RIASSUNTO LA NASCITA DELLA TRAGEDIA DI NIETZSCHE PDF

Title RIASSUNTO LA NASCITA DELLA TRAGEDIA DI NIETZSCHE
Course Filosofia
Institution Università degli Studi di Perugia
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Appunti e riassunti vari...


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La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872) è la prima opera matura di Friedrich Nietzsche. Capitolo 1 Così come la generazione proviene dalla dualità dei sessi, lo sviluppo dell'arte è legato alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco. Il mondo greco risulta essere irrimediabilmente segnato dal contrasto tra questi due istinti: dal quel contrasto tra arte plastica e arte non figurativa della musica. In questo accoppiamento finale generano l'opera d'arte, altrettanto apollinea che dionisiaca, che è la tragedia attica. Immaginiamoli come i due mondi artistici distinti del sogno e dell'ebbrezza. Il sogno altro non è che un' apparenza e anche quando, nel sogno, ci pare percepire la vita nella sua massima intensità, il dubbio che questa sia mera apparenza non ci abbandona. L'individuo artisticamente sensibile si comporta con la realtà del sogno così come l'uomo filosofico si dispone nei confronti dell'esistenza e della realtà che ne consegue. Il filosofo ha il costante presentimento che nell'esistenza sia insito un significato più profondo, che dietro la realtà cui l'esistenza viene incontro se ne celi una più complessa. L'artista contempla il vano apparire con diligenza e soddisfazione: dalle immagini del sogno egli impara a spiegarsi la vita, si esercita per la vita! I greci hanno figurato la necessità dell'esperienza onirica in Apollo: il dio di tutte le arti figurative, il dio dell'armonia formale e, insieme, il dio profetico. Peculiarità essenziali di tale divinità sono il senso del limite, la pacatezza, l'immunità dalle commozioni sfrenate; perché la realtà sognata non sostituisca quella esperita dai sensi queste caratteristiche risultano necessarie. Apollo è il principium individuationis di cui Schopenhauer parla. La forma del fenomeno, il fenomeno in tutta la sua esteriorità. Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori (spazio, tempo e causalità) a dei vetri sfaccettati attraverso cui la forma delle cose si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole. Il tessuto della vita è fitto di trame ingannevoli. La perdita di fiducia nelle forme conoscitive del fenomeno non può che generare l'orrore ed è proprio in questa perdita irrimediabile che si manifesta l'essenza dell'istinto dionisiaco. L'uomo disimpara a camminare e a parlare, danza e canta! Non è più artista, l'uomo forgia se stesso quasi si trattasse di un'opera scultorea. Capitolo 2 Così considerate queste forze artistiche scaturiscono dal seno stesso della natura, senza l'intervento dell'artista umano. Dinanzi ad esse, l'artista altro non è che un imitatore: o è artista apollineo del sogno, o dionisiaco dell'ebbrezza, o insieme apollineo e dionisiaco nella tragedia greca. I greci sembrano protetti e tutelati dall'immagine di Apollo ed è nell'arte dorica che si è eternato codesto atteggiamento apollineo. Il sogno dell'artista greco guidato dall'istinto apollineo è regolato da un'intima causalità logica di linee e di contorni, di colori e di aggruppamenti. Il greco dionisiaco, invece, non parteciperebbe mai alle feste dionisiache che i popoli barbari allestivano. Il nocciolo di queste feste consisteva in un enorme sfrenatezza sessuale, le cui ondate sommergevano ogni sentimento della famiglia e le sue sacre leggi: si scatenavano allora le più selvagge bestie della natura, fino a quel disgustoso miscuglio di lussuria e di atrocità che pare essere il vero e proprio ;filtro delle streghe. La musica era già conosciuta dai greci come appartenente all'arte apollinea, ossia come onda ritmica. Nel ditirambo dionisiaco si esprimono invece il torrente compatto della melodia ed il mondo dell'armonia. Qui l'essenza della natura si esprime simbolicamente. Capitolo 3 Da quale bisogno i greci partorirono le creature del mondo olimpico? Il greco conosceva e pativa gli orrori dell'esistenza. Per poter sopravvivere egli dovette creare questi dèi, questi dèi in cui nulla sa di spiritualità o di moralità.

