De la del mur - E\' il testo della poesia PDF

Title De la del mur - E\' il testo della poesia
Course Letteratura italiana 8
Institution Università degli Studi di Bergamo
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E' il testo della poesia...


Description

De là del mur Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte riferita a Mombello. Traduzione e commento di Gino Cervi Come già è stato per La mort della Gussona anche la composizione di 383 versi di De là del mur occuparono un tempo assai esteso nella vita del Tessa. I primi 75, che corrispondono alla prima parte, vengono fatti risalire addirittura a prima del 1915; molto più tarda è invece la stesura della II e della III parte, che dovettero impegnare il Tessa dal 1931 – data che è apposta, anche con la menzione del mese di dicembre, a chiusura di una redazione non ancora definitiva contenuta in un manoscritto – fino al 1933 o 1934, come testimonia la memoria di Fortunato Rosti, raccolta nelle note dell‟edizione De Silva 1947. Questa poesia avrebbe dovuto prestare il titolo alla raccolta di cinque poesie che Tessa aveva approntato intorno alla metà degli anni Trenta: oltre a questa, erano previste I deslipp di Càmol, La poesia della Olga, On mort in pee e infine il trittico Viv, articolato in un preludio (Pupin sul trii), a un notturno (I cà) e a un finale (Grimett al sô ). Il progetto abortì; scrive il Tessa nel dicembre del 1935, in occasione di una lettura delle sue poesie per la Radio della Svizzera italiana: «Già tutto era pronto ma poi vi ho rinunciato. Perché, mi son detto, porgere al lettore un altro non desiderato specchio in cui debba mirare il suo volto corrucciato? Aspetterò così che la bufera si plachi. Se la calma verrà rimarranno i miei ultimi versi come il ricordo di un incubo notturno, ma se i tempi volgeranno al peggio ancora una volta verrà dimostrato che poesia è sovente profezia». Fu infatti il secondo caso. Dapprincipio il tema si presenta nelle forme note della “passeggiata” come espediente letterario per rappresentare il distacco dal quotidiano affanno, la scelta del disimpegno, ma anche, d‟altro lato, l‟accettazione degli accadimenti casuali, non programmatici: il girovagare lascia aperta la porta alle occasioni. È una struttura che abbiamo già visto in Primavera, significativamente coeva (1911) ai primi versi di De là del mur. Poi, con l‟inizio della seconda parte, avviene lo scarto, come al solito

dettato da un‟incoercibile presa di distanza da una realtà storica in cui non ci si riconosce e che si rifiuta: la vita stentata dell‟avvocato di piccolo cabotaggio, il traffico delle automobili… La gita fuori porta ha condotto il Tessa a Mombello, paese dove si trova un noto manicomio: un prato, un muro e questo è il traguardo. Come scrive Giuseppe Anceschi (Delio Tessa. Profilo di un poeta, p. 104 ) quello che è posto de là del mur è «centro atteso e sinistro dell‟intera narrazione, giro di boa cui tendere e da cui ripartire come una vera e propria metafora della vita». Da qui in poi, e per tutta la seconda parte, la lirica si fa «esaltazione del potere illimitato della parola» (Tessa) e rivela la profonda istanza anti-realistica della poetica tessiana: il discorso si rifrange in brandelli di suoni, di visioni slabbrate, tenute insieme da concatenazioni analogiche, o sconnesse da continui salti di scena – dalla campagna milanese ai notturni interni di appartamento, agli allucinati spazi immaginati del manicomio e dell‟ospizio. Pier Vincenzo Mengaldo sottolinea come proprio con De là del mur Tessa diventi l‟unico poeta dialettale del Novecento «che sia giunto a un uso propriamente surreale e onirico del dialetto: qui la frantumazione ed arbitrarietà verbale raggiunge il suo culmine, giusta l‟impianto fantastico-allucinatorio della “favola”, con la memorabile chiusa dello «struzz / viv, che me guarda» nel pieno trambusto di Porta Volta». Il tema del bestiario filosofico tessiano che altrove assumeva ancora il tono del bozzetto (El cavall de bara, El gatt del sur Pinin) acquista qui un valore di disperata tragicità: nello sguardo dello struzzo, anch‟egli vittima della violenza della modernità, il poeta, proprio come confessava nella prosa del 1935, pare riconoscere come in uno specchio «il suo volto corrucciato».

A P G V D T1

1

A / P G V / D T: dedica cifrata da leggersi “A / P(ier) G(iorgio) V(anni) / D(elio) T(essa)”.

