Fabio Gasti - Riassunto del libro PDF

Title Fabio Gasti - Riassunto del libro
Course letteratura latina
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto del libro ...


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FABIO GASTI Profilo storico della letteratura tardolatina

Introduzione Il termine ‘tardoantico’ – che rappresenta il corrispondente generico di ‘tardolatino’ – viene applicato alla storia imperiale di Roma e comunemente indica l’età che va dal regno di Diocleziano alla morte di Giustiniano (284-565). La parola ha tuttavia una sua storia e conviene quindi preliminarmente soffermarsi sull’argomento per chiarirne l’origine e apprezzarne l’esatta portata. Possiamo sostenere che il tardoantico sia nato nel campo della storia dell’arte, ‘inventato’ da Alois Riegl in un famoso saggio del 1901 relativo alla produzione artistica tardo-romana (Spätrömische Kunstindustrie), in cui lo studioso ravvisa caratteri specifici di un periodo, da lui indicato appunto col termine Spätantike, che si allontana da quello classico e si pone come una fase autonoma nella storia dell’arte universale. L’intento era anche quello di reagire alla tendenza critica che interpretava il periodo in questione come un’età di profonda decadenza dagli splendori della piena età imperiale alle miserie del periodo delle invasioni barbariche. In un certo periodo della storia imperiale, non soltanto l’arte, ma anche la letteratura e le strutture sociali ed economiche testimoniano un cambiamento di prospettiva; si valuta che tali trasformazioni si combinano coerentemente a formare un sistema. La liberazione dai pregiudizi critici ha quindi accompagnato l’apprezzamento di caratteri di innegabile modernità e di innovazione rispetto al passato, nella cosiddetta cultura materiale (come il passaggio dal rotolo al codice o quello, nel settore dell’abbigliamento, dalla tunica tradizionale alla camisia aderente descritta da Gerolamo, cioè una tunica cucita e provvista di maniche) e soprattutto dal punto di vista spirituale (la nuova sensibilità è espressione di una mutata visione del mondo e di una altrettanto mutata percezione del ruolo dell’individuo nel mondo, quale viene interpretata da posizioni come il neoplatonismo o le religioni personalistiche). Quanto alla periodizzazione, lo stesso Riegl si diceva incerto se fissare l’inizio dell’arte tardoantica all’età di Costantino o a quella di Marco Aurelio, orientandosi alla fine per la prima soluzione; ma lo sviluppo degli studi sul periodo ha portato a un allargamento dei confini cronologici, con l’inclusione, all’indietro, del III secolo e 1

perfino della fine del II e, in avanti, di ben cinque secoli, fino a Maometto e addirittura all’età carolingia. Non è corretto, in un’ottica storica e culturale, valutare i prodotti letterari tardoantichi con la disposizione di chi si accosta a un età di decadenza rispetto a un modello o, tutt’al più, di transizione, priva per questo di originalità. Dovremo semmai interpretare tali prodotti storicizzandone la portata, considerandoli cioè documento di un’età di trasformazione profonda, dotata di una propria poetica e, in generale, di un proprio gusto. Per quanto infine riguarda la storia della cultura, il periodo è cruciale: non va dimenticato infatti che «la Tarda Antichità merita di essere apprezzata, oltre che per i suoi elementi indubbiamente originali sul piano artistico, per l’essenziale funzione di trasmissione della cultura antica. È difficile immaginare quanto poco di essa sarebbe potuto giungere a noi senza la paziente opera dei monaci benedettini». Tutte queste considerazioni, fondate dal punto di vista storico e da quello più generalmente culturale, fanno dei prodotti della letteratura tardolatina un oggetto interessante e sempre meno trascurato dalla critica. L’approfondimento costante degli studi sul duplice versante dell’ecdotica (molti testi non erano disponibili in edizioni modernamente allestite) e dell’interpretazione (traduzioni – spesso addirittura le prime – e commenti) ha senz’altro contribuito alla migliore conoscenza del periodo storicoletterario, e l’ha reso fruibile anche a una fascia di pubblico sempre maggiore. Infine, un ulteriore livello nell’approccio ai testi tardolatini, che ne giustifica e ne rende opportuno lo studio, riguarda senza dubbio la lingua. L’arco di quasi cinque secoli che copre lo sviluppo della tarda latinità è caratterizzato da una costante dialettica con gli auctores del periodo classico, ma la lezione di questi ultimi, nell’ambito letterario e in quello più specificamente linguistico, è continuamente sottoposta a condizionamenti sia da parte della scuola sia da parte dei nuovi modelli culturali, primo fra tutti il cristianesimo. Come pertanto è molto interessante seguire i modi della persistenza, del rifiuto e della consapevole variazione dei punti di riferimento della tradizione latina, così lo è altrettanto valutare anche gli ‘scarti’ in ambito linguistico e attribuirli, a seconda dei casi, al genere, alla personalità del letterato, alle condizioni esterne. La dialettica fra sermo litteratus e sermo cotidianus, da sempre presente nei prodotti della letteratura latina, in tale prospettiva appare arricchita di nuova documentazione sempre in equilibrio fra la fedeltà a forme autorevoli e l’apertura ai nuovi tempi. Capitolo 1 2

