Foscolo la lettera da ventimiglia PDF

Title Foscolo la lettera da ventimiglia
Author Ilaria Ciocari
Course Letteratura
Institution Liceo (Italia)
Pages 4
File Size 67 KB
File Type PDF
Total Downloads 72
Total Views 139

Summary

appunti sulla lettera da ventimiglia...


Description

Foscolo la lettera da ventimiglia.

Lettera del 19 e 20 febbraio, dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, Foscolo Ugo. In questa lettera, Jacopo, giunto presso il confine a Ventimiglia, fa una serie di considerazioni riguardo la religione, la natura, la compassione e sull’uomo in generale. Concezione natura Emerge l’immagine id una natura arida, che tiene poco in considerazione l’uomo, vedendolo alla stregua di “vermi”, senza una particolare importanza. Una natura che è quindi solitaria, fatta solamente di “rocce, montagne e torrenti”, dove manca vitalità. Si tratta di una natura “minacciosa”, che “caccia” l’uomo e ne rifiuta la presenza, proseguendo per il suo corso senza tenere in considerazione il bene del singolo, seguendo le sue leggi che vanno oltre l’uomo. L’uomo è lasciato a se stesso e non riceve alcun aiuto. Si tratta di una natura stato d’animo, che rispecchia le emozioni provate da Jacopo in quel momento. Jacopo, infatti, ne vede solo gli aspetti negativi. Jacopo dice che non c’è un fine nella vita, non c’è una ragione per cui veniamo messi al mondo, non c’è uno scopo unico. La natura ci ha messi al mondo senza uno scopo. Anche Leopardi avrà questa concezione della natura. Infatti, prenderà spunto da quella di Foscolo. La natura, dandoci la vita, non ci ha fatto un regalo, ma ci ha dato due volte un motivo per cui dolerci: ci ha messi al mondo senza un perché e ci ha dato la ragione, che ci fa rendere conto del dolore che proviamo e ci fa pensare ad esso. La ragione si rivela essere un’arma a doppio taglio. Ci fa rendere conto della nostra condizione misera. Questo concetto uscirà poi anche in Leopardi, che lo svilupperà nei Canti e nelle Operette morali. Gli animali stanno meglio rispetto l’uomo, perché a loro, la ragione, la natura non l’ha data. Non mette comunque in dubbio l’utilità della ragione, ma ne fa emergere l’aspetto negativo. Concezione storia Per Jacopo la storia prosegue oltre il volere umano. L’uomo non è l’artefice del proprio destino, ma “le sciagure derivano dall’ordine universale”, è questo ordine a decidere per noi. È qualcosa di superiore all’uomo che guida la storia. Inoltre il passato ha un particolare effetto sull’uomo, ovvero quello di suscitargli superbia, ma non è abbastanza per risvegliarlo dall’inerzia in cui si trova. Questo probabilmente dipende dal fatto che la storia non dipende da lui. L’uomo riproduce sempre lo stesso momento, non è in grado di imparare dalla storia. Ciò che comanda nella storia è la forza, la violenza. L’uomo è portato alla forza, alla violenza sempre. Jacopo ha una visione della storia negativa. La si può definire nell’espressione hobbesiana “Homo homini lupus”, ovvero che l’uomo è lupo per gli altri uomini. La visione di Foscolo della storia è estremamente drammatica. Questo è dovuto anche alla sua esperienza. Infatti, fa questa riflessione dall’esilio, come lo è anche Jacopo a Ventimiglia. La storia non insegna, perché l’uomo fa sempre gli stessi errori, non impara. Farà la stessa considerazione Montale durante il fascismo. Questa visione negativa della storia è dovuta anche alla situazione particolare storico-politica in cui si trova.

Religione Per Foscolo l’uomo si rifugia nella religione in quanto non trova felicità in terra. Definisce gli Dei “protettori della debolezza”, in quanto non danno certezze all’uomo, ma lo nutrono di false speranze. Infatti, Foscolo dice che gli Dei in realtà “si vestono delle armi dei conquistatori”. La religione diventa cioè espressione del potere, sopprimendo di fatto i popoli, illudendoli. È uno strumento utilizzato dal potere per controllare la popolazione, per comandare. I potenti la utilizzano per governare ed opprimere i popoli. jacopo contrappone l’Italia contemporanea alla situazione italiana del passato. Jacopo contrappone la situazione contemporanea dell’Italia con quella del passato, dicendo come prima dell’arrivo dei Romani gli “antichi Italiani” usassero sbranarsi. In questo modo sottolinea il lavoro di unificazione che hanno fatto i Romani. In questo periodo gli Italiani sono stati liberi, anche a scapito della libertà di altri popoli, che provavano terrore davanti la gloria dell’Italia, non attaccandola. Però, il pensiero di questa grandezza passata non è sufficiente per far riscattare gli italiani e spronarli a ribellarsi allo stato di oppressione in cui si trovano. Se una volta l’Italia era grande a tal punto che gli altri popoli ne avevano paura, ora al contrario è lei ad avere paura degli altri e a non essere in grado di riscattarsi. Alla fine della lettura si parla di morte e sepolcro. L’autore esprime il suo desiderio-volontà di venire sepolto nella sua patria, in quelle terre che tante volte hanno accolto i suoi dolori e le sue “membra affaticate”. La sua patria sarà l’unica ad “udire il suo lamento”. In questo capiamo come Jacopo voglia trovare la morte nella sua terra natia. Inoltre esprime la possibilità per il suo “spirito doloroso” di venire confortato dopo la morte, ammesso che le passioni vivano dopo il “sepolcro”. Si capisce, quindi, come Jacopo trovi la tranquillità e l’arresto dei dolori nella morte. Nel testo compare la virtù della compassione Le altre virtù che Foscolo rifiuta sono “usuraie” perché richiedono sempre qualcosa in cambio. La Compassione, invece, non lo fa e per questo è l’unica vera virtù. L’uomo prova compassione nei confronti del compagno che si trova nella sua stessa situazione disagiata, capendone dolori e sofferenze, senza aspettarsi qualcosa in cambio. È una sorta di sentimento reciproco che unisce gli uomini nel dolore, spingendoli a ritrovarsi uno nell’altro e a supportarsi a vicenda. La Compassione crea così solidarietà. È disinteressata, non implica una risposta in cambio. È l’unica secondo Foscolo che si può chiamare virtù, in quanto la si prova e non ci si aspetta niente in cambio.

