Gioia - Tesi di laurea sulla violenza - Le reti interistituzionali PDF

Title Gioia - Tesi di laurea sulla violenza - Le reti interistituzionali
Author Camilla Di Corcia
Course Servizio sociale
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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INTRODUZIONE

Il contrasto alla violenza di genere non è soltanto una grande questione di civiltà e di rispetto dei diritti umani ma è oggi anche una vera e propria “questione sociale”, dal momento che riguarda trasversalmente classi, famiglie, generazioni, gruppi etnici di riferimento. Come sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità è inoltre un grave problema di salute pubblica, che incide direttamente sul benessere fisico e psichico delle donne e indirettamente sul benessere sociale e culturale di tutta la popolazione. Una questione epocale, per dimensione e sviluppo nel tempo, troppo spesso colpevolmente sottovalutata. Ma, allo stesso tempo, la violenza di genere è anche un fenomeno assai difficile da contrastare, perché si annida negli interstizi della società, spesso sfuggenti e insospettabili, manifestandosi per lo più silenziosamente nella vita quotidiana e riuscendo a rappresentarsi come un evento accidentale persino nella percezione delle stesse vittime. Le violenze di genere determinano, dunque, un costo sociale che frena lo sviluppo economico delle società, a cominciare dal mancato guadagno economico da parte delle vittime – che dopo avere subito una violenza hanno grandi difficoltà a condurre una vita lavorativa equilibrata - fino ad arrivare ai costi finanziari che il sistema deve sostenere per arginare gli effetti negativi dei maltrattamenti contro le donne. Le violenze generano spese pubbliche più elevate per i servizi medici, per il

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sistema giudiziario, per la sicurezza e, soprattutto, per il prezzo pagato dalle future generazioni in termini di disagio e sviluppo. La violenza di genere si caratterizza come un fenomeno del nostro tempo, che racchiude in sé elementi di complessità, disordine e confusione. Un fenomeno sfuggente del quale riusciamo ad intravedere una remota superficie indistinta e di cui, talvolta, percepiamo solo un’immagine sfocata. Come altre manifestazioni, quali la tratta di esseri umani o gli homeless, la violenza contro le donne spesso assume il carattere dell’invisibilità: invisibile perché si consuma all’interno del privato dei rapporti familiari e affettivi, perché non sempre se ne riconoscono i contorni e i contenuti, invisibile anche perché la comunicazione e l’informazione mediatica generano spesso ambiguità, pregiudizi, stereotipi che danno luogo a percezioni distorte e a sovrapposizioni di significato. Il femminicidio, quale estrema -ma non unica- manifestazione della violenza di genere, ad esempio è un fatto sociale: la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è la donna che l’uomo o la società vorrebbero che fosse. Questo, nonostante la cronaca veda crescere incessantemente e a dismisura il numero di donne vittime di violenza, è difficile da concepire, da ammettere, da razionalizzare, da accettare, in una società democratica, “civilizzata” e culturalmente avanzata come la nostra, dove le “questioni affettive, familiari e di coppia” vengono relegate a una dimensione privata: tuttavia è una realtà innegabile che oggi molte donne subiscano violenza solo perché donne.

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La violenza di genere, perlopiù in ambito familiare, è dunque una realtà statisticamente in aumento, ma non salta immediatamente agli occhi come tale. Si parla spesso infatti di stupri, violenza sessuale, molestie, maternità forzata, incesto, ma non si coglie l’essenza comune di tutti questi reati: da qui la necessità trattare la violenza contro le donne come fenomeno a sé, al fine di infrangere un tabù ed affrontare seriamente il problema. Il singolo episodio di omicidio di una donna in sé non costituisce e non può essere rappresentato dai media solo come un “caso eccezionale”, magari conseguenza di un raptus improvviso, così come sarebbe fuorviante affermare che degli stupri siano perlopiù autori gli extra-comunitari: le statistiche, come detto, smentiscono questi input inviati dai media, affermando che nella maggior parte dei casi la violenza sulle donne è perpetrata in famiglia, da mariti, ex o conoscenti. Chiaro è quindi che la violenza di genere non è imputabile a un “mostro”, alla strada, ma ha radici più profonde di quanto i media vogliano far credere: è un fenomeno trasversale, interessa tutte le classi perché sta “dentro” il nucleo base della comunità, la famiglia. La violenza di genere costituisce una tipologia di reato in costante espansione e di continuo interesse da parte della società ma soprattutto da parte di coloro che ne vengono a contatto per lavoro. Il fenomeno nella sua globalità è complesso da analizzare in quanto gli autori di reato commettono gli episodi perlopiù entro le mura domestiche e ciò comporta, dato il legame spesso di natura intrafamiliare tra autore e