Come avrebbe potuto tollerare l'esistenza se essa non gli fosse stata mostrata nei suoi dèi circonfusa di una gloria più alta? Lo stesso istinto dà vita all'arte come ad un completamento dell'esistenza che induce a continuare a vivere. L'esistenza sotto il limpido splendore di tali dèi viene sentita come per se stessa desiderabile e per i greci omerici il dolore vero e proprio consisteva nel doversene separare. Questa armonia così nostalgicamente contemplata dagli uomini moderni, per cui Shiller ha coniato il termine di …………………..; non è affatto uno stato tanto semplice da potersi incontrare sulla soglia di ogni civiltà. Quanto di rado è raggiunta l'ingenuità, la completa immedesimazione nella bellezza dell'apparenza! Capitolo 4 L'artista ingenuo (immagine illusoria di Dioniso) produce un'opera d'arte altrettanto ingenua. Il mondo empirico che viviamo è la rappresentazione dell'Uno primigenio, di Dioniso. A partire da una potenza informe si generò quello strappo originario che diede origine alla molteplicità degli enti. Esso è il niente, ma non inteso come un non essere, bensì come condizione di possibilità dell'ente stesso. Ecco allora che il sogno deve essere considerato in quanto apparenza di un'apparenza. Ed è proprio per mezzo di questa apparenza che l'uomo può liberarsi del principium individuationis. Apollo è la deificazione di tale principio ed esige dai suoi ... il senso della misura e la conoscenza di loro stessi. Ma ben presto anche il titanico ed il barbarico si manifestarono in tutta la loro necessità e le muse dell'apparenza impallidirono di fronte ad un'arte che nella su ebbrezza svelava la verità. La dismisura si rivelò come verità. Capitolo 5 Omero e Archiloco, scolpiti uno accanto all'altro, sono considerati i progenitori della poesia greca e l'estetica moderna nient'altro ha saputo raccontare se non che qui il primo artista ………………….; si contrappone al primo……………..…….;. Ma l'artista soggettivo noi sappiamo, su insegnamento di Nietzsche, essere l'artista cattivo: volontà e desiderio individuale devono sganciarsi dalla sua anima. Allora l'estetica deve interrogarsi su come sia possibile il lirico come artista. Il lirico, come artista dionisiaco, comincia col diventare completamente uno con l'Uno primigenio, col suo dolore e contrasto, e rende come musica l'immagine di quest'Uno primigenio; poi, sotto l'azione apollinea del sogno, la musica diventa per lui visibile come un'immagine simbolica del sogno. Il soggetto, ossia l'individuo volente, può essere solo avversario dell'arte, ma nella misura in cui diviene artista, egli diviene un medium per mezzo del quale l'unico individuo realmente esistente celebra la propria liberazione nella bella apparenza. Solo in quanto nell'atto della produzione artistica il genio si fonde con l'artista primigenio del mondo, egli sa qualcosa dell'eterna essenza dell'arte. Allora egli è al tempo stesso soggetto e oggetto, poeta e attore e spettatore. Capitolo 6 Ogni periodo riccamente produttivo di canti popolari è stato agitato dalle correnti dionisiache. Il canto popolare è infatti lo specchio musicale del mondo, è la melodia primordiale che, esprimendosi in poesia, ora cerca la sua adeguata visione di sogno. Nella poesia del canto popolare sentiamo che la lingua imita la musica, che la lingua imita il mondo della musica e non quello fenomenico. Una sinfonia di Beethoven induce i singoli ad un linguaggio immaginoso. Ma in che modo la musica può apparire nello specchio della sfera delle immagini e dei concetti?