Ultime lettere di jacopo ortis La prima edizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis è a Bologna nel 1798; l’editore Marsigli aspettava che Foscolo consegnasse la parte finale dell’opera, così da ultimare la pubblicazione. Gli Austro-Russi incalzano e Foscolo, ufficiale dell’esercito napoleonico, interrompe la stesura per

andare a combattere. L’editore, che crede nel romanzo, affida gli appunti dell’autore ad Angelo Sassoli: sarà lui a completare il romanzo. L’opera viene pubblicata nel 1798 a insaputa dell’autore, di cui si può immaginare il disappunto non appena ha notizia di quanto accaduto. Sconfessata l’opera, la ripubblica nel 1802 a Milano, revisionata e col titolo odierno, Ultime lettere di Jacopo Ortis. La ripubblicherà ancora due volte: a Zurigo (1816) e a Londra (1817). Il primo titolo scelto per il romanzo fu: Vera storia di due amanti infelici. L’Ortis offre una meditazione sulla politica, sulla filosofia, sull’oblio e la morte, sulle virtù, sulla storia. Da un punto di vista concettuale, e certamente politico in senso ampio, Ortis è un eroe risorgimentale, e vede la Storia toccare il destino del singolo; il protagonista è disperato per il momento storico che sta vivendo: questo aspetto manca nel Werther, e sarà ripreso da Manzoni. Ultime lettere di Jacopo Ortis è un libro che certamente soffre il fatto di essere stato il primo tentativo di romanzo italiano e la prima opera compiuta di Foscolo: tuttavia lo è stato per la forma scelta, ma il linguaggio, ancora intriso di lirismo, lo assimila alla confessione di un’anima romantica. È comunque opera potente di un Foscolo che mostrava a tutti, e per primo a sé stesso, la tempra della sua anima guerriera. Le prime parole del libro Ultime lettere di Jacopo Ortis sono di Lorenzo Alderani al lettore: cerca la sua benevolenza e affida alla sua compassione la storia del suo caro amico, morto suicida. La vicenda prende il via l’11 ottobre del 1797, in coincidenza con il Trattato di Campoformio: il giovane Ortis, patriota veneziano e sostenitore di Napoleone Bonaparte, scrive disperato all’amico Lorenzo: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia». Con il Trattato, infatti, Venezia è stata ceduta alla nemica Austria; Napoleone si è rivelato un traditore degli ideali di libertà. Jacopo è nelle liste di proscrizione: se catturato, rischia di essere messo a morte. Esule e ramingo, fugge sui Colli Euganei. È disperato, solo, tradito nei suoi ideali più alti. Qui vive in solitudine, cercando poche volte la compagnia della gente del posto, leggendo Plutarco. Conosce Teresa, che desta una fortissima impressione in lui. Sente l’anima in tempesta, travolta dalla sensazione di aver incontrato una donna fatale. Ma la fanciulla è promessa sposa di Odoardo, giovane colto, educato, ma freddo, poco incline a passioni autentiche. Jacopo si intrattiene spesso nella casa di Teresa, insegna a leggere e a scrivere a Isabella, sorellina di Teresa. Si sente sereno. Durante una gita ad Arquà per visitare la tomba di Petrarca, Teresa gli confessa che non ama Odoardo, ma dovrà sposarlo per non disubbidire al padre. Intanto Odoardo lascia i Colli Euganei. Dopo un breve passaggio a Padova, Jacopo, torna da Teresa: l’affetto si fa sempre più forte e i due infine, si baciano: «Sì, Lorenzo! – dianzi io meditai di tacertelo – Or odilo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa – d'un suo bacio – e le mie guance sono state inondate dalle lagrime di Teresa. Mi ama – lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l'estasi di questo giorno di paradiso» (lettera del 14 maggio 1797, ore 11). Quel momento così sublime turba entrambi: Teresa trema quando vede il padre, sentendosi scoperta; Jacopo è preda della malattia d’amore. Sente che è necessario mettersi in viaggio. Va a Bologna, a Milano, dove incontra Giuseppe Parini, con cui ha un intenso colloquio; a Firenze, dove visita la Basilica di Santa Croce; e poi è a Ventimiglia, dove medita con lucidità e pessimismo sulla storia e sui destini dell’uomo; vorrebbe andare in Francia, ma desiste. Tocca Alessandria, Rimini, Ravenna: qui visita la tomba di Dante, il grande poeta esule, come esule era lui. Apprende la notizia che Teresa e Odoardo si sono sposati; Ortis medita allora il suicidio e si

accinge a pianificarlo nei dettagli. Fa ritorno ai Colli Euganei, si chiude nello studio, esaminando tutte le sue carte: ne distrugge alcune. Va dalla madre, per un ultimo abbraccio. Non manca di scrivere due ultime meravigliose lettere: una a Lorenzo e una a Teresa. Predisposta ogni cosa, si uccide. Gli ultimi istanti della vita del protagonista ci sono raccontati nella ricostruzione di Lorenzo....


Similar Free PDFs