Quando GLI DEI Erano Uomini Stefania Ermidoro PDF

Title Quando GLI DEI Erano Uomini Stefania Ermidoro
Author Marco Orsino
Course Storia e civiltà della Mesopotamia
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

Riassunto per capitoli del libro della Ermidoro....


Description

QUANDO GLI DEI ERANO UOMINI STEFANIA ERMIDORO INTRODUZIONE

1. Il testo: la scoperta e la sua decifrazione Il poema conobbe una vastissima diffusione nell’antichità, ma nonostante fosse stato riprodotto decine di volte nel corso della storia del vicino oriente antico, il componimento venne dimenticato con il trascorrere del tempo il testo originale della tradizione mesopotamica venne sepolto dalla terra e rimosso dalla memoria. Il poema fu riscoperto nel 1873 da George Smith. In questo periodo a seguito di numerosi ritrovamenti di tavolette si da avvio alla decifrazione della scultura cuneiforme. Smith lavorò assieme a Henry Rawlinson commissionato da dal dipartimento delle antichità orientali del British Museum. Smith si rese conto che all’interno del gruppo da lui identificato come “tavolette mitologiche” diversi pezzi combaciavano e il 3 dicembre 1872 annunciò la scoperta di un parallelo babilonese del racconto biblico del diluvio universale. Per la prima volta un episodio della bibbia trovava riscontro in un testo di età precedente. Nel 1873 Smith continuò le sue ricerche a Ninive e nel 1876 a seguito di altre scoperte pubblicò l’opera: “the chaldean account of the genesis, in cui comparivano diversi episodi della “storia di Atarpi” La lettura di Smith conteneva diversi errori ma fu comunque molto apprezzata. Il primo a correggere la lettura del nome del protagonista fu Zimmerman nel 1889 il quale affermò che la lettura corretta fosse Atra o Atarhasis. Nel 1956 Laeddoe fornì per la prima volta un’interpretazione integrale e coerente della storia.

2. Storia redazionale e caratteristiche del poema Il manoscritto di riferimento fu copiato dallo scriba Ipiq-Aya nella città di Sippar durante il regno del sovrano Ammi-Saduqa, il poema era distribuito su tre tavole di argilla, ogni tavoletta comprendeva otto colonne numerate a partire dall’alto. Sono noti anche molti frammenti contemporanei molto simili ma non esattamente identici. Altri frammenti da Nippur e Ugarit risalgono a qualche secolo più tardi ma riportano soltanto l’episodio del diluvio. Si ha perciò la conferma che l’opera chiamata oggi Atrahasis doveva essere un componimento molto popolare copiato in regioni ed epoche diverse in tutta l’area del vicino Oriente. l’opera originale si presenta molto diversa dalle opere moderne, non presenta infatti rime né una metrica intesa in senso classico. Una delle caratteristiche più evidenti è l’uso ricorrente di formule, parallelismi e ripetizioni. Lo stile formulare era una soluzione gradita agli antichi in quanto ripetendo uno stesso messaggio si mirava a completare confrontare e specificare quanto detto in un primo momento. Nell’opera sono presenti anche diverse figure retoriche (similitudini, metafore). La struttura generale del testo si caratterizza per la presenza di due apici situati a notevole distanza all’interno della trama. Il poema si apre infatti con il primo climax che prende il via con l’istituzione della gerarchia divina, cresce con la narrazione della nascita di uno squilibrio di poteri e si conclude con l’identificazione di una prima soluzione: la creazione dell’uomo. A partire da questo momento la narrazione riprende con una seconda sequenza di eventi incatenati tra di loro. Questa seconda parte raggiunge l’apice nella narrazione del diluvio. Sembra certa infine la presenza di una tradizione orale precedente a quella scritta che è giunta fino a noi.

3. Il redattore del testo paleo babilonese: Ipiq-Aya Generalmente nella letteratura mesopotamica il nome del redattore dell’opera non veniva riportata nel componimento ma Atrahasis rappresenta un’eccezione. I testi venivano redatti sotto l’influenza di un’ispirazione divina, questa infatti viene menzionata più volte. Dopo la stesura era fondamentale che il testo ottenesse l’approvazione divina. In Mesopotamia esisteva la concezione dell’autore ma ciò che aveva maggior risalto era la causa divina. Il nome del redattore dell’opera in questione è giunto fino ad oggi, si tratta di un giovane apprendista scriba, Ipiq-Aya. Egli risiedeva a Sippar membro di una famiglia di alto ceto.

