Esercizio da consegnare II° classificazione dei codici semiologici di De Mauro PDF

Title Esercizio da consegnare II° classificazione dei codici semiologici di De Mauro
Author valentina esposito
Course Scienze della Comunicazione
Institution Università Telematica Internazionale UniNettuno
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semiotica generale...


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2° Test semiotica e linguaggi Domanda unica: Tenendo presente la classificazione dei codici semiologici di De Mauro, quali sono le caratteristiche distintive delle lingue storico-naturali? Nate nel corso della millenaria evoluzione e nella storia della specie, le lingue hanno un legame profondo con la natura biologica degli esseri umani e con gli eventi storici delle varie società, sono dette lingue storico-naturali, in quanto fatte di parole vengono chiamate anche lingue verbali. Le lingue cambiano continuamente e cambiano in quanto tendono ad adattarsi all’evoluzione delle cose e al nostro modo di esprimere tanti concetti diversi. Cambiano attraverso il tempo, ossia le lingue subiscono gli eventi storico-culturali, ad esempio in latino non usavano articoli e preposizioni ma le declinazioni. Cambiano attraverso lo spazio, ad esempio i dialetti presenti all’interno di una stessa lingua. Attraverso il mezzo, un linguaggio può essere scritto, parlato o fatto di gesti. In funzione di una situazione che può essere formale o informale e in relazione allo stato sociale inteso come livello di conoscenza della lingua stessa. Iniziamo a classificare un codice o un segno tenendo conto di quattro dimensioni: • Dimensione pragmatica: con ogni segno il soggetto che parla interpella altri segni (funzione di appello secondo Buhler). • Dimensione espressiva: con ogni segno il soggetto che parla rivela se stesso (genere maschile/femminile, l’accento, ecc.) • Dimensione sintattica: un segno assume un valore specifico in base alle relazioni con tutti gli altri segni (per. es.:se una persona è #bassa# allora non è #alta#). Le relazioni tra segni sono determinate dai tratti pertinenti, di somiglianza, se ci sono tratti comuni o di opposizione per i tratti non comuni, ossia ciò che differenzia i segni tra loro. • Dimensione semantica: i segni vengono usati per indicare dei contenuti di vario genere (funzione rappresentativa per Bulher). Rappresenta il rapporto tra significato del segno e sensi possibili. La prima grande distinzione da fare è tra linguaggio a segni globali (non articolato) e segni non globali (articolato): CODICI A SEGNI GLOBALI: il più semplice dei codici non articolati è quello che prevede solo due sensi, per esempio il codice delle spie luminose nel cruscotto dell’automobile: se sono accese acquistano un determinato senso (benzina in esaurimento), se sono spente acquistano il senso opposto (benzina sufficiente). Stessa cosa per il codice di accensione o spegnimento di un sistema più complesso, come ad esempio un antifurto: luce accesa nel caso l’antifurto sia attivo, luce spenta se l’antifurto è stato disattivato, il loro significato non è possibile che venga frainteso. La forza di questi codici è quello che facciamo nella vita di ogni giorno, quando ne sfruttiamo la possibilità senza pensarci. Ci sediamo al volante dell’auto e con una semplice occhiata al cruscotto dopo aver acceso il motore controlliamo siano spente le luci che devono essere spente e accese quelle che devono essere accese. Con questi codici semplicissimi non ci sono dubbi.

