Riassunto La nascita delle mostre di Haskell PDF

Title Riassunto La nascita delle mostre di Haskell
Author Benedetta Garaventa
Course Percorsi di lettura dell'opera d'arte
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto del libro...


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La nascita delle mostre 1. Celebrazione e commercio Roma Le prime mostre di antichi maestri furono organizzate nella Roma del Seicento. Il loro primo scopo era cerimoniale e si conformavano all’antica usanza di appendere arazzi alle finestre dei palazzi per celebrare la festa di un santo o l’ingresso trionfale di qualche ambasceria straniera. È sempre stato chiaro che ostentare pubblicamente il possesso di beni preziosi attirasse l’attenzione sulla nobiltà dei proprietari; ciò fu fondamentale per la storia sociale dell’arte, dal momento che per questo scopo venivano scelti dipinti anziché i più ovvi simboli di ricchezza utilizzati in passato. Solitamente in questo genere di esposizioni i quadri prestati dai collezionisti venivano disposti nei chiostri di chiese legate a comunità di stranieri residenti a Roma, che intendevano celebrare così la festa del proprio santo patrono. Alla fine del Seicento ogni anno si tenevano quattro esposizioni per particolari eventi e organizzati da mecenati o artisti. Qui i giovani pittori cercavano di farsi una reputazione mentre i grandi maestri del passato testimoniavano l’antichità o la ricchezza delle famiglie prestatrici. Importanti erano le mostre annuali a San Salvatore in Lauro, per celebrare il trasporto a Loreto della Santa Casa di Nazaret. La dimensione, il contenuto e l’allestimento delle mostre di Roma variavano da sede a sede e di anno in anno e l’organizzazione spesso veniva affidata a Giuseppe Ghezzi, pittore, copista, restauratore e collezionista. Il suo coinvolgimento nelle esposizioni cominciò nel 1676, solo un anno dopo il loro inizio, e nel giro di pochi anni concepì le direttive per l’allestimento: si doveva affittare del damasco in quantità sufficiente a coprire le lacune nella decorazione della chiesa; per abbellire la facciata in mattoni si usavano degli arazzi; per la scelta dei dipinti erano importanti innanzitutto le dimensioni, si posizionavano cinque o sei grandi per i corridoi principali così da colpire subito; per evitare che si danneggiassero i quadri bisognava pagare guardie, soldati o facchini che li sorvegliassero giorno e notte; più avanti si aggiunse anche il provvedimento di sottoporre ai potenziali benefattori gli elenchi dei prestiti desiderati un anno prima di inoltrare la richiesta effettiva. I quadri esposti erano in gran parte di soggetto religioso, ma vi erano anche paesaggi, scene militari e in un’occasione addirittura dipinti erotici e mitologici – Venere in attesa di Marte di Carracci e Venere dormiente spiata da un satiro di Poussin. Anche se a volte furono esposte opere contemporanee, le mostre erano dominate dagli artisti della prima metà del Seicento; parecchie erano copie, ma era il prestatore a determinare sotto quale nome dovesse essere presentato un dipinto, non il ricevente (Ghezzi). Firenze L’esempio di Roma indusse ad organizzare esposizioni d’arte anche a Firenze, sotto gli auspici dell’Accademia del Disegno, il cui protettore era il Granduca di Toscana. Il loro scopo era celebrare la festa del santo patrono dell’Accademia, san Luca, e si tenevano nella cappella a lui dedicata, la prima nel 1674. Qui veniva data più importanza alle opere di giovani artisti. Nel 1706 il Gran Principe Ferdinando de’ Medici suggerì un orientamento che costituisce una tappa fondamentale nella storia delle esposizioni di maestri antichi: fu dato molto più spazio alle opere dei “più rinomati artisti scomparsi” rispetto ai “più illustri viventi”, venivano selezionati con l’intento di mutare la direzione dell’arte fiorentina del tempo e di ampliare gli orizzonti dei pittori contemporanei attivi a Firenze. Lo scopo di questa mostra non era quello di glorificare la nobiltà come a Roma, ma quello di consentire al pubblico e agli artisti di osservare da vicino opere altrimenti poco accessibili. La vera innovazione, però, consistette nella pubblicazione di un catalogo accompagnato da una guida che descriveva l’ubicazione di ogni dipinto. Ma malgrado le innovazioni non ebbe molte edizioni successive. Persino a Roma l’era delle esposizioni dei grandi maestri giunse al termine a metà Settecento. Parigi Nel corso del Settecento, le opere degli antichi maestri conservate nelle chiese e nelle gallerie principesche di Roma e Firenze e altre grandi città italiane cominciarono ad essere indicate in modo più chiaro dalle guide 1