Essa appare come volontà. Infatti, per esprimere in immagini il suo sogno, il lirico ha bisogno di tutti i modi della passione: egli sente tutta la natura e se stesso nella natura unicamente come volere, desiderio. Ma egli è completamente immune dallo stimolo insaziabile della volontà. Capitolo 7 L'origine della tragedia. La tradizione suole ritrovare nel coro tragico il luogo di nascita della tragedia. Schlegel ci raccomando di considerare il coro come lo "spettatore ideale". Ciò che ci stupisce dell'affermazione schlegeliana è l'identificazione del pubblico greco con il coro tragico. E' possibile idealizzare quel pubblico al punto da raggiungere un'analogia con questo coro? A Nietzsche non pare affatto possibile. Esiste, inoltre, una differenza sostanziale: il pubblico teatrale dovrebbe rimanere sempre conscio del fatto che stia assistendo ad un'opera d'arte, mentre il coro tragico, in quanto tale, è immerso in quest'ultima quasi si trattasse di una realtà empirica. Lo spettatore non può sentire l'effetto di una cosa determinata! Non pensa, come le Oceanidi, di trovarsi dinanzi al titano Prometeo! Lo spettatore senza spettacolo è un concetto assurdo. Schiller considera il muro come una cinta che la tragedia alza intorno a sé, per isolarsi dal mondo reale e serbarsi la sua libertà poetica. Con l'introduzione del coro l'arte dichiara, quindi, aperta la guerra contro ogni naturalismo. Il terreno entro cui agisce il coro è situato molto al di sopra rispetto a quello calpestato dai mortali. Per questo il greco ha pensato di collocarvi finti stati di natura e finti esseri naturali. Tuttavia, queste affermazioni vanno prese con cautela: questo mondo non è da pensarsi come intermedio tra il cielo e la terra. Il satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta, sotto la sanzione del mito e del culto. Il satiro, in quanto finto essere naturale, sta al popolo incivilito così come la musica dionisiaca sta rispetto alla società. L'uomo incivilito si sentì annullato di fronte al coro dei satiri: viene annullato il generale divario che intercorre tra gli uomini sotto la prepotenza di un sentimento di unità che riconduce ogni cosa nel seno della natura. Ogni vera tragedia porta con sé una consolazione metafisica: la consolazione che, nonostante la natura fenomenica, la vita duri indistruttibilmente potente. L'estasi dello stato dionisiaco, con l'annullamento che porta degli abituali confini dell'esistenza, implica un elemento letargico, nel quale rimane sommerso quanto vi è di personale esperienza nella vita finora vissuta. Proprio codesto abisso dell'oblio scinde il mondo quotidiano dalla realtà dionisiaca. Ma non appena la realtà quotidiana si riaffaccia alla coscienza, essa è sentita con disgusto. La conoscenza uccide l'azione, proprio dell'azione è l'essere avvolta nel velo dell'illusione (Amleto). La vista dell'orribile verità soffoca ogni motivo che spinge all'azione. Ed ecco, in questo pericolo supremo della volontà sopravviene redentrice la maga foriera di salute, l'arte: così l'orrore diventa sublime e l'assurdo comico. Allo stesso modo, il coro dei satiri del ditirambo è l'azione salvatrice dell'arte greca. Capitolo 8 Schiller aveva ragione: il coro è un muro vivente contro la realtà irrompente, perché il coro dei satiri ritrae l'esistenza più veracemente dell'uomo incivilito, il quale ha la pretesa di rappresentare l'unica realtà. Il contrasto tra l'autentica verità espressa dal coro e la menzogna della civiltà è lo stesso che intercorre tra la cosa in sé ed il mondo fenomenico. Ma anche dalla formula schlegeliana si può spremere un senso più profondo. Non bisogna dimenticare che il pubblico della tragedia attica vedeva se stesso nel coro dell'orchestra. Data la forma concentrica dello spazio riservato al pubblico, ogni spettatore greco era in grado di abbracciare con lo sguardo l'intero mondo culturale che gli si manifestava e, addirittura, di immaginarsi coreuta. Il coro dei satiri è la visione della moltitudine dionisiaca e questa

