Càssola, CHI Erano I Greci PDF

Title Càssola, CHI Erano I Greci
Course Storia
Institution Università degli Studi di Milano
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Filippo Càssola Ch Chii er eran an ano o i Gr Grec ec eci? i? 1. Co Conce nce ncetto tto di ggrec rec recità ità Nel 479 (durante la seconda guerra persiana) Alessandro, re di Macedonia, vassallo di Serse, chiede agli Ateniesi di staccarsi dagli altri Greci e di accordarsi con gli invasori  gli Ateniesi rispondono che era inconcepibile per loro tradire la causa greca, perché legati dalla comunanza di sangue, lingua, religione e costumi.

 SANGUE: questo elemento ha valore puramente convenzionale, perché sappiamo che il popolo greco è nato dalla fusione di vari gruppi etnici (ma si tratta di una convenzione molto cara agli antichi).  LINGUA: il termine “barbari”, che indicava tutti gli stranieri, significa infatti “coloro che non sanno parlare il greco”.  RELIGIONE: esisteva un nucleo di credenze universalmente accettato “gli dèi ellenici”.  COSTUMI: la vita della polis e nella polis, un’istituzione tipicamente greca che non ha termini di confronto presso altri popoli.

2. I no nomi mi eetnic tnic tnicii Quando gli abitanti di un territorio si designano con un etnico, esprimono la coscienza di appartenere a un unico popolo. Dal VII secolo a.C. i Greci si definiscono come Elleni (Selloi > Elloi > Elleni; coronimo: Ellade). Omero parla di una tribù di Selloi/Elloi a Dodona, in Epiro. Aristotele chiama “antica Ellade” la regione che si estendeva dall’Epiro meridionale alle propaggini settentrionali del Pindo. Un’altra Ellade si trova nella Tessaglia sudorientale (regno di Peleo e di Achille). Gradualmente il significato dell’etnico (e di pari passo il coronimo Ellade) si ampliò fino a comprendere dapprima tutti gli abitanti della Grecia settentrionale (da Dodona alla Tessaglia), poi tutti coloro che parlavano in greco, dovunque vivessero. Alcuni studiosi sostengono che la coscienza unitaria nacque fra i Greci nel VII secolo, in concomitanza con l’affermarsi del nome Elleni.

Questa opinione risale a Tucidide, il quale ricorda che gli Elleni nell’Iliade sono solo i compagni di Achille e aggiunge che Omero non parla di “barbari” perché non sentiva il bisogno di classificare tutti gli stranieri con un unico termine, dal momento che non conosceva un etnico idoneo a designare tutti gli uomini di Agamennone. In verità Omero disponeva a tal proposito di 3 etnici : Achei, Argivi, Danai. Forse questa sovrabbondanza di nomi induce Tucidide a credere che nessuno di essi avesse un significato abbastanza comprensivo. Per Omero i tre etnici sono sinonimi e ciascuno di essi basta a indicare tutti i Greci:  ARGIVI: la voce Argivi fu sempre limitata alla lingua letteraria.  DANAI: molti testi dal XIV al VII secolo menzionano Greci stanziati in varie zone del Mediterraneo orientale noti sotto il nome di Danai, ma questa interpretazione è da molti messa in dubbio; d’altra parte, l’etnico Danai deve aver perso terreno a favore dell’etnico Achei, perché nella poesia epica appare come un arcaismo in via di sparizione.  ACHEI: risale all’epoca micenea e in età storica sopravvive da Cipro all’Italia. È lecito dunque supporre che il nome sia stato ampiamente diffuso già nell’età del Bronzo, e sia stato comune a tutti i Greci non solo nell’epoca in cui furono composte Iliade e Odissea, ma anche nei secoli precedenti in cui si formò la tradizione epica. Pertanto, una coscienza nazionale greca era già esistita ben prima che si affermasse il nome di Elleni. Come mai, allora, un nuovo etnico ha sostituito quello tradizionale? L’ipotesi più plausibile è che il concetto di Achei apparisse inadeguato perché non comprendeva la stirpe dorica. I Dori infatti erano rimasti ai margini del mondo greco per quasi tutto il II millennio (media e tarda età del Bronzo) e non avevano partecipato allo sviluppo della civiltà micenea.  Fra l’VIII e il VII secolo si sentì il bisogno di un nuovo etnico che includesse anche i Dori. Va infine esaminato l’etnico per noi più familiare: GRECI: dapprima esso era localizzato in Epiro e in Beozia. Secondo Aristotele gli Elleni dell’antica Ellade si chiamavano così in un’epoca ancora più remota e anche altri autori parlano di Greci identici o affini agli Elleni. Il nome Greci fu usato dagli stranieri, soprattutto in Italia, per indicare gli Elleni. Secondo alcuni il tramite fu Cuma, in

