Esercitazione - 1 - Traduzione le \"Rane\" di Aristofane - Grammatica greca PDF

Title Esercitazione - 1 - Traduzione le \"Rane\" di Aristofane - Grammatica greca
Course Grammatica greca
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

Traduzione letterale delle "Rane" di Aristofane, uno dei testi solitamente in programma per la parte istituzionale dell'esame di Grammatica Greca....


Description

ARISTOFANE – Le Rane

XANTIA Devo dire una delle mie solite battute, padrone, di quelle per cui gli spettatori ridono sempre? DIONISO Quello che vuoi, per Zeus, tranne “sono schiacciato”. Questo evitalo: ormai fa venire il nervoso. X. E neppure quell’altra più raffinata...? D. ...purché non sia “ah, come sono oppresso!” X. E che cosa, allora? Devo dire quella veramente ridicola? D. E va bene, per Zeus, se ne hai il coraggio: solo, basta che tu non dica... X. ...che cosa? D. Che ti scappa, mentre sposti il carico. X. E neppure che, dato che porto sulle mie spalle un peso così grande, se qualcuno non verrà a liberarmi, mi scapperà da scorreggiare? D. Oh no, ti supplico, a meno che non stia per vomitare. X. E allora che bisogno c’era che portassi queste cianfrusaglie, se non potrò fare nulla di ciò che erano soliti fare Frinico, Licide e Amipsia, [ogni volta che portano dei carichi sulla scena della commedia]? D. Tu non farlo, punto. Perché io, da spettatore, quando mi capita di vedere uno di questi espedienti, me ne vado via invecchiato di più di un anno. X. Oh, tre volte sfortunato questo mio collo, perché è oppresso dal carico, sì, ma non potrà dire la sua battuta ridicola. D. E non è forse questo un atteggiamento oltraggioso e davvero arrogante, dal momento che io, che sono Dioniso, figlio di Stamnio, cammino con le mie gambe e mi affatico, mentre lui lo faccio viaggiare a cavallo, perché non si stanchi per il viaggio e non debba portare pesi? X. ...non ne sto forse portando?! D. Ma come lo porti, tu che viaggi a cavallo? X. Portando questo carico. D. In che modo? X. A fatica, davvero. D. E quindi questo peso che porti, non è l’asino a portarlo, in realtà? X. Certo che no, quello che ho e porto io, proprio no, per Zeus! D. Ma come fai a portarlo tu, se tu stesso sei portato da un altro? X. Non lo so: sta di fatto che la mia spalla è gravata. D. E allora, dato che dici che l’asino non ti è d’aiuto, sollevalo e portalo tu, facendo a turno. X. Ahimé, sventurato: ma perché non sono andato a combattere sulle navi? Avrei veramente potuto mandarti a quel paese. D. Scendi, disgraziato. A furia di camminare, eccomi ormai giunto vicino a questa porta, dove avevo necessità di dirigermi per prima cosa. Ragazzo, dico, ragazzo! Ragazzo! ERACLE Chi è che ha bussato alla porta? Con che modi da centauro ci si è avventato contro, chiunque sia... dimmi, che cosa c’è? D. Il ragazzo. X. Che c’è? D. Non ci hai pensato? X. A cosa? D. A quanta paura gli ho fatto. X. Sì, paura che tu sia fuori di testa, per Zeus. E. Per Demetra, non riesco a trattenere le risate! Eppure mi sto mordendo le labbra: ma mi viene lo stesso da ridere! D. Disgraziato, vieni avanti, ho bisogno di te! E. Ma io non riesco a soffocare le risate vedendo una pelle di leone messa su un vestito giallo. Che senso ha? Perché hai messo insieme coturno e clava? Dove te ne andavi? D. A imbarcarmi con Clistene. E. E hai combattuto sulle navi? D. Certo, e abbiamo affondato

