Fare teatro sociale PDF

Title Fare teatro sociale
Author Marta Ferraro
Course Animazione teatrale
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Dispense...


Description

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Che cos’è un progetto di Teatro sociale? Definizione Un progetto di teatro sociale è un’azione socioculturale di tipo complesso, è articolata in una durata medio-lunga; coinvolge persone, gruppi e comunità; è condotta da professionisti in partnership con vari soggetti; ha finalità di promozione del benessere relazionale, comunicativo e simbolico; utilizza strumenti e linguaggi dell’area performativa e di quella psicosociale; si sviluppa per fasi e azioni specifiche. Non è corretto definire “progetto di Teatro Sociale”, per esempio, un semplice laboratorio di teatro in una scuola (anche se il laboratorio è uno degli strumenti del teatro sociale), un’attività che comincia e finisce lì. L’obiettivo del TS è sempre più grande, o meglio, parte dal piccolo per incidere su realtà più grandi: pertanto un progetto di TS ha se mai come obiettivo quello di migliorare le relazioni all’interno di quella scuola. “Se ci viene richiesto dal preside di fare semplicemente un laboratorio teatrale con la classe seconda, come si può partire da lì perché l’azione non sia il progetto ma sia la prima azione di un progetto più complesso che riguarda la scuola?”. Chi fa il progetto? 1) L’equipe professionale Il progetto è svolto dall’equipe professionale composta dai professionisti del TS. Vista la natura complessa del TS, la professionalità comporta competenze teatrali e sensibilità psicosociali: l’operatore di TS anche se non è uno psicologo, un educatore ecc. deve avere consapevolezza per le dinamiche affettive personali e interpersonali e di come certe azioni producano in soggetti individuali e collettivi trasformazioni nella percezione e nella costruzione di sé e delle proprie relazioni. In certi contesti (ambito sanitario ecc.) è necessario che nell’equipe siano previsti professionisti per es. relativi all’area medica e psicologica. La dimensione di equipe è la dimensione necessaria del TS: un individuo singolo non può possedere tutte le competenze richieste. Inoltre, nella stessa equipe devono esistere quelle dinamiche di incontro e di ascolto che – a livello più grande – qualificano le relazioni tra equipe e gruppo. 2) Partners di comunità: istituzioni, referenti di comunità, altri professionisti All’origine di un progetto – al cui centro c’è il gruppo/la comunità – ci sono molti possibili soggetti, ma il più frequente tuttavia sono le istituzioni territoriali e di comunità: l’assessorato della città o della regione, il preside della scuola, o il presidente di un’associazione ecc. Sono dunque le istituzioni e le persone che le rappresentano i primi partner del progetto perché sono coloro dai quali proviene il mandato progettuale. Solitamente sono essere istituzioni pubbliche (città, provincia, regione ecc.) oppure del privato sociale (associazioni, cooperative ecc.). 3) Il gruppo/la comunità. Il progetto nasce dall’incontro e dall’ascolto del gruppo, e deve prevedere nella sua propria struttura la possibilità di modificarsi. Struttura flessibile e aperta. 1