L’educazione degli apprendisti scriba prevedeva l’insegnamento della scrittura cuneiforme, attraverso la copia di testi ed in seguito si passava alla composizione di testi letterari. A questa fase devono essere attribuite le tre tavolette di Atrahasis. Ipiq-Aya decise di inserire la datazione esatta della produzione delle copie, ma non è resa nota la data in cui testo fu messo per iscritto. Gli studiosi in merito ipotizzano una redazione nello stesso periodo paleo babilonese in un momento poco precedente al regno di Ammi-Saduqa. Oggi inoltre si conoscono anche i nomi degli scribi che redassero alcune recensioni più recenti alle copie: Nu’me-Rasap, Ras-samra, e Nanaya-apla-iddina.

4. Atrahasis, un personaggio tra storia e mito Nella cultura mesopotamica i nomi propri di esprimevano la qualità principale della persona, lo stesso accade con Atrahasis, esso infatti significa grandemente saggio (saggio in quanto bravo ad ascoltare). Sono in relta diversi i nomi attribuiti a questo personaggio: nel racconto del diluvio riportato nel poema di Gilgamesh viene chiamato Utnapistim (colui che trovò la vita), figlio di Ubar-Tutu. Un ‘altra versione della storia da al protagonista il nome di Ziusudura (in una versione presentato come figlio di Ubar-tutu e in un’altra come suo successore) mentre Berosso nomina il personaggio del suo racconto con il nome Xisuthros, richiamando la storia redatta in sumerico. I versi di Gilgamesh collegano la tradizione epica alla tradizione storiografica rifacendosi alla lista reale sumerica. Questo testo racconta di come la regalità discesa dal cielo passò poi di mano da una città all’altra, secondo un determinato percorso interrotto poi dal diluvio. Esistono motivi validi per dubitare sul contenuto della lista, in quanto si vedono succedersi al trono figure mitiche e semidivine tra cui lui lo stesso Gilgamesh. Le peculiarità del racconto di Berosso rispetto alla tradizione sono due: egli fornì la data esatta in cui il flagello ebbe luogo, un altro particolare sconosciuto alla tradizione mesopotamica riguarda l’esplicito comando dato dal dio Cronos a Xisutrhos di nascondere tutti i testi antichi conservati presso la biblioteca di Sippar, prima di mettersi all’opera per la costruzione della nave. Tutte le tradizioni giunte fino a noi mostrano che Atrahasis era considerato un personaggio storico, le cui vicende venivano fatte risalire ad un tempo da collocare agli esordi della vicenda umana. Tuttavia, né in “Atrhasis” né in “Gilgamesh” il protagonista viene chiamato re o sacerdote. Se dunque Atrhasis non era né re né sacerdote ci si chiede il motivo per cui sia stato scelto lui per traghettare l’umanità dalla preistoria alla storia vera e propria. Il motivo è da ricercare nel nome stesso ossia saggio in quanto bravo ad ascoltare nella fattispecie bravo ad ascoltare le indicazioni degli dei su tutti Enki.

5. Saggezza umana e dissennatezza divina Atrhasis era considerato un saggio e il suo personaggio non appare mai sopra le righe, egli rimane sempre profondamente umano. Atrhasis parla molto poco e per lo più ripete le istruzioni ricevute da Enki (a differenza di Utnapistim in Gilgamesh). La saggezza di Atrahasis deriva dall’aver assistito a vicende straordinarie epocali della storia. Atrahasis non si presenta mai come personaggio solitario ma sempre assieme alla famiglia e alla sua gente, tuttavia solo un ristretto gruppo di persone possono imbarcarsi insieme a lui condividendone il destino di salvezza. Nella tradizione paleo-babilonese non si fa accenno alla concessione di immortalità per Atrahasis e la moglie, mentre nelle versioni successive è possibile l’attribuzione di uno status divino al protagonista e alla moglie, secondo cui alla coppia fu concessa l’immortalità ma furono costretti a vivere la propria esistenza lontani dall’umanità. In contrapposizione alla saggezza e capacità del protagonista si pone la consapevolezza che gli dei possono sbagliare su tutti Enlil che appare come un dio volubile iracondo e implacabile nella sua determinazione a decimare l’umanità, allo stesso tempo è descritto come ingenuo in quanto viene raggirato sistematicamente dall’intervento di Enki. Una simile rappresentazione in chiaroscuro della comunità divina e in particolare la raffigurazione negativa di un singolo dio, è specchio della maturità raggiunta dalla cultura mesopotamica nel secondo millennio. L’uomo non si concepiva come mero burattino degli dei, e sebbene consapevole della propria inferiorità e dipendenza dal mondo divino sapeva di avere una certa libertà d’azione.

