TESI Completa PDF - tesi di laurea in scienze dell\'educazione IDI PDF

Title TESI Completa PDF - tesi di laurea in scienze dell\'educazione IDI
Author MARIA NAPOLITANO
Course Modelli sociali della disabilità
Institution Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
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Summary

tesi di laurea in scienze dell'educazione
IDI...


Description

Università degli Studi

Suor Orsola Benincasa

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA

Scienze dell‟educazione TESI DI LAUREA IN Modelli sociali della disabilità

Disabilità ed inclusione nei contesti formativi

Relatore Ch.mo Prof Ciro Pizzo

Candidato Maria Napolitano Matricola 111006017

Anno Accademico 2017/2018

“Nonostante non possa muovermi e debba parlare con un computer, nella mia mente sono libero.” Stephen Hawking.

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Indice Introduzione Capitolo 1 Un po' di storia 1.1 Disabilità: l‟evoluzione terminologica 1.2 La disabilità nel mondo Antico 1.3 L‟avvento del Cristianesimo e del Medioevo 1.4 Il periodo illuminista 1.5 Il periodo positivista 1.6 Un progetto malvagio: Aktion T4 1.7 Tre approcci fondamentali: da Pinel a Seguìn 1.8 Sensismo e Pedagogia Speciale 1.9 Una legge essenziale per favorire l‟inclusione: legge 104/1992 Capitolo 2 Inclusione dei disabili a scuola 2.1 Il ruolo fondamentale della scuola 2.2 Politica scolastica e prassi didattica per realizzare inclusione 2.3 Educazione tra inclusione ed integrazione 2.4 L‟idea di una “Speciale normalità” attraverso una Didattica Inclusiva 2.5 Alunni con Bisogni Educativi Speciali 2.6 BES con e senza diagnosi psicologica e/o medica 2.7 Chi individua i BES e quali sono i propri diritti? Capitolo 3 Disabilità nelle diverse fasce d’età 3.1 Un primo incontro con gli altri: il bambino disabile al nido 3.2 Un‟iniziativa importante contro ogni discriminazione al nido 3.3 Scuola dell‟infanzia e disabilità 3.4 Sviluppo delle scuole elementari speciali 3.5 L‟età adolescenziale

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3.6 L‟incessante fenomeno del Bullismo adolescenziale 3.7 Tutela al Bullismo attraverso la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità Conclusione Bibliografia e Sitografia

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Introduzione E‟ fondamentale ammettere che quando si parla di disabilità si ha a che fare con un tema attuale e all‟ordine del giorno, riguardante in vasta misura svariate persone inserite nei vari contesti come scuola, lavoro, famiglia e società. Sono tante le famiglie aventi almeno un disabile a carico all‟interno del proprio nucleo e altrettanto numerose sono le discriminazioni e i pregiudizi che purtroppo oggi vengono a crearsi nei confronti di tali individui appartenenti ai vari contesti, tra cui quello scolastico, visto come centrale per l‟intestazione delle prime relazioni e per la formazione dell‟identità e personalità dell‟individuo. E‟ proprio la scuola che sarà al centro del percorso di indagine articolato all‟interno del testo che andremo ad analizzare in relazione al bambino affetto da disabilità. Il lavoro è strutturato in tre capitoli, i quali partiranno dal descrivere in generale l‟evoluzione terminologica e storica della disabilità, attraverso gli autori che ne hanno fatto la storia, fino ad affrontare più specificamente come essa si sia esplicata nel tempo all‟interno del contesto scolastico, attraverso un‟analisi accurata di come il bambino disabile vive il proprio disagio al suo interno, nelle varie fasce d‟età. Dunque, il primo capitolo tratta è affrontata l‟evoluzione terminologica che segna il passaggio dal termine a , descrivendo infine com‟è cambiata la disabilità dal mondo antico dove i bambini malformati venivano uccisi ed eliminati, fino ad arrivare all‟età contemporanea dove si assiste finalmente ad una maggior considerazione di tali persone. Successivamente è trattata la storia della disabilità, descrivendo i tre approcci fondamentali che gli sono stati applicati, da quello medico a quello sociale. Spiccheranno a tal proposito vari autori importanti, come Pìnel e Sèguin. Ampio spazio è riservato alla pedagogia speciale, disciplina che abbraccia tale tema dove emergerà la figura di Itard. Nel secondo capitolo è affrontato il tema

