Eneide in italiano PDF

Title Eneide in italiano
Author Alessandra Di Benedetto
Course Letteratura latina
Institution Università di Bologna
Pages 17
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Summary

Traduzione dell'Eneide di Virgilio...


Description

Ma la regina già da tempo colpita da un grave affanno nutre la ferita nelle vene ed è consumata da un fuoco nascos+ to. Le ritornano in mente le molte virtù dell’uomo e il grande onore della stirpe, rimango infissi nel petto il volto (lett. i volti) v. 5 e le parole, né l’affanno concede un tranquillo riposo alle membra. L’aurora del giorno dopo illuminava la terra con la lampada di Febo (= il sole) e aveva già rimosso dal cielo l’umida ombra, quando, fuori di sé, così si rivolge alla fedele sorella: “Anna, sorella mia, quali visioni notturne spaventano me che sono in dubbio! v. 10 Che ospite straordinario è giunto nel nostro palazzo, quale mostrandosi nel viso, quanto dal forte petto e dalle [forti] armi! Credo davvero – e non è vano il mio credere – che sia di stirpe divina. Il timore rivela gli animi ignobili. Ahi, da quali destini è stato trasportato! Quali guerre combattute cantava! v. 15 Se non mi risiedesse nell’animo fisso e irremovibile [il proposito] di non volermi legare in vincolo matrimoniale a nessuno dopo che il primo amore ingannò me delusa con la morte, se non avessi in odio il talamo e le fiaccole nuziali, forse avrei potuto soccombere a quest’unica colpa /per questo solo forse avrei potuto soccombere alla colpa v. 20 Anna, te lo confesserò infine, dopo la morte del povero marito Sicheo e dopo che la casa fu insanguinata dalla strage fraterna, egli soltanto ha toccato i miei sensi e mi ha smosso l’animo così da renderlo vacillante. Riconosco i segni dell’antica fiamma. Ma preferirei piuttosto che la terra profonda mi si aprisse davanti, v. 25 o che il padre onnipotente mi trascinasse con la folgore alle ombre le pallide ombre dell’Erebo e verso una notte profonda, prima che io, o Pudore, ti violi o sciolga i tuoi giuramenti. Quello che per primo mi congiunse a sé, tutto il mio amore si è portato via; quello lo abbia con sé e lo conservi nel sepolcro” v. 30 Dopo aver così parlato riempì il seno di lacrime sgorgate. Anna risponde: “O tu che sei più cara della luce per tua sorella, sola passerai l’intera giovinezza affliggendoti, e non conoscerai (noris = noveris) i dolci figli, né i premi di Venere? Credi che di questo si occupino il cenere e i mani sepolti? v. 35 Sia pure, un tempo nessun pretendente riuscì a piegare te afflittanon dalla Libia, né prima di Tiro; fu respinto Iarba e tutti gli altri condottieri, che l’Africa, terra ricca di trionfi nutre. Ti opporrai anche a un amore gradito? E non ti viene in mente nei territori di chi ti sei stabilita? v. 40 Da una parte le città dei Getùli, stirpe insuperabile in guerra, e i Nùmidi sfrenati ci attorniano, e l’inospitale Sirti, dall’altra una regione deserta per la siccità e i Barcéi

