Esame 7 Giugno 2018, domande+risposte PDF

Title Esame 7 Giugno 2018, domande+risposte
Course Diritto Dell' Unione Europea 
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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Contratto e negozio giuridico Per l’Art 1321 c.c, il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Il codice civile prevede una disciplina generale all'Art 1323 comune a tutti i contratti, tipici e atipici, ed una specifica per alcuni singoli contratti. L'Art 1324 estende la disciplina generale del contratto anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, salvo per le norme che presuppongono la struttura bilaterale del negozio. NEGOZIO GIURIDICO Il negozio giuridico è l’atto lecito le cui conseguenze giuridiche sono preordinate, nei limiti del rispetto delle norme imperative, dai soggetti agenti. La loro volontà è volta al compimento dell'atto e alla determinazione degli effetti, quindi il negozio giuridico è un atto di autonomia privata, in quanto consente al soggetto di curare i propri interessi personali e patrimoniali, disciplinandoli autonomamente nel rispetto della legge. La TEORIA DEL NEGOZIO nasce come parte di quella del soggetto di diritto: il NEGOZIO era un'unica categoria che abbracciava molteplici manifestazioni, basata sull'unico denominatore comune costituito dall'ATTO inteso come manifestazione di volontà privata. L'evoluzione della teoria del negozio cominciò quando si ipotizzò la rilevanza del dichiarato prima ancora del voluto. La DICHIARAZIONE acquistava così una propria autonoma funzione a fianco della VOLONTÀ, prevalendo su di essa in caso di contrasto. Tale evoluzione terminò nel 1942, quando il legislatore ignorò la categoria negoziale, ponendo piuttosto il CONTRATTO al centro del sistema del diritto privato, svincolandolo dalla proprietà e collegandolo alla situazione di scambio, come motore dell’imprenditorialità. La disciplina codicistica del contratto risente dell'unificazione dei due codici antichi, anche riguardo alla disciplina dei singoli contratti tipici di impresa, in quanto non ha tutelato la controparte del produttore dei beni e servizi, che contrattualmente è più forte ed esperto, in presenza di clausole vessatorie predisposte unilateralmente. Questa realtà è stata modificata in virtù di leggi di attuazione delle direttive comunitarie, a tutela del CONSUMATORE che si presume più debole, con l'introduzione dell'Art 1469bis. Nel Codice Civile del 1942, al centro del sistema del diritto privato, non vi è più la teoria del negozio, bensì il CONTRATTO: non può più aversi riguardo a qualsivoglia manifestazione di autonomia privata, ma solo a quelle intrinsecamente omogenee. L'Art 1324 estende, con il criterio della compatibilità, la disciplina del contratto al negozio unilaterale inter vivos a contenuto patrimoniale, escludendo i negozi di diritto familiare ed il testamento. Tale disposizione parla di ATTO e non di negozio, ma deve ritenersi che il legislatore abbia utilizzato questa terminologia al solo fine di non perdere la possibilità di dar vita alla categoria negoziale. La disciplina del contratto ha una forza espansiva che va al di là dell'Art 1324 c.c. La P.A può scegliere il modello convenzionale per realizzare i propri interessi pubblici: può concludere con l'interessato accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento amministrativo o, nei casi previsti dalla legge, di sostituirlo. La forza espansiva della disciplina contrattuale si manifesta anche sul patteggiamento della pena, in particolare con riferimento all'applicazione dei principi sulla conclusione del contratto. Disciplina del negozio unilaterale Il codice civile disciplina il negozio unilaterale in alcune norme di carattere generale: L'Art 1334 stabilisce che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario (negozi recettizi). Il negozio unilaterale, sul piano del perfezionamento della fattispecie, dipende in ogni caso dall'emissione della dichiarazione. La RECEZIONE da parte del terzo si attua sul piano degli effetti costituendo la condizione