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Per chi? I destinatari Tutti coloro che ne sono coinvolti: non solo il gruppo ma anche l’equipe, e coloro che ne riceveranno gli esiti performativi (genitori, insegnanti ecc.). Imparare a costruire nuove relazioni nel progetto significa portare queste nuove relazioni anche fuori, nella propria vita. Perché? Finalità La finalità generale di un progetto di TS riguarda l’esperienza relazionale e simbolica delle persone che vi sono coinvolte. Si tratta di favorire processi di cambiamento e di empowerment delle identità personali nella relazione con l’altro: creare condizioni espressive efficaci; stimolare l’apprendimento di modalità comunicative; sollecitare la capacità di ascolto, riscoprire – grazie al teatro – una dimensione integrata di corpo, immaginario, emozioni; valorizzare la dimensione creativa come condizione di benessere. L’obiettivo è che questo innalzamento della qualità riguardi tanto singolo quanto il gruppo. Per arrivare a questa meta è facile imbattersi in grandi problemi, soprattutto se si lavora con gruppi che vivono una condizione di marginalità sociale (v. l’animazione Marco Cavallo raccontata da Giuliano Scabia). Il lavoro di TS parte dall’ascolto del bisogno di affermazione di sé, della volontà di un riconoscimento sociale, volontà che può anche esprimersi attraverso atti forti. Si tratterà allora di trovare attraverso il teatro – cioè la dimensione del come se – le forme adeguate perché anche i vissuti distruttivi di un gruppo trovino una metafora simbolica efficace a esprimerli e renderli comunicativi, dunque trasformabili. Lavorare in questi contesti implica lavorare con i conflitti e con le mediazioni: occorre grande capacità di governance di sé e del lavoro. Come si fa? L’ideazione è il momento di avvio del progetto. Comunque nasca lo stimolo per un intervento di TS – che sia dovuto a una richiesta istituzionale, o da un gruppo o comunità, oppure da un interesse degli operatori di TS – l’ideazione nasce comunque dal riconoscimento di un bisogno e di un desiderio presenti nella comunità con cui si intende lavorare. C’è una condizione umana, ovvero un tema che attraversa quella comunità e che chiede di essere espresso: può essere un tema drammatico come il bullismo, oppure l’esclusione professionale, ma può essere tema non necessariamente intriso di “conflitti”, come ragionare sulla condizione femminile, sull’integrazione, sull’handicap. La cosa importante è che l’ideazione nasce sempre dall’ osservazione concreta di quella precisa comunità, dai suoi bisogni, dall’ascolto. Progettazione – fase I È la fase del contatto, della mappatura e della formazione dell’equipe. Contatto: si tratta di incontrare e conoscere coloro con cui si intende lavorare. Ciò può avvenire cercando contatti occasionali e poi via via definendo opportunamente gli incontri; frequentando i luoghi; qui interviene anche la mappatura – che consente di rilevare la 2

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presenza di gruppi identitari, del loro ruolo e delle loro competenze. Per la mappatura, si può incominciare dalle informazioni fornite dagli enti territoriali di servizio. Sempre per stabilire il contatto, si possono creare eventi festivi a cui invitare le persone di una comunità e che consentano loro di conoscere il linguaggio teatrale con si intende lavorare e il tipo di relazioni che si desidera instaurare. Nella fase di contatto si conosce e ci si fa conoscere: intervengono strumenti come l’intervista, ma anche occasioni di danza e di libera espressività… Il contatto, la mappatura, l’osservazione consentono di costituire l’ equipe di progetto e l’equipe di conduzione (che possono coincidere), cioè quali persone è opportuno coinvolgere e a che titolo insieme ai professionisti del TS: per esempio, chi nella scuola può essere interessato a coinvolgersi insieme al professionista? Se si lavora con un gruppo di adolescenti, magari in una situazione di marginalità, è opportuno coinvolgere un musicista oppure un esperto di danza hip hop per facilitare espressività e comunicazione delle esperienze? Se lavoriamo con donne di diverse culture, un ruolo importante sarà svolto dal mediatore culturale? Chi fa cosa nell’equipe? Come lavora l’equipe di progetto? Ogni quanto si trova? Che rapporti ha con l’equipe di conduzione? Progettazione fase II: la stesura del progetto Il testo progettuale è uno strumento di lavoro che serve a costruire e comunicare l’intervento. Non è definitivo e chiuso, ma è piuttosto una struttura che viene definendosi in rapporto agli avvenimenti. La griglia è così composta: -