dodici o tredici navi dei nemici. E. Voi due?! D. Certo, te lo giuro su Apollo. X. E allora io mi sono svegliato. D. E proprio mentre leggevo per conto mio l’Andromeda sulla nave, all’improvviso un desiderio mi ha colpito il cuore, non ti immagini con che forza. E. Un desiderio? E quanto grande? D. Piccolo, come Molone. E. Ma di una donna? D. Ma no. E. Di un fanciullo, allora? D. Niente affatto. E. E allora... di un uomo? D. Ahimé. E. Non mi dire che sei andato con Clistene. D. Non prendermi in giro, fratello, sto male per davvero: tale è il desiderio che mi divora. E. E di che tipo è, fratellino? D. Non riesco a dirlo. Ma te lo farò capire lo stesso attraverso degli enigmi. Per esempio, hai mai avuto un desiderio improvviso di minestra di legumi? E. Di minestra di legumi? Che domande, un sacco di volte, nella vita! D. Rendo bene l’idea o devo aggiungere altro? E. Sulla minestra direi proprio di no: ne so già abbastanza. D. Ecco, un desiderio di questo tipo mi divora... ma di Euripide. E. E tutto questo per uno che è morto? D. In ogni caso nessun uomo potrebbe convincermi a non andare da lui. E. Vuoi dire giù nell’Ade? D. Sì, per Zeus, e anche più giù, se è possibile. E. Ma che cosa vuoi di preciso? D. Mi serve un bravo poeta. Non ce ne sono più, infatti, quelli ancora vivi fanno schifo. E. Cosa?! Quindi Iofonte non vive più? No, è l’unico bravo rimasto, ammesso che veramente lo sia: neppure su di lui so bene come stiano le cose. E. E allora non vuoi riportare in vita Sofocle, che è precedente a Euripide, se proprio devi riportare in vita qualcuno? D. No, prenderò solo lui, e prima metterò alla prova Iofonte, per vedere cosa sa fare senza Sofocle. E inoltre Euripide, che è una testa calda, magari potrebbe anche aiutarmi a fuggire qui: quell’altro era tranquillo qui ed è tranquillo anche laggiù. E. E Agatone dov’è? D. Se n’è andato, abbandonandomi, lui che era un bravo poeta, rimpianto dalle persone intelligenti. E. E dove si trova lo sventurato? D. Al convito dei beati. E. E Senocle? D. Che vada in malora, per Zeus. E. E Pitangelo? X. Su di me non una parola, che ho la spalla completamente distrutta. E. Ma lì non ci sono altri ragazzetti, migliaia o forse più, che scrivono tragedie, e mille volte più chiacchieroni di Euripide? D. Sono scarti, venditori di chiacchiere, cori di rondini, distruttori dell’arte, che spariscono ben presto, se solo riescono a ottenere un coro, dopo aver pisciato una sola volta sulla tragedia. Non hai speranza di trovare un vero poeta ancora vivo, che sappia pronunciare una parola buona. E. Un vero poeta, in che senso? D. Vero in questo senso, che dirà qualcosa di arrischiato, del tipo “etere, dimora di Zeus” o “piede del Tempo” o “anima che non vuole giurare sulle sacre offerte, lingua che spergiura indipendentemente dall’anima”. E. A te queste cose piacciono? D. A me da impazzire. E. Ma dai, è tutto fumo, come pensi anche tu. D. Non abitare la mia mente: hai una casa.

