Comunità immaginate, Benedict Anderson PDF

Title Comunità immaginate, Benedict Anderson
Author Kateryna Petruk
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Summary

Riassunti dei primi capitoli di Comunità immaginate di Benedict Anderson...


Description

• Prefazione di Marco d’Eramo Nella nostra modernità ci pare ovvio che ognuno abbia una nazionalità. Un’ovvietà ingannatrice. Per secoli, per millenni, gli uomini hanno vissuto, agito, fatto politica, combattuto guerre in strutture sociali del tutto diverse dalle nazioni: in imperi polietnici e poliglotti, in entità regionali, in comunità religiose, in principati in contorno delle cui frontiere dipendeva dalla peripezie matrimoniali delle dinastie. Stiamo di fronte a una duplicità: la nazione è stata pensata, creata di recente, ma essa pensa a se stessa come antichissima. I nazionalismi sono nati tra la fine del Settecento e l ’inizio dell’Ottocento, ma per quell ’epoca parliamo di risveglio dei nazionalismi, come se fossero emersi da un lungo sonno. Ci sembra che le nazioni siano sempre esistite. Ma così pensando cadiamo nella trappola che la nazione stessa ci tende; “il nazionalismo non è il risveglio delle nazioni all’autocoscienza: esso inventa nazioni là dove esse non esistono” afferma Ernest Gellner. Non ci accorgiamo che un mondo tipico con cui la modernità produce il domani è quello di costruirsi uno ieri. Plasmare il nuovo inventando una tradizione. Si crea una comunità inedita immaginando di appartenere a una remota e dimenticata. Una linea di pensiero che indaga in questa direzione è rintracciabile, se pur in forma frammentaria, nei Quaderni di Carcere, dove Gramsci osserva: “si presuppone che ciò che si desidera sia sempre esistito e non possa affermarsi apertamente per l ’intervento di forze esterne o perché le virtù intime erano addormentate ”. È in ambito anglosassone che verso il 1980 si è cominciato a indagare più in dettaglio questo meccanismo. Le ricerche che hanno aperto il varco sono il libro sulle Comunità immaginate di Benedict Anderson – 1983. Chiedersi da chi, e quando, e come, la nazione sia stata immaginata impone un mutamento prospettico che rende visibili fenomeni che prima non percepivamo. Anche oggi sembra vigere una doppia verità sul nazionalismo. Schematicamente, quando di tratta di opporsi alla libera circolazione del capitale e delle merci (alla mondializzazione o globalizzazione), allora il nazionalismo è buono. Quando invece si oppone alla libera circolazione degli individui, e cioè è ostile all’immigrazione, allora è cattivo. La stessa duplicità si ripete a proposito dell ’identità: la perdita dell’identità viene vissuta come qualcosa di distruttivo, ma nello stesso tempo è negativa anche l’affermazione dell’identità nazionale. Anderson cerca di classificare il nazionalismo in diversi tipi, quindi distinguerne diverse specie e di trattarlo in un quadro comparato su scala mondiale. I primi nazionalismi sono emersi nel Nuovo Mondo e che quindi il primo tipo è il nazionalismo creolo. Già questo fatto permette di distinguere la questione della nazione dal problema della lingua nazionale. Né nel nazionalismo nordamericano, né in quello sudamericano vi è mai stata questione di un affrancamento linguistico dall ’inglese o dallo spagnolo della potenza metropolitana. Il nazionalismo linguistico è tipico dell’Europa ed è una seconda forma di nazionalismo. Nei capitoli successivi Anderson mostra che esiste un terzo tipo, l ’ufficial-nazionalismo di dinastie fino ad allora cosmopolite che a fine Ottocento si scoprono un’identità nazionale. C’è infine un’ultima ondata di nazionalismi, quella del nostro secolo, che assembla i tre tipi precedenti sopratutto nelle indipendenze africane e asiatiche. Anderson quando considera i fattori che plasmano l’immaginazione moderna in comunità nazionali evidenzia il ruolo del capitalismo a stampa o la mutata percezione del tempo, o il cosiddetto pellegrinaggio laico, o le carte geografiche, i musei e i censimenti. Cerca di far capire come sia proprio il vortice del mercato mondiale a produrre nazionalismi e integralismi etnici: nel risucchiare milioni di umani da un continente all ’altro, quell ’incredibile tornado che è il capitalismo riplasma anche il concetto di nazione. In sua balia, i destini umani si aggrappano a identità lontane, a sensi di vita che apparirebbero irrisori se per essi gli interessati non fossero pronti a morire. • Introduzione Anderson propone la seguente definizione di una nazione: si tratta di una comunità