che infuriano da ogni dove. E che dire delle guerre che sorgono da Tiro e delle minacce del fratello? … v. 45 Io credo davvero che con gli aiuti degli Dei e con Giunone favorevole le navi troiane abbiano tenuto questa rotta [spinte] dal vento. Come vedresti questa città, o sorella, quali regni [vedresti] sorgere da un tale matrimonio! Con l’unione delle armi dei Teucri a quanto grandi imprese si innalzerebbe la gloria cartaginese! v. 50 Tu soltanto richiedi grazia agli Dei e, celebrati i riti sacri, attendi ai doveri di ospite e accampa pretesti per trattenerlo, finché sul mare imperversa[no] l’inverso e il piovoso Orione, finché le navi sono distrutte, finché il clima non è favorevole”. Con queste parole infiammò l’animo di una smisurata passione v. 55 e dette speranza alla mente in dubbio e ne sciolse il pudore. Dapprima si recano ai templi e chiedono il favore divino di altare in altare; sacrificano [pecore] scelte bidenti secondo il costume a Cerere datrice di leggi, a Febo e al padre Lieo, ma prima di tutti a Giunone, che ha cura dei vincoli matrimoniali. v. 60 La bellissima Didone in persona tenendo nella mano destra una coppa la versa in mezzo alle corna di una candida mucca o davanti alle statue degli Dei si aggira tra gli altari ricchi [di offerte]; rinnova ogni giorno le offerte e guardando avidamente nei petti recisi delle vittime ne esamina le viscere ancora palpitanti. v. 65 Ahi, menti ignare degli indovini! A cosa giovano le preghiere a lei fuori di sé, a cosa giovano i templi? Nel frattempo la fiamma consuma (est -> edo) le tenere midolla e silenziosa vive dentro al petto la ferita. Brucia l’infelice Didone e si aggira per tutta la città furiosa, come una cerva trafitta da una freccia v. 70 che da lontano tra i boschi cretesi un pastore colpì, incauta, inseguendola con le frecce e lasciò [nella carne] l’alato dardo, senza saperlo; quella nella fuga attraversa le selve e le balze dittee, la freccia letale le rimane nel fianco. Ora conduce Enea con sé per le mura v. 75 sidonie e gli mostra le ricchezze e la città già pronta: inizia a parlare e si ferma a metà del discorso; ora al calare del giorno richiede gli stessi banchetti e chiede fuori di sé di sentire ancora i travagli di Troia e pende di nuovo dalle labbra di lui che racconta. v. 80 Dopo, quando tutti se ne sono andati e la luna oscura a sua volta nasconde la sua luce, e le stelle tramontando invitano al sonno, si affligge sola nella casa vuota e si distende sui letti abbandonati. Lei fuori di sé sente e vede lui assente, o tiene in grembo Ascanio, rapita dalla somiglianza del padre, v. 85 se è possibile ingannare un amore indicibile. [= per cercare di ingannare il suo indicibile amore]

Non si innalzano più le torri già cominciate, la gioventù non si esercita più nelle armi o non preparano più porti o fortificazioni sicure per la guerra: restano interrotti i lavori e le grandi minaccia delle mura [le grandi mura minacciose] e i macchinari che si innalzano fino al cielo. Non appena si accorse che ella era afflitta da un simile male, l’adorata consorte di Giove, e che nemmeno la fama era da freno alla passione, la Saturnia si rivolge a Venere con queste parole: “Tu e tuo figlio riportate davvero una gloria insigne e ampie spoglie e una grande e memorabile rinomanza, v. 95 se una sola donna è vinta dall’inganno di due dei. Né di certo mi sfugge che tu temendo le nostre mura hai avuto sospette le dimore dell’alta Cartagine. Ma quale sarà il termine o dove [finiremo] ora con una così grande contesa? Perché piuttosto non stringiamo un’eterna pace e patti matrimoniali? v. 100 Tu hai tutto ciò che hai desiderato nella mente: Didone arde d’amore e ha assorbito nelle ossa la passione. Dunque governiamo questo popolo con pari autorità, le sia concesso di sottostare a un marito frigio e di affidare alla tua destra i Tirii come dote”. v. 105 A lei (si accorse infatti che aveva parlato con intenzione ingannevole per deviare il regno d’Italia sulle coste libiche) così di rimando rispose Venere: “Chi, pazzo, ti negherebbe queste cose o preferirebbe mettersi in lotta contro di te? A patto che ciò che dici, la sorte lo assecondi una volta fatto. v. 110 Ma io sono tenuta incerta dai fati, se Giove voglia che ci sia una sola città per i Tirii e per i profughi da Troia / che i Tirii e i profughi da Troia abbiano una unica città e approvi che i popoli siano mescolati o che vengano stretti patti. Tu sei sua moglie, a te è concesso sedurne l’animo con le preghiere. Avanza, ti seguirò”. Allora così riprese la regina Giunone: v. 115 “Questo compito sarà mio, ora in quale modo ciò che preme possa essere fatto, te lo spiegherò -sta attenta- in poche parole Enea e la disperata Didone si apprestano ad andare insieme nel bosco a cacciare, non appena il sole di domani avrà emesso la prima luce e avrà ricoperto la terra con i suoi raggi. v. 120 Io riverserò sopra loro un nero acquazzone misto a grandine, mentre le schiere si affannano e cingono le balze con la rete, e scuoterò tutto il cielo con il tuono. I compagni si disperderanno e saranno avvolti da una notte scura: Didone e il capo Troiano si ritroveranno nella stessa spelonca. v. 125 Io sarò là e, se la tua volontà sarà per me sicura, li congiungerò in un vincolo indissolubile e la proclamerò sua sposa. Queste saranno le nozze”. Non opponendosi a lei che parlava, la Citeréa annuì e Appena sorto il sole la gioventù scelta (giovani scelti) esce dalle porte;

