Capitolo 9- Vigilia II guerra mondiale PDF

Title Capitolo 9- Vigilia II guerra mondiale
Course Scienze strategiche e della sicurezza
Institution Università degli Studi di Enna Kore
Pages 7
File Size 141.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 14
Total Views 142

Summary

riassunto capitolo 9
dall'avvento della dittatura alla vigilia della seconda guerra mondiale...


Description

Capitolo 9- Vigilia II guerra mondiale Leggi fascistissime del 1925-26 costituirono la premessa per la costruzione del nuovo tipo di regime e di Stato. Con l’accantonamento dello squadrismo e la “normalizzazione del fascismo” inaugurata da Mussolini, l'amministrazione pubblica venne epurata da tutti gli elementi i cui orientamenti fossero in contrasto col regime. Da allora lo zelo fascista diventò una qualifica necessaria per fare carriera nel settore pubblico. Un processo di capillare fascistizzazione subì la scuola: fu imposto il giuramento di fedeltà al regime agli insegnanti elementari, scuole medie, e in seguito anche professori di università (Togliatti, Croce e Pio XI, per non privare l’università di validi insegnanti, esortarono i professori a giurare). Nel 1926 incominciò l’inquadramento sistematico dei minorenni dei due sessi - i maschi ricevevano un’educazione di carattere premilitare - nelle organizzazioni di regime con l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla. Nel 1928, elaborata da Alfredo Rocco, la legge sulla rappresentanza politica: i candidati alla Camera sarebbero stati scelti dal Gran consiglio, il quale avrebbero fatto una lista unica nazionale presentata gli elettori per l’approvazione in blocco. Gli elettori avrebbero potuto rispondere solo Sì o No. Giolitti, seguito da Croce e Einaudi, votò contro. Egli morì poco dopo. Le elezioni diventarono un semplice plebiscito a favore del governo. E infatti, alle elezioni del 1929, la lista unica venne approvata con il 98,4%. La nuova Camera fu esautorata dei suoi compiti precedenti, i quali vennero attribuiti al Gran consiglio, che a sua volta di trasformo da organo di partito in Organo supremo che coordina e integra tutte le attività del regime. A quest’ultimo spettava di esprimere il proprio parere sulla successione al trono, sulle prerogative del Capo del governo, sul funzionamento di Camera e Senato e sulla politica internazionale. La macchina della dittatura assunse la sua fisionomia definitiva. Risultato plebiscitario alle elezioni era stato ottenuto anche grazie all’invito della Chiesa a votare si; invito che suggellava l’accordo prima raggiunto. Infatti nel 1929 Mussolini e il cardinale Gasparri firmarono i Patti Lateranensi. Trattato, convenzione e concordato. I punti centrali del trattato erano: riconoscimento della religione cattolica come sola religione dello Stato, riconoscimento da parte dello Stato italiano di uno Stato della citta del Vaticano pienamente sovrano indipendente e da parte vaticana del regno d’Italia e di Roma sua capitale. Convenzione finanziaria che stabiliva il pagamento di tot lire a estinzione della perdita subita dal Vaticano dei provenienti dell’ex stato pontificio. Concordato regolava gli interessi dello Stato della Chiesa in uno spirito di reciproche concessioni e di mutuo appoggio. Il carattere laico dello Stato uscito dal Risorgimento veniva cancellato e si realizzava il proposito di Mussolini di fare del cattolicesimo un pilastro essenziale dell’ordine politico. Dopo di allora Mussolini diventò gli occhi degli italiani l’uomo della Provvidenza. Il concordato non comportò però l’appianamento di ogni problema; restava stabilire a chi spettasse educazione giovanile. Pio X sosteneva che l’educazione spettasse a Chiesa e famiglia; il dittatore dichiarò invece che era compito dello Stato. Chiesa e fascismo entrarono in conflitto nel 1931 in relazione al ruolo svolto dall’Azione cattolica, accusata di perseguire finalità politiche. L’oggetto primario del conflitto era la gioventù e l’educazione. Lo scontro toccò l’apice con violenze contro le sedi dei giovani e universitari cattolici, ma si arrivò ad un accordo secondo cui l’Azione cattolica rimaneva in vita, ma si impegnava a limitare la propria attività nell’ambito religioso. Dopo il divieto nel 1926 imposto ai lavoratori di scioperare e agli imprenditori di ricorrere alla serrata, con una legge concepita da Rocco venne delineata la ristrutturazione "corporativa" dei rapporti fra capitale e lavoro. Questa stabiliva che le organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori facessero capo a organismi statali superiori, le corporazioni, il cui compito sarebbe stato di coordinare i vari settori della produzione, dando loro una disciplina ispirata al superiore interesse nazionale. Ormai privata di ogni possibilità di azione la Cgl si autosciolse nel 1927. Dopo che la crisi del 29 aveva

