Domande E Risposte DI Elementi DI Diritto Della Famiglia E DEI Minori (1) PDF

Title Domande E Risposte DI Elementi DI Diritto Della Famiglia E DEI Minori (1)
Course Scienze dell'educazione
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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riassunto della dispensa per l'esame di elementi...


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DOMANDE E RISPOSTE DI ELEMENTI DI DIRITTO DELLA FAMIGLIA E DEI MINORI DIRITTO PRIVATO Il diritto civile (o diritto privato) disciplina i rapporti tra soggetti privati (persone fisiche o persone giuridiche), onde dirimere le controversie che insorgano nell’ambito di tali rapporti: rappresentando, in tal senso, un servizio a disposizione dei cittadini (sebbene nell’ambito del diritto di famiglia si occupi anche di questioni attinenti allo stato giuridico delle persone). È il singolo soggetto privato, pertanto, che decide di rivolgersi al giudice civile per tutelare suoi diritti nei confronti di un altro soggetto e, fino al momento della decisone definitiva, può decidere di rinunciare al processo (salvo il pagamento delle spese). Solo in casi eccezionali – in particolare per la salvaguardia di soggetti deboli o privi di chi adeguatamente li rappresenti – il procedimento civile può essere avviato dal pubblico ministero. Il diritto di famiglia, cui vanno ricondotte le norme riferibili ai minorenni, fa dunque parte del diritto civile ed è ricompreso, ma non esclusivamente, nel libro I del codice civile. Si noti, in proposito, che la competenza giudiziaria circa le questioni civilistiche riguardanti i minorenni è ripartita, ai sensi dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, tra il tribunale per i minorenni e il tribunale ordinario: essendosi estesa nel 2012, a discapito del primo, la competenza del secondo, in forza dell’intento di assegnare a un unico giudice problematiche fra loro connesse, come quelle riguardanti i provvedimenti relativi ai figli minorenni nel caso di separazione o di divorzio (scelta tuttavia discutibile, perché il tribunale ordinario non ha l’esperienza di un giudice specializzato circa le problematiche minorili, diversamente dal tribunale dei minorenni, che tra l’altro è formato, oltre che da due giudici di carriera, da due giudici onorari esperti in materie socio-psicopedagogiche).

1. Quali sono i poteri dello stato? La divisione dei poteri è uno dei principi cardine dello stato liberale; questa divisione consiste nell’individuazione di tre funzioni pubbliche nell’ambito della sovranità dello Stato – legislazione, amministrazione e giurisdizione – e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello Stato indipendenti dagli altri poteri. I tre poteri dello Stato sono: • Il potere legislativo: in Italia è in capo al Parlamento. Questo organo viene eletto dal popolo e rappresenta proprio la massima forma di democrazia. Il nostro Parlamento è un organo bicamerale, ossia composto da due camere: Camera dei deputati e Senato della Repubblica. Le due Camere hanno identici poteri e per questo si parla di “ bicameralismo perfetto”. Come definito dall’art. 70 Cost., la funzione

legislativa è esercitata “collettivamente”: ciò si traduce nella necessità di voto favorevole sia da parte della Camera dei Deputati che del Senato. • Il potere esecutivo: Il potere esecutivo in Italia è nelle mani del Governo. Al Governo spettano i poteri relativi all’adempimento di compiti previsti dalle leggi e, per questo, a tale organo sottendono gli uffici ministeriali che si occupano della Pubblica Amministrazione. Oltre al potere esecutivo, il Governo esercita anche quelli di direzione, impulso e indirizzo politico. In casi particolari il Governo adempie anche alla funzione legislativa, attraverso due strumenti: il decreto legge e il decreto legislativo • Il potere giudiziario: Il potere giudiziario spetta alla Magistratura, un complesso di organi indipendenti (i giudici), il cui compito è decidere le liti applicando il diritto. Le decisioni prese dai giudici prendono il nome di sentenze. La Magistratura è composta da Giudici ordinari e speciali; in ogni caso, l’aspetto essenziale dei giudici è la loro esclusiva soggezione alla legge e quindi l’indipendenza da ogni altro potere.

2. In cosa consiste la responsabilità genitoriale? Essere dei genitori responsabili dovrebbe essere istintivo, nel momento in cui si mette al mondo un figlio. Tuttavia, è anche un dovere sancito dalla legge che ha rivisto e modificato alcuni articoli del Codice civile. È quella che si chiama, appunto, responsabilità genitoriale, che comprende i diritti ed i doveri che spettano al padre e alla madre verso i figli, nati o meno all’interno del matrimonio. La responsabilità genitoriale ha preso il posto di quella che una volta si chiamava «potestà». Vediamo, allora, che cosa prevede e che cosa si rischia se non viene rispettata.

