Riassunto di grammatica della fantasia PDF

Title Riassunto di grammatica della fantasia
Course Didattica generale
Institution Università degli Studi di Foggia
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Riassunto di “Grammatica della fantasia” di Gianni Rodari Nota preliminare: Rodari usa “favola” come sinonimo di “storia”, talvolta di “fiaba”. Usa “fiaba” sempre solo per la fiaba tradizionale, con tutte le sue caratteristiche. Rodari, G. (1973). Grammatica della fantasia – Introduzione all’arte di inventare storie. Einaudi Ragazzi: Torino, Italia. (Sembra che d’ora in poi le parentesi serviranno a contenere i miei commenti. Fra parentesi quadre, invece, il numero della pagina in cui trovare il contenuto che le precede.) 1. ANTEFATTO Rodari parla delle sue prime esperienze come insegnante alla fine degli anni Trenta e del suo incontro con i surrealisti francesi. In quegli anni, rimane particolarmente colpito da una frase di Novalis che dice “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. (Questo mi fa pensare a Bruno Munari, che tra l’altro firma quasi tutte le copertine di Rodari, e al suo geniale trattatello “Fantasia“) Un po’ per simpatia e un po’ per la voglia di giocare, inizia a raccontare ai bambini “storie senza il minimo riferimento alla realtà né al buonsenso” [8] che lui stesso inventa usando le “tecniche” promosse e allo stesso tempo deprecate da Breton. Inizia a prendere nota “dei trucchi che scoprivo, o credevo di scoprire, per mettere in movimento parole e immagini” in un suo Quaderno di Fantastica. E poi se ne dimentica. Dopo alcuni anni da giornalista, alla fine degli anni Quaranta comincia a scrivere per bambini e riprende in mano quel quaderno, arricchendolo di nuovi spunti. Nel 1962 utilizza il materiale accumulato per comporre un Manuale per inventare favole, che pubblica in due puntate sul quotidiano romano Paese Sera. Seguono altre pubblicazioni sullo stesso tema, che compaiono sul Giornale dei Genitori: Che cosa succede se il nonno diventa un gatto (1969), Un piatto di storie (1971), Storie per ridere (1971). Nella primavera del 1972 viene invitato a Reggio Emilia per tenere un corso di una settimana a una cinquantina di insegnanti. Durante queste giornate, vengono registrate cinque conversazioni, che Rodari rielabora. Nasce così la Grammatica della Fantasia. L’autore ci tiene a precisare che questo libro non rappresenta il tentativo di fondare una “Fantastica” e nemmeno una teoria completa dell’immaginazione. Semplicemente “vi si parla di alcuni modi di inventare storie per bambini e di aiutare i bambini a inventarsi da soli le loro storie: ma chi sa quanti altri modi si potrebbero trovare e descrivere” [pagina 10]. Rodari sottolinea anche come le storie possano essere non solo costruite, ma veicolate in tanti modi diversi (raccontate a voce, messe in scena a teatro, trasformate in fumetto …) e incoraggia l’esplorazione. “Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perchè tutti siano artisti, ma perchè nessuno sia schiavo.“ 2. IL SASSO NELLO STAGNO Rodari paragona la parola a un sasso gettato nello stagno. Come esso, una parola “gettata nella mente a caso” produce onde, ovvero provoca una serie infinita di reazioni a catena, che coinvolgono l’esperienza, la memoria, la fantasia e l’inconscio poiché la mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma la co-crea. [11] Ad esempio: la parola “sasso” richiama tutte le parole che iniziano per “s”, quelle che fanno rima con “asso”, e molte altre ancora. Ma a Rodari ricorda anche il Santuario di Santa Caterina del Sasso e l’amico con cui lo ha visitato. Il suo flusso di pensieri continua, come il sasso che affonda, e Rodari ricorda l’amico, la sua