I. Foeura de porta Volta de paes in paes a la longa di sces pedalavi in la molta 5

de la Comasna2 vuna de sti mattinn passaa:3 … me seri dessedaa con tant de grinta, in luna sbiessa4 e in setton sul lett

10

pensavi: «cossa femm incoeu?… l‟è festa… andemm… aria!… de sti fodrett… moeuvet! te sèntet no la pendola? Madonna!

15

hin i noeuv or che sona e sont in lett ammò! Giò con sti gamb… coragg,

2 Foeura de porta Volta… de la Comasna: oltrepassati i bastioni di porta Volta, la direttrice prendeva in direzione della strada Comacina, che attraversando la Brianza occidentale, si dirige verso Erba e da qui verso Como. L‟espansione urbanistica a nord di Milano, che oggi rende praticamente indistinguibile la fine della città dai centri dell‟hinterland, era ancora di là da venire negli anni del Tessa. Il fango, e più avanti la nebbia, sono indizi di un tardo autunno, o di un‟incipiente stagione invernale. Nelle note di dizione viene raccomandato di insistere su «una nota unica, la monotonia di questo viaggio domenicale» in cui «tutto è velato, tutto è melanconico intorno intorno». 3 vuna de sti mattinn passaa: probabile ricordo dell‟attacco del Miserere del Porta (vv. 1-2): «Vuna de sti mattinn tornand indree / de la scoeura de lengua del Verzee». 4 tant de grinta, in luna sbiessa: un‟espressione rincara l‟altra: la grinta è la “faccia scura”, la luna sbiessa (che ai vv. 117-18 diventa stramba) è il malumore, la “luna storta”.

ciappa la porta e proeuva la bicicletta noeuva!»5 20

A seri de vïagg donca e de mja in mja intant che pedalavi quiettin… quiettin… vardavi la campagna drevia,

25

vardavi i campi, i praa noster chì de Milan, qui cari patanflan di noster praa, settaa denter in la scighera,

30

denter a moeuj coi sò fir de moron, coi sò med de ganga… in filera giò… giò… longa e longhera… cassinn e cassinott,

35

paes e paesott sgreg, pien de viran…6

5

Ciappa la porta… noeuva: è il tema della passeggiata che ritroviamo qui, dopo averlo già incontrato in Primavera e in Caporetto 1917. 6 A seri de viagg… pien de viran…: sempre dalle note del Tessa: «La dizione continua con un po‟ di fatica e sempre monotona, si appoggia sulle accentuazioni di strofa come sui pedali della macchina per tirare innanzi, rinforza poi e prende colore rappresentandoci la campagna umida ( a moeuj) fitta di gelsi (de moron), pingue di letame (de ganga), seminata di borgate rustiche zeppe di villani!». In particolare il senso ritmato, da pedalata scandita, è dato dalle frequenti iterazioni dei vocaboli: de mja in mja (v. 21); quiettin… quiettin (v. 23); i praa noster… di noster praa (vv. 25-26 e 28); denter… denter (vv. 29-30); coi so… coi so (vv. 30-31); giò… giò… (v. 33); e dalla sequenza di variazioni lessicali: «longa e longhera… / cassinn e cassinott, / paes e paesott» (vv. 33-35).

l‟era ona mattina grisa d‟ottober senza el vol d‟on passer, senza sol!… 40

… L‟inverna… qui de Pisa…7 riven adess in troppa e la terra per lor la smonta de color! (… un‟utomôbel… s‟cioppa!)

45

A manzina, chinscì, che bella stradioeula!… (… macchin… macchin8… la spoeula fan…)… e voo giò de chì! Gabb e gabbett9… firagn;

50

terra sutta… che gira intorna al milla lira la pertega… dagn per mi che ghe n‟óo minga!10

7 L‟inverna… qui de Pisa: gioco di parole sul nome Pisa, che chiama per assonanza l‟appisolarsi, il dormire. È come dire che con l‟inverno, arriva la stagione del sonno, quasi un esercito (riven adess in troppa) e con loro la campagna smette (smonta) i suoi colori, che fino a poco tempo prima s‟incendiavano delle ultime tonalità autunnali. 8 macchin… macchin: reiterato a dare quasi un suono allo sfrecciare dei mezzi; ritorna, ancora più evidente nella sua intenzione onomatopeica, ai vv. 329 («macchin… macchin… zam… zam…») e 366 («macchin… macchin… sott… sott…»). 9 gabb: sono gli alberi scapitozzati, in particolar modo salici. 10 Dagn… minga: battuta sarcastica sul proprio stato che introduce la seguente lamentazione sullo scarso profitto dell‟attività professionale. Il passo, anche per il successivo riferimento a una vita rustica come via di fuga dalle miserie della città, richiama quello di Primavera (vv. 7-13 e 81-103): e se là era questione di fortuna, de cavicc (v. 122), qui