3. differenza tra capacità giuridica e capacità di agire La capacità giuridica è l’attitudine di un soggetto a essere titolare di rapporti giuridici, cioè di situazioni giuridiche attive e passive, e come tale mette il soggetto in condizione di vivere ed operare nel mondo del diritto. Un esempio è la possibilità di diventare erede. La capacità giuridica si acquista con la nascita e cessa soltanto con la morte del soggetto; non può per nessun motivo un individuo essere privato della capacità giuridica. La capacità di agire, invece, consiste nella idoneità del soggetto a porre in essere i negozi giuridici e nella volontarietà dello stesso ad accettarne gli effetti. In pratica, con la capacità di agire il soggetto è posto in condizione di compiere un’attività giuridicamente rilevante e di diventare protagonista attivo sulla scena giuridica. La capacità d’agire si acquista invece al raggiungimento della maggiore età, ossia quando si presume che l’individuo sia in grado di curare consapevolmente i propri interessi e di valutare la portata degli atti da porre in essere. Il minore d’età, dunque, ha capacità giuridica, nel senso che ben può essere titolare di un diritto di proprietà, ma non ha capacità di agire, non potendo cioè egli disporre di tale diritto autonomamente. Per suo conto provvede il genitore o il tutore.

4. i genitori sono liberi di fare ciò che vogliono o può decadere la loro responsabilità Come per la vecchia potestà, la responsabilità genitoriale decade quando: •

il genitore non rispetta i suoi doveri;



quando il genitore abusa dei suoi poteri a discapito del figlio.

La responsabilità genitoriale decade per ordine di un giudice che, in caso di gravi motivi (ad esempio in caso di abusi), può anche decidere di allontanare sia il figlio sia i genitori dalla residenza familiare. Sempre il giudice può reintegrare il genitore nei suoi doveri di responsabilità genitoriale quando non ci siano più le condizioni per mantenerla decaduta.

5. In cosa si differenzia l'assunzione di posizione di genitore a seconda che il figlio nasca fuori o dentro il matrimonio (diritti sono medesimi ma vive presunzione di paternità)? La condizione di genitore richiede l’assunzione di determinati doveri nei confronti dei figli. Il fatto di procreare attribuisce alla madre e al padre la responsabilità genitoriale. Con la riforma del diritto di famiglia (Legge 10/12/2012 n. 219), lo status di figlio è unico e le terminologie come figlio legittimo, illegittimo, naturale e incestuoso nella letteratura della legge non sono più presenti. La responsabilità dei genitori esiste anche nei confronti dei figli adottivi e la violazione degli obblighi di assistenza familiare può configurare un reato. Se da un lato la responsabilità dei genitori pone in essere dei doveri, dall’altro i figli hanno il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti ed assistiti, e nei casi nei quali il figlio fosse non riconoscibile, può agire in giudizio per vedersi riconosciuti i diritti in questione (art. 279 c.c.). Come quasi sempre nelle situazioni, esiste anche il rovescio della medaglia, nel senso che anche i figli hanno dei doveri nei confronti della famiglia. Devono rispettare i genitori, contribuire economicamente in base alle loro capacità di reddito, devono assistere i genitori se fossero anziani o se ne dovessero avere bisogno e possono essere obbligati agli alimenti in caso di indigenza (artt. 570 e 591 c. p., art. 433 c.c.).

6. quale diritto ha la donna al momento della nascita (diritto di anonimato) Il divieto di rendere note le origini biologiche del figlio naturale abbandonato all’assistenza pubblica senza il consenso della propria madre fu sancito da legge datata e in seguito si è affermato attraverso il diritto all’anonimato della madre, che, in occasione del parto, dichiari di non voler essere nominata, consentendo, se vi fosse interesse, il rilascio in copia del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica decorsi cento anni dalla formazione. Infra tale periodo i documenti stessi possono rilasciarsi omettendo i dati che permettano di identificare la madre. Quindi, il divieto di accedere agli atti amministrativi, ove rendessero identificabile la madre che voglia rimanere anonima, è posto da norma speciale, facente eccezione alle regole generali che disciplinano i limiti di tempo e le modalità per ottenere le informazioni, la cui finalità sarebbe elusa se l’identità della madre fosse accertabile anzitempo.