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vittima, il silenzio di quest’ultima che concorre ad accrescere il cosiddetto “numero oscuro”. Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno per sua natura sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni. Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza. La presente tesi sulla violenza di genere è stata elaborata partendo dall’analisi del fenomeno a livello culturale, sociale e normativo per poi analizzare i dati raccolti a livello nazionale. Nel secondo capitolo sono state esaminate le politiche di welfare a contrasto della violenza, l'attuale approccio europeo e le azioni messe in campo dalla regione Emilia Romagna. Nel capitolo terzo, dopo aver esaminato le risposte della regione Emilia Romagna e l'esperienza della rete dei servizi, viene trattato nello specifico il caso della Provincia di Parma; tale realtà è stata approfondita ed analizzata attraverso la partecipazione al corso di formazione interistituzionale: “la violenza sulle donne e i loro figli” tenutasi nel periodo aprile-ottobre 2012.

L’intento della formazione è stato quello di favorire

l’elaborazione e la condivisione di conoscenze circa il fenomeno della violenza sulle donne nel contesto familiare e, più in generale sociale, per riprogettare reti di servizio più efficaci.

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Il percorso di formazione ha avuto come scopo quello di riflettere sulla violenza nei confronti delle donne proprio tenendo fermo il presupposto di questo approccio centrato sull’empowerment in 3 livelli: della persona, dell'operatore e della comunità. La violenza domestica infatti espone gli operatori a un problema familiare complesso, l’approccio al quale varia a seconda del membro della famiglia o della cultura istituzionale (pensiamo a FF.OO., a operatori sanitari, operatori sociali, terzo settore, comunità ecc.), e questo caratterizza in parte le difficoltà di costruire reti interistituzionali. E d’altra parte la violenza stessa come esperienza, soprattutto se prolungata, mette la donna in un ruolo sociale caratterizzato dall’impotenza, dall’immobilismo, dalla situazione di stallo ecc., proprio ciò che codifica, nei fatti, un evidente bisogno di percorsi empowering di risposta ai problemi. Infine, è evidente che viviamo un clima sociale culturalmente schizofrenico rispetto alla violenza maschile: essa viene in qualche modo ritualizzata e promossa in pratiche quotidiane di educazione maschile, anche in contesti come il mondo scolastico, sportivo ecc., eppure il nuovo ruolo sociale delle donne rende molto più complessa l’accettazione di modelli maschili di questo tipo. Certo la violenza maschile è una forma appresa, o conseguenza di problemi psichici, ma anche una dimensione quotidiana che ha radici nel processo culturale carsico e resistente sulle dinamiche di potere ‘uomo-donna’ e in processi educativi diffusi (cosa è il femminile, cosa è il maschile): in questa rimozione collettiva si devono vedere le radici e la persistenza.

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Potremmo dire insomma che l’identità maschile vive trasformazioni ambivalenti e diversamente strutturate nei ceti sociali e nei gruppi culturali, creando davvero una grande potenzialità di conflitto familiare. Ecco perché la formazione è stata pensata e condotta in modo da stimolare l’operatore ‘dal basso’ a formulare la propria visione sul problema e a condividerla con altri operatori di servizi diversi.

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CAPITOLO 1 LA VIOLENZA DI GENERE: ANALISI DEL FENOMENO

1. Le radici della violenza contro la donna: una problematica culturale e sociale

In Italia vi è stata una sorta di negazione del problema sia da un punto di vista istituzionale che sociale; la violenza contro le donne (per lo più consumata all'interno delle mura domestiche) per molto tempo è stata percepita come un affare privato e non come un reato contro la persona, per cui sono ancora poche le ricerche e le pubblicazioni realizzate in lingua italiana che si occupano di questa problematica. Le percezioni e le rappresentazioni sociali relative a questa tipologia di violenza stanno tuttavia cominciando a cambiare. Per lungo tempo è stato considerato , come osservato, un fenomeno privato, da relegare nel segreto del focolare domestico . Si è ritenuto anche che gli uomini violenti fossero degli individui di ceto sociale basso, degli individui poveri, sfruttati, frustati, alcolizzati che si vendicavano sulla donna del proprio decadimento sociale e delle umiliazioni subite, mentre attualmente, in base a dati statistici, si sa che il fenomeno è più ampio e tocca tutti i ceti sociali e tutte le culture.