stampate e quindi più accessibili per i viaggiatori. Nel frattempo però un altro tipo di mostra assumeva maggiore importanza: i mercanti e le case d’asta allestivano esposizioni temporanee di antichi maestri simili a quelle ospitate per l’occasione nelle cappelle e nei chiostri. Sin dai primi anni del Settecento le case d’asta di Londra, Parigi e altre città offrivano le migliori opportunità di dare un occhiata a opere di ammirati antichi maestri. Nel 1782 e 1783 celebrazione, sfoggio e commercio – principali motivi delle mostre – lasciarono il posto a un desiderio disinteressato di onorare gli autori delle opere esposte. In particolare due mostre a Parigi si caratterizzarono per l’introduzione di molte innovazioni: ne fu responsabile Mammès-Claude Pahin de La Blancherie. Una visita negli Stati Uniti lo aveva riempito di orrore per la crudeltà della tratta degli schiavi, e al suo ritorno in Francia egli si consacrò all’emancipazione di arti e scienze dalla tirannia della tradizione e alla creazione di un luogo d’incontro dove artisti e scienziati di tutta Europa potessero riunirsi per discutere le tematiche che li riguardavano: Salon de la Correspondance. Pahin era anche responsabile dell’edizione di un settimanale, “Nouvelles de la république des lettres”, che apparve per la prima volta all’inizio del 1779 e si occupava dei progressi scientifici, medici, economici, industriali e legislativi, musica, lettere e arti ma soprattutto di pittura. Il primo numero annunciava provocatoriamente che il Salon de la Correspondance avrebbe organizzato mostre con dipinti di artisti che non appartenevano all’Académie Royal, o che erano stati rifiutati dal Salon ufficiale, insieme ad altri che appartenevano a collezionisti privati disposti a prestarli per breve tempo. Elenchi di queste opere, con brevi commenti e descrizioni, furono pubblicati in ogni numero del giornale. L’Accademia accolse con grande ostilità questo affronto alla sua autorità, ma Pahin si procurò il sostegno di reali e aristocratici in modo che le sue esposizioni fossero tollerate dal governo. Nel 1782 Pahin si imbarcò in un’impresa più avventurosa: espose, insieme a una piccola parte di opere di artisti contemporanei, un grande Ercole e Onfale di Noel Hallé, morto l’anno precedente, e vi affiancò una modesta sezione di quadri di altri pittori scomparsi, tutti appartenenti alla dinastia Hallé; nel settimanale Pahin spiegò che, esponendo le loro opere, tributava “un doveroso omaggio a quei Maestri della nostra scuola che, alla loro epoca, diedero origine alle famiglie patrizie delle Arti. L’anno seguente, Pahin organizzò la prima esposizione su larga scala dedicata principalmente ai maestri antichi. Ma prima ideò un’altra innovazione: la retrospettiva dedicata ad un solo artista vivente e interamente basata su opere prestate da collezioni private. Joseph Vernet era stato uno dei pittori più ammirati in Europa; dalle collezioni dei suoi committenti Pahin prese in prestito 49 dipinti e una serie di disegni. Tuttavia, malgrado gli onori e gli elogi al pittore, l’iniziativa non ottenne nessuna attenzione dalla stampa, e neppure dall’artista. Poco dopo Pahin si avventurò in un impresa ancora più importante: nel maggio del 1783 annunciò nel suo settimanale che le esposizioni organizzate in onore della famiglia Hallé e di Vernet erano solo un preambolo al monumento che intendeva erigere a maggior gloria dell’arte francese nel suo complesso. Pare che non sia mai stato prodotto nessun catalogo per l’esposizione ma solo un elenco di opere, in cui incluse anche alcuni artisti della quale avrebbe voluto esporre le opere ma che non aveva ottenuto. Nell’esposizione figuravano solo artisti della scuola francese di maestri scomparsi e viventi, e si riportavano sintetiche introduzioni biografiche e i nomi dei proprietari delle opere. L’elenco degli artisti presentati, o desiderati, era preceduto da una breve introduzione che costituiva un “Saggio di un quadro storico dei pittori della scuola francese, a partire da Jean Cousin, nel 1500”; Pahin scelse di contraddistinguere le fasi principali di questa storia non alla luce dell’evoluzione dello stile, bensì in relazione a trasformazioni istituzionali. Pahin chiese più volte sostegni finanziari al sovrano e ai suoi ministri per le sue iniziative artistiche, ma dopo una lettera dal conte d’Angiviller in cui vedeva “l’inutilità” e “il pericolo per il benessere delle arti” nei progetti di Pahin. Per questo motivo mise fine alle sue mostre e si trasferì in Inghilterra, dove morì nel 1811. Pahin ebbe un ruolo innovativo e i suoi salons furono un’eccezione alla regola: per tutto il Seicento la maggioranza di opere di antichi maestri furono esposte solo a scopo commerciale dai mercanti. Londra Un anno prima della presa della Bastiglia, il duca d’Orleans era indebitato e aveva bisogno di fondi per le 2