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dell‟inclusione\integrazione dei disabili a scuola attraverso una didattica inclusiva ponendo particolare attenzione alla figura dei BES e ai propri diritti. Ci si focalizza poi su un‟ulteriore componente coinvolto nel processo d‟inclusione, ovvero l‟ insegnante di sostegno, il quale assume un importante ruolo nell‟affiancare il soggetto affetto da bisogni educativi speciali al fine di renderlo partecipe alla vita collettiva. Nel terzo capitolo si affronta invece nello specifico, come il bambino disabile vive la propria situazione scolastica a partire dal nido, fino all‟adolescenza. Si procede a descrivere le varie fasi di vita partendo dalla tenera età, dove il bambino ha un primo contatto con il mondo esterno all‟ambiente familiare, sviluppando le sue prime relazioni con i coetanei, così come alla scuola dell‟infanzia. Infine si giunge a descrivere la fase più delicata e turbolenta che caratterizza ogni essere umano, in modo peggiore il ragazzo disabile: l‟adolescenza. Non di rado sono presenti episodi di bullismo in taluna età, soprattutto nei confronti dei più deboli i quali, essendo indifesi, non riescono a sfuggire ai maltrattamenti dei più forti. A Tal proposito è indubbiamente opportuno citare un‟importante convenzione ratificata nel 2006 dall‟ONU, la quale assicura a tutti i disabili in particolar modo a donne e bambini, un eguale e pieno godimento dei diritti umani, imponendo il divieto ad essere sottoposti a torture e sfruttamenti.

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CAPITOLO 1 UN PO’ DI STORIA. 1.1 Disabilità: l’evoluzione terminologica. Un tempo, ormai lontano i termini più utilizzati per definire le persone con disagio erano “idiota”, “cretino”, “deficiente”, “imbecille”. Tutti venivano utilizzati indistintamente per riferirsi a persone che non rientravano nei parametri di normalità socialmente diffusi ed accettati. Nel giro di poco tempo però, tali termini hanno assunto una connotazione offensiva e sono stati paragonati a dei veri e propri insulti. Rendendosi poi conto pian piano di come fossero divenute espressioni che potevano dar luogo a malintesi urtando la sensibilità, si è scelto di sostituirli con definizioni più consone e in grado di esprimere con più delicatezza la mancanza oggettiva della persona. Ben presto la scelta cadde sul termine “handicappato”, ma nemmeno questa parola ha potuto evitare di trasformarsi, con l‟andar del tempo, nel linguaggio corrente, in un‟ offesa. “L‟handicappato è colui che parte svantaggiato in questa gara collettiva dove il sistema produttivo gioca un ruolo fondamentale per la riuscita sociale. La mancata partecipazione delle persone disabili al sistema produttivo, fa sì che esse siano percepite come un problema che può perturbare l‟ordinato funzionamento del sistema sociale. L‟immagine dello zoppo, 1oppure del cieco che mendica agli angoli delle strade e mette

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Fabio Ferrucci, La disabilità come relazione sociale, Rubbettino editore,2004.

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le mani nel cappello per raccogliere le offerte dei passanti è continuamente evocata dal termine handicappato e diventa il tratto distintivo della sua identità sociale.” Il termine porta con sé l‟identificazione della persona con disabilità come un individuo fragile, stimola un approccio basato sulla pietas e una relazione improntata al modello medico che confina la persona con disabilità in una condizione di «cura perpetua». I servizi sono speciali e segregativi. La relazione si fonda sulla differenza tra chi aiuta, chi educa, chi cura e chi soffre, chi riceve, chi non decide, ecc. Possiamo affermare in maniera più specifica, però, che il termine “handicap” ha due accezioni. Una negativa, tradotta con le parole svantaggio e ostacolo: all‟ handicap così inteso dobbiamo dichiarare guerra, dobbiamo lavorare per ridurlo, perché ciò è possibile, perché realmente possiamo agire su ciò che è handicappante, ovvero che determina svantaggio. Oltre a questa accezione negativa, la parola “handicap” ne ha una positiva, anche se apparentemente non sembra tale: difficoltà. La vita è piena di difficoltà, di sfide che la rendono avvincente. Anche il fascino dello sport è basato proprio sul superamento di tante difficoltà per giungere ad un risultato, ad una vittoria. In questo senso, allora, il termine handicap assume una valenza positiva: essendo una sfida, contribuisce a rendere la vita una gara più avvincente e affascinante. Nel 1980, nella Classificazione Internazionale dei Danni, Disabilità e Handicap (ICIDH) adottata dall‟ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l‟handicap viene definito come la «condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona a causa della disabilità determinata da una menomazione».

