Gustav Radbruch PDF

Title Gustav Radbruch
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Filosofia del diritto Gustav Radbruch In Gustav Radbruch il pensiero si unisce alla vita personale, c’è una coerenza e una sincerità a tutto tondo, che tocca la vita del giurista-filosofo, il suo pensiero e la storia del 900 europeo e della Germania nazista. Radbruch nasce il 21 Novembre del 1878 a Lubecca, in Germania e muore prematuramente nel 1949, pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Egli è un giurista che ha dato uno dei contributi più originali alla storia del giuspositivismo. Egli ricopre anche il ruolo di docente di diritto penale ed internazionale infatti si muove in vari sedi universitarie tedesche. È un uomo sempre impegnato: parte volontario per la croce rossa nella prima guerra mondiale. Negli anni della repubblica di Weimar diventa ministro della giustizia per ben due volte, tra il 1921 e il 1923, ed è un politico social democratico. Gli aspetti della biografia sono importanti per capire il suo pensiero e il perché della sua reazione avuta quando si è ritrovato a vivere i 12 anni del totalitarismo nazista. Sono interessanti le battaglie politiche che egli cerca di portare avanti: per esempio quelle per l’abolizione della pena di morte o per il riconoscimento dei diritti dei minori, delle donne e dei lavoratori. Egli infatti riuscì a far approvare una legge che aprì alle donne il percorso istituzionale giuridico e giudiziario. Egli scrive un’autobiografia che, però, interrompe molto probabilmente quando muore, nel 1941, il suo secondo figlio, il quale era stato arruolato in guerra, a Stalingrado dove viene ferito gravemente e muore per embolia. In questa autobiografia, che esce postuma per volontà della seconda moglie, è contenuto un luogo che sintetizza il senso e l’autenticità dell’impegno di Radbruch per la giustizia e cioè “il non voler avere più degli altri, non essendo migliore degli altri, è sempre stato il mio sentimento sociale di fondo”. Gustav Radbruch viene immediatamente licenziato con l’avvento del nazismo nel 1933, si chiude in casa e continua a studiare e scrivere. All’inizio del Settembre del 1945, quando fu possibile, pubblica alcune pagine di uno scritto intitolato “5 minuti di filosofia del diritto” che è particolarmente efficace perché la struttura è quella di una scaletta peri i propri appunti quindi è molto scarna ma rappresenta la svolta, il nuovo approdo della riflessione di Radbruch. Egli viene molto criticato per questo cambiamento di pensiero e di posizione avuto durante gli anni del nazismo; ancora oggi è possibile trovare articoli nei quali si esprimeva una critica a Radbruch e in uno di questi si afferma che i fatti empirici non possono condizionare il pensiero, cosa assurda soprattutto se per fatto empirico si intende lo sterminio di 6 milioni di

ebrei. In realtà si potrebbe più pensare a Radbruch come il giurista che passa attraverso il nazismo senza cambiar nulla, continuando ad affermare e a non ritrattare le posizioni ideologiche vicine al regime. Quindi Gustav Radbruch è stata una figura importante perché si lega a doppio filo tanto alla storia del totalitarismo nazista da un lato, per cui il pensiero ultimo che pubblicherà e rivendicherà come proprio nasce dal tormentato vivere e riflettere nel silenzio, e tanto alla storia del fare giustizia a valle di quella terribile vicenda, giustizia giudiziaria di transizione ad una nuova configurazione politico-giuridica democratica, e alla storia del riconoscimento giuridico della dignità umana dall’altro. Si tratta di una cerniera tra il nazismo e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Radbruch è colui che più di ogni altro e soprattutto immediatamente dopo la fine del nazismo presenta una giustificazione teorica della necessità di riconoscere giuridicamente la dignità umana e i diritti ad essa riferibili.

Negli anni terribili del nazismo il filosofo-giurista continua a porsi le domande, che probabilmente fin da studente si era posto, di “che cos’è il diritto?”, “qual è la responsabilità del diritto?”, “qual è il ruolo del giurista?”. Questo perché egli cerca di sopravvivere aggrappandosi all’ancora della cultura, infatti scrive su Dostoevskij, su Shakespeare e su Cicerone, anche su alcuni dipinti, ecc. Queste domande, comunque, fanno da premessa alla nuova riflessione di Radbruch. Nella seconda fase del suo pensiero è importante sottolineare che il filosofogiurista non fu semplicemente un teorico, lontano dalla realtà. Gli scritti fanno riferimento ad elementi fattuali, casi giudiziari, figure storiche, ecc. Quindi anche quelle domande così astratte assumono una coloritura di concretezza; esse infatti si modificano e si riuniscono in una sola domanda, cioè “che ruolo il diritto, le leggi, le sentenze giudiziarie penali, il tribunale, la magistratura hanno avuto in relazione all’affermazione, al consolidamento e alla durata del nazismo?”. Il discorso non deve mai né diventare univoco, deterministico e causale, né trasformarsi nel suo contrario, e cioè in una deresponsabilizzazione, una presa di distanza che può derivare dal ritenere che il giurista si colloca su un piano teorico e per questo non può essere chiamato a rispondere degli accadimenti politicamente decisi. Per Radbruch c’è stato un ruolo che è stato giocato su più piani e inerisce all’importanza neutra che il diritto possiede in termini costruttivi rispetto alla società. In un contesto come quello totalitario il diritto ha fatto purtroppo la propria parte, un po’ perché, come pensa Radbruch, non ha avuto il coraggio di resistere. Pensiamo ad esempio alla legge dei pieni poteri che viene immediatamente emanata sulla scorta dell’art.48 della Costituzione di Weimar come effetto dell’incendio del Palazzo del Reichstag, attribuito in termini di responsabilità ai comunisti: questa legge consente la sospensione di tutte le garanzie dei diritti stabiliti dalla Costituzione. Pensiamo anche alle leggi di Norimberga, emanate nel 1935, di cui una stabiliva che la croce uncinata diventasse il simbolo sulla bandiera del Reich, una che escludeva gli ebrei dalla cittadinanza del Reich e l’ultima che proibiva i matrimoni e i rapporti extraconiugali tra ebrei e non ebrei, per proteggere il sangue e l’onore dei tedeschi. Si nota in questo caso quello che è il bisogno e l’importanza della legge, a cui si aggiunge l’importanza dei tribunali. Ci si chiede ma se ci sono pieni poteri, una forza ed un potere incredibile che non incontra freni allora perché si continua ad immaginare di stare dentro ad un tessuto legale? Perché si continua a cercare di perseguire la patina della legalità? Perché c’è bisogno di giustiziare dissidenti politici attraverso un processo giudiziario? L’idea è che il diritto è importante, la legalità non è neutrale e quindi si impone una nuova domanda e

