveva recarsi al cospetto del magistrato. Qualora il convenuto non ottemperasse alla chiamata in giudizio, l’attore, alla presenza di testimoni, doveva effettuare la ‘manus iniectio stragiudiziale’, cioè fisicamente afferrare il reus e trascinarlo in giudizio con la forza; in caso di malattia, l’attore era tenuto a fornirgli un cavallo. Il convenuto aveva una sola possibilità di sottrarsi alla manus ineictio stragiudiziale: quella di presentare un vindex, cioè un garante solvibile, il quale garantisse, per l’appunto, la sua comparizione in giudizio in un dato giorno. Se presentatosi, il convenuto rifiutava di collaborare, si passava nei suoi confronti alla manus iniectio esecutiva. - Nella fase in iure il giusdicente aveva un ruolo limitato e poco attivo: doveva soltanto constatare che i litiganti pronunciassero in sua presenza, con massima precisione, le frasi solenni prescritte dalle leggi e per conseguenza ordinare o negare la prosecuzione del processo. Era dunque l’attività dei litiganti ad avere rilievo maggiore. Però, a sua volta, il magistrato attraverso il suo controllo sulla regolarità formale autorizzava o impediva il realizzarsi della tutela del diritto; questa attività prese il nome di iurisdictio. Ad essere ammessi in giudizio, nel ruolo di attore o convenuto, erano soltanto i cittadini romani, liberi

e sui iuris. La donna, il prodigo interdetto, l’infans e l’impubere dovevano essere sostituiti dal tutor o curator. Al di là di queste ipotesi non erano ammesse sostituzioni, e al di là del vindex. L’iniziativa processuale era presa da chi aveva interesse all’accertamento di una data sit.giu. Una volta al cospetto del giusdicente, in prima battuta toccava all’attore effettuare la dichiarazione del diritto di cui chiedeva il riconoscimento nei confronti del convenuto. Quest’ultimo poteva prendere la parola con una affermazione incompatibile con quanto asserito dall’attore. In tal caso, il magistrato procedeva alla nomina del giudice privato e si apriva la seconda fase del processo, apud iudicem. Se invece il convenuto non ribatteva all’attore, il magistrato dichiarava costui titolare del diritto vantato e (senza bisogno della seconda fase) si poteva procedere alla esecuzione. - La fase apud iudicem era affidata a un giudice o arbitro privato. In età repubblicana, talora il giudice non era unico, bensì un collegio. I collegi permanenti descritti dalle fonti erano quelli dei decemviri e dei centumviri. I decemviri stlitibus iudicandis erano i dieci giudici che decidevano nei processi di libertà e presiedevano il collegio centumvirale. Centumviri erano invece i cento giudici che dovevano essere nominato quando il processo verteva su questioni della massima importanza (p. es. eredità). La ragione dell’ampiezza di questo collegio era dovuta alla risonanza sociale delle cause in materia ereditaria. Compito del giudice, o dei collegi, era l’esame delle dimostrazioni fornite dalle parti in causa in ordine alle circostanze solennemente affermate nella fase in iure. Formatosi un proprio convincimento, il giudice doveva emanare la sententia, che poteva essere o meramente dichiarativa, o di assoluzione, o di condanna. Anticamente la sentenza di condanna veniva concepita ‘in forma specifica’ (condemnatio in ipsam), nel senso che mediante essa si coartava il soccombente a restituire la res litigiosa o a compiere la prestazione spettante all’attore. Poi nel corso dell’età repubblicana, si ritenne che essa non potesse coartare il soccombente. La condanna divenne perciò sempre e soltanto pecuniaria (condemnatio pecuniaria) e consistette pertanto nell’ordine, impartito dal giudice al soccombente, di pagare una somma di denaro corrispondente al valore del bene in contestazione o della prestazione non eseguita. Conclusosi il processo con la sententia del giudice, non poteva avere luogo un’altra legis actio sulla medesima lite: vige il divieto di rem actam agere. 