I codici semiologici a segni non articolati hanno tra loro un rapporto di contrapposizione reciproca globale, ovvero ciascun segno ha un suo specifico significato ed un significante altrettanto specifico, tali segni sono anche detti codici della certezza. Ogni significante (che può essere una luce, una lettera, un numero) e, di conseguenza, ogni segno, si contrappone nella sua interezza a tutti gli altri previsti dal codice. Non ci sono molteplici significanti che possano trasmettere uno stesso senso. Un senso se appartiene ad un significato non può appartenere a nessun altro significato. O abbiamo la spia spenta o la spia è accesa. Questi codici non conoscono “sinonimi”, intendiamo per sinonimi segni o parti di segni che possano trasmettere uno stesso senso (mi piace ricordare come esempio il gesto “ok” che si può realizzare alzando il pollice in su oppure formando un cerchio con pollice e indice, esprimono lo stesso senso con due diversi segni). Poche distinzioni nette, da usare per comunicare con sicurezza. Possiamo dunque dire che questi semplici sono codici semiologici a segni non articolati, di numero finito e senza sinonimia. Esistono codici semiologici a segni non articolati, di numero limitato, senza sinonimia, ma ordinabili come ad esempio la numerazione a base 10, ossia da 0 a 9. Questi codici formano una fila che ci permette non solo di classificare i sensi, ma di confrontarli e ordinarli secondo un prima e un dopo, un più e un meno. CODICI A SEGNI ARTICOLATI: sono linguaggi che possono essere costituiti da segni articolati, ossia sono scomponibili in più parti, la cui diversità può essere significativa. Segni che scomposti a loro volta possono avere più significati e che quindi possono avere una struttura sia globale che composita. Le frasi si rivelano articolate in parole, e le parole a loro volta si rivelano composte da unità più piccole di significante detto monema. Proviamo a scomporre una frase: #il mio cane è ancora un cucciolo# il sintagma nominale è #il mio cane#, il sintagma verbale sarà #è ancora un cucciolo#. Il monema (o anche morfo) è dunque una singola unità minima dotata di significato che concorre all'organizzazione del segno. I monemi permettono al segno articolato di scomporre in parti il senso che esprime, distinguiamo i morfi lessicali che portano il significato fondamentale di una parola e i morfi grammaticali che qualificano il sostantivo e il verbo come ad esempio le desinenze e i suffissi. (es. #cane# scomposto in #can# -> morfo lessicale #e# morfo grammaticale). Ogni elemento segnico articolato è scomponibile in parti. Il fonema è invece una unità priva di significato, una classe di singoli suoni, una classe di foni (ad esempio /panca/ /manca/ /banca/ /p/ /m/ /b/ con suoni diversi si hanno più segni). Un codice articolato è molto più “potente” perché partendo da un numero finito di regole e di unità di base può generare un numero potenzialmente infinito di segni. Questa è detta CREATIVITà REGOLARE, ossia con un numero finito di elementi di base, morfi, e di regole di combinazione è possibile creare un numero potenzialmente infinito di segni più complessi, detti stringhe. Non prevede la violazione delle regole, la capacità del codice è di arricchire il proprio inventario di segni, senza alterare regole e termini. Affinché possano essere comprensibili i codici devono seguire tali regole: • Siano sempre possibili le ripetizioni dando luogo ad un segno diverso ogni volta (ossia #2# è diverso da #22# che è diverso da #222# e da #2222# ecc.) • Si possa sempre aggiungere una nuova unità (#12#, #125#, #1258# ecc.)