cioè “che cosa può dirsi diritto o legalità?”, posto che alla legalità competa una forza che rappresenta una accelerazione di progetti politici osceni e una deresponsabilizzazione della popolazione. Radbruch dà una risposta e dice che non tutto può dirsi diritto. In un manuale scritto e pubblicato da Radbruch un anno prima della sua morte egli chiede “quella scartoffia informe con la quale Hitler, con l’imposizione di un rigido segreto, avviò lo sterminio istituzionalizzato, ha anche per noi ancora il significato di una legge?”, e cioè quindi chiede “il diritto davvero può prescindere totalmente dal contenuto che veicola e impone?” La risposta di Radbruch è no. Egli è convinto che per dire diritto almeno in qualche misura uno sguardo al contenuto che esso trasmette si deve dare.

I due saggi che condensano la nuova tesi di Radbruch, formulata durante il nazismo, sono quello pubblicato nel 1945 e intitolato “I 5 minuti di filosofia del diritto”, e quello pubblicato l’anno successivo su una rivista e intitolato “Ingiustizia legale e diritto sovralegale”. In quest’ultimo saggio Radbruch ci dice che il diritto non coincide con la legge, egli rifiuta un’idea legalistica del diritto. È possibile immaginare, quindi, dal suo punto di vista, che ci sia una legge che non è diritto e un diritto che non si risolve in una legge. Invece “i 5 minuti di filosofia del diritto” rappresenta uno schema che poi il filosofo svilupperà successivamente nel saggio del 1946 e nel manuale “propedeutica alla filosofia del diritto” del 1948. Primo minuto: Radbruch dice “ordine è ordine, così per il soldato”. Persino nel codice penale militare allora vigente, il soldato non doveva guardare al contenuto dell’ordine che gli veniva impartito. Nel contesto civile si arriva al paradosso che una legge è una legge, indipendentemente dal contenuto. In sintesi Radbruch afferma “la legge vale perché è legge, ed è legge se di norma nei fatti ha il potere di imporsi. Questa rappresentazione della legge ha reso i giuristi come il popolo indifesi contro leggi così arbitrarie, crudeli, criminali. Essa alla fine equipara il diritto al potere: solo dove c’è potere c’è diritto”. Questo è quello che secondo Radbruch era diventato il giuspositivismo in quel contesto, un contesto legalistico in cui il diritto corrisponde alla legge, indipendentemente da ogni altra considerazione, se si ha la forza di imporre quella legge. Secondo minuto: qui si introduce un elemento ideologico di cui tanto si è avvalso il regime e cioè si dice “diritto è ciò che è utile al popolo. Ciò significa: arbitrio e illegalità sono, nella misura in cui sono utili al popolo, diritto”. Per Radbruch, invece, vale il contrario, e cioè solo ciò che è diritto è utile al popolo. Terzo minuto: qui troviamo l’affermazione forse più significativa e che è passata più in sordina nella letteratura sulla seconda riflessione di Radbruch, e cioè l’affermazione “diritto è volontà di giustizia. Giustizia significa, però, giudicare in modo imparziale, misurare tutti con la stessa misura”. Quindi per Radbruch il valore fondamentale della giustizia è quello dell’uguaglianza. Ancora egli dice “se le leggi negano consapevolmente la volontà di giustizia lasciano gli uomini all’arbitrio e falliscono, allora a queste leggi manca validità, allora il popolo non deve loro alcuna obbedienza, allora anche i giuristi devono trovare il coraggio di negare loro il carattere della giuridicità”. Quarto minuto: qui si afferma “la legge come tale, persino la cattiva legge, ha ancora sempre un valore- il valore di assicurare il diritto di contro all’incertezza”. Per Radbruch, quindi, la ritirata del diritto non è immediata. Si può affermare che la legge sulla protezione del sangue e dell’onore tedesco non sia diritto in maniera graduale.

Questo non perché gli manca il coraggio ma semplicemente perché per Radbruch, da giuspositivista quale in fondo è, se vogliamo utilizzare delle etichette, il diritto ha valore ed è importante, per cui una legge, anche se la consideriamo ingiusta, è pur sempre una legge ed ha comunque valore, cioè quello di assicurare il diritto di contro all’incertezza. La certezza del diritto viene introdotta, dopo l’utilità e prima della giustizia, come valore fondamentale del diritto per ciò che è. In seguito, però, il giurista afferma “si possono dare leggi con una tale dose di ingiustizia e di generale nocività da dover essere negata loro la validità, e persino il carattere della giuridicità”. Nel quinto minuto Radbruch riconferma questa tesi semplicemente, non introduce nulla di nuovo....


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