essenziale; la dichiarazione solo se recettizia può essere revocata, purché la revoca pervenga al destinatario prima della dichiarazione stessa. La RECETTIZIETÀ risponde all'esigenza di tutela del destinatario, il quale, solo venendo a conoscenza della sua esistenza, potrebbe rifiutare l'atto unilaterale, impedendo la produzione dei suoi effetti. La conoscenza della dichiarazione costituisce un mero fatto giuridico, per cui sarà del tutto irrilevante che essa sia acquisita in seguito a violenza o frode esercitata dal dichiarante, così come non potrà dirsi conosciuta una dichiarazione ricevuta da un soggetto che dimostri di essere stato in quel momento incapace di intendere e di volere. L'Art fissa una presunzione relativa di conoscenza per il fatto che la dichiarazione

pervenga all'indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Poiché la normativa speciale che disciplina il negozio unilaterale è tendenzialmente lacunosa, si ricorre all'applicazione diretta, e non analogica o estensiva, della disciplina generale del contratto, temperata dal criterio di compatibilità stabilito all'Art 1324 c.c. La compatibilità è riferita alla diversa struttura e al fatto che il contratto sia il risultato di un incontro di consensi. Il criterio della compatibilità strutturale non elimina la rilevanza della vicenda funzionale: es. l'Art 1414 c.c estende la disciplina della simulazione anche agli atti unilaterali recettizi destinati a persona determinata, che siano simulati per accordo tra dichiarante e destinatario. Non si discute inoltre sulla necessità della FORMA SCRITTA del negozio unilaterale quando si produca immediatamente uno tra gli effetti previsti dall'Art 1350 c.c. (es. trasferimento della proprietà di beni immobili), né quando sia prevista la forma volontaria ex Art 1352 c.c per gli atti che seguono la conclusione di un contratto, bensì nel caso in cui il negozio unilaterale sia collegato ad una vicenda che rientri nella previsione dell'Art 1350 c.c, atti che debbono farsi per iscritto.

Le fonti del regolamento contrattuale Autonomia significa facoltà di autoregolamentare i propri interessi, quindi è autonomo chi può decidere sul sé e sul come perseguire e raggiungere un certo scopo. In termini giuridici, il problema è quello di verificare il rapporto che sussiste tra autonomia ed ordinamento, cioè tra volontà del privato e della legge, nel senso di accertare come ed a quali condizioni i privati possono giuridicizzare una data operazione economica e far sì che essa assuma rilevanza sul piano giuridico. Bisogna inoltre individuare se gli effetti giuridici derivano dalla volontà delle parti o si producono soltanto in seguito al comando normativo. Secondo una prima impostazione ottocentesca, è la volontà privata a dar vita agli effetti giuridici. Il ruolo svolto dall'ordinamento è unicamente quello di porre dei limiti esterni all'autonomia contrattuale, costituiti dalla contrarietà a norme imperative, ordine pubblico o buon costume. All'interno del perimetro delineato dall'ordinamento, la volontà del privato può spaziare, dando vita ad effetti pienamente vincolanti che l'ordinamento si incarica di proteggere e tutelare. Tale impostazione confonde però un'idea naturalistica di volontà con la configurazione giuridica dell'autonomia contrattuale e pertanto comporta il ricollegarsi degli effetti giuridici direttamente ed immediatamente alla volontà privata. Altre dottrine hanno tentato di dimostrare la medesima tesi, ricorrendo ad una più complessa costruzione che investe gli stessi rapporti esistenti tra l'area del diritto privato e la posizione ed il ruolo assunto dallo Stato. Teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici costruisce il contratto come un ordinamento a sé stante, disciplinato dalla regola posta dai contraenti. Tale ordinamento è caratterizzato da elementi propri ed autonomi, ma cede all'ordinamento statuale attraverso la potestà giurisdizionale e sanzionatoria di pertinenza esclusiva di quest'ultimo. Tutto ciò implica che l'esistenza dell'ordinamento costituito dal