Elogio Del Politeismo - Maurizio Bettini, Riassunto PDF

Title Elogio Del Politeismo - Maurizio Bettini, Riassunto
Author Francesca Fiorenza
Course Pittura
Institution Accademia di Belle Arti di Bologna
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Summary

Riassunto esaustivo di tutti i capitoli del libro Elogio del Politeismo di Maurizio Bettini....


Description

GLI DEI IN ESILIO La cultura classica è sempre stata fonte viva di ispirazione per la filosofia, il teatro e l’arte ma MAI per la RELIGIONE. La religione è una istituzione culturale in quanto le sue pratiche mutano da epoca a epoca. La nostra società non prende ispirazione dalla cultura classica in primo luogo per la narrazione negativa che ne ha fatto il cristianesimo, caraterizzandola come culto falso e ingannatore. Già solo la terminologia utilizzata classifica le religioni antiche come “superate” (paganesimo, politeismo, idolatria). La religione greca e romana è una religione esattamente al pari dell’islam o del cristianesimo. Alcuni elementi delle religioni politeiste sono sfuggite alla censura cristiana solo per il fatto di essersi trasformate in pura e semplice mitologia. Heine definisce gli dei greci e romani confinati, esiliati nelle università e studi di ricerca. IL POLITEISMO AIUTEREBBE A RIDURRE I CONFLITTI RELIGIOSI : capacità di poter concepire altre divinità all’infuori della propria.

CAP 1. IL SACRIFICIO DEL PRESEPIO E LE BOMBE ALLA MOSCHEA Fatto di cronaca 1: la rinuncia del presepe nella scuola per evitare di urtare la sensibilità dei bambini di religione islamica. Polemica prevalentemente a destra, con l’accusa di “svendere le nostre tradizioni”; replica da parte di esponenti della comunità islamica, che fanno presente che il presepe non urta in nessun modo la sensibilità di nessun islamico, ma che addirittura Gesù e Maria sono citati e onorati nel Corano. Gesto compiuto NON in nome della laicità dello stato o del rispetto dei luoghi pubblici, nei quali non andrebbe manifestato nessuna simbologia di carattere religioso, MA per non urtare la sensibilità di una persona che professa (o potrebbe professare) una religione differente da quella cristiano cattolica. Qualora nella scuola non ci fosse stato nessun bambin* islamico, il problema non si sarebbe posto, e il presepe sarebbe stato fatto regolarmente. Fatto di cronaca 2: Fallaci contro la costruzione di una moschea in Toscana. Piuttosto che accondiscendere alla costruzione di altri simboli differenti dai suoi, la Fallaci avrebbe preferito distruggerli. Chiaro esempio di intolleranza religiosa. Questi due comportamenti nascono da un medesimo principio, quello per cui ESISTE UN UNICO DIO, CHE NON AMMETTE O TOLLERA ALTRI DEI ALL’INFUORI DI LUI. 1°: non vogliamo turbare la sensibilità di chi non crede nel nostro stesso dio, perché pensiamo che per loro esista SOLO il LORO di dio. 2°: tendiamo all’eliminazione di qualsiasi simbologia di un altro dio, perché per noi esiste SOLO il NOSTRO dio. LE SOCIETÀ OCCIDENTALI HANNO L’INCAPACITÀ CULTURALE DI ESSERE POLITEISTE.

CAP 2. STATUETTE DI FINE ANNO. ANIMALI, PASTORI, RE MAGI La natura del presepe è di fondamentale importanza nella cultura e tradizione cristiana. È la “MEMORIA CULTURALE” della nascita di Cristo. Importante è la presenza di determinati elementi: il bue e l’asino (non presenti nelle scritture) simboleggiano la natura, proteggono e scaldano il bambino, come ogni bambino eroe della mitologia. Sottolineano come anche la natura stessa riconosca il carattere divino di Gesù. Nel presepe Gesù è spesso collocato in una grotta, anch’essa a simboleggiare la natura. I personaggi più vicini a Gesù sono i pastori, che stanno a rappresentare la vita semplice, dedita alla natura e agli animali, simboleggiano la BONTÀ e VERITÀ della nascita. Altri personaggi rilevanti all’interno del presepe sono i Re Magi, collocati il 6 gennaio, intraprendono un lungo viaggio, provenienti da terre lontane, per inginocchiarsi di fronte al Salvatore. Questi uomini, provenienti dalla Persia,talmente saggi da essere chiamati Re, hanno comunque l’appellativo di Magi per stare a sottolineare la loro provenienza da terre d’Oriente, con culture arcane e religioni lontane. I Magi rappresentano la devozione e il rispetto che le religioni orientali hanno nei confronti di Gesù. Gesù Cristo quindi è riconosciuto dagli angeli, dagli animali, dai pastori, dai Magi, non come un dio, ma come IL DIO, L’UNICO E VERO.