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Negli anni che seguono i termini «disabilità» e «handicap» vengono però spesso utilizzati in un modo non chiaro, talvolta come sinonimi, fornendo scarse indicazioni per le politiche decisionali e per l‟azione politica. Arriviamo poi al 2003. Quest‟anno è stato molto significativo e fiorente per quanto riguarda l‟evoluzione del termine in questione. Si giunge a parlare finalmente di persone “diversamente abili”.

Il termine «diversabilità» coincide con un momento storico di importante cambiamento per l‟approccio alla disabilità. Nel 2001 l‟OMS rettifica l‟ICF (la “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”) e, anche se la sua conoscenza e il suo utilizzo richiederanno anni prima di divenire comuni, la valenza culturale dei concetti che sottende cambierà radicalmente il modo di pensare la disabilità. L‟assistito diventa persona con la quale instaurare un rapporto e la relazione vuole essere alla pari, cioè crearsi con il contributo di tutte e due le parti. Tale approccio mette in gioco professionisti e persone con disabilità: se la persona diversabile non è disposta a giocarsi in una relazione autentica, uscendo dalla logica del mero farsi aiutare, non otterremo una vera reciprocità.

1.2 La disabilità nel mondo antico. La disabilità è sempre stata presente all‟interno delle società e se si parte dalle tradizioni più antiche per arrivare ai giorni nostri ci si rende conto come sia cambiata la mentalità. E‟ importante chiarire che già all‟epoca vi era un‟ avvilente selezione della specie. Anche coloro che, pur in assenza di visibili deformità, con il crescere

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dimostravano anomalie come la sordità e il mutismo, erano considerati incompatibili con la vita. “La civiltà romana, eredita da quella greca il culto del bello, archetipo di una supremazia che affermerà la sua potenza in tutto il mondo allora conosciuto. Per Seneca la disabilità può essere paragonata alla vita inutile. Nell‟opinione popolare la mostruosità di un figlio è un disonore per l‟intera stirpe. A tal riguardo, ogni nuovo nato subisce il rito dell‟innalzamento al cielo, che indica che è stato accolto dalla sua famiglia, divenendo cittadino romano.”2 Nell‟antica Roma i bambini con deformazioni evidenti venivano soppressi al momento della nascita, gli altri se entro i 3 anni mostravano segni di sordità venivano eliminati in quanto considerati incapaci di apprendere. Quest‟abitudine di esporre e uccidere i bambini deformi era comunissima nel mondo romano ma anche in quello greco. I Romani utilizzavano la rupe Tarpea e soprattutto risultava centrale un accostamento tra malattia e volontà degli dei, i quali però non erano ritenuti gli unici responsabili, ma le cause di molti disturbi mentali dell‟uomo sono individuabili anche nel lusso, nell‟ avidità e in molti vizi che opprimono l‟animo umano. Rimane tuttavia l‟idea dell‟emarginazione e peggio ancora dell‟eliminazione dei malati incurabili. Per quanto riguarda invece i legionari che tornavano nell‟antica Roma con il corpo gravemente ferito o mutilato, per essi era riservato un destino di emarginazione e totale abbandono. “Nell‟antica Grecia, invece le persone con disabilità erano rappresentati come dei “mostri della natura”, sia perché erano il segno dell‟ira degli dei, sia perché erano dei veri e propri scherzi della natura. La disabilità era considerata una punizione divina, che 2

Vincenzo Amendolagine, Argomenti di metodologie educative in comunità : L'educatore professionale e la comunità, youcanprint,2016.

