Funes - Riassunto sul racconto contenuto all\'interno della raccolta \"Finzioni\" di Borges. PDF

Title Funes - Riassunto sul racconto contenuto all\'interno della raccolta \"Finzioni\" di Borges.
Author Giulia Gotti
Course Critica e teoria della letteratura
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Riassunto sul racconto contenuto all'interno della raccolta "Finzioni" di Borges....


Description

Il racconto fa parte del libro Ficciones (Finzioni), edito nel 1944, della seconda parte, Artificios. La storia è piuttosto semplice e per lo più lineare. Jorge Luis Borges nella premessa a questa seconda parte del libro sostiene che il racconto Funes el memorioso “ è una lunga metafora dell’insonnia”. Non solo. Forse, a prescindere dalle reali intenzioni del suo autore, il racconto travalica il suo significato primigenio e sfocia in altro, in qualcosa di più profondo. La storia è semplice e lineare. Ireneo Funes, legato al narratore da una conoscenza occasionale e quasi del tutto superficiale, in giovane età rimane paralizzato dopo un incidente a cavallo. Da quel momento in avanti la sua memoria diviene prodigiosa (e dunque mostruosa) e la sua vita si biforca: da una parte quella psichica ossessionata e condannata dalle funzioni sproporzionate che ha raggiunto la sua memoria, e dall’altra l’immobilità fisica che lo vede costretto a vivere tutti i suoi giorni in una stanza e, al più, verso sera, a guardare una minima porzione di mondo dalla finestra. La vista che Ireneo Funes gode dalla finestra però non è quella potenzialmente infinita di Leopardi bensì una visione realmente infinita perché ogni oggetto, ogni colore, ogni sfumatura, ogni alito di vento vengono percepiti dal protagonista in maniera lancinante e perfetta, totale, e, peggio, ogni particolare registrato rimanda la mente di Ireneo ad altri ricordi memorizzati che a loro volta richiamano altri ricordi, e così via in maniera esponenziale. C’è da notare che già all’inizio, durante il primo incontro fugace del narratore con Ireneo Funes, questi era conosciuto in paese per una sua dote particolare, di nuovo in qualche maniera mostruosa, la capacità di sapere sempre l’ora esatta, in qualsiasi posto si trovasse, senza esitazione. La sua stessa condizione si indovina essere quella di un personaggio singolare nella piccola comunità. E d’altronde il periodo storico, fine 1800, ci consegna un mondo ancora rurale ma già pronto a lanciarsi nel nuovo secolo, che sarà il secolo dell’industria e delle invenzioni, dei meccanismi, delle grandi esposizioni commerciali e scientifiche, dunque un mondo sospeso tra due visioni della vita, una (al tramonto) ancora semplice e in qualche modo magica e una seconda (agli albori) pronta ad ubriacarsi di tecnologia al punto tale da farne la propria religione e la propria forma accettabile di magia. La prima parte del racconto serve, classicamente, a dare una quadro al racconto stesso. Il narratore garantisce sulla verità di ciò che andrà narrando, definisce il periodo temporale (1884-1887), la zona geografica (Fray Bentos), il tipo di rapporto che lo ha legato al protagonista, il numero di volte in cui lo ha incontrato (tre) e ci specifica anche che la sua testimonianza sarà imparziale e, si intuisce, andrà a far parte di un qualche compendio insieme ad altre testimonianze sulla figura di Ireneo Funes el memorioso, che dunque – immaginiamo - deve aver raggiunto una fama che ha travalicato i confini della cittadina dove si svolgono i fatti, anche se non sappiamo la natura di questa fama, se sia considerato una sorta di freak da circo o un caso medico o un personaggio popolare e folclorico. Questo primo approccio, oltre a fornire al lettore i primi dati per circoscrivere un periodo, un luogo e dunque un’atmosfera, serve a stringere col lettore il cosiddetto patto di credulità. E’ l’io narrante stesso che ha vissuto ciò che racconta, dunque va creduto. La parte centrale ci propone le circostanze del primo incontro, casuale e fugace (nel “giorno sette febbraio dell’anno ottantaquattro”), dove intravvediamo Ireneo poco più (o poco meno) che bambino che corre e, senza interrompere la sua corsa risponde alla domanda del cugino del narratore che gli chiede che ore sono. La risposta, >, fornita quasi come un riflesso condizionato, senza la mediazione di un pensiero razionale ci fornisce le prime indicazioni di una forma di diversità che in qualche modo affligge il ragazzo, anche se ancora non sappiamo se si tratti di virtù o di patologia. La terza parte ci informa dell’incidente occorso al protagonista, della sua infermità e del conseguente dono (o condanna) che l’incidente ha portato come sua conseguenza. Non è importante indagare la causa medica, né se questo potenziamento abnorme della memoria sia verosimile o meno nella realtà al di fuori della pagina scritta, ciò che importa sono le sue conseguenze. Il narratore, e dunque testimone oculare della vicenda, si trova a Fray Bentos, siamo nel 1887, ha con sé una serie di testi in latino, e un dizionario, col quale si aiuta. Venutolo a sapere Ireneo chiede di poter fruire per qualche giorno di qualche testo latino e del dizionario. La richiesta è singolare, e così pare al narratore, che gli fa comunque avere il Gradus ad Parnassum di Quicherat e la Naturalis Historia di Plinio. Dopo pochi giorni il narratore riceve un telegramma poco rassicurante sulle condizioni di salute del padre e, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, si reca alla casa di Ireneo per tornare in possesso dei suoi libri. Da qui in avanti Borges posiziona il vero nucleo filosofico del racconto, il reale motivo del suo narrare. L’io narrante