2b. Legis actio sacramento La più antica azione di accertamento fu la legis actio sacramento, anche detta legis actio per sacramentum (‘azione di legge con il giuramento sacrale’). Era una procedura assai versatile, in quanto idonea a far valere ‘diritti soggettivi’ di ogni specie: i poteri del pater familias, dell’erede e del proprietario o titolare di iura praediorum nei confronti dei terzi, nonché le questioni di status (si pensi alla libertà di un individuo, sulla questione se sia questo schiavo o meno). Essa fu perciò una legis actio generalis, poteva essere esperita per ottenere la tutela di tutti i diritti per i quali non fosse prevista dalla legge una diversa e specifica procedura. La legis actio per sacramentum si caratterizzava per: a) le affermazioni formali e solenni (certa verba) che le parti dovevano effettuare attenendosi ai formulari delle legis actiones; b) il sacramentum cioè quel giuramento in nome della divinità che le parti dovevano prestare in ordine alla veridicità delle proprie affermazioni. Il sacramentum doveva essere prestato da entrambi i litiganti e in forza di esso chi usciva perdente dalla lite, doveva versare all’erario (casse pubbliche) una somma di denaro a titolo di espiazione e di pena per aver giurato il falso. Pertanto: qualora ad aver ‘giurato il falso’ fosse stato l’attore, il convenuto andava

assolto e la’ttore doveva pagare la summa sacramenti, se viceversa era stato il reus, toccava al convenuto soccombente pagare all’attore la summa condemnationis (importo della condanna pecuniaria) e all’erario la summa sacramenti. In origine, l’intera procedura era incentrata sul giuramento sacro, che una volta effettuato, occorreva stabilire chi dei due contendenti, giurando il falso, aveva turbato la pax deorum, mettendo a repentaglio la sicurezza dell’intera civitas; bisognava riconciliarsi con le divinità, costringendo lo spergiuro ad espiare l’illecito religioso commesso. L’antica procedura si svolgeva diversamente a seconda che si trattasse di una legis actio sacramento in rem la quale aveva ad oggetto l’affermazione solenne di un diritto reale sulla cosa controversa, mentre la legis actio sacramento in personam vedeva l’affermazione solenne di un diritto di obbligazione nei confronti del convenuto. La legis actio sacramento in rem consisteva, nella fase in iure, in una vindicatio (rivendica) effettuata dalle parti in causa, le quali pretendevano entrambe di essere proprietarie di una cosa o di una persona sottoposta (schiavo, fondo, etc.). I due litiganti si recavano al cospetto del magistrato portando la res litigiosa (cosa controversa) se era un bene mobile o comunque facilmente trasportabile, o in caso contrario un simbolo di essa (zolla di terreno, se la lite verteva su un fondo). Prima l’una poi l’altra parte imponevano sul bene controverso una festuca, verghetta che anticamente simboleggiava la lancia militare e dunque l’occupatio bellica, l’antichissimo diritto di proprietà sulle cose prese al nemico e pronunciavano le parole solenni. Uno dei due poteva anche tacere, e in tal caso l’affermazione del solo dichiarante veniva considerata determinante dal magistrato: il diritto di proprietà dell’unico rivendicante si dava per accertato e il giudizio non aveva ragione di proseguire. Se invece anche la controparte effettuava la sua rivendica con le stesse espressioni già riportate (la controvindicatio) il processo doveva continuare: era necessario accertare chi dei due avesse vantato un diritto di cui in realtà non era titolare. Il pretore ordinava allora ai litiganti di lasciare la cosa. Nella fase primigenia, il sacramentum non era una scommessa laica, ma un giuramento sacrale che permeava di religiosità l’intero giudizio: di qui l’ipotesi che la legis actio sacramento altro non fosse che l’evoluzione dell’antico ‘giudizio di Dio’, a sua volta forgiato sul modello del duello ordalico. Compiutosi il processo di laicizzazione, la sfida al sacramentum avveniva mediante la pronuncia di alcune frasi solenni. Per il pagamento della summa sacramenti, l’importo variava in ragione del valore del bene controverso, e venivano utilizzati i c.d. assi (moneta). Nella fase finale, il magistrato passava alla nomina del giudice che avrebbe portato a termine il processo. Tra i sacramenta effettuati dalle parti e la nomina del giudice privato dovevano trascorrere trenta giorni. In età repubblicana la scelta del giudice spettava alle parti (in età monarchica al rex), la nomina invece al magistrato, che disponeva una lista di privati cittadini (album iudicum) sottoposta a continuo aggiornamento, da proporre ai litiganti. Individuato il giudice, la fase in iure si avviava alla sua conclusione, che coincideva con l’invito rivolto dal magistrato alle parti di riferire poi al giudice gli esatti termini della controversia (lis): era questa la litis contestatio (da litem contestari, ‘chiamare