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si abbatteva sugli uomini modificandone la natura, un errore che richiedeva di essere corretto senza esitazione, i genitori, pertanto non dovevano sottrarsi al dovere di eliminare il nascituro senza dubitare della giustezza del proprio atto: un‟ esitazione sarebbe stata considerata come una debolezza impropria. Non stupisce, allora, quando Seneca, nelle Lettere, testimonia della soppressione dei bambini che, al momento della nascita, fossero risultati deboli e anormali, aggiungendo come non fosse la rabbia, ma la ragione a separare il malsano dal sano. ”3 Nelle antiche città-stato presenti in Grecia, vi era un‟imponente tradizione. Essa voleva che i bambini fossero sottoposti agli esiti di una commissione governativa, la quale al momento della nascita li esaminava e qualora gli esaminati avessero mostrato dei difetti corporei o malformazioni, venivano lanciati dalla cima del Taigeto senza alcuna pietà. Essi erano visti come un vero e proprio peso per la società e spesso venivano immolati a fini propiziatori, ancora piccoli, o arruolati in guerra come soldati, con un destino segnato, vista l‟incapacità difensiva. Ad Atene la situazione era alquanto diversa poiché i cittadini della stessa città si mostravano più tolleranti e compassionevoli nei confronti dei loro disabili ma soprattutto lo stato aveva molta cura di queste perone, quindi abbiamo un clima più sereno e tranquillo. A livello legislativo resta centrale una legge indotta da Solone, governatore della città a quel tempo, la quale prevedeva un sussidio da parte della polis per coloro che a causa della propria disabilità non potevano accedere alla professione, e quindi non potevano mantenersi autonomamente. A Sparta i bambini con un età dai 7 anni in poi, venivano sottoposti a prove fisiche e di resistenza come sopravvivere nella foresta o dormire all‟aperto per un tempo prolungato. Siamo quindi di fronte ad un ulteriore prova che ci testimonia l‟apertura e la totale accondiscendenza 3

Francesca Greco, Integrare la disabilità, Franco Angeli.

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della città. Inoltre “un destino più benevolo attende i disabili che presentano un corpo non intaccato da mostruosità. Godono di un certo rispetto i ciechi e i pazzi. Secondo la mentalità comune i ciechi non vedono quello che accade nel presente e per questa ragione, percepiscono il tempo futuro e quindi sono in grado di predire gli avvenimenti. I pazzi, nei loro deliri, sono capaci di parlare con gli dei , per cui bisogna non inimicarseli se si vuol godere della benevolenza divina.” 4 Erano frequenti episodi di capro espiatorio. Tra i gruppi usati come capri espiatori nel corso della storia troviamo i negri, gli immigranti, i comunisti, i capitalisti, i "terroni", le "streghe", le donne, i poveri, gli Ebrei, i lebbrosi, gli omosessuali, i tossicodipendenti e i disabili. In caso di carestie, o di eventi naturali funesti la popolazione sceglieva il soggetto più repellente da immolare agli dei. La ritualità del sacrificio prevedeva una successione di eventi ben definiti. Il disabile era portato fuori dalle mura, bastonato sui genitali per sette volte e infine bruciato vivo sul rogo. Infine si raccoglievano le sue ceneri e si disperdevano in mare, con l‟obbiettivo di placare la volontà degli dei.

1.3 L’avvento del cristianesimo e del medioevo. “ La rappresentazione della disabilità della Grecia antica si protrarrà nel tempo e si modificherà solo con la caduta dell‟ impero romano e l‟avvento del cristianesimo.”5 Ebbene sì, il Cristianesimo cambia il corso di questa tragica storia. Come ben sappiamo, con esso abbiamo una nuova visione dell‟uomo, ispirato ai principi di amore, fratellanza e solidarietà reciproca. La società, il lavoro e la famiglia saranno ispirati all‟amore e al

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Vincenzo Amendolagine, Argomenti di metodologie educative in comunità : L'educatore professionale e la comunità, youcanprint,2016. 5

Francesca Greco, Integrare la disabilità, Franco Angeli,2016.