vita, le esperienze insieme. Questo dimostra come “una parola qualunque, scelta a caso, possa funzionare come parola magica per disseppellire campi della memoria che giacevano sotto la polvere del tempo.” [12] Dato che qui si parla di creare storie per e con i bambini, questo ci interessa non tanto come spunto per scrivere racconti sulle nostre memorie, ma come dimostrazione del “tema fantastico” che può nascere da una sola parola quando la lasciamo libera di definire accostamenti strani. Rodari fa l’esempio di “mattone”, che porta con sè “canzone”, e costruisce una storiella assurda ma ben formata su queste parole, collegate tra loro da accostamenti istintivi, e non dalla logica. [13] In modo quasi inconscio, in questa storiella si infilano immagini che arrivano da altre rime (“mattone”-“prigione”), e suggestioni letterarie di letture antiche e recenti. [14] Poi Rodari prende la parola “sasso” e ci costruisce degli acronimi che formano una frase di senso compiuto. Da questa frase, da questa immagine, è possibile creare una storia e Rodari ammette di aver usato più volte questo metodo per trovare ispirazione. [15] Incoraggia a utilizzare questo metodo perchè è a servizio dei bambini: non si serve di loro per misurare quello che sanno, bensì li aiuta a immaginare. [16] 3. LA PAROLA “CIAO” Dopo che Rodari aveva illustrato il metodo dell’acronimo a Reggio Emilia, una delle maestre presenti al corso ha chiesto ai suoi alunni di usarlo per inventare una storia partendo dalla parola “ciao”. Un bambino di cinque anni crea una storia in cui il protagonista si ammala perchè riesce a dire solo parole cattive, finché non trova la bella parolina “ciao” che lo fa diventare buono. [18] Durante il racconto in classe, il riferimento alle parole “cattive” innesca nei bambini quella che Rodari chiama “comicità escrementizia” e iniziano a elencare tutte le parolacce che conoscono. Per loro si tratta di un gioco delle associazioni che viaggia su quella che Jakobson chiama “asse della selezione”, ovvero l’asse che collega parole vicine per significato. I bambini intervengono anche in un altro punto della storia, quello in cui viene menzionata la visita dal medico. Qui si sbizzarriscono a trovare le indicazioni più strane (“guarda in dentro”), in un gioco che è già teatro, “è l’unità minima della drammatizzazione.” [18] La cosa interessante per Rodari è che, nel creare la sua storia, il bambino non si è concentrato sul significato o il suono di “ciao”, ma sull’identità di “ciao” come parola e ha costruito su quello, individuando e contrapponendo “parole brutte” e “parole belle”, “parole corte” e “parole lunghe”. Quando parla della lunghezza delle parole, il bambino la indica con le due mani, riprendendo l’azione di una pubblicità del tempo. Rodari legge quest’azione come un atto di appropriazione, che parte dalla televisione e si trasforma in scintilla di creatività. Le parole brutte della storia non sono solo parolacce, ma anche “uffa” e “arrangiati”. Complici i valori della scuola reggiana non repressiva, il bambino ha capito da solo che sono negative, perché allontanano gli altri. “A questo risultato è arrivata la mente reagendo alle sue stesse immagini, giudicandole, governando le loro associazioni con il contributo di tutta la piccola comunità in azione”. 4. IL BINOMIO FANTASTICO Se nel secondo capitolo Rodari dà l’impressione che basti una sola parola per ispirare una storia, in questo capitolo precisa che in realtà ne servono due. “La parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe a uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare. Non c’è vita, dove non c’è lotta.” [20] Nel dire questo, Rodari fa riferimento a Henry Wallon che, in Le origini del pensiero nel bambino, afferma che il pensiero si forma per coppie di opposti, in uno scontro che è generazione: “L’elemento fondamentale