entra nella stanza di Ireneo, ma la stanza è buia, e può solo sentire una voce che parla correntemente in latino. Per tutta la durata della sua conversazione col protagonista non avrà modo di distinguerne i lineamenti, solo col sopraggiungere delle prime luci della mattina vedrà il volto del suo interlocutore. Anche in questo caso il tema della cecità, seppur temporanea e causata non da malattia ma da cause esterne, è importante per Borges. E’ addirittura essenziale perché rappresenta il modo (il medium) con cui Borges percepisce il mondo. Il mondo di Borges infatti è chiaroscuro, non per forza cupo, ma eternamente circonfuso di ombre. Ma alle ombre ed alla difficoltà di mettere a fuoco del narratore si contrappone la lucidità folle di Ireneo che, scopriamo, è letteralmente condannato a ricordare tutto. Nulla sfugge alla sua capacità mnemonica, neppure il più piccolo particolare, ed egli è sprovvisto di una capacità selettiva che gli permetta di isolare i particolari essenziali da quelli importanti dagli aspetti secondari da quelli irrilevanti. Ciò che fa del suo potenziale dono una condanna è esattamente questo aspetto: da una parte l’obbligo a ricordare ogni cosa, e dall’altra l’impossibilità di posizionare gli infiniti particolari registrati lungo una scala di priorità. E infatti Ireneo racconta e spiega i suoi progetti assurdi (e sostanzialmente dementi) di ridenominazione dei numeri secondo un criterio che può essere valido solo per lui, perché basato su nessun tipo di logica ma solo su un gioco mnemonico. Anche i suoi piani di archiviazione dei suoi ricordi sono folli e irrealizzabili perché lo costringerebbero a vivere tutta la sua esistenza in quello sforzo ben sapendo che non potrebbe portare a termine neppure la sistematizzazione dei ricordi della sua infanzia. Sono due progetti che lo stesso narratore definisce folli, ma nei quali riesce ad indovinare “una certa balbuziente grandezza”. A questo punto il racconto è terminato. Torniamo ad essere edotti su altri - pochi - aspetti della vita di Ireneo Funes, tipo la sua età all’epoca dei fatti, cioè 19 anni, e la causa della sua morte, nel 1889, una congestione polmonare. Ancora una volta Borges torna a parlarci, all’interno di una struttura narrativa semplice e tradizionale, quasi banale, di temi assoluti, come l’infinito. La memoria di Ireneo infatti non è altro che una delle incarnazioni possibili dell’infinito e dell’impossibilità dell’uomo non solo di gestirlo, ma addirittura di capirlo. Funes pare infatti essere in completa balìa della sua menomazione e, per buona parte, neppure capace di comprenderla fino in fondo. Ne intuisce i limiti solo quando la misura con la limitatezza della sua esistenza. Sa che morirà prima di aver terminato di ricordare ogni aspetto della sua infanzia. Eppure questo non lo porta a ragionare sulla natura della morte, e dunque sul senso della vita, bensì gli pone problemi da ragioniere su quanti ricordi memorizzare e su come sistemarli. Il problema non è, per lui, il significato quanto piuttosto la quantità. Ma la quantità pone gli stessi limiti del significato, perché non si lascia cogliere, si moltiplica in continuazione in un gioco di specchi che replicano ogni particolare all’infinito esattamente così come ogni ricordo crea una catena di ricordi che ne crea a sua volta un’altra, e così all’infinito. Più che non di fronte al dramma del non poter non ricordare ci troviamo faccia a faccia col dramma dell’inutilità del ricordo perché esso stesso soverchia il significato e lo annulla nella ripetizione infinita di immagini e sensazioni inutilizzabili. Finzioni» a metà degli anni cinquanta ha fatto conoscere Jorge Luis Borges in Italia, nella storica traduzione di Franco Lucentini del 1955 uscita per Einaudi. Una raccolta di brani complessa e densa di riferimenti letterari su autori classici e contemporanei allo scrittore argentino, dal Don Chisciotte raccontato descrivendo gli sforzi nel lavoro di traduzione di Pierre Menard, a Herbert Quain di cui viene analizzato il valore letterario. Nel resto dell’opera prevalgono le componenti legate al genere fantastico. Si inizia con una storia di fantascienza dedicata al pianeta di Uqbar, portatore di una cultura capace di stravolgere ogni nostra sicurezza, per arrivare al thriller, presente in una forma originale ne «La morte e la bussola», passando per altri brani dove regnano come si annuncia nel titolo le finzioni, intese come una visione alternativa della natura umana e della storia. Un libro su cui è doveroso ma non semplice riflettere, che spazia dalla filosofia ai temi sociologici, questi ultimi sviluppati con una particolare sensibilità nel brano che, ad oltre mezzo secolo dalla comparsa di «Finzioni» nel patrimonio letterario europeo, resta il racconto più noto della raccolta, «Funes, o della memoria».