contratto e l'efficacia della regola privata possono essere affermate solo prescindendo dal momento autoritativo, proprio dell'ordinamento statuale. A quest’ultimo è quindi affidato il compito fondamentale di tutelare l'accordo ed esso finisce così per dettare le condizioni alle quali una data operazione economica può divenire giuridica. Teoria della costruzione per gradi Altra importante teoria è quella della costruzione per gradi, secondo la quale l'ordinamento sarebbe la risultante di una sorta di scala costruita in ordine decrescente dalla Costituzione, dalla legislazione ordinaria, dalla giurisdizione, dagli atti amministrativi e infine dalla realizzazione dell’atto coattivo sanzionatorio come conseguenza dell’illecito. Con il contratto, le parti pongono norme concrete per regolare il comportamento reciproco in attuazione delle regole statuali con realizzazione del diritto di grado superiore e creazione di una nuova regola che però disciplini il solo rapporto intersoggettivo. Il giudice dovrà accertare l'osservanza o l'infrazione. Altre teorie, invece, attribuiscono all'ordinamento giuridico in via esclusiva il potere di fissare gli effetti negoziali. L'iniziativa privata viene ad essere ridotta ad un mero schema di fatto. Il contratto

apparterrebbe al privato solo per il tempo della sua realizzazione, ma una volta raggiunto il necessario sviluppo, esso rientrerebbe nel dominio della legge a cui spetterebbe di fissare, in via esclusiva, gli effetti giuridici. Tra queste teorie la più accreditata è quella precettiva, che ha il compito di fissare gli effetti del contratto. A quella dell’autonomia privata spetterebbe invece il ruolo di fissare il regolamento vincolante. Si assiste così ad una netta separazione tra i due momenti, sociale e giuridico. Il primo è caratterizzato dal fatto che il vincolo tra i privati già nasce ed è riconosciuto come impegnativo ed è l'ordinamento statale a divenire ordinamento giuridico, in quanto conforme al dettato della socialità. L'autoregolamento dei privati è in grado di dar vita ad un precetto, cioè un ordine, il quale però sarebbe originario ed indipendente rispetto alla statualità. ESSO non si porrebbe in alternativa ai poteri ed alle funzioni statali, né darebbe vita ad un ordinamento in senso tecnico. L'autoregolamento ha perciò un valore sociale. Solo l'ordinamento stabilisce quali effetti, nel campo giuridico, possono essere prodotti dall'autoregolamento. Molto importante è il rispetto dell’Art 1374, secondo il quale Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è espresso nel medesimo, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l'equità. La tesi tradizionale ritiene che dal contratto non possono derivare conseguenze che non si riallacciano alla volontà delle parti, salvo che sia presente nella pattuizione privata una lacuna che la legge, gli usi e l'equità hanno la funzione di colmare con un intervento di carattere esclusivamente suppletivo. Tipico il caso di mancata previsione del luogo o del tempo dell'adempimento (Art 11821183 c.c.), ovvero di attribuzione ad un terzo del potere di determinare l'oggetto del contratto (Art 1349 c.c.). Si riafferma così il principio secondo cui il contenuto del contratto non potrebbe che essere frutto della volontà dei privati, mentre la legge e le altre fonti di integrazione, operando solo in presenza di pattuizioni lacunose, non potrebbero giammai porsi in contrasto con l'autoregolamento, fissato in base al solo consenso. L'Art 1374 assume un diverso significato: quello di indicare quali sono nel nostro ordinamento le fonti che disciplinano il regolamento contrattuale, intendendo con tale espressione l'insieme dei precetti che vincolano i contratti, non solo in base a ciò che essi hanno pattuito, ma anche in base a ciò che detta la legge o, se del caso, l'usi o l'equità. Accanto alla fonte autonoma si pongono dunque le fonti eteronome. Il legislatore ha considerato l'Art 1374 come volto a disciplinare gli effetti del contratto; è anche vero che la rubrica dell'articolo, indica la funzione della norma