6. La creazione del cosmo e dell’uomo

L’opera incentrata su Atrahasis pone una profonda riflessione sui limiti della condizione umana. Sono diverse le opere precedenti ad Atrhasis che descrivono l’atto creativo primordiale quindi la nascita del cosmo. La trama di fondo era comune alle maggiori tradizioni culturali del vicino oriente, ricorre la concezione di uno spazio primordiale preesistente alla creazione stessa e condiviso da dei uomini e animali, costituito da un piano di terra sottostante ricoperto dalla volta celeste. Questi due elementi tenevano separate le acque caotiche e tumultuose, inoltre il mondo era concepito come il risultato di un conflitto di volontà di uno scontro tra un creatore benevolo e un antagonista malvagio che infine veniva sconfitto. In tutte le opere vi è un elemento costante: il ruolo centrale svolto dal genere umano. La riflessione sull’origine dell’uomo mirava a trovare risposte ai quesiti fondamentali dell’esistenza umana. L’obiettivo era indagare il modo in cui gli esseri viventi erano venuti alla luce, la ragione per cui l’essere umano si era distinto dagli animali, il ruolo dell’uomo nel cosmo e il rapporto tra gli uomini e gli dei. Quando gli dei erano uomini riprende il tema degli esseri umani nati come creazioni il cui compito era quello di provvedere al sostentamento degli dei. Essendo focalizzato sul genere umano l’opera non si preoccupa di mettere in scena una teogonia: gli dei appaiono già esistenti sin da subito, e vengono messi da subito a diretto confronto con gli uomini. Le divinità sono divise in due gruppi: i capi detti Anunnaki e i produttori detti Igigi. Enki e Nintu poi concepiscono gli uomini, del tutto simili agli dei. La materia prima di costituzione dell’uomo è l’argilla che viene raffinata con la carne e il sangue di un dio. La nuova creatura quindi ha una componente umana e una divina. Per poter essere plasmata l’argilla ha bisogno di essere inumidita, per questo motivo Nintu invita gli Igigi a sputare sulla materia da cui nascerà l’uomo. Per poter dar vita all’uomo quindi è necessario il sacrifico di un dio, ad essere scelto è WE ritenuto responsabile della rivolta descritta all’inizio dell’opera, e possessore del TEMU ossia l’intelligenza pratica o presenza di spirito. WE non viene annientato del tutto, infatti egli muta la sua forma continuando a vivere nelle creature che da lui hanno preso forma. Egli trasmette il TEMU al genere umano. Nella concezione mesopotamica l’uomo dopo la sua morte si staccava dal corpo che tornava ad essere argilla, e restava ne mondo sotto forma di fantasma detto etemmu. Tale spirito costituiva l’aspetto più profondo del genere umano, ciò che garantiva la vita dopo la morte. Inoltre, al fine di assicurare la perfetta riuscita dell’opera fu precedentemente realizzato un prototipo. Solo dopo l’approvazione del prototipo che si può eseguire la creazione in larga scala affidata al genere femminile sotto il controllo della dea madre Mami.