Due secoli collegati (III-IV) Si tende a valorizzare i prodotti del IV secolo- soprattutto quelli della cosiddetta età dell'oro della patristica- e a sorvolare sul secolo precedente, considerandolo nel confronto un’età ben diversa, povera d’idee e di prodotti letterari. Eppure, a ben vedere una frattura così consistente non è nella realtà dei fatti. È senz’altro vero che il III secolo rappresenta un’età di profonda crisi dell’assetto venutosi consolidando negli anni indietro, ma in questo senso esistono caratteri comuni con il successivo secolo IV, in quanto, pur nella diversità di contesti, motivazioni ed esiti, la visione della vita che emerge dai prodotti letterari può legittimamente essere ancora definita coscientemente ‘romana’. L’assassinio dell’ultimo degli imperatori Antonini, Commodo (192), segna la definitiva conclusione di un’età di grande fioritura artistica e di relativa stabilità politica: è proprio in pieno II secolo che il retore greco Elio Aristide, interpretando un sentimento comune, celebra la grandezza e la missione di Roma nel celebre Encomio di Roma. A distanza di due secoli e mezzo, il 24 agosto del 410 la stessa Roma viene presa e saccheggiata dai Goti di Alarico. Il concetto stesso di Latinitas è ormai ben più ampio che nei secoli precedenti, da quando l’imperatore Caracalla nel 212 estende la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’impero: Roma non è più capitale, in quanto gli imperatori per esigenze militari risiedono altrove (Milano, Treviri, Nicomedia) e anzi Costantino edifica sull’antica Bisanzio la Nova Roma, Costantinopoli, una città nata cristiana e quindi libera dalle tradizioni pagane; eppure, a maggior ragione, la violazione del riconosciuto caput mundi, del cuore storico della latinità, da parte dei barbari viene letta dai contemporanei, sia pagani che cristiani, come un evento di portata sensazionale che distrugge il mito di Roma eterna e apre un’epoca nuova. È vero che, mentre il III secolo è caratterizzato fra l’altro dalla determinazione imperiale di perseguitare i cristiani, un elemento di innegabile novità va visto nella progressiva accettazione – e poi imposizione – della religione cristiana nel corso del IV secolo, dal riconoscimento del diritto di professare il cristianesimo al pari di ogni altra religione (Galerio: 311; Costantino: 313) all’adozione del cristianesimo stesso come religione di stato (Teodosio: 380), con conseguenti persecuzioni dei pagani. Anche la letteratura segue questa linea di tendenza, per esempio l'apologetica di Tertulliano. Proprio nel IV secolo fiorisce la grande letteratura cristiana latina, rappresentata in modo maturo e compiuto dai tre venerati Padri della Chiesa (Ambrogio, Gerolamo, Agostino). 3

Pure nel mutato panorama letterario, il riconoscersi ‘romani’ rappresenta l’elemento dominante di continuità. Il grammatico Mario Vittorino e il retore Firmico Materno, nati proprio tra III e IV secolo, si convertono al cristianesimo, ma una parte consistente della loro produzione è di fatto pagana: l’esperienza di questi letterati è esemplare in questo senso, perché mostra come non è certo in base della confessione di paganesimo o di cristianesimo che si devono cercare elementi di rottura dal punto di vista letterario. Anche se la mentalità cristiana produce notevoli adattamenti della forma mentis tradizionale romana, sarà il V secolo a fare i conti con una mentalità radicalmente diversa, in cui Roma non rappresenta un punto di riferimento ideologico, ma tutt’al più l’emblema di un passato di grandezza politica e culturale.