CAP 3. STATUETTE DI FINE ANNO. SIGILLA, SIGILLARIA E COMPITALIA. Molto simile al presepe e alle statuette che lo compongono sono i Sigilla romani: piccole statuette di gesso messe in vendita nei mercatini, devozionali a Saturno. Infatti a Roma verso la fine di dicembre si festeggiavano i Saturnalia, festa per molto versi simili al Natale: le statuette, e inoltre era usanza farsi regali, specialmente ai bambini. Sempre alla fine di dicembre a Roma si celebravano i Compitalia, festa in onore dei Lares, le divinità protettrici della casa. Non è assolutamente immaginabile che a Roma non si tenessero i banchetti dove vendere i sigilla, oppure che non si festeggiasse una delle due ricorrenze solo perché un devoto di un’altra divinità potesse rimanere in qualche modo offeso: NEL MONDO ROMANO GLI DEI NON SI ESCLUDEVANO, SI INCLUDEVANO.

CAP 5. NON AVRAI ALTRO DIO Il monoteismo ebraico è una “contro religione”, in quanto nega ogni legittimità a tutte le altre religioni e divinità che non siano la propria. Quando Mosé sancì un’alleanza con Dio, lo fece a patto che il popolo di Israele fosse devoto e lo riconoscesse come unico ed esclusivo Dio, e non onorasse immagini di altre divinità. Questo comunque dà da pensare che l’ebraismo comunque ritenesse reali altri credi, ma non li legittimasse. Il Dio di Israele è un dio GELOSO, e non si può, di fatto, essere gelosi di ciò che non esiste. Con il passare del tempo i monoteismi inizieranno a riconoscere gli dei altrui come falsi, o come demoni in contrapposizione con il loro vero e unico dio.

Il monoteismo ebraico è una religione a carattere esclusivo. C’è un solo e unico Dio, che non tollera la presenza di altri dei. La religione del popolo di Israele è quella VERA, le altre sono FALSE. Questa concezione della religione viene chiamata “DISTINZIONE MOSAICA”. Il carattere esclusivo dei monoteismi ha portato e tutt’ora porta a conflitti di natura religiosa, cosa che non si è mai verificata nelle società politeiste. È infatti il carattere plurale a prevenire gli scontri. La molteplicità degli dei non porta, di conseguenza, a negare l’esistenza di un qualunque altro pantheon solo perché diverso dal proprio. Anche nel monoteismo cristiano la distinzione mosaica ha scatenato secoli di conflitti. Chiaramente negli ultimi anni c’è stato un ammorbidirsi del cristianesimo, soprattutto per quanto riguarda la parte cristiano cattolica. Infatti, nel Catechismo non si accenna nemmeno ad un “dio geloso” desideroso di “distruggere i simboli e gli altari” dei credi altrui. Tuttavia viene comunque sottolineata l’esclusività e unicità di Dio. Chiaramente non c’è più l’ostilità originaria nei confronti delle altre religioni, però rimane comunque il fatto che chiunque non segua i dettami del cattolicesimo vive nell’errore e nell’ignoranza. Nessuno è chiaramente obbligato a seguire il cattolicesimo, ma è obbligato a ricercare la verità che si può trovare solo nelle vie del Signore (aiuto).

CAP 6. TRADURRE GLI DEI, TRADURRE DIO I monoteismi, dato l’esclusività del loro dio, non contemplano la possibilità di poterlo “tradurre” in una qualsiasi altra divinità. QUESTA È UNA DELLE SOSTANZIALI DIFFERENZE CON IL POLITEISMO, CHE PERMETTE CORRISPONDENZE SPECIFICHE TRA DIVINITÀ DI DIFFERENTI CULTI. Si vedano gli dei greci, tradotti e accolti dai romani come loro divinità. Caratteristica del politeismo è l’essere incredibilmente flessibile e spontaneamente prono alla fusione e inclusione di altre divinità all’interno del proprio pantheon. Con i monoteismi questa pratica di traduzione non sarebbe assolutamente attuabile. La religione cattolica riconosce Dio come unico, esclusivo e veritiero e chiunque dovrebbe essere naturalmente incline alla ricerca di questa verità. La traduzione appare impossibile. Verità, unicità e natura sono degli assoluti. Non possono coesistere due verità o due unicità, perché allora una delle due dovrebbe essere necessariamente falsa.