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Parlare di violenza contro le donne significa, dunque, affrontare una tematica assai complessa che non può essere definita esclusivamente a partire da concetti di tipo clinico e giuridico. Per comprendere e contrastare il fenomeno è necessario, infatti, tenere in considerazione i diversi ambiti di riferimento della donna: socio-culturale, relazionale e individuale. Le modalità con le quali una società interviene sulla violenza nei confronti delle donne - la gravità attribuita ad essa ed il tipo di reazione messa in atto a livello sociale e istituzionale - possono quindi essere molto diverse in base al periodo storico e al contesto geografico nel quale la violenza stessa viene perpetrata. Questa osservazione comporta la necessità di approfondire i fattori culturali, sociali ed economici che determinano le condizioni di soggezione e di dipendenza nelle quali versano molte donne in varie parti del mondo e che spesso rendono non solo possibili, ma addirittura tollerabili, le diverse forme di maltrattamento alle quali esse vengono sottoposte. A tutt’oggi persistono radicate convinzioni (modelli socio-educativi e relazionali trasmessi tra generazioni) che vedono la donna subordinata all’uomo e come soggetto dipendente nel rapporto affettivo. Convinzioni che affidano alla donna la funzione di cura nelle relazioni, a discapito della reciprocità e della possibilità di fare richieste basate sui propri desideri e bisogni. I comportamenti aggressivi, anche quelli sessuali, vengono giustificati perché connaturati alla natura dell’uomo; la gestione delle finanze

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spetta al “capofamiglia”; una brava moglie e madre non lavora fuori casa, ecc. sono stereotipi tutt'altro che superati. Tollerare una relazione tra i sessi in cui esista uno squilibrio di potere rende difficile il riconoscimento della violenza. Un primo fondamentale elemento di prevenzione e protezione è dunque rappresentato da un cambiamento a livello sociale e culturale che porti a fare emergere sempre più il problema e riconosca e valorizzi la differenza, la reciprocità dei ruoli tra uomo e donna nonché le risorse di ognuno. Anche la dimensione individuale è indispensabile per comprendere l’insorgenza, lo sviluppo e il mantenimento di una situazione di violenza. Questa dimensione è, infatti, correlata con lo sviluppo del sé che si definisce e si struttura a partire da esperienze primarie significative, nel corso degli anni. Sperimentare le proprie risorse in contesti relazionali positivi permette di crescere con un buon livello di autostima, una immagine positiva di sé e la percezione di meritare amore e rispetto. Là dove questo non è possibile, per esperienze precoci di violenza o per la presenza di contesti familiari caratterizzati da carenza affettiva ed emotiva, il senso di sé può risultare “indebolito” o fortemente danneggiato. Diversi studi hanno rilevato che l’abuso infantile, la violenza adolescenziale e l’aver avuto una madre vittima di violenza, diventano in età adulta fattori di rischio per una relazione coniugale violenta e maltrattante. Aumentando infatti la soglia di tolleranza si creano le condizioni per una assuefazione a maltrattamento:

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le donne tendono a considerare “normale” la violenza in famiglia e non mettono in atto le naturali capacità di reazione e opposizione. Riconoscere la violenza subita presuppone il percepirsi come persona degna e positiva. Le donne che hanno subito violenza invece provano vergogna, si sentono in colpa, si considerano inadeguate e incapaci di reagire. La violenza è, infatti, un attacco all’integrità fisica e psichica della donna che produce pesanti effetti e conseguenze: un potente fattore di rischio per la salute mentale della donna. Le reazioni del contesto familiare e sociale, spesso giudicante e ostile, la carenza di risorse materiali, il momento della vita in cui la violenza insorge, la gravità dell’aggressione, insieme alla presenza di violenze pregresse, rappresentano elementi che possono andare ad appesantire l’entità del danno. All’opposto il tempestivo riconoscimento della violenza subita, la possibilità di svelare l’accaduto e uscire dalla situazione, insieme a risposte di sostegno del contesto familiare e sociale, a risorse materiali e azioni di protezione, costituiscono fattori altamente protettivi per ricostruire il senso di sé fisico e psichico nell’ambito di un percorso di elaborazione e riparazione del trauma. Le radici dei nostri comportamenti sono in relazione con la tradizione culturale di appartenenza, con la struttura sociale, con il sesso della persona - il quale determina le diverse sottoculture femminile e maschile - e con il processo concreto che ha vissuto la persona attraverso i distinti agenti di socializzazione, quali sono il nucleo familiare, la

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scuola, i mezzi di comunicazione, i gruppi di pari ecc. Tutto ciò agisce nel mondo particolare che la persona si crea, diventando un insieme di sensazioni, emozioni, pensieri, modi di comportarsi e relazionarsi, che genera la struttura della personalità. Questa struttura della personalità non è permanente, anzi attraversa dei momenti di crisi e cambiamenti continui. Le persone hanno un corpo biologico e anche delle determinanti socioculturali che incidono sulla propria maniera di sentire, pensare e agire. Alcune riguardano quasi ugualmente ambedue i sessi, altre in maniera diversa la donna e l'uomo. Per quanto riguarda invece la società, la nostra proviene da una struttura patriarcale, che si è manifestata in una gerarchia di potere economico e sociale, base di un sistema di dominazione e sottomissione. Per tanto tempo fino all'azione del movimento delle donne la società è stata rappresentata dall'uomo, valorizzandone tutto quello che corrisponde allo stereotipo maschile. Socialmente il dominio è stato attribuito all'uomo e la sottomissione alla donna. Questo ha creato stili di relazione di potere in cui la donna ha subito un ruolo di vittima di fronte all'uomo che assumeva quello di dominatore, ed ha impostato così una relazione non paritaria e disuguale, che tuttora ha delle conseguenze. La persona che si sente oppressa tende a cambiare il suo ruolo appena trova un’opportunità. Così succede che la donna, volendo cambiare la situazione svantaggiata,