Capitolo 2 Romani e barbari, pagani e cristiani 2.1. La crisi del III secolo Con l’assassinio dell’imperatore Commodo (31 dicembre 192) si apre un periodo di anarchia militare e guerra civile che testimonia il crescente peso politico degli eserciti stanziati nei luoghi strategici dell’impero per contrastare le minacce dei barbari. Mentre a Roma i senatori proclamano imperatore Pertinace e i pretoriani Didio Giuliano, si impone il legato Settimio Severo, sostenuto dalle legioni della regione danubiana: si inaugura così la nuova dinastia dei Severi. Settimio Severo (193-211) consolida il potere imperiale, promuove una politica di rafforzamento dell'esercito e stabilizza le frontiere. È autore delle riforme della pubblica amministrazione, coadiuvato dal giurista Papiniano. Alla sua morte, avvenuta durante una campagna in Britannia, gli succede il figlio Caracalla (211-217), che lega il proprio nome alla Constitutio Antoniniana (editto di Caracalla), cioè alla storica determinazione di conferire la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero di condizione libera. Dopo il breve regno di Macrino, viene eletto al trono dapprima il quattordicenne ed eccentrico Elagàbalo (218-222), che vuole impiantare a Roma il culto orientale di Baal, il Sole, facendosi adorare come i sovrani orientali, e quindi il debole Alessandro Severo (222-235) ucciso durante una campagna germanica. Conclusosi in tal modo il quarantennio severiano, l’iniziativa militare torna a dominare. Si tratta di un periodo di cinquant’anni di profonda instabilità politica in cui si susseguono oltre venti imperatori, che in genere durano 4

pochi mesi, morendo di morte violenta per mano delle loro stesse truppe o in seguito a un altro colpo di stato. La diversa provenienza degli imperatori (alcuni mai presenti a Roma), la brevità del loro regno e l’impossibilità di consolidare un costruttivo rapporto con il senato, da un lato, e con i pretoriani e l’esercito, dall’altro, provoca vuoti di potere; in ambito economico si accentua la svalutazione, si aggrava il calo demografico e si indeboliscono le compagini sociali. Diocleziano, eletto nel 284, mette in atto una radicale riforma dell’apparato statale, a partire dalla divisione di competenze fra due imperatori chiamati ‘augusti’, uno per la parte orientale dell’impero e uno per la parte occidentale (si affianca a tal proposito Massenzio), coadiuvati da due ‘cesari’ destinati alla successione. La divisione in due parti dall’impero ridisegna i confini delle province e le raggruppa in dodici diocesi, allo scopo di rendere più efficace il controllo dei funzionari statali, di ridimensionare l'autorità dei senatori e di fare fronte alle incursioni barbariche. Diocleziano concepisce anche un sistema di imposizione fiscale, una riforma della moneta e un editto mirato a controllare i prezzi. Tutto ciò contribuisce a contenere la crisi economica. 2.2. L’impero cristiano del IV secolo Nel 305 Diocleziano abdica e il meccanismo tetrarchico comincia ad incepparsi: annose e complicate competizioni fra augusti e cesari si risolvono con la riuscita di Costantino in occidente, che supera Massenzio nella battaglia del Ponte Milvio (312), e di Licinio in oriente, che batte Massimino Daia ad Adrianopoli (313); ma l’ulteriore sconfitta di Licinio da parte dallo stesso Costantino un decennio dopo (324) finisce per riunificare l’impero, seppur provvisoriamente, nelle mani di quest’ultimo. Costantino riorganizza l’esercito e interviene ancora in campo economico e monetario. Inaugura una nuova capitale sul sito dell'antica Bisanzio, che chiama col suo nome (Costantinopoli) e la dota di un proprio senato. Approfondisce in modo definitivo la scissione in due dell’impero a vantaggio della parte orientale, alimentando anche l’alterità culturale fra pars Orientis e pars Occidentis. Emana l'editto di Milano nel 313, che pone il cristianesimo sullo stesso piano delle altre religioni, sancendo la fine delle persecuzioni e la libertà di culto. Morto Costantino (337), l’impero viene nuovamente diviso e diventa teatro di lotte per la supremazia fra Costanzo II, Costantino III, Costante, finché il primo prevale (351) restando unico imperatore per un decennio. Alla sua morte, gli succede Giuliano (361-363), che muore sul campo durante la compagna contro i Parti. La sua passione per la filosofia greca ha facilitato la sua conversione al paganesimo (da qui 5