nell'integrazione del contratto, facendo riferimento ad un criterio oggettivo di individuazione, che prescinde dalla scissione, ha aspetto contenutistico ed aspetto della determinazione degli effetti. Sul piano concreto, l'autonomia contrattuale ha modo di esplicarsi pienamente da più punti di vista: 1. libertà di concludere o meno il contratto; 2. libertà di fissarne il contenuto; 3. libertà di scegliere la persona del contraente; 4. libertà di dar vita a contratti atipici. A fronte di queste libertà, il legislatore ha posto delle limitazioni. Libertà di concludere o meno il contratto Talvolta il soggetto è OBBLIGATO A CONTRARRE per legge o per stessa volontà privata. In caso di inadempimento al secondo obbligo, consegue non quello mero di risarcire il danno, ma la possibilità per la parte adempiente di ottenere una sentenza costitutiva che sostituisca il contratto non concluso. In caso di inadempimento dell'obbligo di contrarre per legge, la questione è invece più complicata: es. nell'ipotesi di obbligo posto a carico di chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale, l'imprenditore è obbligato a contrarre con chiunque richieda le prestazioni tipiche della sua impresa, esercitando la parità di trattamento. La ratio della limitazione normativa è quella di garantire e tutelare il consumatore di fronte al soggetto obbligato. Libertà del contenuto Per l’Art 1322 c.c, le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e utilizzare uno schema tipico, recependo i contenuti normativi, ma nel contempo ampliandone la portata, ovvero stringendola se la disciplina è derogabile. La libertà di modellare il contenuto da parte dei privati si rileva particolarmente nei c.d contratti misti atipici ed anche collegati. 1 Misti: i privati utilizzano una pluralità di schemi, tipici al fine di dar vita ad un assetto di interessi che risulta mutuato in parte da una disciplina tipica, in parte da un'altra. 2. Atipici: libertà massima di contenuto, ma sempre limitata dalla possibilità d'intervento della legge. Limitazioni: 1) Giudizio di liceità: L'autonomia contrattuale può anche scontrarsi con l'ordinamento giuridico, quando i privati travalichino i limiti di confine posti a tutela degli

interessi collettivi, limiti costituiti dalla contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume. 2) È prevista dall'Art 1339 c.c, a favore dei privati, la sostituzione di clausole difformi con la legge inserite dalle parti. Ciò consente di mantenere in vita il contratto, evitando la sua nullità. 3) Ulteriori ipotesi di ampliamento del contenuto del contratto sono le clausole d'uso, condizioni generali di contratto, moduli e formulari.

Libertà di scelta del contraente La legge talvolta interviene non già obbligando il soggetto a contrarre, ma obbligandolo qualora intenda addivenire al contratto, a stipulare con una data persona. Es. prelazione legale: il coerede che vuole alienare la sua quota di eredità è tenuto prima nei confronti degli altri coeredi e poi eventualmente può alienare a terzi (cd. retratto successorio). Es. assicurazione obbligatoria: la legge indica una serie di soggetti con cui il proprietario del veicolo può contrarre, ma questi dovrà scegliere una sola delle compagnie con cui concludere il contratto. Libertà di contrarre per schemi atipici Le limitazioni a tale libertà non derivano da norme puntuali, ma da ricostruzioni dell'intero sistema ad opera della giurisprudenza. L'autonomia contrattuale è tutelata, rispetto ai limiti posti dalla legge, dalla costituzione. L'Art 41 Cost stabilisce la libertà di iniziativa che viene riconosciuta ai privati. I limiti imposti dalla legge devono rispondere a ben precise esigenze di carattere non contingente e non arbitrario. Deve essere determinato al fine di garantire interessi più vasti e rendere possibile l’adempimento di quella funzione sociale che non può discostarsi dall'esercizio di ogni attività produttiva. Usi normativi ed usi negoziali Gli usi normativi, disciplinati dagli art 1, 8 e 9 delle preleggi, sono le fonti di cognizione, ultime nella gerarchia