[ci sono] reti a maglie larghe, lacci, larghi spiedi di ferro [enallage “spiedi di largo ferro”] corrono i cavalli Massili e la forza odorosa dei cani (= i cavalli dal fine olfatto). I principi dei Cartaginesi attendono la regina che indugia sulla soglia della camera nuziale, insigne di porpora e d’oro v. 135 un [cavallo] scalpitante attende e morde feroce i freni schiumosi. sorrise degli inganni scoperti. Infine avanza, circondata da una grande folla, avvolta da un mantello di Sidone con l’orlo ricamato; (accusativo di relazione) ella ha la faretra d’oro, i capelli sono acconciati con un fermaglio d’oro una fibbia d’oro allaccia la veste purpurea. v. 140 Anche i compagni frigi e il lieto Iulo avanzato. Bellissimo davanti a tutti lo stesso Enea si offre come compagno e riunisce le schiere. Come quando Apollo abbandona la Licia invernale e le correnti dello Xanto e torna a rivedere la materna Delo v. 145 e rinnova le danze e, mescolati intorno agli altari, i Cretesi, i Driopi e i tatuati Agatirsi fremono, egli stesso avanza per i gioghi del Cinto e con pieghevole fronda lega la fluente chioma acconciandola e l’annoda con l’oro, risuonano le frecce sulle spalle; non meno risoluto procedeva v. 150 Enea, altrettanta bellezza risplende nel nobile volto. Dopo che si fu giunti sugli alti monti e presso gli impervi covili, ecco capre selvatiche cacciate dalla vetta di una rupe si precipitano giù dalle balze; dall’altra parte i cervi attraversano a corsa le aperte pianure v. 155 e nella figa si uniscono in branchi che fanno polvere e lasciano i monti. Ma il fanciullo Ascanio gode in mezzo alle valli del focoso destriero e sorpassa al galoppo ora questi ora quelli e spera (con le preghiere) che gli sia dato in mezzo alle bestie innocue uno schiumoso cinghiale o che un fulvo leone discenda dal monte. v. 160 Frattanto il cielo inizia ad essere scosso da un grande rimbombo, segue un acquazzone misto a grandine; subito sia compagni Tirii sia la gioventù troiana e il dardanide nipote di Venere sparpagliandosi per i campi ricercano ripari per la paura; i fiumi scorrono giù dai monti. v. 165 Didone e il capo troiano si ritrovano nella stessa spelonca. Per prima la terra e la pronuba Giunone danno il segnale: rifulsero le folgori e il cielo fu testimone alle nozze e dal sommo vertice ulularono le ninfe. Quel giorno fu il primo di rovina e fu per primo causa di mali, v. 170 infatti Didone non è mossa più dalla sua buona fama né aspira più a un amore nascosto; lo chiama matrimonio, con questo nome nasconde la colpa.

Subito la Fama vaga per le grandi città della Libia, la Fama, un male di cui nessun altro è più veloce: v. 175 si accresce col movimento, acquisisce forze con l’andare; dapprima piccola per paura, poi si innalza nel’aria, procede sul suolo e nasconde il capo tra le nubi. La madre Terra -come raccontano- mossa dall’ira contro gli dei, la creò per ultima come sorella a Ceo ed Encelado v. 180 veloce nei piedi e dalle rapide ali, un mostro orrendo, smisurato, che tante piume ha sul corpo, altrettanti occhi ha sotto (incredibile a dirsi), tante lingue, così tante bocche risuonano, altrettante orecchie tiene aperte. Di notte vola in mezzo tra il cielo e la terra attraverso l’ombra, v. 185 stridendo e non chiude gli occhi al dolce sonno di giorno siede vigilante (= a spiare) o sulla sommità di una casa o su alte torri e spaventa grandi città, tenace annunciatrice tanto del vero quanto del malvagio falso (endiadi) Questa allora riempiva i popoli di infinite chiacchiere: v. 190 che era venuto Enea, disceso da sangue troiano, al quale la bella Didone non disdegnava di congiungersi come a un marito; che adesso trascorrevano l’inverno, per quanto era lungo, insieme nella lussuria immemori dei regni e travolti da una vergognosa passione. v. 195 Queste cose la brutta dea diffonde dappertutto sulle bocche degli uomini. Subito volge il suo corso verso il re Iarba e ne incendia l’animo con le parole e ne accresce l’ira. Costui, generato da Ammone e dalla ninfa Garamantide rapita pose cento enormi templi a Giove nei suoi grandi regni, v. 200 cento altari e aveva consacrato un fuoco inestinguibile, sentinella eterna degli dei, e il suolo era grasso per il sangue delle vittime e le soglie erano fiorenti di ghirlande variopinte. E lui sconvolto nella mente e sdegnato dalla spiacevole notizia si dice che davanti agli altari, in mezzo alle statue degli dei, v. 205 molte volte abbia pregato Giove, supplice, con le mani alzate: “Oh Giove onnipotente, a cui adesso il popolo Mauritano dopo aver banchettato su letti ricamati versa l’offerta di Bacco, tu vedi queste cose? o forte, o padre, quando lanci i tuoi fulmini, invano ti temiamo, [quando] cieche folgori nel cielo v. 210 atterriscono gli animi e provocano vani rimbombi? Una donna, che, errante nei nostri territori, ha costruito una esigua città a pagamento, a cui ho dato una terra da arare e autorità sul luogo, ha rifiutato le nozze con me e ha accolto Enea nel suo regno come signore. v. 215 E adesso quel Paride, con la sua schiera di mezziuomini,