politica immaginata, e immaginata come intrinsecamente insieme limitata e sovrana. È immaginata in quanto gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, né li incontreranno, né ne sentiranno mai parlare, eppure nella mente di ognuno vive l ’immagine del loro essere comunità. È immaginata ogni comunità più grande di un villaggio primordiale dove tutti si conoscono. La nazione è immaginata come limitata in quanto persino la più grande ha comunque dei confini, oltre ai quali si estendono altre nazioni. La nazione è immaginata come sovrana in quanto le nazioni sognano di essere libere. Infine, è immaginata come una comunità, in quanto viene sempre concepita in termini di profondo, orizzontale cameratismo. È stata questa fraternità ad aver consentito, per tutti gli ultimi due secoli, a tanti milioni di persone, non tanto di uccidere, quando di morire, in nome di immaginazioni. • Radici culturali Il grande merito delle tradizionali visioni religiose del mondo è stata la forza della loro risposta allo schiacciante fardello dell ’umano soffrire – malattie, mutilazioni, dolore, vecchiaia e morte. Le religioni cercano di spiegare. La grande debolezza di tutte le correnti di pensiero evoluzioniste e progressiste, incluso il marxismo, è che a tali domande rispondono con impaziente silenzio. Nell ’Europa occidentale, il Settecento segna non solo l’alba del nazionalismo, ma anche il crepuscolo del pensiero religioso. Con l’indebolirsi della fede, non scomparve la sofferenza che essa in parte leniva. Indispensabile era dunque una trasformazione laica di fatalità in continuità, di contingenza in significato. Poche entità erano più adatte a questo scopo dell ’idea della nazione. Ciò non significa che l ’apparire del nazionalismo sia stato prodotto dall ’erosione delle certezze religiose, né che il nazionalismo rimpiazzi la religione. Significa che il nazionalismo va paragonato con a ideologie politiche sostenute in modo autocosciente (liberalismo, marxismo), ma ai grandi sistemi culturali che hanno preceduto, e dai quali, o contro i quali, esso è nato. I due sistemi culturali rilevanti sono la comunità religiosa e il regno dinastico. Entrambi, nei loro anni di gloria, erano sistemi di riferimento dati per scontati, proprio come la nazionalità oggi. → La comunità religiosa Le grandi culture sacre fondevano concezioni di comunità immense, pensabili in gran parte tramite il medium di un linguaggio sacro e di una sacra scrittura. Tutte le grandi comunità antiche si percepivano al centro del cosmo, tramite lo strumento di un linguaggio sacro legato ad un ordine sovra terreno di potere. Queste antiche comunità connesse da lingue sacre avevano un carattere distinto dalle comunità immaginate delle nazioni moderne. Una differenza cruciale era la fede delle comunità religiose nella sacralità unica delle loro lingue, e quindi le idee sull ’ammissione di nuovi membri (si è membri purché si parli la lingua della comunità). Anche se le lingue sacre hanno reso immaginabili comunità come il cristianesimo, lo scopo reale e la plausibilità ti tali comunità non possono essere spiegati soltanto dalle sacre scritture: i loro lettori erano, in fondo, solo piccoli atolli alfabetizzati in un vasto oceano di analfabeti. I letterati erano però gli esperti, inseriti quasi in cime ad una gerarchia cosmologica il cui apice era Dio. L’incredibile potere del papato è comprensibile solo nei termini di un clero scrivente in latino, e di una concezione del mondo, condivisa virtualmente da tutti, per cui gli intellettuali bilingue, mediando tra volgare e latino, mediavano anche tra terra e cielo. Il declino di queste comunità ha due ragioni principali, legate direttamente al motivo della loro sacralità. La rima è l’effetto delle esplorazioni del mondo non – europeo che allargando improvvisamente gli orizzonti geografici e culturali, e quindi anche il concetto di possibili forme di vita umana. La seconda ragione è stata la graduale perdita di valore del linguaggio sacro stesso. Il latino non era solo l ’unica lingua in cui si insegnava, in Europa, ma anche l’unica a essere insegnata. Nessun’altra lingua era considerata degna.