• Disposizioni: ordine in cui vengono presentati i segni (ad esempio #41# non è uguale a #14#, se #una persona ci pesta un piede e chiede scusa# è sicuramente diverso se prima #chiede scusa e poi ci pesta un piede#). Dunque con la possibilità di ripetizione degli stessi monemi e di poterne aggiungere sempre di nuovi si può combinare un numero infinito di segni. Ad esempio le targhe delle auto, dove è possibile ripetere e combinare i monemi, ma non di aggiungerne sempre uno nuovo per mancanza di spazio, non genera un codice infinito di segni. Una lingua con un numero limitato di fonemi e di regole di combinazione (morfologiche) può costruire un numero aperto di morfi e dunque potenzialmente infinito di frasi di diversi significati. Qualsiasi codice semiologico che rispetti le prime due condizioni (la disposizione è utile ma non è necessaria) può sempre generare un codice a segni infiniti. Due segni che siano composti da diversi monemi, diversamente ordinati, possono pur appartenere allo stesso codice e indicare lo stesso significato in alcune circostanze. In aritmetica, in alcune situazioni, possiamo sostituire liberamente un segno numerico con la somma degli addendi di pari valore (es. anzichè scrivere #5# possiamo scrivere #4+1#). Dicesi SINONIMIA. La Sinonimia è il fenomeno per cui due entità dal significante diverso hanno lo stesso significato. Dunque se due unità hanno lo stesso significato dovrebbero potersi sostituire negli stessi contesti: in realtà non è sempre così, perfino /tra/ e /fra/, parole identiche sul piano del significato, ma non sono così facilmente interscambiabili in contesti come tra fratelli e fra tranelli per ragioni foniche. Quando in un codice è presente la sinonimia dato un senso, possiamo fare previsioni sulla pluralità dei segni che lo possono veicolare? Mentre nei codici senza sinonimia siamo sicuri che i significati di due segni non si sovrappongono mai ad altri significati, nei codici con sinonimia questo è possibile, ma in condizioni molto diverse che sono definite dalla presenza o assenza di calcolabilità. La lista di monemi e le regole di combinazione si basa sulla condizione tale che ci permette di essere in grado, dato un segno, di prevedere quali saranno i sinonimi di quel segno. Così come ci permette di riconosce le caratteristiche in cui tali segni non sono sinonimi. Sinonimia calcolabile, date certe regole di base, ricaviamo altre forme che a condizioni predeterminate sono sinonime. Un codice semiologico, che sia un calcolo, può essere sempre e solo usato a condizione che siano sempre rispettate le regole di base. Con l’aiuto delle tre regole, la ripetizione, la combinazione e l’invenzione fin da piccoli gli esseri umani avanzano nella conquista della propria lingua. La cooperazione delle tre capacità è importante soprattutto nello sviluppo di usare le parole, funzione di metalinguaggio, una lingua che spiega la lingua attraverso la stessa lingua, in modo scientifico, preciso (i calcoli non hanno questa caratteristica). Ma diversamente dai calcoli, tale sinonimia per le lingue storico-naturali non può essere calcolabile, dicesi proprio sinonimia non calcolabile, ciò avviene a causa della flessibilità dei significati e della loro estendibilità, intesa come disponibilità permanente all’innovazione dell’uso che ne fa l’essere umano. Mi baso su un esempio per indicare un’altra distinzione tra sinonimie: quando ci troviamo davanti un cartello di divieto con la freccia a sinistra la nostra mente ha la capacità di comprendere che è obbligatorio svoltare a destra, dunque capiamo che anche se non chiaramente espresso, il cartello ha il significato di obbligo di svoltare a destra. Si tratta di sinonimia implicita ossia non viene dettata dal calcolo stesso ma è necessario comprenderla con le proprie capacità. La sinonimia si dice esplicita quando