CAP 7. PARADOSSI GRAMMATICALI: IL NOME DI DIO Riportato nell’Esodo c’è un passo in cui si intima ai fedeli di non parlare in modo irrispettoso nei confronti degli dei altrui; questo non perché li si legittimi in un qualche modo il divino altrui, il rispetto è dovuto nel confronto del loro nome, il “nome di dio”. Bestemmiando un altro dio si sfiora con la bestemmia anche il proprio. Interessante dal punto di vista linguistico come fenomeno, dato che sia per l’islam che per il cristianesimo la divinità è identificata con il medesimo nome: Dio. Allora sarebbe logico pensare che si possa star parlando della stessa divinità; pensiero comunque poco credibile, considerando che certamente l’islam e il cristianesimo non venerano lo stesso dio. Questo fenomeno accade nel momento in cui data la caratteristica della divinità di essere unica ed esclusiva il nome comune con cui la si designa, in questo caso appunto “dio”, diventa un nome così proprio (“Dio”) da diventare intraducibile.

Quindi la parola “Dio” è contemporaneamente traducibile E intraducibile. Questo paradosso ovviamente nel politeismo non si presenta.

CAP 8. L’INTERPRETATIO DEGLI DEI Tacito neL “Germania” mette a, per così dire, confronto delle divinità germaniche, gli Alci, con Castore e Polluce, affinché i Romani potessero intendere e capire meglio la natura degli dei a loro sconosciuti. Questa tecnica viene chiamata “INTERPRETATIO”: non è semplicemente un “tradurre” gli dei altrui, ma capirli, studiarli e trovare affinità comuni con già noti. L’interpretatio è una parola di gergo all’interno della sfera della negoziazione, infatti l’interpres è colui che sta fra due parti; la natura di questo approccio è assolutamente ipotetica: non esistono assoluti nell’interpretatio, e c’è sempre spazio per nuove soluzioni. L’unica cosa certa ovviamente è che le corrispondenze tra pantheon diversi possono esistere. Esiste, di fatto, anche l’interpretatio all’interno di uno stesso pantheon, come possiamo vedere con il paradosso di Arnobio, secondo il quale ci sarebbero due interpretazioni divine per la terra, ovvero Cerere e Magna Mater.

CAP 9. IL POLITEISMO, CURIOSITÀ E CONOSCENZA La caratteristica più scioccante per noi eredi del monoteismo è sicuramente la capacità di poter interpretare, “tradurre” le proprie divinità in altre. Ovviamente, se si parte dal presupposto che il proprio dio è unico ed esclusivo non lo si potrà MAI tradurre. Questa è una prima differenza tra poli e mono. La pluralità del divino rende già di per sé gli dei altrui innocui, ed a eliminare completamente il problema è l’interpretatio: ecco perché gli antichi non hanno mai avuto conflitti di carattere religioso. La seconda sostanziale differenza tra mono e poli è la CURIOSITÀ: nei politeismi la curiosità nei confronti di altre divinità era naturale. Non solo, per le religioni politeiste erano una risorsa, da poter aggiungere al proprio pantheon, una volta imparata e conosciuta. In territorio monoteista invece, non solo non c’è assolutamente nessun tipo di curiosità nel conoscere divinità altrui, ma c’è anche un sentimento di superiorità, indifferenza o addirittura ostilità nei confronti del diverso. Non è logicamente sensato provare curiosità nei confronti di un qualcosa che è fondamentalmente falso. Sempre per questo motivo non si riesce ad avere un dialogo interreligioso, e qualora si riesca, le classi e i gruppi sociali interessati sono in netta minoranza rispetto alla popolazione credente media, che non solo non comprende perché si dovrebbe provare un qualunque tipo di curiosità o interesse, ma che direttamente la ritiene una cosa fuori luogo e senza fondamento.