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Premessa generale: qui si descrivono sia gli ambiti dell’intervento e le caratteristiche della comunità per le quali tale intervento è “richiesto”, sia le particolarità del Teatro sociale come strumento (per esempio, nel caso di un intervento con disabili, si spiegherà che cosa nella loro esperienza può essere valorizzata e quale empowerment possono ricevere dall’esperienza teatrale). Nella premessa, va anche sinteticamente offerto un curriculum vitae dei professionisti di TS, che illustri le esperienze pregresse e in generale il profilo professionale. Destinatari: a cui è rivolto l’intervento e con che ruoli verranno coinvolti. Finalità generali: vengono indicati i macro obiettivi. Per esempio, nel caso dei portatori di handicap, le finalità generali possono essere: la valorizzazione delle capacità espressive e relazionali individuali. Oppure la finalità generale può anche essere principalmente un lavoro di sensibilizzazione: per esempio un progetto sulla memoria di un territorio che può avere come finalità la valorizzazione del patrimonio identitario… Obiettivi specifici: sono quelli che indicano più concretamente la finalità dell’intervento. Prendendo ancora l’esempio dei disabili, i cui obbiettivi generali erano la valorizzazione delle capacità espressive e relazionali, obiettivi specifici possono essere: lo sviluppo di competenze corporee e vocali, il sostegno alla verbalizzazione dei sentimenti e delle emozioni, lo sviluppo di competenze

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espressive legate ai linguaggi del teatro di figura (costruzione e animazione di marionette e burattini). Azioni di intervento: indicano come avverrà il raggiungimento degli obiettivi. Che cosa accadrà. Per esempio: un laboratorio espressivo corporeo, con un monte ore dedicato alla costruzione dei burattini, incontri programmati con altri soggetti della comunità (non coinvolti nel lab) per mostrare alcune fasi del lavoro, momento finale di presentazione degli esiti del laboratorio. Anche una festa – all’inizio o alla fine, cui partecipano tutti i soggetti variamente coinvolti – rappresenta una delle azioni di intervento, e può servire come coronamento del percorso, o come “calcio d’avvio”. Durata e articolazione: la durata riguarda tutte le fasi, dunque anche quelle di ideazione e le ultime di verifica. Si stila un calendario comprensivo di orari per ogni singolo appuntamento. Equipe: per ciascun partecipante dell’equipe – di progettazione e/o di conduzione – si indicano i ruoli e le competenze Metodologie di lavoro e linguaggi: si precisa quali linguaggi verranno usati, soprattutto teatrali. Modalità di verifica e valutazione: verifiche in itinere e verifica finale. Spazi strumenti e risorse: quale tipo di spazio occorre, quali strumenti video, fonici, di materiali ecc. Costi: preventivo che calcoli le diverse voci (risorse umane, affitto spazi, materiali)

All’inizio, questa articolazione progettuale è indicativa. Infatti possiamo distinguere alcuni momenti di vita del testo progettuale. Il preprogetto o l’idea progettuale – che viene steso dall’equipe in risposta a una opportunità (un bando, una scadenza legislativa, un’iniziativa del comitato di quartiere), oppure su richiesta di un soggetto o anche come prima sollecitazione a un soggetto. Esprime le linee essenziali dell’intervento, è sintetico (max 2 pagine). Il preprogetto intende verificare se c’è interesse, anche in termini di sostegno finanziario, verso la proposta. Il testo progettuale reale è quello che emerge dalla fase di progettazione II, in cui la conoscenza del contesto su cui si va a operare può far apportare modifiche, anche molto rilevanti, al preprogetto. Infine, Il testo progettuale definitivo è invece costituito dalla memoria del percorso, dal suo “racconto”. Il laboratorio È una delle azioni di intervento più frequenti del TS. È particolarmente efficace quando si lavora con un gruppo, quando sia necessario uno spazio-tempo separato (altro dal quotidiano): nel laboratorio si approfondiscono le competenze espressive legate al corpo, alla voce, alla creazione drammaturgica. Gli esercizi descritti nella seconda parte del libro di Ghiglione e Pagliarino entrano nel dettaglio di ciò che si fa. Il laboratorio è dunque uno spazio “altro” destinato all’incontro e al gioco del “come se…” Il laboratorio non è l’unica forma di intervento: esistono per esempio pratiche volte a creare delle ritualità collettive. Con l’ausilio anche di attori professionisti, si creeranno feste, parate, apertivi teatrali, momenti conviviali che possano cementare i legami nella comunità. Ciò vale per i quartieri come per le case di accoglienza, le case-famiglia ecc. Si 4