Anca a fa l‟avvocatt 55

aaah… te gh‟ee pocch de sbatt… … client che te siringa,11 l‟Irma,12 el padron de cà, la lus, el calorifer… l‟è la storta del chiffer

60

che besogna trovà, la tetta de tettà!… Cantell13… cisto… Cantell… Zappà patati… quell magara l‟è de fà!

65

Torna come el Frigeri alla scimma di scimm, al caroeu dol Regimm…14 al Viro15… ai someneri torna! T‟el là ol Pà-Bolla16

bisognerebbe “trovare la curva del kipfel”, cioè la formula del far fortuna. Il Kipfel è un panino a mezza luna della tradizione panificatrice austriaca, già noto a Milano ai tempi del Porta: rientra infatti, all‟interno di una tipica elencazione, in una sestina del Meneghin biroeu di ex monegh (vv. 58-60: «on affar seri / che ha traa sott sora asee , spiret, reliqui, / pret, ciccolatt, ex fraa, chiffer, devott» 11 te siringa: un espressionistico neologismo tessiano per “ti fregano”. 12 l‟Irma: Irma Salmini, la segretaria dello studio. 13 Cantell: Cantello, paese del Varesotto, nei pressi di Viggiù. L‟avvocato Catullo Frigerio (citato al v. 65) vi si era ritirato dopo aver lasciato la professione, tornando alle origini («alla scimma di scimm», al principio dei principi). Presso lo studio del Frigerio, in via Durini, il Tessa aveva iniziato il suo apprendistato legale. 14 al caroeu dol Regimm: il contadino, almeno nella retorica ufficiale di regime, era considerato un pilastro portante della nazione fascista, il beniamino ( caroeu, diminutivo di car). 15 Viro: è un‟invenzione lessicale del Tessa che adatta il termine viran (villano, contadino: v. 36) alla forma latina di vir, l‟eroe romano eretto a modello antropologico dalla propaganda fascista.

70

su l‟uss ch‟al temp ol stròlega! A battegh la cattolega proeuvi d‟ona parolla! «O vu Regiò17… disii ch‟a paes l‟è cost chi?»

80

«A l‟è Mombell18… a l‟è!»

II. Mombell… … che strano effett me fan certi paroll!… … tra capp e coll piómben e m‟insarzissen 85

lor!19 Per di or e di or qui calavron che ronza

16

ol Pà-Bolla: la graduale immersione nel mondo contadino è segnata dall‟adozione di una fonetica di un milanese rustico, “arioso”, che si connota attraverso le forme dei pronomi, degli articoli e delle preposizioni articolate: ol per el (vv. 69 e 70), ch’al al posto di ch’el (v. 70), ch’a al posto di che (v. 70), cost chì per quest chì (v. 75) e la forma A l’è, ripetuta due volte, al posto di L’è (v. 75). 17 Regiò: dal lat. rectorem, come il precedente Pà (v. 69) indica il capo della famiglia contadina, a cui ci si rivolge, per rispettarne l‟autorità dandogli del vu, del voi. 18 Mombell: Mombello, tra Limbiate e Seveso, ospitava un manicomio. Andà a Mombell è locuzione popolare per indicare l‟uscir di senno. Ma la forma fonetica del toponimo (nesso -nt- nasalizzato si confonde con -nd-) si presta a risemantizzare la parola in mond bell, reazione al “mondo orrido” in cui la gente vive prigioniera e dal quale invano cerca di trovare una via di fuga. È in questo punto, con il passaggio dal primo al secondo tempo della poesia, che si rompe lo schema descrittivo della passeggiata e si entra in una diversa dimensione, nella riflessione sul valore delle parole, tra il sogno e l‟allucinazione. 19 che strano effett… lor: nelle note di dizione si raccomanda di sussurrare la prima frase, di renderla a pena udibile, per poi alzare il tono con la seconda, per ribadire la forza con cui penetrano a fondo ( s’insarzissen).