A metà degli anni quaranta, quando la cultura occidentale era ancora caratterizzata dal razzismo e dall’intolleranza nei confronti di ogni forma di diversità rispetto al canone dei «perfetti» membri della famiglia tradizionale, lo scrittore argentino propone un personaggio portatore di un messaggio assolutamente controcorrente, da cui emerge una particolare sensibilità per la disabilità. Al tempo era un concetto estremamente innovativo in ambito sociologico, anche nei Paesi democratici dove si esiliava la diversità in ogni sua forma, di frequente con metodi non meno violenti di quanto facessero i regimi totalitari di estrema destra. Il narratore, mentre procede a cavallo con l’amico Bernardo, vede per la prima volta Ireneo Funes in un giorno di pioggia, intento a sfuggire al diluvio procedendo a passo veloce su un marciapiedi rialzato dal terreno. La posizione rende facile notare le sue scarpe di corda, il primo particolare che il lettore è chiamato a considerare, prova della modesta estrazione sociale del protagonista. I due cavallerizzi chiedono a Ireneo l’ora e ricevono una risposta di sfuggita, ma esatta; senza guardare né l’orologio, né il cielo per orientarsi con la posizione del sole, Funes è in grado di stabilire l’ora esatta, attenendosi alla sua innata capacità di ricordare, tra le altre informazioni, il costante calcolo mentale dei minuti trascorsi. Dopo tre anni il ragazzo, travolto da un cavallo selvaggio, perde completamente l’uso delle gambe ed è costretto a vivere chiuso in una stanza. L’incidente al tempo avrebbe rappresentato una tragedia inaccettabile per una famiglia di umili origini in qualunque luogo del mondo, anche nei Paesi caratterizzati da un maggiore sviluppo, ma il potenziamento delle abilità mentali che avviene nel protagonista stravolge questa comune convinzione. Ireneo dimostra di essere in grado di memorizzare le informazioni e di analizzare la realtà a un livello che va ben oltre il consueto. Il narratore giunge a sostenere che l’incidente visto nelle sue conseguenze può essere giudicato persino una fortuna. In Funes si manifesta una compensazione: la totale immobilità spinge la sua mente, già da prima caratterizzata da un quoziente intellettivo superiore alla norma, ad aprirsi in modo ulteriore. Nell’insieme delle finzioni e delle vicende fantastiche che Borges offre al lettore, questa storia rappresenta la finzione maggiore, ma non sul piano fisiologico, perché nella disabilità la valorizzazione delle capacità restanti è un fenomeno costante e oggi ampiamente testimoniato, ma in chiave storico-sociale. Perché a metà del XX secolo per l’opinione comune un ragazzo paralizzato era uno storpio, senza alcuna opportunità di riscatto, come una persona deforme era solo uno scherzo di natura da esibire in un circo. Sul tema basti ricordare l’indimenticato capolavoro cinematografico di Tod Browning «Freaks». Lo scrittore argentino rivela una sensibilità ancora prematura, che però non troppo tempo dopo sarà riconosciuta e sempre più accettata nel mondo civilizzato. Saranno proprio gli orrori della seconda guerra mondiale, l’olocausto e la bomba atomica, quest’ultima con le sue conseguenze sulla popolazione giapponese attraverso le radiazioni nucleari, a insegnare la lezione già contenuta nel racconto «Funes, o della memoria». Un richiamo al rispetto dei diritti umani e all’accettazione della disabilità. Non certo un’accettazione passiva, ma nell’ottica di valorizzare le qualità di chi è diverso. Una lotta verso ogni forma di pregiudizio. “Funes o della memoria” (“Funes el memorioso”, tratto da Ficciones, 1944) è un amaro racconto di Jorge Luis Borges nel quale si narra la storia, ambientata in Uruguay a fine Ottocento, di un giovane, Ireneo Funes, la cui condanna è quella di avere una prodigiosa memoria che gli permette di cogliere ogni dettaglio di tutto ciò che lo circonda. Il “cronometrico Funes” è un giovane uruguayano dai tratti indiani, un tipo bislacco e taciturno, la cui vicenda viene resa da un narratore identificabile con l’autore. Se da un lato Funes riesce a ricordare ogni cosa con estrema facilità, dall’altro non è in grado di formulare idee generali, la sua memoria registra solo particolari e non concetti compiuti. Questa condizione lo conduce, infine, all’isolamento e all’incomunicabilità: “Aveva imparato l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Nel mondo sovraccarico di Funes, non c’erano che dettagli, quasi immediati”.