Già del Cinquecento tutto ciò stava cambiando. Il decadere del latino esemplificò un processo più ampio in cui le comunità sacre integrate da vecchi linguaggi sacri furono gradualmente frammentate, pluralizzate e territorializzate. → Il regno dinastico Un governo monarchico organizza tutto intorno a un centro superiore. La sua legittimit à deriva dalla divinità, non dai popoli, che dopo tutto sono sudditi, non cittadini. I confini erano porosi e indistinti, e le sovranità scolorivano impercettibilmente l ’una nell’altra. Da ciò deriva, paradossalmente, la facilità con cui imperi e regni pre-moderni, poterono sostenere il proprio dominio su popolazioni assolutamente eterogenee, e spesso neanche contigue per lunghissimi periodi di tempo. Questi stati monarchici si espandevano per guerre, ma anche per politica sessuale. Durante il Seicento, la legittimità automatica delle monarchie sacrali cominciò a declinare lentamente. Nel 1649 Charles Stuart fu decapitato nella prima rivoluzione del mondo moderno, e durante gli anni Cinquanta dello stesso secolo, uno degli stati europei più importanti fu governato da un protettorato difeso. Ancora nel 1914, gli stati dinastici erano i membri più numerosi del sistema politico mondiale, anche se molte dinastie cercavano da tempo di darsi un’impronta nazionale, man mano che il vecchio principio di legittimità scivolava via. → Percezioni del tempo Sarebbero comunque sbagliato pensare che le comunità immaginate di nazioni derivano dal semplice rimpiazzare comunità religiose e regni dinastici. Sotterraneo avveniva un mutamento fondamentale nel modo di percepire il mondo che, più di ogni altro, rese possibile pensare la nazione. Per meglio comprendere il cambiamento basta volgersi alle rappresentazioni visuali delle comunità sacre (rivolte alla maggioranza analfabeta). Era inimmaginabile raffigurare la Vergine Maria in abiti semitici o del I secolo d.C., in quanto il pensiero cristiano medioevale non percepiva la storia come una catena infinita di cause ed effetti, né poneva una netta separazione tra presente e passato. Una tale idea si simultaneità di passato e futuro in un presente istantaneo. La nostra concezione della simultaneità si è sviluppata, invece, in un lungo periodo di tempo, e la sua apparizione è certamente connessa con la nascita del concetto di nazionalismo. A sostituire il concetto medievale di simultaneità è stata un’idea di “tempo vuoto ed omogeneo”, in cui la simultaneità è obliqua, trasversale al tempo, scandita da sincronia, misurata da orologi e calendari. Perché tale trasformazione sia così importante per la nascita delle comunità immaginate delle nazioni, diventa più chiaro se si considera la struttura di due forme di rappresentazione che cominciarono a svilupparsi nel Settecento, il romanzo e il giornale. Queste forme offrirono gli strumenti tecnici per rappresentare quel tipo di comunità immaginata che è la nazione. Il membro di una nazione incontrerà o conoscerà di nome solo una minuscola parte dei suoi milioni di compatrioti. Non ha nessuna idea di ciò che essi facciano o dicano. Ha però piena fiducia della loro costante, anonima, simultanea attività. Il romanzo offre una conferma ipnotica della solidità di una singola comunità, che abbraccia personaggi, autore e lettore, muovendosi avanti lungo un tempo ordinato. L’autore non ha la minima idea dell ’identità individuale dei suoi lettori, eppure scrive per loro con un’ironica intimità, come se le relazioni con ognuno di essi non fossero per niente problematiche → esempio del romanzo Noli me tangere del filippino Rizal. Il giornale invece, giustappone eventi, uniti tra loro (nonostante essi avvengano indipendentemente, senza che gli attori sappiano l ’uno dell’altro, o cosa gli altri stiano facendo) da un legame immaginato. Questo legame immaginato deriva da due fonti indirettamente collegate. La prima è la semplice coincidenza cronologica. La seconda sta nella relazione che lega il giornale al mercato. L ’obsolescenza del giornale all ’indomani della sua pubblicazione crea una straordinaria cerimonia di massa: il quasi simultaneo consumo del giornale. È paradossale il significato di questa cerimonia di massa. È