l’epiteto di ‘apòstata’, il rinnegatore) e tutta la sua azione politica è tesa a un anacronistico e inefficace progetto di restaurazione del paganesimo come religione fondamentale. Le popolazioni barbariche che da tempo premono ai confini fanno sentire sempre più le loro minacce. Dopo il breve regno di Gioviano, reggono le sorti dell’impero Valentiniano (364-375) in Occidente e il fratello Valente (364-378) in Oriente, impegnato in assidue operazioni di contenimento di popolazioni barbariche e clamorosamente morto nella battaglia di Adrianopoli contro i Goti, che giungono perfino a minacciare Costantinopoli. Graziano e Valentiniano II attuano in Occidente una politica di repressione del paganesimo, portata avanti in Oriente e quasi radicalizzata dal successore di Valente, Teodosio (379-395). Molto legato al vescovo di Milano, Ambrogio, il suo ruolo storico è infatti legato appunto alla svolta religiosa: appena eletto imperatore, con l’editto di Tessalonica (380) dichiara il cristianesimo unica religione dell’impero. Alla sua morte, l’impero si divide di fatto in due stati sempre più diversi per storia, cultura, modo di vita. L’impero d’Oriente, affidato ad Arcadio; quello d’Occidente, affidato al giovane Onorio, e di fatto retto dal generale Stilicone, finché il barbaro Odoacre depone l’imperatore Romolo Augustolo (476). Stilicone intraprende una fortunata serie di campagne di contenimento dei barbari, Visigoti e Ostrogoti, sempre più presenti in Italia, fino a subire l’accusa di complicità con questi ultimi ed essere quindi condannato a morte nel 408. La sostanziale incertezza nella gestione del potere e nella conseguente organizzazione di adeguate difese non può allora impedire il dilagare dei Goti, che arrivano a invadere e saccheggiare Roma il 24 agosto del 410.

2.3. La dialettica fra Impero e Chiesa Il cristianesimo risulta molto avvantaggiato dalla crisi istituzionale, economica e sociale, perché la struttura della Chiesa può progressivamente organizzarsi proprio approfittando della precarietà di quella imperiale e perché, per altro verso, i cristiani riscuotono apprezzamento anche a causa del loro costante intervento in campo sociale, e spesso economico, colmando in questo ambito il vuoto lasciato dall’amministrazione pubblica, che deve impegnare i proventi delle imposte nel continuo rafforzamento dell’esercito. Per tutto il III secolo, cioè fino all’editto di Milano del 313, il Cristianesimo deve subire le persecuzioni, ma in modo non sistematico. Per esempio, nella prima metà del secolo si registra la politica persecutoria soltanto sotto Settimio Severo e sotto 6