del pensiero è questa struttura binaria, non i singoli elementi che la compongono. La coppia, il paio sono anteriori all’elemento isolato”. Con questo concorda anche Paul Klee che in Teoria della forma e della figurazione scrive che “il concetto è impossibile senza il suo opposto”. Ecco perché, secondo Rodari, “una storia può nascere solo da un binomio fantastico“ [20]. Perchè il binomio sia fantastico occorre una certa distanza fra le due parole, il loro accostamento deve risultare insolito in modo che l’immaginazione si attivi per costruire una relazione. I metodi per trovare le due parole sono vari: estrarle a sorte, indicare a caso in un libro, mandare uno scolaro a scrivere una parola su un lato della lavagna e un altro sull’altra… In questo gioco anche le parole più comuni possono innescare l’immaginazione perché sono “spaesate”, fuori contesto e quindi interessanti. E’ lo “spaesamento sistematico” di Max Ernst o, ancora meglio, lo “straniamento” di Viktor Sklovskij [21]. Una volta selezionate le due parole (ad esempio, “cane” e “armadio”), Rodari le collega con una preposizione articolata e ne ottiene varie figure (“il cane con l’armadio”, “l’armadio del cane”, …). Ognuna di esse suggerisce una storia, e non devono essere per forza logiche, anzi. “Il nonsenso può restare tale” e la cosa non disturba affatto i bambini, che applicano questa tecnica senza fatica, anzi divertendosi. Rodari non perde occasione per ribadire che “nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco”. L’educazione non deve per forza essere noiosa. 5. “LUCE” E “SCARPE” Rodari riporta la storia inventata da un gruppo di bambini di cinque anni: un bambino ruba le scarpe al padre e per punizione viene attaccato alla luce, finendo per trasformarsi in una lampada che si spegne solo se le si tolgono le scarpe. [24] In questa storia Rodari nota varie cose: i significati psicologici legati alla figura del padre, il gioco infantile del mettersi le scarpe di un genitore che permette ai bambini di calarsi in un’altra identità, [25] ma soprattutto l’immagine del bambino come una lampada accesa perché è attaccato alla corrente. Secondo Rodari, questa analogia non si è rivelata immediatamente, ma è scaturita sull’asse della “selezione verbale”, dall’eco generato dalla parola “attaccato”. “L’analogia verbale e la rima non pronunciata hanno fatto scattare l’analogia dell’immagine visiva” in un lavoro di “condensazione delle immagini” che Freud ha descritto studiando i processi creativi del sogno. In questo caso il narratore principale è il detonatore di un’esplosione che coinvolge tutti (“amplificazione”) e tutti gli altri bambini partecipano a trovare variazioni sul tema per analogia (il padre prova a “spegnere” il figlio girando la testa, schiacciando il naso, …). I bambini cercano spunti osservando i corpi degli altri bambini, il presente interviene nella storia. I gesti sono elencati in rima baciata, hanno un ritmo. La soluzione finale, in quanto conclusione logica, rompe il sogno: il papà toglie le scarpe al bambino che si spegne. C’era un elemento magico (le scarpe) che ha innescato la situazione e basta eliminarlo per far tornare tutto come prima. I bambini scoprono la reversibilità come metafora, non ancora come concetto. [26] Come ultima cosa, Rodari nota come la storia incarni dei valori tradizionali, poichè racconta di una disubbidienza punita, e conclude notando come in questo breve racconto trovano spazio l’inconscio con i suoi conflitti, l’esperienza, la memoria, l’ideologia, la parola in tutte le sue funzioni. [27] (Esattamente come diceva parlando del sasso nel secondo capitolo) 6. CHE COSA SUCCEDEREBBE SE … In questo capitolo Rodari parla della tecnica delle ipotesi fantastiche: “Che cosa succederebbe se un giorno un uomo si risvegliasse trasformato in scarafaggio?” ed ecco che Kafka scrive “Metamorfosi”.