proprie ambizioni politiche: così decide di vendere la sua splendida collezione di dipinti al più importante battitore d’aste di Londra, James Christie. Giunsero per primi a Londra i dipinti degli artisti nordici, acquistati da Thomas Moore Slade che nel 1793 prese accordi per esporre i suoi nuovi acquisti di pittura olandese, fiamminga e tedesca a Pall Mall, cuore del mercato artistico londinese. Il luogo scelto per la mostra era stato la prima sede della Royal Academy e fu allestita nella sala Grande. Vi erano circa 256 dipinti di Rembrandt (Il mulino e La culla), Rubens (Il giudizio di Paride e San Giorgio e il drago), Van Dyck e altri. Le vendite furono sostenute; i prezzi erano stati fissati da Slade, ma l’organizzazione era stata affidata a Mr.Wilson dell’European Museum. Fu lui ad aggiungere alle opere realmente acquistate dalla collezione del duca d’Orléans almeno un centinaio di altre provenienti da fonti diverse. La porzione più bella e preziosa della collezione del duca d’Orléans era quella dei maestri italiani e francesi: venduta e passata di mano fino al 1792 trasferita da Parigi a Londra dal nuovo proprietario, François Laborde de Méréville. La collezione venne ipotecata e suscitò subito visite di artisti rinomati, ma Laborde sperava di poterla riportare in Francia, non appena la situazione della Rivoluzione francese si fosse calmata. Poco dopo accettò un’offerta che il duca di Bridgewater, Lord Carlisle e Lord Gower gli fecero per i dipinti restanti. La transazione fu affidata al mercante londinese Michael Bryan, che decide di esporre tutti i dipinti francesi e italiani della collezione del duca d’Orléans per ben sette mesi, durante i quali i proprietari non poterono rimuovere nessuna delle opere acquistate prima o dopo la mostra. Bryan dovette allestire due mostre a causa dello spazio insufficiente, a Pall Mall e al Lyceum, ciascuna delle quali diede luogo alla pubblicazione di un “catalogo”, dei semplici elenchi. Nel luglio 1799, nel giorno di chiusura, l’artista James Farington prese una singolare iniziativa: eseguì sulle copie dei cataloghi degli schizzi sommari della disposizione dei dipinti esposti nelle due sedi. Ai visitatori del Lyceum le quattro pareti della galleria si presentavano rivestite di quadri, appesi senza cornice e disposti simmetricamente a coprire completamente i muri, dal pavimento al soffitto. La galleria di Pall Mall conteneva opere di minori dimensioni e qui, a differenza dell’altra galleria, le opere di veneziani occupavano molto meno spazio della scuola romana, di Poussin o dei bolognesi. La comunità artistica riconobbe di comune accordo che quelli di Tiziano erano i dipinti migliori della collezione. L’opera più discussa, invece, fu la Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo, ritenuta da alcuni “estasiante” e da altri “imperfetta” o addirittura “ridicola”. Alcuni contemporanei spiegarono che le opere al Lyceum venivano meno capite e meno apprezzate, il luogo era anche più freddo e male illuminato, poiché le opere ammassate e prive di cornici apparivano scure e sporche. Ciononostante l’evento ebbe grande risonanza poiché mai prima d’ora artisti e comuni amatori ebbero modo di studiare le opere così accuratamente e inoltre poiché stimolò il collezionismo e lo sviluppo della connoisseurship.