7. Il rapporto tra uomini e dei In “quando gli dei erano uomini” la chiave di volta della storia è la creazione del genere umano, trama infatti si divide nettamente tra prima dell’uomo e dopo l’uomo. Molte altre opere hanno descritto la nascita dell’uomo come prodotto degli dei ma in modo diverso rispetto ad Atrahasis. Quest’opera infatti, conferma la sua unicità ponendo sulla scena sin dal primo verso una profonda problematica antropologica e teologica: la domanda sul rapporto tra l’umanità degli dei e la divinità degli uomini. Il termine uomo nel titolo fa riferimento alla funzione piuttosto che alla specie: l’uomo nasce per svolgere le mansioni lavorative fino ad allora svolte dagli dei. nel corso di tutta l’opera gli dei sono rappresentati con una caratterizzazione antropomorfica, ma il contatto tra i creatori e i creati non avviene mai in maniera diretta, ma solo attraverso mediazione. Strumento privilegiato a questo scopo è il culto, oltre al sogno. Dopo la creazione gli uomini mostrano obbedienza all’autorità divina sostituendo gli Igigi nei lavori manuali. Gli uomini giovano di questa situazione e al prosperare del genere umano corrisponde il tentativo da parte degli dei di ridurne il numero. Ciò tuttavia compromette la qualità e la quantità dei frutti del lavoro della terra, quini è interesse degli dei mantenere gli uomini in vita e in buone condizioni per evitare un ritorno al passato. Dopo la creazione del genere umano il testo tramanda l’idea di un tempo ciclico che va di 600 in 600 anni con periodi molto simili tra di loro in cui si alternano punizioni inflitte dagli dei e stratagemmi da parte della coppia Enki-Atrahasis per salvare il genere umano. In questa alternanza si legge l’esistenza di un errore di fondo nel sistema dio-uomo che non consente di trovare una soluzione definitiva, ma condanna i due mondi ad un conflitto ciclico. Causa principale di tutto ciò era la lunga durata della vita dell’uomo. Per questo motivo per sbloccare la situazione e risolvere definitivamente il problema, dopo il diluvio Enlil prende la decisione di assegnare all’umanità una vita più breve. Un altro elemento che accomuna gli uomini agli dei è il chiasso: inizialmente sono gli Igigi a

produrre chiasso tramite il lamento (rigmu) che disturba il sonno degli dei. Ma in seguito la dea generatrice Mami libera gli Igigi dal pesante fardello e lo assegna all’umanità che a sua volta ora disturba il sonno di Enlil. Il termine rigmu indica anche salvezza: è la voce degli araldi che si aggirano per la città e danno indicazioni su come ottenere la salute e il benessere. Rigmu è infine la voce di Adad che preannuncia l’inizio del diluvio, il termine è usato per descrivere il grido di disperazione dell’umanità annientata dal flagello.

8. Leggi divine e istituzioni civili Quando gli dei erano uomini mette in evidenza lo studio delle cause della nascita dell’uomo delle istituzioni sociali e civili e della morte. L’apice dell’atto creativo è stato raggiunto nel momento della creazione dell’uomo ma il più naturale e perfetto sviluppo di questo evento viene identificato nella nascita della civiltà organizzata. Infatti, ogni elemento culturale e sociale che gli uomini potevano vantare sono fatti dagli dei. Non solo gli dei fecero scendere dall’alto la regalità ma distribuirono anche le norme culturali indispensabili per il progresso della civiltà. Il mondo umano deve replicare quindi la struttura organizzativa del mondo divino, devono essere soggetti (come gli dei) a determinati vincoli e norme etiche devono rispettare una precisa gerarchia amministrativa. Il punto di riferimento umano è la città. Il mancato rispetto dei limiti e delle norme in una delle due sfere (divina, umana) ha conseguenze su ogni sua conseguenza. È il caso del rumore generato dagli uomini causa del sovrappopolamento della terra. Da qui scaturisce la necessità di ridurre la vita degli uomini. La soluzione alla crescita incontrollata della società viene presentata alla fine del poema in triplice forma: sterilità di alcune donne, morte infantile, istituzioni di sacerdotesse a cui è vietato avere figli. I momenti fondamentali della vita umana nell’opera sono: matrimonio gravidanza e nascita. Il matrimonio è un’organizzazione sociale voluta dagli dei fondamentale per l’umanità in quanto porta alla procreazione, e alla successione della specie. Nintu all’atto della creazione oltre a delineare le caratteristiche fisiche di uomo e donna che segnano l’arrivo della maturità sessuale stabilisce anche le cerimonie rituali per rendere l’unione uomo donna feconda e per garantire salute al nascituro. Il poema fornisce anche una spiegazione ad altri elementi del rito, come la simbologia delle mosche: gli uomini durante il diluvio sono paragonati alle mosche che in preda alla calamità si agitano ma risultano essere impotenti. Anche gli dei sono paragonati a delle mosche nel momento in cui si affollano attorno all’offerta presentata da Atrahasis.