Funes è una riflessione sulle incertezze della memoria, l’uomo, infatti, non può ricordare tutto, pena la fine, come Funes, che muore realmente per congestione polmonare, ma simbolicamente schiacciato dal peso dei suoi ricordi: “Noi, in un’occhiata, percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia”. “Questi, non dimentichiamolo, era quasi incapace di idee generali, platoniche. Non solo gli era difficile comprendere come il simbolo generico “cane” potesse designare un così vasto assortimento di individui diversi per dimensioni e per forma; ma anche l’infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte)”. La sua portentosa capacità di memorizzare ogni dettaglio rende Funes quasi una creatura mitica, (“Ireneo aveva diciannove anni; era nato nel 1868; mi parve monumentale come il bronzo, ma antico come l’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi”) , ma ogni ricordo sottende dolore poiché: “Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spettatore d’un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso […]Gli era molto difficile distrarsi dal mondo; Funes, sdraiato sulla branda, nel buio, si figurava ogni scalfittura e ogni rilievo delle case precise che lo circondavano”. Il racconto del narratore è, volutamente, fatto di dettagli, agganci temporali e ricordi, tuttavia, ciò è nulla se paragonato alle infinite possibilità di Funes. La memoria, essenza della storia, pone, al contrario, Funes al di fuori della storia stessa, senza poter stabilire un rapporto con il proprio tempo e spazio. Egli contraddice la storia nel suo aspetto evolutivo ed in tal senso l’immobilità fisica di Funes, dopo essere stato travolto da un cavallo, si trasforma in immobilità di pensiero, in incapacità di comprensione ed empatia per il prossimo....


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