invece è chiaramente espressa (es. 7x2=14 proposizione matematica che non ha bisogno di dimostrazione). Un codice semiologico può servire anche al fine di comunicare sensi diversi talvolta anche mutando le regole. Ovviamente nella storia diversi linguisti hanno affrontato l’argomento generando diverse tipologie di pensiero. Iniziamo a distinguere dunque le tipologie di creatività. Secondo Chomsky (creatività di langue) a partire da un numero finito di monemi e da un numero finito di regole di base, è possibile generare un numero infinito di frasi, comprensibili a chi dispone della sintassi della lingua. Tale creatività coincide con le proprietà di ogni combinatoria che rispetti le tre condizioni, identificabile con la creatività regolare (rule-governed creativity), distinguendola da un’altra forma di creatività, la creatività che cambia le regole (rule- changing creativity) ossia: le lingue hanno la creatività regolare ma hanno anche la creatività non regolare, mentre i calcoli non ammettono stringhe malformate (come ad esempio nel caso di blocco di un pc sbagliando i comandi, oppure 7x2:+= non ha senso), per le lingue nonostante non si rispettino le regole il linguaggio resta comprensibile, in poche parole violando le regole ci capiamo lo stesso. La creatività crociana o della “parole”: ogni atto linguistico attraverso il linguaggio verbale appare a Benedetto Croce come unico e irrepetibile e quindi anche la capacità di comprenderlo, un incontro tra senso ed espressione, ciò che viene espresso una volta con la parola non si ripete, se non appunto come riproduzione, ogni espressione crea o ricrea, ossia da sempre luogo a nuove espressioni. Anche Saussurre aveva già introdotto come “parole” ciò che rappresenta l’aspetto individuale del linguaggio, fa riferimento alla singola esecuzione: le singole fonazioni (nessuna è mai uguale all’altra) e i singoli sensi (variano sempre in qualche aspetto anche se minimo). Dunque la creatività crociana si può identificare con la irrepetibilità di Saussurre. Se ogni atto semiotico è ogni volta una cosa nuova secondo Croce il linguaggio è perpetua creazione. Per Humboldt (filosofo dell’800) il legame creativo che esiste per ogni lingua con la nazione e la particolare epoca storica in cui si distingue la storia umana, coesiste con la possibilità di padroneggiare lingue diverse, ossia la capacità di ogni essere umano di parlare più lingue, identificabile con la creatività di langage (pensiamo alle migrazione, incrociandosi le popolazioni imparano le lingue degli altri). Questo significa che possiamo organizzare il mondo dei significanti e significati in una pluralità aperta di modi, essere capaci di costruire diverse visioni del mondo. Per creatività degli psicopedagogisti, come secondo Vygotskij, si intende la capacità di divergenza, come capacità di modificare o inventare nuove regole, chiamata da Peirce abduzione creativa, pensare fuori dagli schemi, dalle modalità consuete, ponendosi fuori dal problema per risolverlo. Un ragionamento viene detto deduttivo quando si conoscono le premesse, le regole. La deduzione è l’azione che ci permette di esplicitare qualcosa già contenuto nelle premesse (ad esempio: Socrate è un uomo. Tutti gli uomini sono mortali. Deduco che Socrate è mortale). Questo tipo di logica (sillogismo) si applica quando si vuole sapere quali risultati si ottengono applicando leggi conosciute. Se tutte le operazioni previste sono state svolte correttamente, le risposte che si ottengono sono sempre certe e sicure. Per questo motivo molti sostengono che la logica deduttiva non porti mai a delle novità. Un ragionamento viene detto induttivo quando si conoscono le premesse e i