7. disposizioni in caso di separazione e divorzio per affidamento Quando due coniugi si separano, il tribunale decide sull’affidamento dei figli se gli stessi sono minorenni, vale a dire se non hanno ancora compiuto i 18 anni. Superata questa età, i ragazzi, anche se forse sono immaturi e non autosufficienti, per la legge sono maggiorenni e possono liberamente scegliere il genitore con il quale abitare. Se non dovessero essere in grado di farlo possono anche decidere di vivere per conto proprio. Per decidere i giudici tengono dell’interesse del minore, che prevale su ogni altra cosa. Assistere a continui litigi o addirittura a scene di violenza è di sicuro peggio che avere i genitori separati. La legge vuole che i giudici nel decidere tengano conto dell’esclusivo interesse morale e materiale del figlio, per consentirgli di superare, per quello che sia possibile, il trauma dello scioglimento della famiglia. Per raggiungere questo fine, la regola è quella dell’affidamento condiviso (art. 337 ter c.c.). Il minore viene affidato ad entrambi i genitori, che se ne devono occupare mantenendo con lui un rapporto sereno ed equilibrato. Il padre e la madre gli devono continuare a garantire cura, educazione e istruzione, ed agevolare i rapporti con i componenti delle rispettive famiglie di origine, vale a dire nonni, zii e cugini. Se ci si sta separando e dal matrimonio sono nati dei figli ancora minorenni, quasi di sicuro i giudici decideranno che sia la madre. I due coniugi devono continuare a occuparsene allo stesso, come avveniva prima della separazione. Se il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidarlo a uno dei genitori.

8. legge 184 diritto fondamentale del minore (vivere e crescere nella sua famiglia) La legge 184/1983 ha disciplinato l'affidamento temporaneo dei minori. Poi la materia è stata riformata con la legge 149/2001. Si può avere affidamento quando il minore sia temporaneamente privo di ambiente familiare idoneo: la legge consente l'affidamento ogni volta che non si possa attuare il diritto del minore ad una esistenza serena. Oggetto di affidamento: tutti i minori, anche non cittadini, che si trovino all'interno dello Stato; è una situazione temporanea e non duratura (che può eventualmente portare all'adozione. Possono divenire affidatari di minori: 

un'altra famiglia (meglio se con figli minori)



una persona singola (non coniugato, vedovo, separato)



una comunità di tipo familiare

In caso di necessità si dispone il ricovero in un istituto privato, superato entro il 31/12/2006 con l'affidamento ad una famiglia o inserimento in una comunità di tipo familiare. L'affidamento familiare è disposto dai servizi sociali locali previo il consenso dei genitori che esercitano la potestà o del tutore. Deve essere sentito il minore di 12 anni e anche più piccoli se sono capaci di capire. Il provvedimento è reso esecutivo dal giudice tutelare con decreto. In mancanza del consenso richiesto, provvede il tribunale. Il decreto deve contenere: _ motivazioni _ durata presumibile _ tempi ed esercizio dei poteri degli affidatari

il servizio sociale responsabile (assistenza e vigilanza) L'affidatario deve: provvedere al MEI del minore, devono essere agevolati e mantenuti i rapporti con la famiglia d'origine in modo da non rendere gravoso un eventuale ritorno nella stessa. Cessazione: con un provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto una volta che è venuta meno la situazione di temporanea difficoltà.

9. Finalità, funzione e caratteristiche dell' affidamento familiare e chi lo dispone L’affidamento è uno strumento introdotto a tutela di quel minore che solo temporaneamente risulti privo di un ambiente familiare idoneo alla propria crescita, nonostante che la famiglia riceva interventi di sostegno e di aiuto da parte dello Stato, della Regione o degli Enti locali (ad esempio, buoni alimentari, assegni familiari, sostegno nel pagamento di bollette). Si parla, infatti, in tali casi di affidamento temporaneo. L’affidamento del minore a soggetti terzi, individuati in base alle indicazioni della legge, dura per il periodo in cui sussiste l’impedimento nella famiglia di origine. Tale situazione di disagio deve essere circoscritta nel tempo: è previsto un termine massimo, che può essere prorogato nell’interesse del minore. Allorché la causa che abbia impedito alla famiglia di origine di prendersi cura del minore venga meno, il minore potrà fare ritorno al suo nucleo familiare. L’affidamento temporaneo viene disposto: •

dal servizio sociale locale, quando vi sia il consenso dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale o del tutore e previo loro consenso, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore che sia dotato di sufficiente capacità di discernimento. Il giudice tutelare (è un magistrato che ha il compito di sovrintendere alle tutele) del luogo ove si trova il minore rende esecutivo con decreto il provvedimento che dispone l’affidamento temporaneo emesso dal servizio sociale;



dal tribunale per i minorenni, quando non vi sia il consenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del tutore.