investito anche l’Italia, Mussolini presentò il corporativismo come una “terza via” fra il capitalismo e il collettivismo sovietico. Il risultato fu una concentrazione capitalistica favorita dallo Stato. Nei primi anni il fascismo aveva dato alla politica economica un indirizzo liberistico: libero corso all'iniziativa privata. La quasi scomparsa delle agitazioni sociali a fine 1922 e la tendenza alla diminuzione dei salari contribuirono all’aumento della produzione e dei profitti, in un quadro di slancio dell’economia mondiale. Ma vi furono due punti deboli: in conseguenza alle leggi restrittive sull’immigrazione degli USA, l’emigrazione era quasi cessata; dall’altro l’incremento della produzione avveniva in presenza di un disavanzo crescente tra le importazioni e le esportazioni, provocando un forte rialzo dei prezzi, un rapido processo di inflazione. A partire dal 1925 - con Volpi alle Finanze - il fascismo inaugurò una linea di “interventismo” statalista, sulla base dello sfruttamento delle risorse interne. La crisi del 1929 portò la produzione a diminuire e di conseguenza una drastica riduzione subì anche il commercio con l’estero. Iniziò una progressiva riduzione dei salari e una crescente disoccupazione che portarono a una diminuzione del reddito nazionale. La depressione favorì l’ulteriore concentrazione delle imprese; ma, a differenza di altri paesi, in Italia essa conquistò caratteri speculativi e parassitari, per via degli accordi fra le grandi imprese per il controllo dei prezzi e la spartizione del mercato interno, appoggiati dalle autorità, che nel 1933 vararono una legge che rafforzava e istituzionalizzava il potere dei monopoli, vietando il sorgere di nuovi impianti senza l’approvazione del governo. Per alleviare la disoccupazione si misero in cantiere impegnativi programmi di lavori pubblici: la rete stradale; l’acquedotto pugliese; le ferrovie; la bonifica delle paludi. Nel 1936 Mussolini inaugurò una politica economica autarchica, basata sulla produzione di tutta una serie di beni fino ad allora importati, ricorrendo lo sfruttamento delle risorse interne disponibili. Avvenne dopo che il regime venne sanzionato dalla Società delle nazioni con il divieto di esportazione in Italia e il boicottaggio dei prodotti italiani. Data la grande carenza di materie prime dell'Italia, lo Stato ordinò lo sfruttamento intensivo del poco esistente nel paese, indipendentemente dai costi di estrazione. L’autarchia rispondeva alla volontà di rendere indipendente il Paese in particolare nel settore militare; ma si trattava di un’illusione. Nonostante le insufficienti risorse economiche, il popolo italiano venne esortato a crescere e moltiplicarsi, in base alla teoria che il numero è la base della potenza militare, in un’epoca in cui gli eserciti si fondavano sulle macchine e sulla tecnologia. Per sostenere tale politica demografica fu stabilita un’imposta sui celibi dai 25 ai 65 anni e furono premiate le famiglie numerose e concesse loro agevolazioni economiche; ai padri di famiglia fu segnata la priorità nei posti di lavoro. Come inevitabile, la dittatura osteggiava decisamente la libertà di espressione ideologica e culturale attraverso la censura e il rigido controllo. Va detto che il regime condusse la battaglia per il predominio culturale lasciando margini di tolleranza impensabili in Germania o nell’URSS, purché si accettasse il patto non scritto di manifestare il proprio pensiero in chiave esplicitamente politica. Esempio significativo è la libertà di espressione concessa a Croce e Einaudi, esponenti del pensiero liberale che tramite le case editrici Laterza e Einaudi, poterono esercitare una qualificante influenza. Anche a Gramsci fu concesso di disporre in carcere di un ricco materiale bibliografico e di scrivere i suoi Quaderni del carcere. Il regime dal canto suo poteva contare sull’opera di vari intellettuali fascisti di valore, tre quali spiccavano Gentile, Volpe e Rocco. La maggior impresa culturale del fascismo fu l’Enciclopedia italiana progettata nel 1925 con il contributo finanziario dell’industriale Giovanni Treccani. Essenziale era fornire ai giovani e all’opinione pubblica una narrazione centrata sulla tesi che il fascismo rappresentasse lo sbocco positivo della storia nazionale. In Italia i quotidiani raggiungevano pressoché unicamente i ceti alti e medi. Per questo, per far colloquiare direttamente il regime con la massa popolare, acquistò la