Per iniziare basta prendere un soggetto (“Milano”) e un predicato (“circondato dal mare”): “Che cosa succederebbe se Milano si trovasse circondata dal mare?”. Possiamo proseguire immaginando la reazione delle persone e farne una storia corale, o scegliere un protagonista e raccontare le sue avventure. [28] La parte più divertente di questo processo è la formulazione della domanda. Scrivere il racconto, poi, è lo sviluppo di una scoperta già avvenuta. Per mantenere il divertimento, Rodari consiglia di coinvolgere l’esperienza personale del bambino così da permettergli un approccio insolito a una realtà per lui già carica di significato. [29] Questo permette di rileggere la realtà con occhi nuovi: “Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi – è più divertente – da un finestrino.” [30] 7. IL NONNO DI LENIN A supporto della frase con cui chiude il capitolo precedente, Rodari rievoca l’immagine del nonno di Lenin, nella cui casa Lenin giovane e i suoi amici si divertivano a entrare dalle finestre che davano sul giardino. Per evitare che si facessero male, il nonno mise delle panche sotto le finestre. Secondo Rodari quest’immagine è la perfetta metafora del mettersi a servizio dell’immaginazione infantile. “Con le storie e i procedimenti fantastici per produrle noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra, anzichè dalla porta. E’ più divertente: dunque è più utile.” Niente impedisce, però, di provocare l’impatto con la realtà attraverso ipotesi più impegnative: “Che cosa succederebbe se in tutto il mondo sparisse il denaro?”. I bambini amano misurarsi con problemi più grandi di loro ed è questo il modo che hanno per crescere, cosa che non vedono l’ora succeda [31] e che costituisce un diritto che gli adulti devono riconoscergli. Rodari conclude il capitolo notando come l’ipotesi fantastica altro non sia se non un binomio fantastico in cui a essere connesse non sono due parole ma un nome (“la città”) e un verbo (“vola”), oppure un soggetto e un predicato, o anche un soggetto (“il coccodrillo”) e un attributo (“esperto in cacca di gatti”). 8. IL PREFISSO ARBITRARIO “Un modo di rendere produttive, in senso fantastico, le parole, è quello di deformarle. Lo fanno i bambini, per gioco: un gioco che ha un contenuto molto serio, perché li aiuta a esplorare le possibilità delle parole, a dominarle, forzandole a declinazioni inedite; stimola la loro libertà di “parlanti”, con diritto alla loro personale parole (grazie, signor Saussure): incoraggia in loro l’anticonformismo”. Un modo per giocare a deformare le parole è aggiungere un prefisso arbitrario. Ecco così che il “temperino” diventa uno “stemperino” che fa ricrescere la punta alle matite. Questo gioco può portare a creare visioni di città future e utopiche, e Rodari ci tiene a precisare che “l’utopia non è meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza […] a quello della volontà […].” [33] Rodari prosegue con l’esempio del prefisso “bis-” che crea una “bispenna” che scrive doppio, “arci-” che da vita a “arcicani” e “tri-” che inventa il “trinocolo”. Prosegue poi con “anti-” (“antiombrello”), “dis-” (“discompito”), “vice-” (“vicecane”), “sotto-” (“sottogatto”), “semi-” (“semifantasma”), “super-” (“superfiammifero”), “micro-“, “mini-” (“minigrattacielo”), “maxi-” (“maxicoperta”). Anche in questo caso, si tratta di un tipo di binomio fantastico in cui i due elementi sono un prefisso scelto per originare nuove immagini e una parola usuale scelta per essere nobilitata dalla deformazione. [35] 9. L’ERRORE CREATIVO Un’altra cosa che può far spiccare il volo alla fantasia è l’errore ortografico e le storie che nascono in questo modo possono avere risvolti comici (la “Lapponia” si trasforma nel succoso paese di “Lamponia”, il “Lago” di