E. Eppure a me sembra roba assolutamente orribile. D. Tu insegnami a mangiare. X. ...su di me neanche una parola. D. Ma a questo scopo sono venuto con questa tenuta, a tua imitazione, affinché tu mi indichi, in caso ne avessi bisogno, gli ospiti di cui ti sei servito quando sei andato a prendere Cerbero, indicami loro, e poi i porti, le botteghe del pane, i bordelli, le soste, i bivi, le fontane, le strade, le città, gli alloggi, le ostesse, dove ci sono meno cimici. X. ...su di me neanche una parola. E. Disgraziato, ma ce l’avrai il coraggio di andarci anche tu? D. Non una parola di più. Avanti, dimmi per quale via arriveremo più rapidamente giù nell’Ade. E dimmene una che non sia né troppo calda né troppo fredda. E. E allora, quale di esse dovrò indicarti per prima, quale? Ah, sì, ce n’è una che inizia dalla corda e dallo sgabello... impiccarti. D. Smettila, me ne stai dicendo una soffocante. E. Allora c’è un sentiero breve, ben battuto, quello che passa per il mortaio. D. Vuoi dire la cicuta? E. Proprio così. D. Ma è fredda e tempestosa: in un attimo ci si congelano gli stinchi! E. Vuoi che te ne dica una veloce e in discesa? D. Sì, per Zeus, perché non sono un buon camminatore. E. Intanto scendi fino al Ceramico. D. E poi? E. Dopo essere salito sulla torre, quella alta... D. Che devo fare? E. Da lì guarda partire la fiaccola, poi, quando gli spettatori ti dicono “è andata”, allora vai anche tu. D. E dove? E. Giù di sotto. D. Ma mi distruggerei i due involtini del cervello. No, non posso percorrere questa via. E. E che cosa, allora? D. Quella che hai percorso tu. E. Ma il viaggio per mare è lungo. Subito, infatti, ti ritroverai in una grande palude, molto profonda. D. E a quel punto come arriverò dall’altra parte? E. Ti traghetterà un vecchio marinaio, su una barchetta piccola così, in cambio di un pagamento di due oboli. D. Ahimé! Che grande potere hanno due oboli, ovunque ci si trovi! E come hanno fatto ad arrivare anche laggiù? E. Ce li ha portati Teseo. Superata la palude, vedrai un’infinità di serpenti e bestie veramente terribili. D. Non colpirmi facendomi paura: non mi farai cambiare idea. E. ...a quel punto vedrai molto fango e un fiume di letame; e delle anime che vi giacciono dentro, se ad esempio uno ha offeso in qualche modo un ospite, o ha molestato un ragazzino senza pagare il dovuto, o ha picchiato la madre, o ha schiaffeggiato la mascella del padre, o ha commesso spergiuro, o si è ricopiato una qualche tirata di Morsimo. D. Per gli dei! Si dovrebbe finire con questi anche per aver appreso la danza pirrica di Cinesia. E. Da lì ti avvolgerà un suono di flauti, e vedrai una luce meravigliosa, come quassù, e boschetti di mirto e tiasi festanti di uomini e donne, e un forte battito di mani. D. E questi chi sono? E. Gli iniziati ai misteri... X. Per Zeus, io sono un asino in fatto di miseri. Ma d’ora in poi non porterò più questo carico.