règnen in del cozzon tant che m‟insormentissen…20 90

… Nivol... fantasma… nebbi… sit… omen… ideij… on mond, mi disariss ch‟intorna tutt on mond ghe se forma,

95

rimm ghe ressònen… vuna la ciama l‟altra a campana e via via te filet via – vol de la fantasia! – …21

95

… Mombell!… … Mombell!…22 dilla… redilla quella parolla lì e poeu tórnela a dì e allora… te comincet

100

a s‟ciariss… a capì… … bolla d‟aria nell‟aria parolla solitaria…

20 Per di or… m‟insormentissen: le parole si aggirano nella testa come sciami di calabroni, e la tramortiscono. Si noti il tessuto fonico che insiste sui suoni fricativi sonori (la z di insarzissen, ronza, cozzon) per rendere quasi il senso di stordimento. 21 Nivol… de la fantasia: in dieci rapidi versi una sintetica esposizione di poetica. Tutto ha inizio dalle parole che danno vita alle cose, che si richiamano l‟un l‟altra a comporre a un mondo – appunto un mond bell – che invita alla fuga («via / via te filet via») lungo i sentieri della fantasia. 22 Mombell!: la dizione che prima, secondo le indicazioni dell‟autore, doveva essere «circolare, legata, concatenata» qui torna a insistere, a levarsi, nella ripetizione della parola-magica (poco più sotto, vv. 96b-98: «dilla… redilla / quella parolla lì / e poeu tórnela a dì»), di nuovo isolata dallo spazio bianco che il testo le lascia intorno. È così «rende visibile il concetto, crea il paesaggio, genera l‟idea».

… ferma, che se colora…23 La te dà no l‟ideia 105

d‟on sit avert e voeuij? te vèdet minga on praa?…24 Ma per vedell polid Te gh‟ee de sarà i oeucc… perché… l‟è on pradesell

110

quest… che te par comè d‟avell gemò veduu on‟altra volta ti… …ah sì… ... a corda molla…25 … fra on bosch e ona muraja…

115

ona mattina… in sogn… Me seri dessedaa con tant de grinta, in luna stramba e in setton sul lett, cont ona gamba su

120

23

e l‟altra giò26… pensavi:

bolla d‟aria… se colora: è la personificazione della creatività verbale -intellettiva che sta all‟origine del fare poesia. Come fa notare Isella le rime interne ( bolla : parolla; aria : aria : solitaria) creano «una sorta di sospensione estatica, ondulante», accentuata dall‟alternanza di toniche e atone tra la a (aria, solitaria)e la o (bolla, parolla, colora). 24 on sit… on praa: comincia a delinearsi il luogo che fuoriesce dalla memoria (meglio se rievocata a occhi chiusi, vv. «Ma per vedell polid / te gh‟ee de sarà i oeucc»), da un‟esperienza pregressa, ma ancora indefinita se attinta dal reale o dal sogno. E «così, per successivi stadi si va formando il fantasma poetico», come ancora si legge nelle note del Tessa. 25 a corda molla: soccorre in aiuto all‟interpretazione una nota di Gadda nell‟Adalgisa: «dicesi di una lunga strada che avvalli e nobilmente risalga, descrivendo una catenaria […] la figura di equilibrio della catena sospesa per i due capi». Qui si può adattare al lento declivio di un terreno, di un prato.

Oh tra la vuna e i do… – Vanni! – 27 …qui pesciatoni to… tutt a torna al lett… par che te me rotólet 125

sul cô! – disevi – …tas ch‟el se quietta giò… (forsi el mangia on limon… o fors…) …ma, no…

130

sent ch‟el se moeuv ammò, ch‟el torna a camminà!28 L‟è in de quell fond de tomba di so penser ch‟el luma, el tasta

135 26

e come se l‟andass

Me seri dessedaa… e l‟altra giò: con una ripresa variata dei vv. 7 -10 si scarta su un‟altra scena. Un‟interno di casa, nel cuore della notte, svegliato dal rumore di passi che si sente al piano di sopra. 27 Vanni!: «una nuova parola è caduta, una nuova idea è nata, un nuovo fantasma si va formando…». È quello di Pier Giorgio Vanni, l‟amico cui è dedicata – in sigla – la poesia. Insieme a Fortunato Rosti e a Elisabetta Keller, il Vanni – che già compare nei versi di Primavera (vedi le note 7 e 8 a quel componimento) – fu tra gli amici più cari del Tessa. Proprio insieme alla Keller, che sposò in seconde nozze, andò ad abitare a fine anni Venti in via Beatrice d‟Este 17, dove da poco si era trasferito, in un appartamento esattamente al piano inferiore, il Tessa con la madre. Il Vanni era ingegnere e si distinse in numerosi brevetti meccanici nel campo dei motori e delle macchine tessili. 28 sent… camminà: le testimonianze degli amici raccontano che il Vanni soffriva d‟insonnia e passava le notte girando per casa, pensando a soluzioni tecniche per le sue invenzioni e prendendo appunti (i «numeritt / in su ona carta scritt» dei vv. 141-42).