praticata in silente privatezza, al riparo della propria mente. Ogni partecipante al rito è comunque ben conscio che la cerimonia che sta praticando viene replicata da migliaia o milioni di altri, della cui esistenza è certo, ma delle cui identità non ha la minima idea. La narrazione filtra silenziosa, continua nella realtà, creando quella notevole fede comunitaria dell’anonimato che è la caratteristica delle nazioni moderne. • Le origini della coscienza nazionale Il fattore più importante che, nella situazione descritta, dà un impulso alla nascita del concetto di nazione, è, senza dubbio, l ’affermarsi del capitalismo. In quanto una delle prime forme di impresa capitalistica, l ’editoria visse in prima fila l ’incessante ricerca di nuovi mercati. I primi tipografi aprirono succursali in tutta Europa: in questo modo si creò una vera internazionale di case editrici che ignorava le frontiere nazionali. Il mercato iniziale fu l ’Europa letterata, un ampio ma sottile strato di lettori di latino. Per saturare questo mercato ci vollero circa 150 anni. →Il fatto determinante del latino è che si trattava di un linguaggio usato da uomini bilingui. Ora e sempre la maggioranza dell ’umanità è e sarà, tuttavia, monolingue. La logica del capitalismo significò, dunque, che, saturato il mercato delle elites in latino, si affrontarono i mercati potenzialmente enormi rappresentati dalle masse monolingue. Gli editori cominciarono a distribuire libri economici in volgare. La rivoluzionaria spinta del capitalismo verso il volgare ricevette ulteriore impulso da tre fattori estranei, due dei quali contribuirono direttamente alla nascita delle coscienze nazionali. Il primo fu il mutamento nel carattere del latino stesso: l ’umanismo e la ripresa dei classici latini portò un nuovo riconoscimento delle sofisticate soluzioni stilistiche degli antichi. Il latino si fece più ricercato, più esoterico, più lontano da quello ecclesiastico e da quello parlato. → Il secondo fu l’impatto della Riforma, che dovette a sua volta molto alla stampa. Prima dell’era dell’editoria, la Chiesa romana fu in grado di vincere facilmente ogni guerra contro le eresie, in quanto dotata di migliori linee di comunicazioni internazionali. Quando però nel 1517 Lutero pubblicò le due Tesi, vennero stampate e distribuite in tutta Europa. Lutero fu l’iniziatore della colossale guerra di propaganda religiosa che infuriò in tutta l’Europa per i successivi cent’anni. Il protestantesimo fu quasi sempre all ’attacco, perché sapeva sfruttare meglio il crescente mercato editoriale in volgare creato dal capitalismo, mentre la Controriforma difendeva la sua roccaforte latina. L ’emblema ne è l’Indice dei libri proibiti. L’alleanza tra protestantesimo e capitalismo a stampa, sfruttando economiche edizioni popolari in volgare, creò in breve tempo un nuovo, vasto pubblico e insieme lo mobilitò per fini politico-religiosi. →La tersa spinta venne dal lento sorgere di particolari idiomi volgari come strumenti di accentramento amministrativo (volgari amministrativi) da parte di monarchie potenti. L’autorità religiosa del latino non ebbe mai un corrispettivo politico. Le vecchie lingue amministrative erano solo tali: usate da e per la burocrazia, per la propria convenienza. Nessuno pensava di imporre la lingua alle varie popolazioni soggette alle dinastie. L’elevazione del volgare a lingua del potere dette il suo contributo al declino della comunità immaginata della cristianità. È probabile che questi tre fattori contribuirono semplicemente a detronizzare il latino. Quello che, in un senso positivo, rese le nuove comunità immaginabili fu una quasi casuale interazione tra un sistema di produzione e di relazioni produttive (capitalismo), una tecnologia delle comunicazioni (stampa) e la fatalità della diversificazione linguistica umana. Essenziale è l’interazione tra fatalità, tecnologia e capitalismo. Nell’Europa prima della stampa la diversità delle lingue era immensa. Questi vari idiomi potevano venire assemblate in lingue scritte di un numero decisamente inferiore. Ad assemblare i volgari niente servì più del capitalismo che creò lingue scritte riprodotte meccanicamente e tali da poter essere diffuse attraverso il mercato. Queste lingue scritte posero le basi per le coscienze nazionali in tre diversi modi: → Crearono un terreno comune di scambio e comunicazione al di sotto del latino e al di