9. Il diluvio La storia del diluvio che distrugge tutte le terre emerse e gli uomini si salvano solo grazie all’intervento di un eroe rappresenta un motivo ricorrente della letteratura antica. Nelle varie opere si riscontrano diversi motivi che portano al flagello, diverse modalità di salvezza dell’uomo singolo o in gruppo. In tutte le opere il diluvio si presenta come momento di rottura dopo il quale si rende necessario una seconda creazione. Il mito del diluvio universale nella regione mesopotamica trae sviluppo da un diluvio realmente avvenuto e descritto in modo terribile da varie generazioni di uomini. Il diluvio costituisce il tema centrale di tre composizioni letterarie: il cosiddetto “poema sumerico del diluvio” e i poemi che descrivono le vicende di Atrahasis e Gilgamesh. Il poema del diluvio fu redatto a Nippur attorno al 1600 a.C. quasi contemporaneo all’opera “quando gli dei erano uomini” che subì negli anni così come Gilgamesh diverse rielaborazioni. In “quando gli dei erano uomini” per comprendere meglio la natura del fenomeno bisogna tenere in considerazione le parole di monito pronunciate prima della sciagura. Un flagello come quello inviato da Enlil è qualcosa di mai sperimentato prima nella storia dell’universo, né dagli uomini né dagli dei. il diluvio viene descritto come una distruzione totale (gamertu) una potenza distruttrice (kasusu). Molti sono gli esseri divini coinvolti nell’atto drammatico stabilito da Enlil: Sullat, Hanis, Errakal (dio guerriero), Ninurta (associato alle dighe), Adad (dio della tempesta) che preannuncia l’inizio della pioggia con i suoi tuoni, mentre Anzu squarta il cielo con i suoi artigli. Enki cerca di aiutare gli uomini confidando ad Atrahasis il giorno di inizio del diluvio (settimo giorno). La pioggia inizia a cadere dopo il banchetto allestito per festeggiare il completamento della nave da parte di Atrahasis. Atrhasis riceve le istruzioni da Enki anche su come costruire la nave: le sue misure devono essere uguali, deve essere coperta sia sopra che sotto, rinforzata e coperta di bitume. Vi lavorano falegnami e

impagliatori. Maggiori dettagli sulle modalità di costruzione della nave sono emersi con la scoperta da parte di Finkel di una tavoletta ribattezzata poi la tavoletta dell’arca risalente al periodo paleo-babilonese in cui è presente un discorso tra Enki e Atrhasis da cui si possono trarre la forma e le caratteristiche della nave.

10. Diluvio babilonese e diluvio biblico I temi discussi nel poema “quando gli dei erano uomini” giunsero fino ad Israele e si fecero spazio all’interno del percorso che portò alla compilazione del testo biblico. Nella bibbia il diluvio occupa un posto particolare nel libro della genesi. Secondo il racconto biblico la storia dell’uomo è costellata da numerosi peccati contro Dio, il che spinge quest’ultimo a una decisione estrema. La ragione ultima del diluvio è da ricercare nella corruzione morale delle prime società umane. Anche in Atrahasis il racconto si apre con la creazione dell’uomo, tuttavia non si trovano allusioni alla malvagità dell’uomo anzi, l’atto del diluvio è determinato dalla malvagità degli dei che mal sopportano il vivere in pace delle proprie creature. La principale differenza tra le due opere risiede ovviamente nella natura diversa del cosmo e delle sue leggi. Vi è differenza tra la prospettiva politeistica e monoteistica: nella prima le divinità agiscono per il proprio vantaggio ma per loro è necessaria la presenza degli uomini, inoltre sono tutti gli dei a ratificare la decisione di Enlil; nella seconda il diluvio è inserito nel racconto della progressiva malvagità del genere umano, Dio ama incondizi...


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