10.

cos'è l'affidamento di fatto e cosa richiede dopo che sono passati sei mesi

I genitori purché non vengano meno ai loro doveri sono liberi di affidare un figlio a una persona diversa da loro, con permanenza del figlio stesso nell’abitazione di quest’ultima, come frequentemente accade per una vacanza, per un’emergenza, o altro; ma anche nel caso in cui la famiglia viva delle difficoltà (per ragioni economiche, di lavoro, di malattia, ecc.) i genitori possono scegliere di farsi aiutare, fermi sempre i loro doveri, da chi meglio ritengano, senza coinvolgere i servizi sociali. Si tratta del c.d. affido di fatto, di cui all’art. 9, co. 4, l. n. 184/1983, relativo al caso in cui la persona presso la cui abitazione viva in modo stabile il minorenne non sia parente del medesimo entro il quarto grado: caso rispetto al quale il comma suddetto richiede tuttavia, decorso un certo tempo, un obbligo di segnalazione. Va premesso che il minorenne si considera permanere pur sempre nell’ambito della famiglia, ai fini civilistici, ove viva, per l’appunto, con persone a lui legate da una parentela fino al quarto grado (calcolandosi il grado attraverso il numero dei rapporti di filiazione che devono contarsi per ricollegare due persone, attraverso un ascendente comune: per esempio, tra nipoti e nonni la parentela è di secondo grado, tra nipoti e zii di terzo, tra cugini di quarto). Il che ovviamente non esonera i genitori dai doveri summenzionati, con le già note conseguenze nel caso di inadempimento.

L’obbligo di segnalazione di cui sopra è dunque previsto dal co. 4 nei termini seguenti: «Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare». Un obbligo parallelo, con gravi conseguenze possibili in caso di inadempienza, grava, peraltro, sul genitore che abbia affidato il figlio nei termini predetti. Così recita infatti il co.5: «Nello stesso termine di cui al co. 4, uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L’omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio a norma dell’articolo 330 del codice civile e l’apertura della procedura di adottabilità». La ragione di tale obbligo si percepisce facilmente: il c.d. affido di fatto resta consentito, ma se si protrae al di là dei sei mesi va resa possibile una verifica da parte dell’organo giudiziario deputato alle indagini intesa a escludere che, in realtà, il minorenne sia stato abbandonato dai genitori, sia stato ‘venduto’ o si sia comunque realizzata un’adozione extralegale; ma altresì intesa a valutare se vi sia la necessità di un intervento dei servizi sociali a sostegno della famiglia del minorenne.

11.

quali sono i presupposti per adottarlo

Gli articoli successivi al 5 della legge n. 184/1983 – a parte le disposizioni sull’affido di fatto, comunque finalizzate a evitare elusioni delle norme di cui si dirà – sono dedicate alla adozione, cioè alle norme con cui si intende assicurare una famiglia ai minorenni abbandonati. Consideriamo innanzitutto i presupposti necessari affinché un minorenne possa essere adottato, presupposti che sono descritti all’art. 8, co. 1: «sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio». Si tratta, dunque, dello stato di abbandono, sotto i due profili morale e materiale. Tra tali profili assume per lo più rilievo decisivo quello morale, perché il venir meno dell’assistenza morale dipende solitamente dalla volontà del genitore (salvo situazioni riconducibili, per esempio, a una malattia psichica invalidante), mentre il venir meno dell’assistenza materiale può non dipendere, più facilmente, dalla volontà del genitore. Allo scopo di evitare dichiarazioni di adottabilità indipendenti da una responsabilità dei genitori, la norma, come s’è visto, esclude il rilievo delle situazioni di abbandono morale e materiale determinate da forza maggiore, con il limite tuttavia – che richiede molta cautela valutativa – del loro carattere transitorio: nel caso, cioè, in cui un abbandono pur dovuto a forza maggiore appaia irrimediabile, la legge torna a far prevalere il diritto del minorenne a poter avere una famiglia. Resta, peraltro, la grande delicatezza del giudizio in materia.

I co. 3 precisa, inoltre, che «non sussiste causa di forza maggiore quando i soggetti di cui al comma 1 rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali […] e tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice». Mentre il co. 4 garantisce l’assistenza legale dei genitori e dei parenti del minorenne nell’ambito del procedimento che potrebbe dichiararne lo stato di adottabilità. L’art. 7, co. 2, stabilisce, inoltre, che «il minore, il quale ha compiuto gli anni quattordici, non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso». Mentre «se l'adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito» e, «se ha un'età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento» (co. 3). 12.

iter per adottare

Pr...


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