CAP 10. I MONOTEISMI SAREBBERO FORSE DEI POLITEISMI MASCHERATI? La presenza di altri esseri di natura divina accanto all’unico dio esclusivo rende i monoteismi dei politeismi mascherati? Già solo prendendo il concetto di dio uno e trino del cristianesimo fa presupporre una sorta di pluralità della divinità; i singoli santi hanno funzioni precise, simili agli “officia” che i romani attribuivano alle varie divinità del pantheon. Sempre i santi hanno anche funzione di patroni di città e paesi, come le divinità poliadi romane, che avevano il compito di proteggere le singole città. Per quanto il monoteismo cristiano possa sfaccettarsi di santi, non è comunque legittimo attuare l’interpretatio, e tradurli in altre divinità o angeli. I monoteismi politeistici operano solo ed esclusivamente nel loro orizzonte religioso. I monoteismi tendono all’esclusività anche nella loro pluralità. Il tratto distintivo è infatti l’impossibilità dell’interpretatio; si potrebbero definire infatti “politeismi esclusivi”.

CAP 11. TOLLERANZA VS INTERPRETATIO “Tolerantia”, da tolero, in latino indica la pratica della sopportazione, ovvero la pazienza. Viene considerata una virtù, ma non a livello sociale: infatti, la tolerantia si esercitava in momenti di particolare avversità. Il significato di questa parola muta con gli autori cristiani, soprattutto con Agostino, e prende parte della sfera etica sociale, in particolare riguardo la tematica della diversità religiosa. La tolleranza in senso cristiano si pratica nei confronti di coloro che “pensano diversamente”, ovvero gli ERETICI. È un atteggiamento dettato in parte dalla carità cristiana, e dall’altra dal principio per il quale è meglio sopportare che reagire. Da un lato la tolleranza prevede sopportazione e non accettazione di ciò che si tollera, e dall’altro dà per scontato che l’oggetto della sopportazione sia qualcosa di negativo. Per il cristianesimo coloro che la pensano in modo diverso non solo hanno opinioni diverse, ma vivono nell’errore, nel PECCATO. Idee e persone vengono tollerate non per rispetto e legittimità delle loro posizioni, ma per il principio di carità e soprattutto per la salvaguardia della Chiesa. Tutt’oggi il termine tolleranza rimane ambiguo. Presuppone la non totale legittimazione delle opinioni altrui. Un esempio lampante ne è il Catechismo, che esplicitamente dichiara che nessuno è obbligato a credere o seguire determinati dettami, ma dal momento in cui effettivamente non si credesse nel dio cristiano si cadrebbe nell’errore che si è “obbligati” a correggere. Inutile dire che nel politeismo la concezione di tolleranza religiosa non ha senso di esistere. La natura plurale delle divinità, l’interpretatio e la naturale predisposizione del politeismo all’integrazione di divinità altrui non lascia spazio a nessun tipo di obbligo o costrizione nei confronti di altre divinità, tantomeno di tolleranza.

CAP 12. IL POLITEISMO COME LINGUAGGIO Altra caratteristica del politeismo è la continua produttività divina, analoga a quello che succede in una lingua, con l’espansione del lessico nel passare del tempo. Nell’antica Roma venivano divinizzati personaggi originariamente mortali, come Ercole o Aesculapio; altre divinità potevano cadere in disuso, esattamente come accade a determinate parole in una lingua. Sempre nel politeismo è possibile giustapporre due divinità diverse nell’ambito in cui si richiamino in qualche modo, facendo ciò che la linguistica definisce “sintagma privilegiato”. Inoltre, non solo gli antichi “traducono” le divinità, ma le prendono anche in prestito, altro fenomeno legato alla lingua. Interessante poi dei romani era la pratica dell’EVOCATIO, che consisteva nell’appunto evocare durante un assedio la divinità protettrice della città nemica, affinché potesse risultare più semplice da conquistare e la divinità ad entrare nel pantheon romano. Durante ogni tipo di conflitto coinvolgere gli dei era ritenuto un sacrilegium, se non nefas: era un’empietà che nessun mos avrebbe potuto giustificare, in quanto si sarebbero toccati delle norme superiori a quelle umane. Quindi, i Romani non solo rispettavano profondamente le divinità nemiche, ma garantivano che i loro culti non andassero decaduti, e continuassero ad essere perpetrati. Come sempre, dove nel politeismo ci sono cento possibilità, nei monoteismi ci sono altrettante impossibilità: innanzitutto il postulato per cui dio è unico e solo blocca il linguaggio, non permettendo non solo l’interpretatio intra e interlinguistica, ma impedendo anche la creazione di nuovi lessemi divini. Di certo la pratica del prestito di divinità è impossibilitata dallo stesso principio per il quale è impossibilitata l’interpretatio. Se per gli antichi era sacrilegio prendere prigionieri gli dei altrui, o coinvolgerli in un qualche conflitto, per le religioni monoteiste è il contrario, come si può notare nel passo dell’Esodo. SONO DUE ATTEGGIAMENTI COMPLEMENTARI E INVERSI: QUELLO CHE IN CONTESTO POLITEISTICO È COLPA FARE IN CONTESTO MONOTEISTICO È COLPA NON FARE.