visione è tale da rendere gli uomini inciviliti insensibili alle impressioni della …………………….;. Il pubblico si vede trasformato e pronto ad agire come se fosse effettivamente entrato in un altro corpo. Tale è il processo che presiede all'inizio dello sviluppo del dramma. L'incantesimo è il presupposto di ogni arte drammatica. Preso da tale incantamento, il tripudiatore dionisiaco si vede satiro, e in quanto satiro egli vede il dio. Nella propria metamorfosi egli contempla fuori di sé una nuova visione come perfezionamento apollineo del proprio stato. L'individuo si dissolve e si unifica all'Uno primigenio. Di conseguenza, il dramma è la materializzazione apollinea di conoscenze ed impressioni dionisiache. Ma originariamente la tragedia si presenta unicamente come coro e non come dramma. Solo più tardi si cercherà di presentare il dio come un personaggio reale e di rendere accessibile ad ognuno l'immagine della visione. E Dioniso non parlerà più per mezzo di quelle forze, ma quasi col linguaggio di Omero. Capitolo 9 Lo stato di serenità in cui i greci vivevano non era affatto uno stato di intaccabile benessere. Tale serenità è conseguenza di uno sguardo diretto all'abisso. Il personaggio più infelice dell'intera scena greca è, senza dubbio, Edipo. Per opera sua, ogni legge, ogni ordine naturale, ogni costruzione morale è andata in rovina, ma è proprio grazie a questa sua opera che sulle fondamenta di questo vecchio mondo ne verrà costruito uno nuovo. Edipo è l'uccisore di suo padre, il marito di sua madre e il risolutore dell'enigma della Sfinge (natura). Tale enigma veniva posto dalla Sfinge all'ingresso della città di Tebe ai passanti, chiunque non fosse in grado di risolverlo veniva divorato da un mostro. Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede? Edipo spiegò come l'uomo gattonasse da neonato, si alzasse su due arti da adulto e si sorreggesse su un bastone da anziano ed indusse la Sfinge al suicidio. Come mai si potrebbe costringere la natura a rivelare i propri segreti se non combattendola vittoriosamente, cioè con mezzi ……………………………….? La sapienza dionisiaca è un abominio contro natura e chi, attraverso questa sapienza, fa precipitare la natura nell'abisso, dovrà egli stesso patire la dissoluzione della natura. La punta della sapienza si rivolta contro il sapiente: la sapienza è un delitto contro la natura. Alla gloria della passività, ora Nietzsche contrappone la gloria dell'attività che illumina il Prometeo di Eschilo. In virtù della sua sapienza, Prometeo trova la forza di creare uomini e di porre il mondo olimpico sulla bilancia della giustizia. Ma è proprio per questa sua sapienza che egli sarà costretto ad un eterno patire. Il mito dimostra come il bene più alto (il fuoco) a cui sia dato all'umanità di partecipare, lo consegue a prezzo di un misfatto. L'individuo che mira alla potenza titanica deve vivere il sacrilegio. Con questo mito Eschilo tradisce dunque la sua discendenza paterna da Apollo, il dio dell'individuazione e dei confini posti dalla giustizia. Capitolo 10 Il vero eroe protagonista della tragedia è sempre stato Dioniso. Edipo e Prometeo altro non sono che maschere dell'eroe originario Dioniso. Ma in verità l'eroe è il Dioniso sofferente dei misteri, è il dio che prova su di sé i dolori dell'individuazione, il dio che venne fatto a pezzi dai titani (denominato Zagreo). Dal riso di questo Dioniso sono nati gli déi olimpici, dal pianto gli uomini. L'epos omerico è il poema della civiltà olimpica, ma questa civiltà è stata vinta da una più profonda concezione del mondo. I miti del mondo omerico vengono piegati dall'artista dionisiaco al servizio di una nuova divinità. La musica seppe interpretare questi miti secondo un nuovo significato. Il mito moribondo, il mito sistematizzato come una perfetta somma di avvenimenti storici, viene afferrato dal genio neonato della musica e nelle sue mani esso rifiorisce per l'ultima volta. Con la tragedia il mito attinge il suo contenuto più profondo, la sua forma più espressiva; esso si