adree a ona nasta29… … sèntel adess ch‟el va in sala… de là. Alla mattina poeu, 140

alla mattina dopo… gh‟è lì di numeritt in su ona carta scritt… …«oooh… bell!…» (…Nott… sogn…) fiaa de la mamma che dorma30…

145

Ma se „l plafon el scrizza31 (presonee che cammina… cammína)32 disi che l‟è tornaa de chì,

150

per dopo la mattina quand el se desgarbia33 trovass in del ciffon quell‟orinari ras

29

ona nasta: è l‟usta dei cani, il seguire il fiuto (nasta deriva dal tardo latino nasitare). Ma quel girovagare inquieto per le stanze, sospinto dai pensieri scrutati come da un fondo di buio sepolcro («quell fond de tomba / di so penser ch‟el luma») pare già un preannuncio delle scene di follia che prenderanno corpo nelle allucinate proiezioni a seguire. Una simile rappresentazione la si trova ai vv. 45-50 de La mort della Gussona, con la descrizione della cugina Erminia colpita da un cancro alla testa che la faceva vagare di notte in cucina come folle. 30 Nott… sogn: ripetuti anche più sotto ai vv. 154a e 159a quasi a scandire il tempo notturno, come il movimento di un orologia a pendola, insieme al rumore del respiro della madre nel sonno. 31 scrizza: lo scricchiolio degli impiantiti a cannette delle vecchie case milanesi. 32 presonee che cammina… cammina: ancora un‟eco della Mort della Gussona (vv. II, 39-40 e III, 28). 33 desgarbia: ancora La mort della Gussona, v. III, 42: è il risveglio, il districarsi dall‟avvolgente matassa del sonno.

de pissa… …«ooh… bell!!!…» (Nott… sogn… nott…) 155

…i pee, i pee… sent qui pee… mi senti sul cô fintant che m‟indormenti adree… (…nott…sogn…)

160

…voo giò, giò… – tenebror de sepolcher! –34 (Vvanni!) qui pesciatoni to… (VVVanni!)

165

qui cappelloni negher… qui cascianivol…35

34

m‟indormenti… sepolcher: finalmente il sonno ha la meglio, e si cade nel buio più profondo, come in un sepolcro (ma che assomiglia al fond de tomba del v. 132 in cui il Vanni insonne cerca i suoi pensieri).

… se podess regordamm! ma poss no… ma poss no… … on‟ideina gh‟óo, 170

on‟ideina appena36… … e l‟è… … quell de vèssom insognaa ch‟el Gianetti… el Vanni e el Cros37 pascolaven in d‟on praa,

175

mutignaven38… (cru… cru… cru…)39 e savevi che quell pradesell rapaa l‟era giusta… e quella mura… (… cru… cru…)

180

quella riga… bianca… longa… … longa… e de qui trij vun col pugn alla muraja… – pumm… pumm…pumm… – (al de là del mur cantaven!)40

35

VVanni!… cascianivol: ma l‟immagine dell‟amico ritorna in sogno. Al Vanni il Tessa dedica una delle più riuscite sue prose, Lui e la lettera (in Ore di città, pp. 50-51); lo descrive nell‟inquieto suo andirivieni per la città: «Viene non si sa da dove, l‟ingegnerone; pare da molto lontano, perché ha le scarpe impolverate e una cert‟aria afflosciata e stanca. […] Viene al suo vecchio studio come se un vento lo spinga. Naviga. Torna a quel piccolo porto ove ammainò il soprabito per anni. Torna senza avvedersene quasi e a volte per niente. Entra. «Frr… frr…». Pende un po‟ di lato, una mano gli trema… fa quel piccolo verso: «Frr…» frulla: è come un uccello che abbia un‟ala rotta.» Forse può spiegarsi così, con un effetto sonoro che richiama il frullo, il fruscio s...


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