E. ...che ti diranno tutto ciò che è necessario. Loro, infatti, vivono presso la reggia di Plutone, proprio a un passo da quella strada. E allora tanti saluti, fratello. D. Anche tu, per Zeus, stammi bene. E tu, tira su di nuovo i bagagli. X. Prima ancora di averli posati? D. Sì, e molto in fretta. X. No, ti prego, piuttosto paga qualche cadavere di quelli che vengono portati alla sepoltura, vanno tutti lì. D. E se non lo trovo? X. Allora porti me. D. Ben detto. E infatti eccone qui uno, di cadavere, lo portano alla sepoltura. Tu, sto parlando con te, il morto: vorresti portare nell’Ade degli attrezzi? MORTO Quanti sono? D. Questi. M. Mi dai due dracme di compenso? D. Un po’ meno, per Zeus! M. Avanti, voi, proseguite lungo la strada! D. No, aspetta, mio caro, se faccio un accordo con te. M. Se non mi darai due dracme, non stare a parlare. D. Prenditi nove oboli. M. Preferirei tornare vivo ora. D. Com’è altezzoso, il maledetto. X. Che se ne vada al diavolo! Verrò io. D. Sei un brav’uomo, hai un cuore d’oro. Affrettiamoci alla nave. CARONTE Ooop, getta di là i remi. D. E questo cos’è? X. Questo? Per Zeus, questa è la palude di cui ci parlava, e in effetti vedo la nave, per Poseidone, e questo è nientemento che Caronte! D. Salve o Caronte, salve o Caronte, salve o Caronte. C. Chi è là, per il riposo dai mali e dalle faccende? Chi è là, per la piana del Lete, per Tosa-asino, per i Cerberii, per i Corvi, per il Tenaro? D. Io. C. Sali, veloce. D. E dove pensi di approdare? C. Alla malora. D. Davvero? C. Sì, per Zeus, per colpa tua. Su, sali. D. Servo, vieni qui. C. Io non porto servi, a meno che non abbiano combattuto sulle navi per difendersi la pellaccia. X. In effetti no, per Zeus, avevo male agli occhi. C. E quindi non farai il giro della palude di corsa? X. Dove vi aspetto? C. Alla pietra del Disseccato, sulla fermata. D. Hai capito? X. Altroché se ho capito. Ahimé sventurato, ma chi ho incontrato uscendo di casa?! C. Siediti al remo. Se qualcun altro si imbarca, che si sbrighi! Tu! Che fai? D. Che faccio? Che altro se non sedermi al remo, come mi hai ordinato tu? C. Invece ti siederai qui, panzone. D. Ecco fatto. C. Adesso spingi in avanti le braccia, e tendile. D. Ecco fatto. C. Smettila di dire scemenze, avanti, fai forza e spingi bene! D. E come faccio a spingere, io che non sono pratico, non sono un uomo di mare, non ho combattuto a Salamina? C. E’ facilissimo: sentirai canti meravigliosi, una volta che inizi a remare. D. Di chi? C. Di rane e di cigni, una cosa incantevole. D. Battimi il tempo, allora. C. Oooo-ooop, oooo-oooop. RANE Brekekekex koax koax

Brekekekex koax koax. Prole paludosa delle fonti, leviamo il nostro grido, in armonia con il suono dei flauti, il nostro canto melodioso, koax koax, che facemmo risuonare nelle Paludi per il Niseo Dioniso, figlio di Zeus, quando il popolo, ebbro, accorre in massa al mio santuario alle sacre Pentole. Brekekekex koax koax. D. Io inizio ad aver male al sedere, koax koax. R. Brekekekex koax koax. D. Forse non ve ne importa niente. R. Brekekekex koax koax. D. Ma al diavolo il vostro koax! Non si sente nient’altro che koax! R. E certo, gran trafficone che non sei altro. Noi siamo care alle Muse dalla dolce lira e a Pan dai piedi caprini, che suona melodie sul suo flauto; e per noi si rallegra Apollo, dio della cetra, per la canna della lira, che coltivo, acquatica, nelle paludi. Brekekekex koax koax. D. Ma io ho le bolle e mi suda il buco del culo da un bel po’ e poi piegandosi dirà... R. Brekekekex koax koax. D. Per favore, stirpe di amanti del canto, smettetela! R. E allora canteremo ancora di più, se è vero che nei giorni di sole saltiamo attraverso il cipero e il giunco, godendoci il nostro canto con le nostre melodie di tuffatrici; oppure fuggendo la pioggia di Zeus sul fondo intoniamo una danza acquatica, variata dallo scoppiare delle bolle. D. Brekekekex koax koax. Lo prendo in prestito da voi. R. Ne saremo terribilmente offese. D. Lo sarò ancora di più io, se creperò a furia di spingere. R. Brekekekex koax koax. D. Andate al diavolo, non mi interessa. R. Allora gracideremo con tutte le forze della nostra gola, per tutto il giorno. D. Brekekekex koax koax. In questo non mi batterete. R. Nemmeno tu noi, poco ma sicuro.

