Esame neuropsicologico breve PDF

Title Esame neuropsicologico breve
Course Valutazione testistica in psicologia cognitiva
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Esame Neuropsicologico Breve 2 (ENB-2)

1) Introduzione Assunti teorici della neuropsicologia cognitiva La valutazione neuropsicologica dell'adulto è entrata ormai a far parte della routine clinica nello studio di molte sindromi che possono alterare il normale funzionamento cognitivo. Tali sindromi possono causare molteplici disturbi cognitivi quali deficit di memoria, di attenzione, di produzione e di comprensione del linguaggio, di movimento e di riconoscimento percettivo. La logica sottostante a tale approccio è lineare: in un individuo con un normale sviluppo delle funzioni cognitive, un danno acquisito, provoca disturbi specifici in uno o più domini neuropsicologici. La valutazione cognitiva permette di evidenziare quali siano i meccanismi danneggiati e quali siano, invece, i processi rimasti integri. I compiti cognitivi cui i pazienti vengono sottoposti possono far parte sia di prove standardizzate sia di prove ad hoc. Le prime prevedono che gli stimoli e le procedure di somministrazione siano definiti rigorosamente e la prestazione del paziente sia comparata con quella di un campione di protocollo. Le prove specifiche vengono, invece, costruite di volta in volta a seconda delle aree cognitive che devono essere esplorate. Il vantaggio di quest'ultimo tipo di prove consiste nel fatto che esse, contrariamente a quelle standardizzate, permettono al neuropsicologo di raccogliere informazioni dettagliate rispetto al deficit del paziente e indirizzano la messa a punto di un protocollo neuroriabilitativo mirato. Neuropsicologia clinica e valutazione neuropsicologica La valutazione neuropsicologica è divenuta un esame indispensabile per più ragioni: 1) Permette di ottenere un quadro completo dello stato di salute del paziente, considerandone l'efficienza cognitiva attraverso la descrizione delle funzioni cognitive compromesse e/o risparmiate; 2) Permette di contribuire alla diagnosi di patologie neurologiche, anche quando gli strumenti neuroradiologici non rivelano anomalie; 3) Permettere di mettere a punto il trattamento di riabilitazione cognitiva e di verificarne l'efficacia; 4) Permette di certificare, in sede peritale, la presenza di danni neuropsicologici. La valutazione neuropsicologica è qui intesa come essenzialmente multi-componenziale, considerando il paziente secondo una prospettiva psicologica oltre che strettamente neuropsicologica. Questo è di fondamentale importanza soprattutto quando si opera a fini diagnostici. É, infatti, esperienza clinica comune, che stati d'animo particolari e reazioni emotive a determinate situazioni personali influiscano grandemente sullo stato di efficienza cognitiva. Un intervento psicologico specifico deve essere realizzato solo da personale specializzato in questo ambito e non dal neuropsicologo che comunque deve riconoscere e identificare i fattori psicologicopsichiatrico comportamentali ed emotivo-motivazionali che modulano la prestazione cognitiva: le figure del neuropsicologo e dello psicologo clinico devono mantenersi distinte e ben riconoscibili dal paziente stesso.

Ruolo del neuropsicologo nella valutazione cognitiva Il ruolo del neuropsicologo non si limita alla mera somministrazione testistica. Il neuropsicologo è in grado di compiere osservazioni di tipo qualitativo, che spesso aiutano enormemente il processo valutativo, e riesce a comprendere quali sono i meccanismi di analisi coinvolti durante lo svolgimento delle varie prove. Infine, la sintesi gli consente di arrivare a un'adeguata ed esaustiva relazione neuropsicologica come prodotto finale della valutazione, oltre che alla eventuale messa a punto del programma di neuroriabilitazione. É importante che, in uno stesso paziente, la fase di valutazione e il trattamento siano chiaramente distinti ed eseguiti da due operatori diversi. Infatti, poiché la valutazione deve essere il più possibile oggettiva, non può essere influenzata dai quotidiani rapporti con il paziente. L'esame neuropsicologico con ENB-2 Un protocollo per la valutazione neuropsicologica, l'ENB-2, ha voluto rispondere alle seguenti esigenze:  Avere uno strumento da impiegare in caso di prima visita in grado di valutare la prestazione del paziente attraverso un'analisi sia quantitativa sia qualitativa.  Avere uno strumento di agile e di veloce somministrazione.  Avere dati di riferimento aggiornati che tengano conto dell'attuale contesto socio-culturale della popolazione italiana. Le generazioni si sono grandemente modificate negli ultimi anni, sia fra gli anziani sia fra i più giovani, e non è più possibile paragonare queste persone a un campione di riferimento di una popolazione di 20-25 anni or sono.