sopra dei dialetti volgari. Nel processo, coloro che utilizzavano queste lingue scritte, divennero gradualmente consapevoli delle innumerevoli persone appartenenti al loro particolare campo linguistico e , allo stesso tempo, del fatto che solo quelle persone gli appartenevano. Quei lettori, legati tra loro dalla stampa, formarono l ’embrione della comunità immaginata nazionale. → L’editoria diede una nuova fissità della lingua, che alla lunga aiutò a costruire quell’immagine di antichità così importante per l ’idea soggettiva di nazione. Il libro stampato non era soggetto alle abitudini modernizzanti dei monaci amanuensi. Le lingue appaiono cristallizzate. → L’editoria creò linguaggi di potere. Possiamo affermare che la convergenza del capitalismo e delle tecnologie della stampa e della varietà delle lingue umane creò la possibilità di una nuova forma di comunità immaginata, che nella sua morfologia essenziale offre le basi delle nazioni moderne. La formazione concreta degli stati-nazione contemporanei non è comunque isomorfica con il determinato raggio di azione di una particolare lingua. Per meglio comprendere la discontinuità all’interno della connessione tra lingue scritte, coscienze nazionali e stati-nazione, dobbiamo volgerci al nutrito gruppo di nuove entità politiche che nacquero nell ’emisfero occidentale tra il 1776 e il 1838, definendosi tutte consciamente come nazioni. Questo perché furono storicamente i primi di tali stati a emergere sulla scena nazionale, offrendo quindi inevitabilmente un modello cui gli altri avrebbero dovuto somigliare. • Pionieri creoli: Il nazionalismo creolo I nuovi stati americano tra tra la fine del Settecento e l ’inizio dell’Ottocento sono di straordinario interesse. In primo luogo perché la lingue non era un elemento che li differenziava dalle loro prospettive capitali imperiali. Tutti erano stati creoli, formati e guidati da persone che condividevano la lingua e l ’origine con colori che avevano combattuto. In secondo luogo, non sembra che possa essere qui applicata la tesi di Tom Nairn per cui furono le classi inferiori e popolari a dare l ’avvio al fenomeno del nazionalismo. Almeno nel Sud e nel Centro America, alla fine del Settecento, i ceti medi di tipo europeo erano ancora insignificanti e non vi traccia di un ’intellighenzia. La guida fu assunta da ricchi proprietari terrieri, alleati a un numero di poco inferiore di mercanti e a vari tipi di professionisti (avvocati, militari ecc). Anzi, in Venezuela, Messico e Perù fu proprio la paura di una mobilitazione politica dei ceti inferiori (indios e schiavi negri) a spingere all’indipendenza dalla potenza coloniale. L ’interrogativo che ci si pone è – perché furono le comunità creole a sviluppare così presto una concezione della loro nazionalità, ben prima dell’Europa? In che modo i creoli arrivarono a definire le vaste e oppresse popolazioni che non parlavano la lingua coloniale come compatrioti (Bolivar, San Martin ecc) e a considerare come un nemico la potenza coloniale cui pure erano molto legati? L’impero ispano-americano, che era esistito tranquillamente per quasi tre secoli, venne improvvisamente frammentato in 18 stati separati. I due fattori di spiegazione più comunemente indicati sono il controllo soffocante esercitato da Madrid e il flusso di idee liberalizzanti dell’Illuminismo (sicuram...


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