cinto dalla mitra Meonia nel mento e nella chioma stillante [di unguenti] si gode il furto; e sì che noi portiamo doni ai tuoi templi e alimentiamo una fama vana”. Giove onnipotente udì lui che pregava con queste parole e toccava gli altari v. 220 e volse gli occhi alle mura regie e agli amanti dimentiche di una fama migliore. Allora così si rivolge a Mercurio e invia tali [ordini]: “Vai, orsù, figlio, chiama gli zefiri e scendi con le ali e al capo Dardanide, che ora nella tiria Cartagine v. 225 indugia e non si rivolge alle città date dai fati, rivolgiti e porta i miei ordini veloce attraverso il cielo. Non così lo promise a noi la bellissima madre (= Venere), e non per questo lo salvò due volte dalle armi dei Greci; ma [promise] che sarebbe stato colui che avrebbe retto l’Italia fertile di popoli dominatori e fremente di guerra, v. 230 e che avrebbe propagato la stirpe [discesa] dal nobile sangue di Teucro e avrebbe sottomesso il mondo intero alle sue leggi. Se non lo accende la gloria di così grandi imprese e non affronta in prima persona la fatica per il suo prestigio, vuole forse negare ad Ascanio, lui che è padre, le rocche romane? v. 235 Che cosa progetta? O con quale speranza indugia tra gente nemica e non bada alla discendenza ausonia e ai campi di Lavinio? Navighi; questo è l’essenziale. Questo sia il nostro messaggio”. Così aveva detto. Quello (= Mercurio) si preparava ad obbedire all’ordine del grande padre, e per prima cosa allaccia ai piedi i calzari v. 240 dorati, che con le ali in alto sopra l’acqua o sopra le terre lo portano insieme al rapido soffio del vento. Poi prende la verga; con questa egli richiama dall’Orco le anime pallide, altre le invia al triste Tartaro, dà e toglie il sonno e riapre gli occhi dei morti (lett. dalla morte). v. 245 Fidando in quella conduce i venti e attraversa le nubi tempestose. E già volando scorge la vetta e i fianchi scoscesi del duro Atlante, che regge il cielo con il capo, di Atlante, il cui capo, folto di pini, cinto costantemente da nere nubi è battuto dal vento e dalla pioggia; v. 250 Neve diffusa gli copre le spalle; inoltre dei ruscelli scendono giù dal mento del vecchio e la barba ispida si indurisce per il gelo. Qui dapprima, librandosi con le ali spiegate, il Cillenio si fermò; da qui a testa in giù con l’intero corpo verso le onde si lanciò, simile a un uccello, che intorno alle spiagge, intorno v. 255 agli scogli pescosi vola basso sul pelo dell’acqua. Non diversamente, a metà tra cielo e terra, volava verso la spiaggia renosa della Libia e solcava i venti il figlio nato sul Cillene, provenendo dall’avo materno.