massima importanza il ricorso alla radio e al cinema. Vennero così varate leggi per favorire lo sviluppo di questi settori; nel 1924 prese vita l’Istituto Luce. Anche pittura e scultura portarono i segni della fascistizzazione; si sviluppò la pittura murale, dove il volto di Mussolini, esprimente mascolinità fisica e imperiosità spirituale, invase i muri d'Italia. In Italia ogni opposizione al fascismo era diventata dopo il 1926 un delitto contro lo Stato. L’eccezione Gaetano Salvemini venne privato della cittadinanza e i suoi beni furono sequestrati. Egli fu il primo grande storico antifascista del fascismo. Nel 1927 sorse in Francia, per iniziativa dei partiti socialisti, quello repubblicano e la Cgl, la Concentrazione d’azione antifascista, che però non riuscì a operare concretamente in Italia per mancanza di un’organizzazione clandestina, e quindi la sua attività principale fu la propaganda contro il regime. Sennonché l’attività della Concentrazione non soddisfaceva neppure emigrati come Rosselli, Lussu e Nitti; essi, infatti, fondarono a Parigi nel 1929 il movimento Giustizia e libertà, che intendeva darsi una propria fisionomia. Gl indicò la strada di un socialismo che fosse non di meno rivoluzionario e capace di coniugare un'avanzata democrazia e le libertà politiche e civili proprio del liberalismo con la giustizia sociale del socialismo; mirava insomma a costruire una “terza via” tra fascismo e comunismo. Inoltre sosteneva l’urgenza di una lotta immediata al fascismo da condurre in Italia mediante gruppi clandestini. Molto più organizzata ed estesa fu l'azione antifascista del Partito comunista, frutto non solo della determinazione dei singoli militanti, ma anche del legame con l' Internazionale comunista e con l'Urss ed il sostegno anche economico da essere fornito. L’idea era di dare vita alla guerra civile per la conquista del potere politico. Una volta entrate in vigore le fascistissime, i comunisti entrarono nella clandestinità; e dall'estero, specie da Parigi, presero a tessere la rete dei propri gruppi interni. In base alle direttive della Terza Internazionale, in ogni paese ci fu la formazione di fronti popolari con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti: In Italia il Patto di unità d’azione venne firmato nel 1934 tra PCI e PSI e, e trovò un importante comune agitazione contro l’aggressione italiana all’Etiopia. In Germania, con le leggi di Norimberga del 1935, gli ebrei vennero ridotti a razze inferiore. Dopo un discorso di Hitler che denunciava il pericolo del bolscevismo ebraico, nel 1938 si alzò un’ondata di violenze contro gli ebrei e i loro averi, culminata nella “notte dei cristalli”. Nello stesso anno in Italia il regime fascista emanò a sua volta le leggi razziali. La spinta decisiva verso il razzismo come componente ufficiale dell’ideologia della politica del regime venne sia dalle implicazioni della sempre più stretta alleanza tra i due regimi totalitari, sia dal regime coloniale: si stabilì così il divieto per gli ebrei stranieri di risiedere in Italia e nelle colonie; il licenziamento di insegnanti ebrei; l’espulsione degli alunni ebrei; il divieto ai matrimoni misti; l’allontanamento da ogni carica pubblica; limitazioni nel campo della proprietà. La campagna razziale suscitò le proteste di Pio XI. Eppure la Chiesa e il mondo cattolico avevano accolto senza reagire, e persino con favore, le norme rivolte a impedire la “contaminazione” tra italiani e indigeni in Africa; mentre diverso fu l’atteggiamento di fronte all’antisemitismo giustificato su base biologica. Nel cattolicesimo l’antisemitismo aveva radici secolari, ma era legato a motivazioni di ordine religioso, non razziali. Anche la maggioranza degli italiani accolse la legislazione razziale con un atteggiamento di passività e di conformismo, ma senza entusiasmi: non si sviluppò un fanatismo antiebraico generalizzato. La politica estera fascista ebbe un carattere ondivago per via di una contraddizione fondamentale: l'Italia era al contempo contraria a un revisionismo a favore dell'Austria e della Jugoslavia e sostenitrice di un revisionismo a proprio profitto. Nelle linee generali la politica estera fascista conobbe due fasi differenti: - tra 1923-25 l’appoggio dato alla Francia contro la Germania, improntato sulla moderazione. - tra 1925-28 Mussolini, sempre forte dell’appoggio della GB, ritenne di poter assumere una più decisa iniziativa antifrancese sia