Campania, una delle più antiche colonie greche in Italia, secondo altri il nome giunse in Italia dall’Epiro.

3. Un Unità ità e va varietà rietà ddel el m mondo ondo grec greco o I Greci sentivano di costituire una salda e ben definita unità, eppure, se si esamina da vicino la loro cultura, si nota una estrema molteplicità: le poleis erano centinaia, ognuna con le sue istituzioni politiche, il suo dialetto, il suo alfabeto, il suo calendario, le sue feste, i suoi dèi preferiti. La religione era il campo in cui la varietà raggiungeva il massimo, perché nata dalla confluenza di due tradizioni (indoeuropea e mediterranea) che, incontrandosi, diedero vita a risultati assai diversi da un luogo all’altro. Come esisteva e si manteneva viva la coscienza dell’unità nazionale? È merito della regolarità e della frequenza dei rapporti mantenuti fra le varie parti del mondo greco. Naturalmente non tutti viaggiavano. I Greci erano in maggioranza contadini, tuttavia le minoranze dedite ai viaggi erano cospicue: anzitutto mercanti e marinai. Sempre in movimento erano: medici, pittori, scultori, architetti, poeti lirici, rapsodi. Questi ultimi, in particolar modo, diffusero ovunque la conoscenza di Omero e di Esiodo in materia di etica e religione; in tal modo, alcune divinità si affermarono come panelleniche. Contribuì a questo risultato anche la fortuna che ebbero alcune feste, dapprima regionali, poi diventate feste di tutta la nazione greca. Queste attività creavano un tessuto connettivo che abbracciava tutta la grecità e provocavano uno scambio di esperienze tale da garantire la reciproca comprensione e il reciproco interesse fra tutti i centri abitati. Fa eccezione soltanto Sparta.

4. L’u L’uom om omo, o, il ddes es estino tino e l’ol l’oltre tre tretom tom tomba ba Netto contrasto tra la concezione pessimistica della vita VS l’indomabile spirito di rivolta con cui l’individuo fronteggia il fato e la divinità. Eterni privilegi degli dèi VS sventure degli uomini. L'invidia degli dei (φθόνος θεῶν) è un'espressione che è stata interpretata nel senso che questo sentimento malevolo appartenesse agli dei, custodi gelosi della propria gloria e del proprio potere: le divinità, invidiose, non tolleravano che gli umani si

avvicinassero alla natura divina. Lo φθόνος θεῶν è un divieto: l’uomo non deve tentare di superare i propri limiti (“non eccedere”, “conosci te stesso”). Gli dèi non concedono nulla ai mortali, ma pretendono molto da loro  alcuni scrittori ne traggono questa conseguenza: meglio di tutto sarebbe non nascere; se si nasce, la sorte migliore è morire quanto prima possibile. Questi autori, tuttavia, non rappresentano le convinzioni dell’uomo comune, che, anzi, era attaccato alla vita e vedeva la morte come una sventura, dal momento che la concezione dell’oltretomba consacrata dai poemi omerici non offriva alcuna speranza e non prometteva alcun compenso ai mali della vita. Nell’oltretomba omerico non c’è alcuna possibilità di un’esistenza migliore.