2. Tributo e trionfo Le spettacolari mostre di antichi maestri che si tennero a Londra alla fine del Settecento non furono le sole a scaturire dagli avvenimenti francesi. Quasi in contemporanea con le esposizioni a Pall Mall, gli amministratori del Musée Central des Arts inauguravano una serie di mostre nell’ex palazzo reale del Louvre, che nel 1793 era stato riaperto come museo. Questi eventi non erano esposizioni temporanee, rendendo visibili al pubblico opere d’arte che altrimenti sarebbero rimaste inaccessibili. E questo fu il motivo che spinse gli amministratori del museo a inaugurare nella Galerie d’Apollon nell’agosto 1797 una mostra che comprendeva più di quattrocento disegni e pastelli insieme a una selezione di ritratti a smalto e busti marmorei. La maggioranza delle opere era stata selezionata dalla collezione del defunto re. I disegni erano incorniciati e protetti da vetri e ordinati in base alle leggi della simmetria piuttosto che per scuole nazionali o cronologia. Responsabili dell’allestimento e della selezione dei pezzi furono l’architetto Léon Dufourny e il suo assistente. Collezionista egli stesso, Dufourny aveva grande familiarità con l’arte e credeva fermamente nel 3

suo valore pedagogico. Il catalogo da lui pubblicato riportava i nomi degli autori, i soggetti, le tecniche e occasionali indicazioni sulla provenienza. Il posto d’onore era assegnato ai maggiori maestri italiani del Cinquecento e del Seicento, seguiti dai francesi e dai “fiamminghi” (scuola tedesca e olandese). Tra maggio 1796 e inizio 1799, Bonaparte aveva fatto ricorso alla forza per rubare famosissime opere d’arte da molte tra le più importanti città italiane. Quando arrivarono i primi dipinti rubati, il Louvre era in uno stato di confusione a causa della chiusura della Grande Galerie per riparazioni; perciò, l’amministrazione fu costretta a collocare alcune opere della galleria nel Salon Carré, suscitando disappunto negli artisti viventi che esponevano le loro opere in quella sala. Per questo le opere rubate vennero tenute in magazzino. Nel frattempo sulla stampa ci si lamentava di quei curatori “barbari” che volevano tenere nascosti i dipinti e si suggeriva di esporli temporaneamente nell’attesa che la Grande Galerie fosse pronta per riceverli. Alla fine, nel 1798, una selezione di circa 86 opere fu esposta fino a giugno nel Salon Carré. Il catalogo era di basso costo, volto alle “classi meno fortunate” oltre che ai conoscitori di tutta Europa; per ogni opera erano indicate le misure, la natura del supporto ed eventuali iscrizioni. Erano sempre riportati i nomi di chiese o gallerie dalla quale i dipinti erano stati prelevati e ogni commento era introdotto da breve biografia dell’artista. Le descrizioni, dunque, erano notevolmente complete. Gli accostamenti erano concepiti per far risaltare le differenze stilistiche e, poiché non vi era spazio sufficiente per mostrare tutti i dipinti, veniva cambiata la disposizioni nel corso della mostra. Il posto d’onore fu assegnato alla scuola bolognese, con più della metà delle opere esposte; di particolare rilievo quelle di Guercino, che sottolineavano l’intento didattico. La mostra doveva offrire uno spettacolo stupefacente. Appena quattro anni prima il governo francese aveva proibito la creazione di arte devozionale: eppure nell’esposizione si potevano ammirare capolavori per la maggior parte realizzati per istituzioni religiose. Ciò non piacque a tutti. Ma nonostante alcune obiezioni, vi fu solo entusiasmo per i risultati degli artisti esposti. L’esposizione comprendeva un certo numero di opere di fama addirittura superiore a quelle dei bolognesi, ad esempio di Correggio, di Raffaello e di Leonardo (si distinse la Gioconda). Nel 1815 le opere esposte nel Salon Carré sarebbero state restituite per la maggior parte all’Italia. Nel 1806 le vittorie dell’Imperatore in Germania portarono l’allora Musée Napoléon ad acquisire un altro enorme carico di opere. L’anno dopo, nel giorno del primo anniversario della battaglia di Jena, DominiqueVivant Denon inaugurò un’esposizione per celebrare la vittoria: l’esposizione più grande mai vista, il catalogo elenca circa 368 opere di pittura e oltre 280 sculture antiche e moderne, ma la loro importanza non era paragonabile a quella delle opere che erano state rubate in Italia. Il livello qualitativo del catalogo dei dipinti fu giudicato molto basso; Denon fece il possibile per spiegare che si era scelto di riassumere il più possibile per non renderlo troppo voluminoso, ma non giustificava l’eliminazione di notizie importanti quali misure, provenienza, supporto. L’ultima esposizione di Denon (di dimensioni assai inferiori a quella precedente) svoltasi nel 1814, segnò un punto di partenza nuovo perché fu l’ultima significativa mostra di maestri antichi organizzata in Francia. Nel settembre 1810 Napoleone ordinò in tre province italiane dell’Impero Francese la soppressione di tutti i monasteri e conventi; poco dopo Denon partì per l’Italia per osservare le conseguenze di questa decisione sul patrimonio artistico. Da lungo tempo si caratterizzava l’idea di aggiungere al Musée Napoléon una selezione di opere dei pittori della scuola fiorentina. A Firenze fin da metà Settecento erano stati raccolti nel “Quarto Gabinetto” degli Uffizi una serie di dipinti del Tre e Quattrocento, in modo che fu possibile esaminare a fondo i precursori del Rinascimento, quali Paolo Uccello, Filippo Lippi, Botticelli. Il viaggio di Denon durò cinque mesi, in cui visitò molte città italiane. Egli scrutò oltre quattromila dipinti e ritenne che sessanta fra questi fossero adatti al museo, tutte di artisti sconosciuti in Francia; il governo accettò le sue proposte. Dopo qualche difficoltà nella gestione di tempi e allestimento, Denon riuscì ad esporre i Primitivi italiani e nordici al Salon Carré; tra questi si distinsero Cimabue, Giotto e opere di alcuni pittori genovesi. Vi furono esposte anche opere di artisti spagnoli selezionati tra quelli conservati nei depositi del Louvre, ancora meno 4