Avere la possibilità di valutare già in fase di screening abilità cognitive che sono solitamente elencate fra le funzioni esecutive: controllo cognitivo, capacità di inibizione di informazioni irrilevanti, impiego di strategie di risposta efficaci, abilità attentive, di pianificazione, ecc. Questa batteria non rappresenta uno strumento per una visita neuropsicologica completa pertanto occorre conoscerne i limiti: Permette di fare delle ipotesi sui deficit cognitivi, anche se non consente di quantificarli in maniera esaustiva. Inoltre, rappresenta una scelta di prove, molte delle quali già note e diffuse, ritenuta dagli autori sufficientemente ampia, ma non in grado di ricoprire tutte le abilità cognitive in modo approfondito. Per esempio uno strumento del tutto inadeguato per la valutazione del linguaggio che necessita di una strumentazione specifica e la cui indagine richiede un'intera seduta. Nell'ENB-2 vengono considerati gli aspetti qualitativi della comunicazione sia a livello semantico sia sintattico, ma per la definizione e la quantificazione di un deficit linguistico è indispensabile utilizzare una batteria testistica specifica (per esempio, Aachner Aphasia Test [AAT], 1996).



I dati di controllo dell'ENB-2 sono stati raccolti da un campione di riferimento che non è un campione normativo secondo i criteri di campionamento standard. Per esempio, persone appartenenti a specifiche nicchie socio-culturali quali: persone di lingua straniera, persone con disabilità sensoriali o motorie, analfabeti o, infine, persone con deficit psichiatrici o mentali in generale.

2) Struttura della valutazione neuropsicologica La valutazione neuropsicologica può essere:  di screening o di prima visita;  di approfondimento o di seconda visita. Spesso una valutazione neuropsicologica completa li comprende entrambi: prima lo screening e, in un successivo giorno, l'approfondimento. Nella fase di screening l'obiettivo è quello di rilevare se il paziente presenta disturbi in alcune funzioni cognitive. In questa prima fase non è necessario presentare al paziente tutte le possibili situazioni di problem solving e indagare in modo esaustivo ognuna delle funzioni cognitive, dato che l'obiettivo è quello di ottenere un generale profilo cognitivo. La prima visita deve anche stabilire quali sono gli aspetti da studiare in maggior dettaglio oppure se non vi sono i prerequisiti per richiedere un ulteriore approfondimento. Durante la prima visita hanno particolare importanza l'indagine anamnestica e il colloquio neuropsicologico; la parte testistica, invece, riguarda molte funzioni neuropsicologiche, ma queste vengono indagate attraverso prove brevi, in modo tale che l'intera valutazione possa concludersi entro circa un'ora o un'ora e mezzo. Nella fase di approfondimento vengono analizzate - in maggior dettaglio e con prove specifiche - le funzioni cognitive che sembrano meritare un ulteriore approfondimento. La valutazione neuropsicologica nella fase di screening dovrebbe essere organizzata in fasi indipendenti e allo stesso tempo intercorrelate:  la raccolta di dati anamnestici del paziente;  il colloquio neuropsicologico con il paziente;  il colloquio con i familiari del paziente;  l'indagine psicometrica;  la restituzione al paziente a fine valutazione;  la stesura della relazione. Prima di procedere con la raccolta dei dati anamnestici è fondamentale conoscere chi invia il paziente e le motivazioni per cui è stato richiesto l'esame. La fonte di invio del paziente potrebbe essere il medico di base, il reparto in cui quella persona è ricoverata, gli operatori di un centro assistenziale in cui il paziente vive o gli insegnanti della scuola che il paziente frequenta; la richiesta di esame, inoltre, potrebbe essere fatta direttamente dal paziente o dai suoi familiari anche per ottenere un risarcimento assicurativo oppure, infine, essere una perizia richiesta da enti pubblici o privati (di assicurazione sul lavoro o di altre assicurazioni). Conoscere la fonte di invio aiuta a comprenderne il motivo e fornisce le linee guida sia per la valutazione sia per la successiva stesura della relazione. Infatti, per esempio, è lecito sospettare che il paziente possa simulare difficoltà cognitive nel caso in cui tali deficit portino a un risarcimento assicurativo consistente. É importante che la valutazione quantitativa della prestazione non cambi in funzione dell'invio. In altre parole la valutazione deve essere fatta, in ogni caso, con una batteria standardizzata e deve raggiungere sempre obiettivi verificabili. Raccolta dei dati anamnestici del paziente La raccolta delle informazioni di tipo anagrafico e relative alla vita recente del paziente rappresenta il primo momento di approfondimento. In particolare l'anamnesi neuropsicologica deve riguardare la storia medica, psicologica e cognitiva del paziente che si sta valutando.