nel settore danubiano-balcanico sia in quello mediterraneo, con il risultato di farsi più nettamente fautore del revisionismo dei trattati. Tramite una serie di accordi con Albania, Romania, Bulgaria e Ungheria, e nuovi rapporti con l’Austria, l’espansionismo italiano mirava ad accerchiare la Jugoslavia e a imporsi contro la Francia nei Balcani. Dopo la IWW, la Germania fu l’unico Stato nei confronti del quale il disarmo aveva avuto effettive conseguenze. Nel 1933, Hitler riuscì a contrattare con le altre potenze la posizione della Germania, che venne riammessa al tavolo. Nello stesso anno, dopo l’uscita del Giappone dalla SdN, I tedeschi mostrarono chiaramente di voler passare dal riconoscimento in via di principio a un riarmo effettivo, alla parità sostanziale con le altre potenze. Di fronte alle resistenze della Francia, Hitler annunciò l'uscita dal SdN; intanto il riarmo tedesco era ripreso a ritmi accelerati. In un primo tempo Mussolini appoggiò, entro certi limiti, la rinascita della posizione tedesca; ma quando Hitler, il nome della riunificazione di tutti tedeschi, fece intravedere la minaccia dell'annessione dell'Austria, reagì per il timore di trovarsi i tedeschi al Brennero. In Austria nel 1932 divenne cancelliere Dollfuss, il quale pose fine al regime parlamentare. Di fronte alle intenzioni tedesche e alla comparsa nel proprio paese di un partito nazista, il cancelliere chiese e ricevette assicurazioni di protezione da Mussolini. Francia, GB e Italia dichiararono la necessità di mantenere l’indipendenza e l’integrità dell’Austria. Nel 1934 i nazisti austriaci tentarono un colpo di Stato nel corso del quale uccisero Dollfuss; ma il colpo venne sanguinosamente sventato e l’annessione in quell’anno fallì. L'attacco dell'Italia all'Etiopia non solo determinò la crisi definitiva della SdN, ma pose le basi per l'appiattimento del fascismo italiano al nazismo anche in politica estera. Favorevoli erano gli ambienti della grande industria che, nonostante il loro scetticismo, tramite l’impresa coloniale contavano sulle commesse statali dei materiali necessari alla guerra. Il basso clero, numerosi cardinali diedero appoggio all'impresa; ma Pio XI non era affatto favorevole a una guerra condotta contro un paese cristiano. Mussolini mirava a una vittoriosa impresa coloniale per provare che il fascismo era in grado di portare prestigio e riscattare le sconfitte del secolo precedente. Con l’Etiopia l’Italia aveva stabilito in un primo tempo rapporti di grande cordialità: aveva poggiato il suo ingresso nella SdN e aveva stretto un patto ventennale di amicizia. Eppure, già nel 1932 l’Italia preparò i piani aggressivi. Nel 1934 si arrivò ai primi scontri; e nel 1935 l’Italia denunciò di fronte la SdN l’Etiopia come un paese barbarico e schiavista. Gli inglesi provarono in un primo tempo a mediare delle trattative, che però finirono in un nulla di fatto poiché Mussolini non intendeva accettare nessun accordo, convinto che inglesi e francesi, di fronte alla minaccia tedesca, non volessero una rottura con l’Italia a causa dell’Etiopia. Nello stesso anno gli italiani, senza dichiarare guerra, iniziarono l’invasione nella convinzione che sarebbe stata una vittoria facile. Pochi giorni dopo la SdN sanzionò l’Italia condannandola come aggressore. Foraggiata dalle armi inglesi l’Etiopia resistette due anni ma alla fine rivelò di non essere materialmente in grado di resistere. Gli italiani, guidati da Badoglio, impiegarono imponenti mezzi e persino armi chimiche e bombardamenti su vasta scala. Quando l’imperatore etiopico chiese alla SdN di non riconoscere la conquista italiana, ne ottenne un rifiuto che rese plateale il premio dato alla pura forza. Poco dopo, su indicazione di inglesi francesi, vennero abolite le sanzioni all’Italia. Era da poco terminata la guerra di Etiopia che l'Italia si trovò militarmente impegnata in Spagna a sostegno della ribellione dei nazionalisti contro il legittimo governo repubblicano che aveva vinto le elezioni. Infatti, dopo la proclamazione della Repubblica nel 1931, la Spagna visse varie fasi politiche fino alle elezioni del 1936, che vengono vinte dalle forze di sinistra riunite in un Fronte popolare. La clamorosa sconfitta della destra infiammò le masse, che si mossero con grande violenza contro coloro che consideravano i loro pressori: i proprietari, ecclesiastici, funzionari. Il governo di sinistra fu impotente a fronteggiare gli