Non appena toccò le capanne con i piedi alati , v. 260 vide Enea che costruiva rocche e costruiva nuove dimore e aveva la spada scintillante di fulvo diaspro e ardeva un mantello di porpora tiria, scendendogli dalle spalle, doni che la ricca Didone gli aveva fatto e aveva trapunto i tessuti con sottile oro. v. 265 Subito lo assale: “Tu adesso poni le fondamenta dell’alta Cartagine, e costruisci una bella città, schiavo della moglie, ahimé dimentico del regno e delle tue imprese? il re degli dei in persona mi invia a te dal luminoso Olimpo, colui che con la sua autorità muove il cielo e la terra; v. 270 lui stesso mi ordina di riportare questi ordini veloce attraverso l’aria: Cosa progetti? O con quale speranza consumi il tempo in terre libiche? Se non ti muove la gloria di tanto grandi imprese [né affronti su di te la fatica per il tuo prestigio], guarda almeno ad Ascanio che cresce e alla speranza nell’erede Iulo/ dell’erede Iulo. v. 275 a cui spettano il regno d’Italia e la terra romana”. Dopo aver parlato con tale volto, il Cillenio lasciò l’aspetto mortale a metà del discorso e svanì lontano dagli occhi nell’aria leggera. Ma invero Enea ammutolì sconvolto a quella vista v. 280 i capelli gli si drizzarono per l’orrore e la voce rimase in gola. Arde di andarsene (in fuga) e di lasciare le dolci terre, spaventato da un così grande ammonimento e dall’ordine degli dei. Ahimè che può fare? Con quale discorso adesso oserà blandire la regina furibonda? Quali parole sceglierà per prime? v. 285 e adesso rivolge la mente veloce ora qua ora là, lo trascina in varie direzioni e lo rivolge ad ogni proposito. A lui che dubitava queste sembrò la decisione migliore: chiama Mnesteo Sergesto e il forte Seresto, che allestiscano in segreto la flotta e radunino i compagni alla spiaggia v. 290 e preparino le armi e tengano nascosta quale sia la causa di queste innovazioni [dice loro] che lui intanto, poiché la buona Didone è ignara e non si aspetta che un così grande amore sia rotto, tenterà di avvicinarla e [cercherà] quali siano i momenti migliori per parlare, quale sia il modo migliore alle circostanze. Subito tutti v. 295 obbediscono felici al comando ed eseguono gli ordini. Ma la regina indovinò l’inganno (chi potrebbe ingannare un amante?) e indovinò per prima le mosse future, lei che temeva tutto anche ciò che era sicuro. L’empia fama a lei furente riferì le stesse cose, che si allestiva la flotta e si preparava la partenza. v. 300 Sconvolta nell’animo infuria e, agitata, per tutta la città

impazza, come una baccante (Thyias) eccitata dal movimento dei sacri arredi, quando, udito il grido di “Bacco!” le orgie triennali la stimolano e il notturno Citerone chiama col suo clamore. Infine si rivolge per prima (Ultro) ad Enea con queste parole: v. 305 “Sperasti anche di poter tenere nascosto, o spergiuro, una così grande infamia e di andartene in silenzio dalla mia terra? Non ti trattiene il nostro amore, né la tua mano destra concessa un tempo né Didone destinata a morire di morte crudele? Anzi allestisci la flotta anche con la stagione invernale v. 310 e ti affretti ad andare per l’alto [mare] in mezzo alle tempeste, o crudele? Perché? Se non ti dirigessi verso terre straniere e dimore sconosciute, e Troia antica fosse ancora in piedi, ti dirigeresti verso Troia con la flotta attraverso un mare burrascoso? Dunque fuggi me? Io per queste lacrime e per la tua destra v. 315 (dal momento che nient’altro ho serbato a me misera) per la nostra unione, per le nozze appena iniziate, se mai ho meritato qualcosa di buono da te, o [hai avuto] qualcosa di gradito da parte mia, abbi pietà di questa casa che crolla, ti prego, se qualche posto c’è ancora per le preghiere, abbandona il tuo proposito. v. 320 A causa tua i popoli della Libia e i tiranni dei Nomadi mi odiano, i Tirii [mi sono] ostili; sempre a causa tua si è estinto l’onore e il mio buon nome di prima, per il quale sola raggiungevo le stelle, In balia di chi abbandoni me in fin di vita, straniero? Poiché questo solo nome mi resta da quello di marito. v. 325 Che cosa aspetto? Forse che il fratello Pigmalione distrugga le mie mura o che il Getùlo Iarba mi porti via prigioniera? Se soltanto un figlio (suboles) avessi generato da te prima della partenza, se qualche piccolo Enea giocasse nel palazzo, che mi richiamasse te almeno nell’aspetto, v. 330 non mi sentirei del tutto ingannata e abbandonata”. Aveva parlato. Quello teneva gli occhi fissi agli ordini di Giove e sforzandosi nascondeva l’affanno nel cuore. Infine riporta poche par...


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