congiuntamente come testimoni della lite’). Sulla fase apud iudicem sappiamo poco. Essa si iniziava con la intimazione a comparire dinanzi al giudice (denuntiatio) da una delle parti in causa. Una volta comparsi dinanzi al giudice privato, i litiganti procedevano a una sintetica esposizione dei termini della controversia, cui faceva seguito la peroratio, con la quale le parti ‘peroravano’ (supportavano con validi argomenti probatori) i propri assunti. Gaio, ponendo le due rivindiche effettuate nella fase in iure i due litiganti sullo stesso piano, non qualifica le parti in causa come actor e reus, bensì come qui prior vindicaverat (colui che per primo aveva rivendicato) e adversarius (l’avversario); non vi era una netta distinzione dei ruoli. Dinanzi al giudice si instaurava perciò un ‘giudizio comparativo’ e su entrambi

gravava l’onere di provare il diritto affermato. La pronunzia del giudice si chiamava sententia (che significa ‘parere’) e in essa si doveva affermare quale sacramentum fosse, tra i due, iustum, cioè conforme a diritto. Alquanto difforme era lo svolgimento della legis actio sacramento in personam (‘azione di legge con giuramento sacrale, relativa alla persona del convenuto’). Anche in essa siagiva per sacramentum, se il giudizio vertesse su diritti relativi. La procedura, però, era più semplice. Il ruolo dei convenuti, qui, era rivestito dagli accusati dei delitti sanzionati nelle leggi delle XII Tavole: chi avesse inflitto percosse, tagliato alberi altrui, effettuato un furto non flagrante etc. A questi processi si sarebbero aggiunti i giudizi vertenti sulle obbligazioni. Poi, anche in ordine agli abusi perpetrati dai magistrati ai danni dei provinciali: nei confronti dei magistrati concussori, le popolazioni vessate avrebbero potuto agire al fine di repetere (ottenere la restituzione) quanto fosse stato loro illegalmente sottratto. Data la risonanza pubblica della vicenda, il provvedimento stabilì che la fase in iudicem venisse affidata a una giuria di senatori, anziché ad un giudice privato. La differenza fra questa legis actio sacramento in personam e quella in rem sta nel fatto che, colui che dava impulso al procedimento si affermava creditore del convenuto; quest’ultimo poteva ammettere tale circostanza o negarla. L’attore si rivolgeva perciò al reus, pronunciando una frase stereotipa, in cui poteva cambiare solo l’importo o l’oggetto dell’obbligo del convenuto asserito dall’attore. Se il convenuto accettava, la pretesa vantata dall’attore si aveva per accertata e il processo si concludeva; in caso contrario, si procedeva alla sfida al sacramentum seguendo le modalità prima viste. Quanto alla fase apud iudicem la differenza rispetto la procedura in rem sta nella diversa posizione delle parti in causa. Qui vi era una netta distinzione fra il ruolo dell’attore (creditore) e del convenuto (debitore). 2c. Legis actio per iudicis arbitrive postulationem Alle XII Tavole risaliva anche un’altra legis actio di accertamento, la legis actio per iudicis arbitrive postulationem, per la quale non era prescritta la necessità del sacramentum. Non era un’azione generale, bensì un rimedio esperibile nei casi tassativamente fissati. Questa si esercitava quando: a) la lite verteva su una sponsio (forma religiosa e più antica della stipulatio) intercorsa tra le parti; b) si doveva procedere alla divisione di un patrimonio ereditario fra i coeredi; c) si chiedeva lo scioglimento di una comunione. È probabile che alla stessa azione si ricorresse per ottenere la regolamentazione dei confini. L’esercizio di questa legis actio dava luogo ad un processo meno dispendioso e più semplice rispetto quello scaturente dalla legis actio per sacramentum. L’introduzione di una procedura semplificata trovava la sua ragion d’essere nella progressiva laicizzazione dell’ordinamento giuridico romano. - In caso di lite insorta a seguito di sponsio, nella fase in iure l’attore dichiarava al cospetto del magistrato che il convenuto era tenuto nei suoi confronti ad una determinata prestazione e chiedeva al convenuto di ammetterlo o di negarlo. In iptoesi di negazione, senza che si addivenisse ai due sacramenta, l’attore chiedeva al magistrato di procedere direttamente alla nomina del giudice privato; - Se invece si trattava di dividere giudizialmente un patrimonio ereditario o di sciogliere una comunione, perché i consortes non avevano trovato un pacifico accordo in sede extraprocessuale, l’interrogazione rivolta dall’attore al convenuto non era necessaria: i consortes chiedevano al magistrato la nomina di un arbiter (anziché dello iudex) in quanto occorrevano specifiche cognizioni tecniche, per esempio nella valutazione dei capi di bestiame, quando si dovevano dividere beni o interi patrimoni. Giunti a questo