avvenimenti e i comandi militari legati alla destra e i gruppi monarchici fascistoidi organizzarono una reazione armata, prendendo contatti con Italia e Germania per ottenere appoggio. Così, con l’aiuto di un Corpo di truppe “volontarie”, cannoni, automezzi e navi mandate da Mussolini, e i nuovi armamenti tedeschi mandati da Hitler i militari golpisti spagnoli iniziarono l’insurrezione nel luglio 1936. Ad appoggiare la Repubblica spagnola fu l’URSS, che, sotto la copertura dell’internazionale comunista che organizzò le Brigate internazionali, inviò uomini, armamenti, automezzi e carburante. Anche gli antifascisti italiani presero un posto significativo tra coloro che parteciparono alle Brigate. Di rilievo l’umiliante sconfitta inflitta dalle brigate, in cui un ruolo importante ebbero gli antifascisti italiani, alle truppe del corpo di spedizione mussoliniano affiancate da forze franchiste nella battaglia di Guadalajara. Già usurato dalla guerra d’Etiopia, l’esercito italiano lo fu ulteriormente dall’intervento in Spagna, che contribuì notevolmente alla sua debolezza al momento dell’ingresso nella 2° guerra mondiale. La guerra civile spagnola ebbe l’importante conseguenza di comunicare che in Europa si era aperto il doppio confronto da un lato tra il fascismo internazionale e la decadente democrazia liberale incarnata da GB e Francia, dall’altro tra il fascismo e la sinistra socialista e comunista :il conflitto assunse un carattere ideologico generale. La formazione in Spagna del regime dittatoriale franchista venne considerato da Mussolini come successo storico del fascismo internazionale. La guerra civile spagnola e l'intervento italo-tedesco costituirono una tappa decisiva nel cammino verso una sempre più stretta intesa fra l'Italia e la Germania, inducendo Mussolini a rinunciare definitivamente alla precedente politica di contenimento della minaccia nazista. Nel 1936, Galeazzo Ciano stipulò a Berlino l’accordo chiamato l'asse Roma-Berlino”, sancendo l’impegno comune a lottare contro il pericolo bolscevico; la collaborazione economica nei Balcani e nella soluzione della questione austriaca. A completamento della strategia di alleanze si arrivò anche all’intesa col Giappone nell’asse Ro-Ber- To. Subito dopo l’Italia annunciò il ritiro dalla SdN. Hitler, dopo aver realizzato la ricostituzione della potenza tedesca ora riconosciuta dalle altre potenze, si apprestò a realizzare l’unificazione nel Terzo Reich di tutti tedeschi europei. La GB conservatrice conduceva una politica di appeasement, nella vana convinzione che, ritornata in una posizione di prestigio, la Germania si sarebbe sentita appagata; ma Hitler mirava già a rompere gli equilibri e a cre...


Similar Free PDFs