D. Vi dico che voi non batterete me, giammai: graciderò anche tutto il giorno, se è necessario, finché non vi avrò sconfitte nel “koax” brekekekex koax koax. Avevo proprio intenzione di farvi smettere con il vostro koax. C. Ehi, fermati, fermati, accosta con il remo! Paga il pedaggio e scendi. D. Eccoti il tuo obolo. Ma Xantia. Dov’è Xantia? Ehi, Xantia! X. Eh? D. Vieni qui. X. Salve, padrone! D. Che cosa c’è di là? X. Buio e fango. D. Quindi hai visto i parricidi e gli spergiuri, laggiù, quelli di cui ci parlava Eracle? X. Perché, tu no? D. Io sì, per Poseidone, e ne vedo anche adesso, eccome. Allora, che facciamo? X. La cosa migliore è che io e te andiamo avanti, perché questo è il luogo in cui ci sono le bestie feroci di cui ci parlava quello là. D. Ma che vada a quel paese. Faceva lo splendido per farmi paura, perché lo sa che sono un combattente, è solo geloso. Nessuno batte Eracle in quanto a fierezza! Ma io pregherei di incontrarne uno e di riuscire in un’impresa degna di questo viaggio. X. Sì, per Zeus! Ora però sento uno strano rumore. D. Da che parte, da che parte? X. Dietro. D. Allora vai tu dietro. X. No, è davanti. D. Allora vai tu davanti. X. E adesso... per Zeus! Vedo una bestia enorme! D. Che tipo di animale? X. Spaventoso. E cambia sempre aspetto: prima era un bue, adesso un mulo, adesso invece è una donna... proprio niente male! D. Dov’è? Presto, vado da lei! X. Ecco, ora non è più una donna, ma un cane. D. E allora è Empusa. X. Le arde di fuoco tutto il viso. D. E ha una gamba di bronzo? X. Per Poseidone, sì! E l’altra è di sterco di mucca, ora lo sai! D. Da che parte devo andare? X. E io? D. Sacerdote, proteggimi tu, se vuoi che venga a bere con te. X. Siamo spacciati, oh signore Eracle! D. Non mi chiamare, caro, ti supplico, e non dire il mio nome. X. Dioniso, allora! D. Questo è ancora peggio dell’altro. X. Vattene dove stai andando. Qui, qui, padrone. D. Che c’è? X. Coraggio: è andato tutto bene, e ci è concesso dire, come Egeloco, che “dopo le onde ora vedo di nuovo la faina”. E’ andata via Empusa. D. Giuralo. X. Su Zeus. D. Giuralo di nuovo. X. Su Zeus. D. Giura. X. Su Zeus. D. Ahimé sventurato, come sono impallidito nel vederla! X. Guarda qui, per la paura ti è diventato tutto rosso. D. Ahimé, da dove mi sono piombate addosso queste disgrazie? Che dio dovrò accusare di mandarmi in rovina, “l’etere dimora di Zeus” o “il piede del Tempo”? [qualcuno suona il flauto dall’interno] Ehi, tu! X. Che c’è? D. Non hai sentito? X. Che cosa? D. Suono di flauti. X. Eccome, e sento spirare verso di me anche un odore di fiaccole, proprio da culti misterici.

D. Su, nascondiamoci, piano, e stiamo a sentire. CORO Iacco, oh, Iacco! Iacco, oh, Iacco! X. E’ così, sono loro, padrone: gli iniziati, sono qui che danzano da qualche parte, quelli di cui ci parlava lui. Inneggiano per l’appunto a Iacco, quello di Diagora. D. Sembra anche a me. Meglio restarcene qui fermi, per vedere bene.