Queste informazioni possono essere ottenute:  Intervistando direttamente il paziente e, successivamente, confrontando i dati con un familiare;  Leggendo gli eventuali referti di esami clinici. In generale, durante la raccolta della storia medica, occorre annotare tutti i risultati degli esami clinici, oltre all'elenco dei farmaci assunti, che possono interferire con le funzioni cognitive. Bisogna ricordare che alcune patologie cardiovascolari, patologie internistiche (quali il diabete e l'encefalopatia epatica), patologie psichiatriche, oltre a interventi chirurgici in anestesia totale, sono, per motivi diversi, variabili in grado di influenzare l'efficienza cognitiva. La cura nel chiedere la sequenza temporale degli eventi aiuta a mettere in relazione questi eventi con deficit cognitivi che non hanno altre cause accertate. Bisogna fare attenzione perchè spesso le persone faticano a ricostruire oggettivamente la sequenza degli eventi e le date e, pertanto, è necessario avere un colloquio con un familiare. Il paziente, infatti, non solo potrebbe volontariamente omettere alcune informazioni cruciali, ma anche non essere a conoscenza di patologie presenti in parenti a lui poco noti. Ciascuna patologia richiede, inoltre, indagini su aspetti peculiari della malattia stessa. Quando, invece, il paziente è ricoverato in seguito a trauma cranio-encefalico, la raccolta dei dati anamnestici deve lasciare maggior spazio alla lettura della cartella clinica e deve prevedere anche la conoscenza della dinamica dell'incidente che ha provocato il trauma, l'eventuale perdita di conoscenza, gli eventuali giorni di coma e il relativo grado, quando è avvenuto il primo risveglio, i problemi che la persona aveva inizialmente e come si sono evoluti. In questo esempio, allora, la raccolta dei dati anamnestici deve focalizzarsi su una accurata indagine relativa all'evoluzione delle condizioni mediche della data dell'insulto fino al momento della visita. Colloquio neuropsicologico con il paziente Durante il colloquio si instaura il dialogo tra paziente e neuropsicologo. Al momento dell'incontro entrambi gli individui hanno delle aspettative rispetto a quello che avverrà durante l'esame, ma, certamente, è l'intervista il primo esplicito colloquio tra le due persone. Tale comunicazione è indubbiamente asimmetrica, dato che c'è chi formula domande e chi risponde, ma il compito del neuropsicologo dovrebbe essere quello di modulare la conversazione e, quindi, il rapporto con il paziente stesso. In altre parole, se è giusto che il paziente percepisca la differenza di ruolo tra chi fa le domande e chi risponde, allo stesso tempo deve sentirsi nella condizione di comunicare con tranquillità e senza essere giudicato. In questa fase il neuropsicologo dovrà anche essere in grado di valutare alcuni prerequisiti all'esame, quali per esempio la comprensione verbale e la motivazione del paziente a svolgere l'esame. A seconda delle situazioni l'esaminatore deciderà se iniziare l'intervista con delle domande specifiche oppure con delle domande generiche che permettono al paziente di esprimersi liberamente. L'utilizzo di una di queste due modalità dipende dalla spontanea disposizione del paziente a produrre e raccontare. Se il paziente è particolarmente intimorito o sospettoso, per esempio, sarà meglio iniziare con semplici domande, a cui si richiede una risposta univoca, mentre se il paziente sembra particolarmente disponibile al colloquio si può iniziare con domande più aperte e generali prestando attenzione a contenere la produzione del paziente entro i limiti del quesito.