note ai francesi. Di questi, alcuni erano stati notati dallo stesso Denon in Spagna; altri erano stati confiscati; altri razziati dagli ufficiali dell’Imperatore; altri donati al fratello di Napoleone, Giuseppe re di Spagna dal 1808. Quella di questi pochi dipinti spagnoli poteva essere definita una vera e propria “esposizione”: già prima della sua apertura Luigi XVIII aveva concesso in privato agli aristocratici spagnoli la restituzione dei dipinti di loro proprietà. Le schede del catalogo furono scritte da Morel d’Arleux. Ogni dipinto era approfonditamente descritto e furono registrate anche opinioni di alcuni scrittori, inoltre le schede inducevano spesso il visitatore a confrontare le opere di un maestro con quelle degli allievi, se esposte insieme. Resta il dubbio se Denon sia riuscito a richiamare l’attenzione sull’importanza storica di queste opere sconosciute, perché nello stesso periodo la Grande Galerie accoglieva i più noti capolavori di Raffaello, Correggio, Guido Reni e altri.

3. Le prime esposizioni della British Institution Le mostre di opere di antichi maestri fin ora organizzate non erano fini a sé stesse: alcune avevano lo scopo di ammaliare o sedurre il pubblico e altre servivano come espedenti per sottolineare particolari occasioni o soddisfare particolari necessità, senza alcuna coerenza tematica. Fu la Grande Galerie, concepita dai francesi quale nucleo di un museo permanente di opere confiscate, a suggerire agli inglesi una nuova idea: cominciare a realizzare quelle esposizioni temporanee basate sul prestito di dipinti antichi che continuano a prosperare nel mondo con sempre più vitalità. Gli inglesi poterono visitare Parigi quando il Louvre si arricchì nel 1802 e quando raggiunse l’apice nel 1814, e videro l’opportunità che questo dava ad artisti e amatori di studiare i gra...


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