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vangelo, guidati dall‟istituzione più alta che è la chiesa. E‟ l‟avvento della pietà, della difesa degli infelici, della protezione dei deboli e dei malati. Una gran numero di paralitici, storpi, ciechi e lebbrosi seguivano Gesù di Nazareth gridando e supplicando “dacci la felicità ..abbi pietà di noi..” Insomma il Cristianesimo sarà portatore di un messaggio rivoluzionario per guardare ai perseguitati e agli emarginati, ed è così che ci sarà una rinascita del mondo tramite il messaggio del Cristo, ma oltretutto pare verificarsi un cambio di mentalità: l‟handicap verrà considerato come una malattia e non come un errore e l‟approccio ad essa sarà caratterizzato da pietà e protezione partendo dal presupposto che si è tutti figli di Dio. La situazione cambia quando il percorso storico del cristianesimo inciampa in papi come San Gregorio Magno che non esiterà nemmeno un attimo a dichiarare “Un’anima sana non troverà mai albergo in una dimora malata..” Questa frase dice tutto. Per egli, in un corpo deforme, non potrà mai esserci un‟anima che abbia la grazia di Dio. Da qui ci immergeremo in un nuovo periodo, ovvero, l‟età medievale. “Non esiste nel medioevo una nozione come quella di disabile o handicappato. Queste sono categorie sconosciute all‟ordine linguistico e socioculturale di quei mondi. Per contro la cultura medievale è fortemente attratta dal prodigium, ovvero dalle forme più vistose di alterazione fisica. La fiera era il luogo nel quale confluiva ogni sorta di “prodigio”, che veniva spettacolarizzato, esibito o addirittura glorificato qualora si trattasse di feste popolari di tipo carnascialesco. Insomma, il deforme come categoria

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generica per tutto il medioevo, è completamente ed esclusivamente assorbito nella cultura popolare come sottocategoria del grottesco.”6 La concezione delle persone in condizioni di disabilità e dei malati è nel medioevo molto particolare; a influenzarne l‟approccio ci sono diversi fattori. Il primo esalta la convinzione che vede il corpo come carcere dell‟anima. Successivamente si credeva in un forte collegamento tra malattia e peccato in quanto si credeva che l‟handicap provenisse da esso e, infine era prevalente la forte credenza nelle magie e nelle streghe. In quest‟età figura centrale era la madre, alla quale era data tutta la colpa dell‟invalidità del figlio. Le donne che generavano figli mostruosi e o deformi, venivamo accusate di aver avuto rapporti col diavolo e per questo perseguitate, uccise e tante volte venivano fatte bruciare vive sul rogo insieme al proprio bambino. Spesso le povere creature venivano derise, oltraggiate e le loro deformità venivano mostrate nelle piazze allo scoperto.

1.4 Il periodo Illuminista. Come ben sappiamo, l‟ Illuminismo, detto anche “secolo dei lumi” risale al 700. Esso è stato un movimento politico, sociale, culturale e filosofico sviluppatosi intorno al XVIII secolo in Europa. Nato in Inghilterra, ha avuto il suo massimo sviluppo in Francia, poi in tutta Europa e raggiungendo anche l'America. “Come scriverà Kant, «L‟illuminismo è l‟uscita dell‟uomo da uno stato di minorità […]. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro».”

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Rosalba Perrotta, Un cuore di farfalla: Studi su disabilità fisica e stigma, Franco Angeli Editore, 2009.

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Con il passaggio all‟illuminismo vi è un cambiamento nella visione filosofica dell‟uomo che consente una nuova riorganizzazione della rappresentazione della disabilità, andando oltre la dimensione mostruosa e considerando l‟individuo come essere umano. La responsabilità del volere divino cessa di essere, poiché tutti gli uomini possiedono una natura umana e quindi possono essere recuperati. Nasceranno le prime importanti scuole per la rieducazione dei sordi e dei ciechi in particolare. Per l‟appunto, in Francia ancora oggi ,il termine che viene utilizzato per il processo di riabilitazione è rieducazione. Questa parola rimanda ad un processo che mira al...


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