delle fonti; infatti questi hanno efficacia nelle materie espressamente richiamate dalle leggi e dai regolamenti. Essi sono quelli che costituiscono la parte sussidiaria del diritto nelle materie in cui manca del tutto la regolamentazione legislativa. Sono detti anche consuetudini, poiché si formano tramite la ripetizione costante di un dato comportamento (aspetto oggettivo), associato alla convinzione, da parte dei consociati, di osservare un comportamento avente valore giuridico (aspetto soggettivo). Bisogna prendere in considerazione due ordini di problemi: 1. Efficacia dell'uso normativo. L'Art 1374 c.c non attribuisce agli usi un valore vincolante, che deriva loro dall'essere previsti tra le fonti del diritto. 2. Ambito di tale efficacia. Se si prescindesse dall'Art 1374 c.c, si dovrebbe affermare che l'efficacia degli usi in materia contrattuale sarebbe limitata ai singoli richiami operati da singole norme che disciplinano il contratto in generale, tipico ed atipico, ed i singoli contratti tipici. È possibile l'applicazione di usi normativi anche là dove la legge non dispone il rinvio, purché non siano contra legem. Questi usi possono essere derogati dalla volontà dei privati. Gli usi negoziati sono previsti dall'Art 1340 c.c e si intendono inseriti in modo automatico nel contratto "se non risulta che non sono stati voluti dalle parti". L'uso negoziale ha una funzione integrativa dell'accordo e dovrebbe prevalere sulle disposizioni legali suppletive e derogare alle norme di legge dispositive, nonostante la giurisprudenza sia contraria. La differenza rispetto agli usi normativi è che essi non hanno carattere generale ed obbligatorio e di conseguenza integrano il contenuto del contratto solo quando siano esplicitamente o implicitamente richiamati dalle parti. L'equità L’equità consiste in un criterio di giudizio a volte ammesso dalla legge. Il richiamo all'equità, secondo alcuni, sembra avere carattere sussidiario al fine di prendere in considerazione punti che nella contrattazione non lo sono stati presi dalle parti, ma che non possono valutarsi come conseguenza naturale di quanto convenuto. L'intervento equitativo sembrerebbe quindi essere possibile solo in funzione suppletiva, cioè come ausilio dell'autonomia privata allo scopo di ricercare la volontà dei contraenti. Per

questo motivo l'intervento del giudice sembra avere una funzione del tutto marginale ed eventuale., infatti, il punto quasi mai è richiamato all'interno delle sentenze in concreto. Quindi il problema è comprendere se e come può intervenire il giudice. Ci sono casi in cui è autorizzato espressamente dalla legge, come nell’Art 1384, che gli impone di ridurre ad equità la clausola penale manifestamente eccessiva. Altre volte, quando nulla è previsto dalla legge, bisogna invece procedere con cautela, poiché si tratta di ampliare il potere giudiziale al di là del mero intervento di tipo residuale o suppletivo. È possibile tale apertura, ad esempio, nel caso in cui il giudice debba intervenire al fine di determinare l'oggetto della prestazione, sempre che le parti abbiano indicato i criteri per farlo o sussistano dei criteri obiettivi di mercato. La definizione di questi è necessaria perché non può esserci un intervento del giudice autonomo, così come egli non potrà prevedere un assetto regolamentare diverso da quello delle parti, sostituendo clausole che appaiono inique con altre eque allo scopo di garantire la parità nello scambio. In realtà l'intervento del giudice di questo tipo è ammesso solo quando si tratta di eliminare le condizioni più svantaggiose per una parte, dovute a discriminazioni razziali, religiose, etniche. Gazzoni, esponente di una dottrina isolata, ha da tempo posto il problema del se il giudice possa comminare la nullità ex Art 1374 di una singola clausola o dell'intero contratto quando una singola operazione economica appaia contraria al principio d'equità. Se così fosse, l'equità si porrebbe al pari del buon costume, dell'ordine pubblico e delle ...


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