risolleva, ancora una volta, come un eroe ferito. Capitolo 11 La tragedia greca si suicidò: morì tragicamente. Contro codesta agonia della tragedia lottò Euripide e il nuovo genere che ne seguì è noto sotto il nome di commedia attica nuova. In essa continuò a vivere la figura degenere della tragedia, monumento della sua fine penosa e violenta. Euripide ha preso lo spettatore e lo ha portato sulla scena. Ha trasportato lo spettatore sulla scena per farne un giudice davvero competente. Lo specchio che prima rifletteva le espressioni dei, ora restituisce fedelmente anche i lineamenti sbagliati della natura. Adesso lo spettatore vede ed ode il proprio doppio e si compiace di questo. Ma con la commedia il greco ha smarrito la fede nella sua immortalità, la fede nel suo passato ideale e la fede in un avvenire altrettanto ideale. E se adesso si può ancora parlare di una …………………………….; essa è la serenità dello schiavo, che non sa aspirare a nulla di grande. La mossa di Euripide si rivela del tutto sbagliata perché il "pubblico" altro non è che un termine usato per designare una grandezza non omogenea e scostante. Come può un artista preferire il conformismo ad una forza che ha il suo vigore unicamente nel numero? Tuttavia, Euripide trascinò sì la folla intera sulla scena, ma solo due spettatori stimò giudici competenti. Di questi due spettatori l'uno è lo stesso Euripide, non come poeta, in quanto pensatore. Meditando, egli sedeva in teatro e confessava a se stesso di non capire i suoi grandi predecessori. Non comprendendo l'incommensurabilità degli antichi tragici egli preferì sorpassare il dubbio invece di chiarificarlo e quindi fondarlo. E' in questa penosa situazione che Euripide incontra il secondo spettatore, colui che non capisce la tragedia e quindi non l'apprezza. Capitolo 12 Euripide ha resistito alla potenza di Dioniso per tutta la sua vita glorificando il suo avversario. Ma i capogiri che solo un malato di vertigini può provare divennero sempre più intensi ed altro non poté fare che buttarsi dalla torre. La divinità che parlava attraverso Euripide non è né Dioniso né Apollo: è un demone appena nato, è Socrate. Ma allora, in quale forma dovette esprimersi il dramma se ad esso era precluso il crepuscolo dell'istinto dionisiaco? Nell'epos drammatizzato, un dominio artistico tutto apollineo. Ma nell'opera euripidea non troviamo più la freddezza imperturbata dell'attore che al culmine dell'azione è tutto nell'apparenza e nella gioia di renderla. Egli non riuscì a fondare il dramma esclusivamente sull'apollineo, esso assunse una tendenza tutta naturalistica. La legge dell'estetica socratica recita: è bello tutto ciò che è intelligibile (tutto dev'essere cosciente per essere bello). Allo stesso modo: solo chi sa è virtuoso (tutto dev'essere consapevole per essere buono). Il prologo è una bestemmia contro il dramma! Ma gli effetti principali della tragedia non sono la tensione, lo sgomento e lo stupore? No, tutto nella tragedia è predisposto per il pathos. Difatti, come poteva lo spettatore partecipare e patire con i personaggi se sprovvisto di una rete di significati chiarificatrice? Eschilo e Sofocle impiegavano tutti i mezzi artistici più ingegnosi per porre fin dalle prime scene nelle mani dello spettatore i fili indispensabili all'intelligenza dell'azione, ma Euripide deve aver male interpretato tale ingegnosità. In principio tutto era commisto; poi venne l'intelletto e creò l'ordine. Euripide dovette sentirsi come Anassagora, il primo che con il suo "nous" diede un ordine a quanto era stato abbozzato dalle menti ardite dei presocratici. Socrate è quel secondo spettatore che non comprendeva la tragedia antica e perciò non l'apprezzava. E' Socrate l'avversario di Dioniso.

Capitolo 13 I nomi di Socrate e di Euripide sono, senza dubbio, intimamente legati. Persino nell'oracolo di Delfi vediamo accostati questi due nomi: l'uomo secondo a Socrate nella gara della sapienza è proprio Euripide. Socrate confessa di non sapere nulla e quando egli cerca un uomo che si confessi più sapiente di lui, si imbatte in uomini che esercitano il proprio ufficio per mero istinto. Quale potenza demonica è codesta, che ardì gettare nella polvere un tale filtro magico? Il demone socratico è la coscienza ed in Socrate è proprio tale demone a rappresentare la potenza creatrice. Qui, la saggezza istintiva si mostra solo per contrapporsi ed ostacolare la conoscenza consapevole. Socrate non si accontentò dell'esilio, esigeva la morte. Il Socrate morente divenne il nuovo ideale della gioventù greca. Capitolo 14 La tragedia è per Socrate, come per Platone, un'arte seducente rappresentante il dilettevole e non l'utile, perciò non riguardante i filosofi. Platone infatti, per diventare alunno di Socrate, gettò al fuoco le proprie tragedie. Il dialogo ...


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