In tutti i casi l'obiettivo è quello di ottenere delle informazioni sulla capacità comunicativa del paziente, della sua consapevolezza di malattia e delle sue conoscenze generali e del suo senso critico. Prima di tutto si devono valutare aspetti formali del linguaggio spontaneo: valutare la pertinenza delle risposte date rispetto ai quesiti, l'utilizzo di frasi stereotipate e luoghi comuni, la mimica facciale e la gestualità, la tendenza a fornire risposte chiuse, cioè fatte di una sola parola e che non permettono ulteriori indagini di approfondimento. Altri aspetti tecnici da rilevare sono: la fluenza e l'intonazione dell'eloquio, la competenza sintattico-grammaticale, la presenza di anomie, l'uso di circonlocuzioni, di parole passe-partout, di errori morfologici, di errori fonologici e/o fonetici, ecc. È bene porre attenzione a quando le risposte del paziente sono quasi esclusivamente generiche perchè è evidente, in questo caso, che il paziente non è in grado di descrivere quello che vede e nemmeno quello che preferisce, e risponde sempre in modo estremamente generico. Questo è quello che molte volte emerge nel caso di un dialogo con un paziente inviato per sospetto deterioramento cognitivo, il cui linguaggio non è disturbato dal punto di vista formale, ma risulta molto povero dal punto di vista del contenuto semantico. È importante, inoltre, comprendere il grado di consapevolezza che il paziente ha rispetto al proprio disturbo, poiché questo è un aspetto cognitivo fondamentale per la valutazione e la progettazione di un'eventuale riabilitazione. Un altro aspetto da valutare è la storia psicologica del paziente che comprende il tono dell'umore e la sua stabilità durante l'intero esame oltre che gli eventuali problemi psicologici emersi nella vita recente e passata del paziente. Gli aspetti principali riguardano le preoccupazioni della persona, lo stato d'ansia e l'eventuale tono depressivo dell'umore. Ogni alterazione dello stato d'animo può infatti essere causa o correlato dei deficit cognitivi. Qualche volta, poi, vengono inviate persone con diagnosi di disturbi psichiatrici: in questi casi è bene osservare, unitamente al tono dell'umore, la coerenza delle fluttuazioni emotive rispetto ai contenuti semantici del colloquio. Altre volte, specialmente quando si effettuano esami a pazienti ricoverati, il tono dell'umore è verosimilmente depresso a causa della condizione sofferente della persona. Tuttavia, stati depressivi, reattivi o meno, possono essere del tutto indipendenti dai motivi che hanno causato deficit cognitivi. Così come qualsiasi altro disturbo, anche le alterazioni dell'umore possono influire negativamente sulle prestazioni. Infine, durante la raccolta anamnestica sarà importante indagare anche sulla riserva cognitiva accumulata dal paziente. Il neuropsicologo dovrebbe, inoltre, ricordarsi che la valutazione neuropsicologica può fornire informazioni rilevanti sul paziente solo nel caso della sua, almeno parziale collaborazione e motivazione tanto che, a volte, può essere opportuno rimandare l'esame neuropsicologico di qualche giorno, se si può ottenere una migliore prestazione e mettere in luce le reali potenzialità del paziente. In altre parole, eseguire una valutazione neuropsicologica su un paziente che nell'intervista preliminare si presenta demotivato, depresso o semplicemente stanco può essere fuorviante per le conclusioni a cui conduce.