Garda diventa “l’ago” di Garda), ma anche istruttivi (come dimostra la storia sull’ “Itaglia” contenuta nel Libro degli errori). [36] Molti degli errori che i bambini fanno sono creazioni autonome, ispirate da associazione fonetica o semantica, che a loro servono per assimilare una realtà sconosciuta. Ecco così che la “pasticchina” diventa una “mastichina”. In ogni errore giace la possibilità di una storia. Ad esempio, scrivere “casa” con due “s” offre l’occasione di inventarsi una storia su un uomo che vive in una “cassa”. [37] Da un’unica parola si possono ricavare molti errori, cioè molte storie. Sbagliando s’inventa. [38] Inoltre, ridere degli errori è il primo modo per distaccarsene. [37] Lo sfruttamento dell’errore, volontario o involontario, è un caso interessante e sottile dell’ormai noto binomio fantastico. Il significato dell’elemento “sbagliato” si può desumere solo dal significato del primo: ecco così che “quore” è un “cuore” malato a cui serve una dose di vitamina C. [38] 10. VECCHI GIOCHI La ricerca del tema fantastico può avvenire anche attraverso giochi già praticati dai surrealisti, come quello del ritagliare i titoli dei giornali e mescolarli tra loro per ottenere notizie di avvenimenti assurdi, sensazionali o semplicemente divertenti. Questi componimenti possono divertire e basta, oppure offrire lo spunto per creare una storia. “Tecnicamente, il gioco spinge alle estreme conseguenze il processo di “straniamento” delle parole e dà luogo a vere e proprie catene di binomi fantastici.” [39] Un altro gioco è quello dei bigliettini a domanda e risposta: si scrive una lista di “domande che già configurano avvenimenti in serie, cioè una narrazione” (per esempio, chi era? dove si trovava? cosa faceva? …) e poi si passa la lista al primo del gruppo che risponde alla prima domanda, piega il foglio in modo che non si veda cos’ha risposto e passa il foglio al secondo che risponde alla seconda domanda, e così via. Si leggono poi le risposte una di seguito all’altra come fosse un racconto. Anche qui, si può riderne e basta o trasformare il tutto in una vera e propria storia. [40] Lo stesso procedimento può essere applicato per comporre un disegno a più mani. La cosa importante di questo gioco non è il risultato, ma le scoperte che avvengono a ogni passo, quando ogni componente interpreta a modo proprio quanto disegnato da chi lo ha preceduto. Umberto Eco lo chiamerebbe “andirivieni di significato”. Inoltre, se quel disegno diventa una storia, sono le parole a continuare il gioco e c’è ancora una volta un movimento dal nonsenso al senso. Rodari ribadisce ancora una volta che “lo stimolo dell’immaginazione nasce anche in questo gioco dall’intuizione di un legame nuovo tra due elementi che il caso mette in contatto”. Possono essere “forme dell’espressione” o “forme del contenuto”, per rubare del gergo linguistico, ma il ritmo binario rimane al fondo dei loro scambi. “L’impero della dialettica si estende anche sui territori dell’immaginazione”. [41] 11. UTILITA’ DI GIOSUE’ CARDUCCI Ai surrealisti si deve anche un’altra tecnica: il “trattamento” di un verso dato, ovvero “l’esplorazione di tutte le sue possibilità lungo la catena sonora, quella delle analogie o quella dei significati, alla ricerca di un tema fantastico.” [42] Seguono vari esempi in cui Rodari gioca e stravolge dei versi di Carducci, ottenendone poemetti non sense, [42, 43] tanto che si riferisce a questo gioco anche come tecnica del nonsenso. [44] Per attuarla bisogna trattare le parole come fossero giocattoli, cosa che i bambini fanno senza neanche accorgersene. (Ho l’impressione che a lui venga facile perchè la sua mente è immaginativa. Questa tecnica si basa largamente sul talento innato di vedere le cose in modo diverso, che non tutti hanno o comunque non

sviluppato ai livelli di quello di Rodari. Rispetto alle tecniche illustrate precedentemente, che sono applicabili da chiunque, la riuscita di questa mi sembra dipendere molto dalla personalità di chi la utilizza) 12. COSTRUZIONE DI UN LIMERICK (o anche, “Uno dei paragrafi preferiti delle maestre elementari italiane” che applicano questa tecnica come non ci fosse un domani … O sostengono di farlo…) Il limerick è un genere di nonsenso inglese, organizzato e codificato (Civian e Segal, 1969). Il primo verso contiene l’indicazione del protagonista. Il secondo verso indica la sua qualità, con un attributo o un oggetto che possiede o un’azione che compie. Nel terzo e quarto viene realizzato il predicato oppure possono essere riservati alla reazione degli astanti. Il quinto verso è riservato a un epiteto finale opportunamente stravagante (Rodari suggerisce di “storpiare” e re-inventare una parola) oppure a rappresaglie più serie subite. [45] I bambini trovano la parte dell’epiteto particolarmente divertente. [47] Come esempi, Rodari usa alcune composizioni di uno degli scrittori di limerick più prolifici, Edward Lear, e alcune scritte da lui stesso. [46, 47] Nel limerick si segue una struttura perchè aiuta la composizione, ma Rodari sug...


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