5. Lo spir spirito ito ag agoni oni onisti sti stico co Erodoto: “L’Ellade ha sempre avuto come compagna la miseria; ma a questa si aggiunge il valore, nato dalla saggezza, e dall’autorità della legge: con esso l’Ellade si difende dalla miseria e dal dispotismo”  i popoli che abitano paesi poveri sono forti e destinati a vincere; è impossibile che un paese ricco generi uomini forti. Questo modo di ragionare è tipicamente greco: la vita difficile mette alla prova l’uomo e rafforza la sua tenacia. L’ideale omerico dell’eroe “molto paziente” (πολύτλας, polytlas) è la sublimazione di quello spirito agonistico riconosciuto da Esiodo sotto il nome di Eris (la contesa), ovvero quell’impulso incoercibile che spinge l’uomo a battersi per migliorare il suo livello di vita. La forza dell’agonismo risulta fra l’altro dal fatto che “agone” significa semplicemente “convegno, assemblea” e solo in seguito prese il senso di “gara”, come se per i Greci fosse impossibile riunirsi senza che nascesse una contesa per il primato! Si potrebbe anche parlare di uno spirito agonistico che anima l’uomo nei confronti degli stessi dèi (par. 7).

6. Gli ero eroii Una possibilità di elevarsi oltre il livello dell’uomo comune, almeno dopo la morte, era offerta dal culto degli eroi.

Era riconosciuto dallo stato e dava luogo a cerimonie pubbliche. In Omero l’appellativo “eroe” è un termine di cortesia; per Esiodo sono eroi tutti i caduti davanti a Tebe e a Troia. In seguito, il termine assunse un nuovo significato: l’eroe è un uomo che è morto e disceso agli Inferi dopo aver compiuto gesta eccezionali, e la sua tomba è oggetto di culto. In età arcaica, classica ed ellenistica la creazione di nuovi eroi continuò incessantemente e il concetto finì con l’estendersi eccessivamente, perdendo così ogni valore.

7. Gli dè dèii fra gl glii uuom om omini ini È noto che Omero definisce più di un personaggio “simile agli dèi” nell’aspetto o per la saggezza, o tout court “divino”. Un’altra immagine omerica ebbe grande fortuna: Ettore era “un dio fra gli uomini”. Benché Isocrate dichiari esplicitamente che si tratta di un’iperbole cara ai poeti, questa formula ha un tono vagamente empio. Pindaro ammoniva: “non pretendere stoltamente di diventare un dio”  questo monito suggerisce la possibilità che esistesse un’aspirazione a trascendere i limiti della natura umana, e non più soltanto dopo la morte (come nel caso degli eroi), ma in vita. Intorno al 400 a.C. il confine tra umano e divino fu varcato: il primo dei Greci cui vennero dedicati altari, sacrifici e feste “come a un dio” fu lo spartano Lisandro, che aveva abbattuto la potenza ateniese. Nel 338 Isocrate scrisse a Filippo il Macedone he, se avesse vinto i Persiani, non gli sarebbe rimasto più nient’altro che diventare un dio. E Filippo nutriva davvero questa ambizione. Così apriva la strada ad Alessandro, che pretese di essere onorato come figlio di Zeus.

8. La “po “polis” lis” In senso proprio, la polis è la rocca, dunque la “città alta” (poi detta acropoli), in antitesi con l’astu (ἄστυ), la città bassa in cui risiedevano le classi sociali inferiori (artigiani e commercianti).