risultati e si intende così ricostruire le regole. Questo tipo di logica viene applicata quando si vuole risalire ad una legge naturale osservando quale risultato è stato ottenuto partendo da situazioni iniziali conosciute (ad esempio: il sole sorge. Lo vediamo sorgere tutte le mattine. Ne segue la regola Tutte le mattine sorge il sole) Infine un ragionamento viene detto abduttivo, quando si conoscono regole e risultati e si intende ricostruire le premesse. È un atteggiamento tipico di un medico, cerca di ricostruire una situazione iniziale conoscendo il risultato ottenuto per mezzo di una legge nota (un esempio è il gioco la battaglia navale). Dunque l’abduzione è cercare una regola che spieghi e includa il singolo oggetto nuovo, usando le regole di cui già disponiamo tramite segni e significati, allargando, ossia cambiando il senso, oppure decidere di creare un termine nuovo, ogni parola nuova è detta neulogismo, che può essere anche costruito usando delle metafore (un esempio la parola #grattacielo#). Un caso tipico è la parola rete usato per intendere: rete dei pescatori, rete di una recinsione, rete di un’amicizia, è stato quasi ovvio utilizzarlo poi per rete di internet. Quando per uno stesso codice esiste più di un modo di assumere i segni, di raggruppare i sensi di uno stesso significato e segno, allora si parla di accezione. Ma secondo i logici, un linguaggio formale o calcolo deve permettere la calcolabilità delle sinonimie, deve escludere contraddizioni e paradossi. Creatività dei logici: Patrick Suppes, introdusse l’assioma di Non-Creatività: i calcoli per poter essere calcoli non deve essere possibile mutare le regole e le unità di base del sistema in corso d’opera, non avere contraddizioni e paradossi, devono rispettare l’assioma di non creatività. Affinchè tutte le proposizioni previste potenzialmente da un calcolo siano definibili e dunque calcolabili, in esse non devono comparire termini nuovi, imprevisti. Se un codice è invece creativo, se termini e assiomi che li introducono e ne regolano l’uso possono variare sul campo, allora non è un calcolo. Ma gli imprevisti accadono, i termini nuovi nascono. Allora come ci comportiamo davanti a qualcosa di nuovo? Davanti ad una cosa nuova osserviamo, individuiamo i tratti pertinenti con altri segni esistenti, utilizziamo ciò che già conosciamo attraverso l’esperienza per definire cose nuove, (ad esempio la parola canale, quando è stato deciso il nuovo utilizzo per identificare anche un modo per comunicare). Dunque mentre il matematico davanti ad un nuovo problema, che il calcolo già esistente non gli permette di risolvere, deve obbligatoriamente smettere di usarlo e creare una nuova regola, nelle lingue possiamo: mutare le regole; mutare regole e unità di base; addirittura possiamo violare l’assioma di non creatività, per esempio estendendone il significato oppure creare termini nuovi e cambiare ancora le regole, il codice non smette di funzionare, resta comunque comprensibile all’uomo. De Mauro la chiama la NON NON CREATIVITà: la possibilità di variare regole e unità di base del sistema linguistico. Secondo la teoria di De Mauro, Emilio Garroni ed in parte Umberto Eco, pensano che in fondo la facoltà di linguaggio sia strettamente legata alla creatività degli esseri umani. Ossia le lingue hanno una natura creativa perché gli esseri umani, che possono padroneggiare anche più di una lingua, sono creativi. L’essere umano è in grado di comprendere la variazione, di generalizzarla e di usarla. Inoltre essendo creativo non può non creare una lingua non creativa. Le lingue si diversificano di continuo in rapporto al fattore geografico, sociale e temporale. Possiamo dunque distinguere: • Variazione diatopica: legata all’area geografica (ad es. i dialetti)

• Variazione diastratica: legato alla classe sociale di appartenenza • Variazione diafasica: legata alla situazione comunicativa, il contesto può spingere ad utilizzare diverse varietà della stessa lingua (ad es. parlato o scritto, formale o informale) • Variazione diacronica: legata all’evoluzione della lingua nel tempo • Variazione diamesica: legata al canale comunicativo (scritta o parlata) Lingua scritta e parlata sono due varietà distinte, ciascuna con le proprie caratteristiche. Quando parliamo siamo più generici e frettolosi per l’esigenza di una comunicazione rapida. Quando scriviamo abbiamo più tempo per pensare alle parole da utilizzare e a rispettare le regole della lingua. Esiste un parlato formale e parlato spontaneo, varia sempre a seconda del contesto e dell’interlocutore. E’ possibile comunque che si creino incomprensioni nel linguaggio, soprattutto nel parlato quotidiano. In questo caso la lingua ci permette di utilizzare lo stesso linguaggio per riprendere una frase e spiegarne meglio il senso, cosa si intendeva dire (ad es. intendevo.., volevo dire.., mi spiego meglio..). Si chiama funzione epilinguistica. Le lingue mutano nel tempo, il suo uso è sempre esposto ad innovazioni. Di conseguenza, la diversità nel tempo e nello spazio, la varietà e la variabilità delle lingue sono fatti normali. Un esempio del parlato contemporaneo è la funzione che ha iniziato ad avere il “che” tradizionalmente usato nell’italiano scritto, come pronome relativo, o per introdurre una proposizione dichiarativa, ma ha subito un’evoluzione, dapprima nel parlato quotidiano informale e successivamente anche a livelli più formali e scritti della lingua. I linguisti si riferiscono al fenomeno definendolo un “che polivalente”: nel senso che sta mostrando la capacità di svolgere funzioni che si distaccano dal suo uso tipico (es. il libro che ti ho parlato). Infine vorrei riportare lo schema riassuntivo noto come “albero di Porfirio” (tratto dal libro Minisemantica) che permette di schematizzare la divisione dei codici:

ANNA ESPOSITO...


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