punto, il magistrato doveva provvedere alla nomina dello iudex o arbiter entro trenta giorni; tale periodo di tempo era utile anche alle parti che potevano nel frattempo addivenire a una transazione. Questa legis actio consentì alla giurisprudenza laica di elaborare un nuovo congegno processuale idoneo ad attuare la rigidità delle legis actiones. Tale meccanismo assunse il nome di agere per sponsionem. L’attore si faceva promettere dal convenuto, mediante sponsio, il pagamento di una somma di denaro per l’eventualità che una determinata pretesa vantata dall’attore risultasse fondata. La somma così promessa era inizialmente poenalis (penale) e poteva essere reciprocamente promessa da entrambi i litiganti; nella successiva evoluzione dell’agere per sponsionem, la somma fu invece intesa in via esclusiva come praeiudicialis (pregiudiziale) e si ammise soltanto il convenuto a promettere l’eventuale pagamento. Tale somma veniva nei primi tempi effettivamente riscossa, ma con il passare del tempo la promessa divenne una mera formalità. A questo congegno dell’agere per sponsionem si cominciò poi a ricorrere anche al fine di effettuare un’azione di rivendica senza incorrere nella dispendiosità del sacramentum implicato da quella in rem: in caso di lite sulla proprietà di un bene p. es. 2d. Legis actio per condictionem La terza e ultima – in ordine di tempo – legis actio di cognizione fu la legis actio per condictionem (‘azione di legge mediante intimazione’), introdotta sul finire del III sec. a.C. per fare valere le obbligazioni pecuniarie (certa pecunia) ed estesa poco dopo alle obbligazioni di ogni cosa determinata (omnis certa res) all’inizio del II sec. a.C. L’esigenza di una nuova tutela giurisdizionale per alcuni tipi di rapporti creditizi fu sollecitata dall’incremento dei commerci, verificatosi appunto in quell’epoca, e dunque dall’affermazione di un’economia basata sugli scambi e sulle operazioni finanziarie. Tuttavia, ai crediti di somme di denaro o di cose determinate erano già applicabili la l.a. sacramento in personam e, se questi derivavano da sponsio, anche la l.a. per iudicis arbitrive postulationem. Invece, la legis actio per condictionem, in quanto relativa ai soli crediti di somme di denaro o di cose determinate, era una ‘azione di legge’ specialis, e non generalis e non richiedeva il sacramentum dei litiganti. La procedura, anch’essa poco dispendiosa, divergeva rispetto a quella già descritta (iudicis arbitrive postulationem) solo per la superfluità della menzione dell’atto (causa) che aveva originato l’obbligazione, dal momento che oggetto dell’obbligazione risultava già nella formula dell’azione, e dunque che dovevano essere pronunciati dall’attore. Il verbo condicere, da cui prendeva il nome l’azione, era un termine antico poi evolutosi, nella lingua latina, in denuntiare (‘intimare’): la condictio era dunque l’intimazione, rivolta dall’attore al convenuto, a ricomparire dinanzi al magistrato per il trentesimo giorno. Lo spazio dei trenta giorni rispecchia l’opportunità di concedere ai litiganti uno ‘spazio’ di riflessione e ripensamento. Le ragioni dell’introduzione di questa ‘azione di legge’ per le obbligazioni di certa pecunia o certa res non risultano chiare. I vantaggi sicuramente, però, offerti dalla nuova l.a. per condictionem consistevano: a) nella possibilità di evitare il sacramentum, ove il credito non derivasse da sponsio e risultasse pertanto inapplicabile la l.a. per iudicis arbitrive postulationem; b) nell’ ‘astrattezza’ della pretesa affermata in iure dall’attore, cioè nell’assenza della formula dell’azione di un richiamo all’atto da cui era scaturito il credito, circostanza che limitava i rischi, per chi agiva, di commettere un errore che lo avrebbe portato a perdere la causa; c) nell’intervallo di trenta giorni. 2e. Legis actio per manus iniectionem

Dopo aver esaminato le tre procedure di accertamento del lege agree, passiamo ad illustrare la fase esecutiva. La ricost...


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