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veda per esempio e il progetto di Community Dance partito nel 2012 e, qualche anno fa Il teatro domestico di via Arquata, per un quartiere di edilizia popolare a Torino. In questo secondo esempio, riqualificare il quartiere ha significato anche creare relazioni fra i vari abitanti: sia attraverso un laboratorio di teatro di narrazione in cui condividere storie e saperi, sia attraverso uno scambio di ospitalità in varie case dove darsi appuntamenti conviviali (il rito del te, dell’aperitivo ecc.) e scambiarsi anche storie ed esperienze. Ciò che ne è emerso è stato anche rielaborato in forma di spettacolo e presentato in varie occasioni pubbliche. Il riferimento storico è la pratica del “baratto” culturale (scambio di patrimoni teatrali, storie ed esperienze) elaborato da Eugenio Barba. La comunicazione: spettacolo, performance o altro Lo spettacolo non è il fine ma una delle forme che prende l’intervento: è uno dei modi che il gruppo usa per comunicare alla comunità di cui fa parte ciò che è stato il percorso. Il gruppo cioè desidera aprire e condividere la propria esperienza con gli altri. È comunque un momento di visibilità del progetto stesso, e come tale solitamente richiesto dalle istituzioni committenti. Non pensiamo per forza a uno spettacolo in teatro – anche se Lo splendore delle età per esempio ha avuto questo esito, debuttando al Gobetti di Torino. In un altro progetto condotto all’Ospedale San Giovanni Antica Sede di Torino il percorso di incontro e narrazione della malattia da parte dei malati di cancro, operatori sanitari, familiari, ha dato vita a uno spettacolo in forma di viaggio itinerante negli spazi dell’ospedale stesso: c’era una struttura processionale a stazioni, e occasioni conviviali che aprivano e chiudevano il “viaggio”. Verifica, valutazione e riprogettazione La verifica muta i propri obiettivi a seconda di chi la fa: -

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Per esempio, le istituzioni verificano la bontà dell’intervento attraverso il grado di partecipazione, coinvolgimento e visibilità sui media, con particolare attenzione al dato quantitativo. Mentre per l’equipe è importante verificare l’efficacia rispetto al cambiamento personale e del gruppo. La questione di come misurare le azioni socioculturali in termini di produzione di cambiamento e benessere non è una questione semplice ed esistono vari strumenti di verifica. Il testo non si addentra nella questione, ma sottolinea che ciò che è importante, in ogni caso, è che ogni membro dell’equipe si chieda spesso e si confronti con gli altri a proposito della coerenza tra quello che si fa e gli obbiettivi. Questo serve anche a tenere a bada i narcisismi. Le verifiche in itinere devono essere programmate come date e ore, e che ci sia un supervisore esterno all’equipe proprio per guadagnare uno sguardo più spassionato, non coinvolto. La valutazione è la chiusura, il consuntivo dell’esperienza: serve a ripercorre l’esperienza per assimilarla e comprenderla in ogni sua parte (anche per ciò che non ha funzionato) ed eventualmente riprogettarla. 5

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600.000 E ALTRE AZIONI TEATRALIPER GIULIANO SCABIA: Teatro di partecipazione e animazione teatrale: è Giuliano Scabia a sperimentarli per la prima volta a Torino, nel primo grande Decentramento Teatrale del 1969/70. Quattro quartieri-ghetto per immigrati, attraversati da lotte sociali e sindacali in pieno “autunno caldo”, si trasformano in un immenso laboratorio teatrale: a Mirafiori Sud, Le Vallette, La Falchera e Corso Taranto prendono forma azioni di strada, spettacoli di teatro politico e d’inchiesta, esperienze pionieristiche con i bambini e un happening non-stop di 33 ore sul manicomio. Queste pagine raccontano le utopie, i boicottaggi, le mediazioni di quell’esperienza, entrando nell’officina sperimentale di Scabia (e della neonata Assemblea Teatro) alla ricerca di un teatro di scontro e contraddizione, “con” e “per” la comunità.

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