L'astu era il vero fulcro della polis, dove viveva il popolo: al centro vi era, infatti, l'agorà, la piazza principale dove aveva luogo il mercato; più fuori ancora, vi era la chora, il territorio circostante alla polis, dove venivano coltivate le terre. Nella rocca dimoravano gli antichi re e vi sorgevano i templi più importanti: era il centro amministrativo e spirituale dello stato, e il termine polis finì col significare appunto “stato”. Già in qualche passo omerico si nota un terzo significato: l’agglomerato urbano composto da città alta e dalla città bassa, e distinto dal territorio circostante (χώρα, chōra). Ma il vero senso della parola rimane quello di “stato”; e lo stato non si identificava né col centro urbano né col territorio. Esso è “una comunità di liberi”. In tutte le poleis esistono un consiglio ristretto e un’assemblea popolare. La composizione e i poteri dei due organi variano da una polis all’altra e da un’epoca all’altra, tuttavia la polis, qualunque sia la sua forma di governo, significa la partecipazione di tutti i cittadini di pieno diritto alla vita dello stato. La democrazia è la più grande eredità che i Greci abbiano lasciato al mondo moderno, ma in Grecia non era tanto diffusa come si potrebbe credere. In Grecia le donne erano escluse dalla vita pubblica. Quanto ai diritti civili, ogni polis aveva le sue tradizioni. Molti autori moderni hanno condannato la democrazia greca perché tollerava la schiavitù: l’assidua partecipazione dell’intero corpo civico alla vita pubblica era resa possibile, infatti, dal fatto che il grosso del lavoro era svolto dagli schiavi. Questa valutazione, però, non è esatta, perché la maggioranza dei liberi lavorava duramente, ma è anche vero che agli schiavi erano riservate le attività più gravose e pericolose. Tuttavia deve aggiungersi che gli schiavi nelle poleis democratiche vivevano meglio che altrove.

9. L’i L’indip ndip ndipende ende endenza nza dell della a ““po po polis lis lis”” I Greci ignoravano la rappresentanza politica: non concepivano che il popolo delegasse i suoi poteri a organi elettivi. Il consiglio ristretto delle poleis oligarchiche e aristocratiche divideva il potere con l’assemblea popolare, ma non la rappresentava; nelle poleis democratiche aveva il compito di formulare le proposte che l’assemblea avrebbe respinto o approvato.

In qualsiasi regime, il cittadino esercitava i suoi diritti personalmente. Questo è uno dei motivi per cui gli stati greci ebbero dimensioni limitate. Secondo il Droysen, la storia greca prima di Filippo il Macedone consiste nella riuscita creazione dell’unità nazionale (cioè la coscienza di appartenere a un’unica nazione) e nella vana ricerca dell’unità politica. Atene, Sparta e Tebe fallirono nel tentativo di realizzare questa aspirazione; Filippo portò a termine il compito istituendo la lega di Corinto, cui aderirono le poleis della penisola greca (tranne Sparta) e dell’Egeo. Il Droysen vedeva:  Lega di Corinto = una confederazione di stati o, addirittura, uno stato federale in cui le diverse città conservavano solo l’autonomia amministrativa.  Macedonia = stessa funzione che ebbe la Prussia nell’unificazione della Germania. Oggi si pensa, invece, che i Greci non cercassero affatto di realizzare l’unità politica, o meglio che l’aborrissero. La lega di Corinto non era affatto una confederazione, ma un’alleanza in cui uno dei contraenti aveva più potere degli altri (simmachia egemonica).

10 10.. G Greci reci e bbarba arba arbari ri Si è soliti dire che i Greci si sentirono diversi dai barbari e migliori di loro solo dopo le vittorie ottenute nelle guerre persiane. In realtà non è mai esistito un popolo che non si creda superiore agli altri: già nell’Iliade, infatti, troviamo il confronto Troiani VS Achei. Al tempo delle guerre persiane, il confronto assume un nuovo aspetto: i Greci sono uomini che vivono LIBERI nella polis, mentre tutti i popoli dell’Asia sono SUDDITI di un despota. Aristotele: “La stirpe degli Elleni è coraggiosa e razionale: pertanto è libera, e ha un’ottima organizzazione politica”. Eratostene nel III secolo criticava coloro che divideva gli uomini in Greci e barbari, e voleva distinguerli invece secondo le virtù e i vizi. Già prima altri autori avevano classificato come Elleni popoli che avevano adottato il modo di vita ellenico. Evidentemente è possibile anche ai barbari essere partecipi della grecità....


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