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finisce a volte con l’identificarsi con i ruoli maschili giocando a sua volta la parte di dominatrice. Ovviamente i cambiamenti dei valori sociali e delle strutture relazionali non sono automatici per il fatto di cambiare il sistema socioeconomico o per assumere un'ideologia diversa. Un cambiamento realmente effettivo di valori non si può dare senza un' attuazione parallela nelle aree sociale, relazionale e personale. Le differenze sessuali nella nostra società occidentale non sono solamente delle differenze biologiche, bensì due conformazioni, due modi di percepire e vivere il mondo: la sottocultura femminile e la sottocultura maschile. Nella struttura patriarcale la sottocultura maschile è quella dominante, incidendo sia nella vita quotidiana che nell'elaborazione delle teorie del sapere scientifico. La possibilità che potesse esserci una percezione del mondo al femminile non è stato per molto tempo nemmeno presa in considerazione. Si è ignorato il mondo della donna - creato proprio dalla differenziazione sessuale - anche da parte delle stesse donne, che sovente finivano, come già osservato, per cercare la propria identità imitando quella dell'uomo. Queste sottoculture non sono il prodotto della natura biologica; insieme ad essa c'è la struttura dei ruoli della nostra società imparati attraverso gli agenti di socializzazione durante un processo educativo diverso per gli uomini e per le donne.

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Il concetto di maschile/femminile è una costruzione socioculturale formata dai valori e dai ruoli, dalle forme di percezione di sé, e infine, da tutta una configurazione del mondo che avrebbe un altro senso in altre società. Secondo quello che viene considerato - in base ai ai cliché tradizionali - maschile o femminile si educano le persone, ad esempio incitando e coinvolgendo i maschi in giochi competitivi ed aggressivi in cui misurano la propria forza, offrendoci un indice di quanto sia ancora importante nella nostra società che gli uomini appaiano forti, combattivi e competitivi. Si insegna ai bambini a negare le emozioni, incoraggiando il non piangere, il resistere e stimolando a difendersi con il corpo più che con le parole. La tristezza e la tenerezza vengono considerate deboli per i maschi ma accettabili per le femmine. Per contro le bambine vengono spesso educate a svolgere ruoli di cura, e imparano ad essere tenere e materne attraverso giochi materni e bambole di cui prendersi cura. Sono scoraggiate a manifestare la rabbia e le condotte aggressive, mentre si accettano i loro lamenti e i pianti come valvole di sfogo nelle situazioni di frustrazione. Attraverso l'assunzione di determinati ruoli si costruisce l'identità dell'uomo e della donna, che a volte può viversi come una dura corazza che impedisce una fluida comunicazione personale e relazionale. Tutt’oggi le donne che si comportano in accordo alle aspettative sociali riguardo al ruolo di donna occupano il secondo posto nella considerazione sociale, mentre se adoperano valori più maschili (forza, competitività…)

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ai fini di essere riconosciute socialmente vengono frequentemente disprezzate come donne. Oggi, nella nostra società occidentale, sono sempre più evidenti gli sforzi che le donne e, sempre più uomini fanno per sradicare gli stereotipi legati ai ruoli sessuali. Appare chiaro che tutti e tutte abbiamo bisogno di esprimerci nei momenti della nostra vita in diversi modi, a volte più femminili talvolta più maschili, senza perciò attribuire ad essi delle connotazioni positive o negative. Gli studi psicologici sulle differenze di genere sono arrivati - al pari di alcune tradizioni millenarie - alla conclusione che sia uomini che donne abbiamo dentro di noi una parte maschile ed un'altra femminile, e naturalmente, la salute si trova nell’equilibrio tra queste due parti. I cambiamenti, però, sono lenti se si osservano su grande scala. Resta difficile non conformarsi in base a dei ruoli che risultano cristallizzati.

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2. La portata del fenomeno

Ricerche e studi condotti a diversi livelli e contesti confermano che la violenza contro le donne è un problema che interessa ogni Paese del mondo. Non vi sono statistiche complessive sul maltrattamento, ma il “Rapporto Mondiale sulla Violenza e la Sanità” 1 stima che una donna su cinque ha subito nella sua vita una qualche forma di violenza. All'interno dell'UE, in b...


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