Massimino il Trace, mentre la storiografia tramanda l’atteggiamento opposto da parte di Alessandro Severo, generalmente lodato dalle fonti, forse a causa delle concessioni al culto mitraico e quindi al monoteismo al tempo del fratello Elagabalo. La Chiesa appare costituirsi progressivamente in una struttura ramificata e solida, sicura anche dal punto di vista economico a causa delle simpatie guadagnate presso alcuni rappresentanti delle famiglie aristocratiche, in particolare fra le matrone. Decio nel 250 scatena una grande ma circoscritta persecuzione, terminata tuttavia l’anno dopo per la morte in battaglia dell’imperatore, e analogamente si comporta Valeriano a partire dal 257-258, disponendo fra l’altro la confisca dei beni ormai cospicui dei cristiani. La pubblicistica cristiana ha quindi buon gioco a mostrare la precarietà di tali repressioni, insistendo sull’inarrestabile crescita delle conversioni e presentando anzi l’imprevista morte degli imperatori anticristiani come una giusta punizione divina. Le persecuzioni di metà secolo consentono alla Chiesa una chiarificazione interna su qualche problema di ideologia e di morale, come quello sollevato dai lapsi, cioè da quei cristiani che, dopo essere appunto ‘scivolati’ nel paganesimo piegandosi a compiere sacrifici agli dei per aver salva la vita, chiedevano di essere riammessi nella comunità cristiana, oppure quello concernente il battesimo amministrato degli eretici. L’avvento di Diocleziano, con la sua oculata politica di restaurazione comporta il rilancio dei culti pagani e la conseguente persecuzione di chi si rifiuta di seguirli: dal 303 i cristiani sono quindi oggetto di una sistematica repressione che prevede anche la confisca dei beni, la distruzione dei luoghi di culto, il rogo dei libri sacri. Già nel 311 tuttavia Galerio, augusto d’Oriente, poco prima di morire promulga un editto di tolleranza che considera il cristianesimo religio licita, cioè ammessa. Lo confermano due anni dopo, in un incontro a Milano, Licinio e Costantino, decretando fra l’altro la restituzione dei beni confiscati in precedenza e la fine dell’età delle persecuzioni (313). Costantino è il primo imperatore a dichiararsi cristiano e a farsi battezzare prima di morire e sotto di lui il cristianesimo vive una nuova stagione. Costantino, vincendo su Massenzio (306), diventa padrone dell’Occidente nel segno del dio dei cristiani e quindi non esita a cogliere il pretesto della repressione degli atteggiamenti anticristiani di Licinio, restando così unico imperatore: egli comprende infatti che favorire il cristianesimo attraverso una serie di attenzioni anche pecuniarie può tradursi nel rafforzamento del potere imperiale e stringe i legami con le gerarchie ecclesiastiche, pronto anche a intervenire per mantenere un ordine interno alla 7

Chiesa a garanzia della tranquillità generale della compagine civica. Lo stesso imperatore a promuovere ad Arles un concilio sulla controversia donatista e soprattutto a Nicea, in Bitinia, quello per dirimere alcune questioni teologiche legate al diffondersi soprattutto dell’eresia ariana, molto accreditata in Oriente e quindi capace di dividere in modo sostanziale la Chiesa (325). Sono gli stessi vescovi a invocare l’aiuto militare dell’imperatore, fino a ottenere, per esempio nel caso di Priscilliano, il primo caso di condanna a morte del capo di una setta (385). Il breve regno di Giuliano l’Apostata (361-363) non costituisce che una parentesi in un processo ormai assodato; ma, a dimostrazione del radicamento della mentalità cristiana, va detto che l’imperatore, educato da cristiano, cerca di restaurare il paganesimo, praticando in prima persona una vita ascetica e insistendo su forme di istruzione simili all’educazione dei catecumeni (cioè di chi si preparava a ricevere il battesimo), sull’opportunità di creare una classe sacerdotale gerarchica, sulla necessità di interventi sociali a favore dei meno abbienti. Il tentativo risulta inefficace, anche perché perfino all’interno dell’aristocrazia di antica tradizione esistono ormai esponenti illustri del cristianesimo. È anzi evidente che ben presto sono i rappresentanti del ‘partito’ pagano a doversi preoccupare di mantenere i propri privilegi, come dimostra la questione dell’Ara della Vittoria, in cui l’imperatore assiste a una prova di forza tra uno dei politici pagani più in vista, Simmaco, e Ambrogio, vescovo di Milano. Proprio l’ingerenza dei vescovi nella sfera politica e in particolare l’ascendente del vescovo Ambrogio è un segno dei tempi. Alcuni gesti sono fortemente significativi, come la deposizione delle insegne di pontefice mas...


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