Colloquio con i familiari Il colloquio con i familiari e/o le persone che vivono a stretto contatto con il paziente è auspicabile, se non necessario, per almeno quattro ordini di motivi:  Per verificare la correttezza delle informazioni date dal paziente stesso durante il colloquio neuropsicologico;  Per far comprendere ai familiari il tipo di patologia e le eventuali ipotesi di sviluppo dei deficit cognitivi, così da prepararli di fronte a possibili cambiamenti o disturbi. Questo punto si rivela di cruciale importanza in alcuni casi come, per esempio, con pazienti che hanno subito un cosiddetto "trauma cranico lieve" (TCL); Il TCL non implica la perdita di coscienza e non è quasi mai accompagnato da evidenti deficit cognitivi. Tuttavia, il paziente con TCL potrebbe, in una fase tardiva, manifestare problemi nel riprendere gli studi o il lavoro. Il fine è sempre quello di rendere i familiari consapevoli del sospetto diagnostico che potrebbe emergere a lungo termine.





Perchè permette di instaurare una sorte di alleanza che garantisce al riabilitatore di lavorare con la collaborazione dei familiari. Spesso, infatti, solo quando riesce a ottenere una buona alleanza terapista-familiari, si possono avanzare le migliori prognosi di recupero; Per comprendere in quale modo i familiari abbiano vissuto e vivano il cambiamento del paziente dall'insorgere della patologia. La corretta elaborazione dell'evento nei familiari avrà ripercussioni positive anche sul paziente stesso.

Scelta e somministrazione di test cognitivi sia nella valutazione di screening (prima visita) sia nella valutazione di approfondimento (seconda visita) devono essere somministrati dei test neuropsicologici, ma la scelta delle prove segue criteri differenti nei due casi. Nella prima visita, infatti, i test sono esclusivamente del tipo "carta e matita" e coprono buona parte delle funzioni cognitive, anche se ogni test non analizza la funzione in modo approfondito. La prima visita, infatti, dovrebbe fornire indicazioni generali su come il paziente si pone do fronte alle varie prove e mostrare se e in quali facoltà cognitive ci siano aspetti da indagare. L'approfondimento avviene nella seconda visita, selezionando o costruendo delle prove al fine di verificare o falsificare le ipotesi formulate sui risultati allo screening. È preferibile che gli strumenti testistici e di analisi del comportamento siano utilizzati da psicologi e/o neuropsicologi. È necessario ricordare che l'esito più o meno positivo a un test non indica che l'abilità cognitiva sottostante funzioni bene o sia compromessa, ma solo che quella funzione cognitiva, misurata con quel tipo di prova, in quella situazione ha dato un determinato esito. Le inferenze che si possono riportare saranno dunque solo delle ipotesi che andranno poi accertate da approfondimenti neuropsicologici specifici nella seconda visita. Infine, l'esaminatore deve sapere che, durante la valutazione, anche il paziente osserva il suo interlocutore e talvolta ne avverte il tono distaccato, la fretta e perfino le aspettative: in qualche modo, cioè, anche l'esaminatore è sotto esame e, dal suo atteggiamento, dipende la collaborazione, la tranquillità del paziente e anche l'attendibilità delle osservazioni raccolte. È utile terminare l'esame restituendo al paziente una prima valutazione qualitativa sulla sua prestazione.

Restituzione al paziente a fine valutazione Al termine dell'esame, dopo che sono state somministrate le prove, il paziente ha il diritto di ottenere una preliminare valutazione sull'esito; non si potranno ancora fornire dei dati precisi, ma il neuropsicologo può commentare e restituire l'esito dell'esame. Tuttavia, la relazi...


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