CAP 13. DARE CITTADINANZA AGLI DEI Come veniva concepito a Roma il processo del prestito di divinità straniere? Come ogni cosa a Roma, anche questo processo ruotava intorno all’accettazione della divinità nella Città da parte del senato. Affinché potessero essere celebrate, le nuove divinità dovevano aver ottenuto il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità statali. Il verbo comunemente usato in questi ambiti è “adscisco”, letteralmente “riconosco”. La divinità straniera doveva essere in qualche modo resa cittadina. Questo accadeva anche per i termini provenienti da lingue straniere al latino. Questo per i romani era più che una mera formalità giuridica: era un modo di pensare, di concepire ed organizzare la società e la loro cultura, secondo la quale persino gli dei dovevano essere accettati, se pur come divini, membri della civitas. Questo sottolinea un discrimine fondamentale tra la religione romana e il cristianesimo che verrà di seguito, ovvero che LE DIVINITÀ E IL LORO CULTO SIANO IN FUNZIONE DELLE COMUNITÀ UMANE E NON VICEVERSA. Questa concezione agli occhi di una persona che concepiva il proprio dio come unico e solo,

salvatore e creatore dell’universo, sembrava a dir poco concepibile, in quanto la religione non poteva che essere un PRESUPPOSTO ASSOLUTO. Per i Romani le “res divinae” erano istituzioni create dalla civitas. A Roma il giorno in cui si festeggiava la nascita di una divinità non veniva intesa in senso teogonico o mitologico, ma ci si riferiva al giorno in cui era stato consacrato ufficialmente il tempio dedicato a quella divinità, il dies natalis templi. Per i romani una divinità “nasce” dal momento che viene ufficialmente accettata nella società. Ancora una volta, si segna un discrimine tra la concezione romana e cristiana: la tolerantia che si esercita nei confronti di un dio altrui, anche nel modo più aperto possibile, rimane cosa ben lontana dall’integrarlo in tutti i sensi all’interno della propria civitas. Non ci sorprende che l’atteggiamento cristiano abbia influenzato la nostra società fino ad oggi, che in nome delle identità individuali privilegia l’appartenenza etnica, religiosa e culturale a scapito di ogni senso civico.

CAP 14. LA LUNGA OMBRA DELLE PAROLE Cosa indica propriamente la parola “politeismo”? Intanto, questa è composta da due parole greche, “polys” e “theos”, ad indicare quella religione caratterizzata dalla devozione a più di una divinità. Definire le religioni antiche politeiste è abbastanza rispettoso. Decisamente più irrispettose sarebbero state le definizioni “paganesimo” e “idolatria”. Però tutte queste parole hanno una caratteristica che le accomuna: non sarebbero mai state usate da un greco o un romano per definire la propria religione. Nascono tutte e tre in ambito esterno a quello del mondo antico, e spesso volentieri nascono contro di esse. Un greco si sarebbe definito “eusebes”, e non “idolatra” o “politeista”; un romano si sarebbe definito “pius”, certamente non “pagano”. Il primo ad usare il termine politeismo fu un ebreo, Filone di Alessandria: per lui la caratteristica che più si discosta dall'ebraismo era appunto la molteplicità degli dei. Chiaramente era un aggettivo regolarmente usato in contesti negativi, anche nel cristianesimo. Jean Bodin invece userà il termine politeismo in modo dispregiativo non nei confronti dei “pagani”, ma nei confronti delle eresie cristiane. E invece la parola “monoteismo”? Esattamente come politeismo è formata da due termini greci: “mono” e “theos”. A coniare questa parola fu un teologo, Henry More e la utilizzo non...


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