CORO Oh Iacco, tu che dimori in questi luoghi assai venerati, Iacco, oh, Iacco, vieni a danzare su questo prato, tra le sacre schiere degli iniziati, scuotendo, ricca di frutti, fiorente intorno al tuo capo, la corona di mirto, e battendo con piede ardito la festa in tuo onore, sfrenata e giocosa, che ha tutta la bellezza delle Grazie, la pura, santa danza per i sacri iniziati. X. Oh veneranda signora, figlia di Demetra, che dolce profumo mi giunse di carne di maiale! D. Fai piano, casomai riuscissi a prenderti anche un po’ di salsiccia. CORO Risveglia le fiaccole ardenti scuotendole nelle tue mani, Iacco, oh Iacco, astro portatore di luce ai riti della notte. Il prato riluce della tua fiamma; trema il ginocchio dei vecchi; si scrollano via i dolori e gli anni lenti della vecchiaia, nella sacra festa. E tu, splendente con la tua fiaccola, con i tuoi passi guida al terreno fiorito della palude la gioventù che danza, o beato. E’ necessario che faccia silenzio e non prenda parte alle nostre danze chi, inesperto di questi argomenti, non purifichi la propria mente, o non ha mai visto né danzato i culti segreti delle Muse, né sia stato iniziato ai riti bacchici della lingua di Cratino, il divoratore di tori, o si compiace di parole triviali che fanno un effetto fuori luogo,

o non placa una discordia nemica dello stato e non è benevolo verso i concittadini, ma la istiga e la fomenta per assecondare i propri interessi personali, oppure, quando governa una città in crisi, si lascia corrompere con doni o consegna ai nemici le difese e le navi, oppure esporta le merci proibite da Egina, se è Toricione, disgraziato di un esattore della ventesima, che manda foderi per remi, vele e pece a Epidauro oppure convince qualcuno a offrire denaro per le navi dei nemici, o imbratta di sterco le edicole votive di Ecate, accompagnando con la voce danze circolari, oppure, se è un politico, allora divora i guadagni dei poeti per essere stato deriso in una commedia durante i riti cittadini in onore di Dioniso. A tutti costoro ordino, e lo riordino ancora una volta, e lo ribadisco una terza, di allontanarsi dalle danze misteriche; voi invece date forza al canto e alle nostre veglie notturne, che si addicono a questa festa. Perciò affrettatevi, nessuno escluso, coraggio!, alle valli fiorite dei prati, a ritmo di danza e con battute scherzose e con scherzi e beffe: si è pranzato a sufficienza. Ma su, avanti!, e preoccupatevi di lodare la Salvatrice, nobilmente cantando con la voce, lei che promette che salverà la nostra terra per sempre, anche se Toricione non vuole. Su, forza, celebrando con canti divini la regina portatrice di frutti, la dea Demetra, fate risuonare un nuovo genere di inni. Demetra, signora dei sacri misteri, aiutaci, e salva il tuo coro; e che io possa scherzare e danzare senza pericolo per tutto il giorno. E che possa dire molte cose ridicole, e molte serie, e che dopo aver scherzato e motteggiato come si conviene per la tua festa, io sia incoronato vincitore. Avanti, allora, adesso chiamate qui con i canti il dio nel fiore della giovinezza, compagno di questa danza. Iacco dai molti onori, inventore del canto dolcissimo della festa, seguici qui, al cospetto della dea, e mostraci come, senza fatica, percorri un lungo cammino. Iacco amante della danza, accompagnami. Tu hai fatto a brandelli, per il riso e per semplicità, questo sandaletto

e questo straccio, e hai trovato il modo per scherzare e danzare liberamente. Iacco amante della danza, accompagnami. E infatti, sbirciando, proprio adesso ho visto spuntare da uno strappo della veste il piccolo seno di una ragazza dall’aspetto assai bello, nostra compagna di giochi. Iacco amante della danza, accompagnami. D. Io sono sempre amante dei corteggi e voglio danzare, scherzando, insieme a lei. X. E io anche. CORO Volete dunque che insieme deridiamo Archedemo, a cui all’età di sette anni non erano ancora spuntati i fratelli? Adesso però fa il demagogo tra i morti che abitano sulla terra ed è un delinquente di prima categoria, lassù. Sento, nella tomba, Clistene strapparsi i peli del culo e graffiarsi le guance; e si percuoteva, curvo, e piangeva e strepitava per Sebino, quello del demo di Anaflisto. E dicono che in effetti Callia questo qui, il figlio di Ippobino, combattesse per mare vestito con peli di figa di leonessa. D...


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