I bambini pensano grande (riassunto) PDF

Title I bambini pensano grande (riassunto)
Author michela vaira
Course Didattica Generale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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INTRODUZIONE: I pensieri infantili sono sottili, fragili e volatili, si perdono nel loro farsi e non tornano mai indietro. Così alla maggior parte dei bambini non è concesso il diritto di riconoscere la qualità dei propri pensieri. A molti non è concesso neppure di arrivare ad esprimerli. Una moltitudine di associazioni, intuizioni infantili restano dunque nascoste sotto terra. Insegnante di una scuola elementare: Ascoltando nascere giorno dopo giorno parole, emozioni, ragionamenti e domande che emergevano dalle voci dei bambini con cui ho lavorato, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a scoperte preziose, che ci aiutano ad andare verso l’origine più remota del nostro pensare il mondo. I bambini devono essere ascoltati, perché di fronte al bello, alle difficoltà e alle tragedie sono capaci di nitidezza e autenticità rare, che credo faccia bene a tutti incontrare. 1. IL DISEGNO E’ TE CHE NON SEI TE In questa classe ho insegnato matematica, scienze, storia, arte e volevo provare per una volta a mettere tutto insieme, proprio tutto. Ma ero confuso, come lo sono ogni volta che desidero stipare l’impossibile. Il primo suggerimento lo devo a Mattia, il ragazzo con cui ho avuto rapporti complicati. Avevo chiesto ai bambini di scrivere qualche appunto su cosa gli sarebbe piaciuto fare l’ultimo anno insieme, e lui ha scritto: “Arte, perché a me piace tanto disegnare. Secondo me l’arte è quando esprimi le emozioni non sono con i colori, ma anche con il disegno. Il disegno è te che non sei te. Sei te che lo disegni e se lo disegni è qualcosa di te.” Cos’è questo disegno che è te che non sei te? Mentre ci rifletto, chiedo agli altri cosa ne pensano, e nasce così la prima discussione. Da quando ho cominciato ad insegnare, ho sempre avuto l’abitudine di registrare ciò che dicono i bambini, poi restituisco loro le registrazioni trascritte, perché mi sembra un buon modo di dare valore alle loro parole. Ascoltarli discutere della pittura mi rende felice, perché una delle colpe della scuola sta nel liofilizzare l’arte togliendo loro umori e vita. Leggo le proposte scritte dai bambini e mi accorgo dell’importanza che tanti danno al metodo con cui affrontiamo le cose da imparare. Rileggo ad alta voce tutte le proposte emerse, mi piacerebbe essere all’altezza dei loro desideri. STORIA DI UN TETTO E DELL’IMPOSSIBILITA’ DI DISEGNARLO A fine Settembre propongo di aggiustare la casetta di legno, costruita nel nostro piccolo giardino anni fa. Il tetto fa acqua e chiedo ai bambini come possiamo risolvere il problema. Quasi tutti sono d’accordo che va messo un telo o qualcosa che lo protegga. Un bambino propone di fare un disegno per capire, calcolare e operare nello spazio. Li osservo e noto che, anche se sono passati un po' di anni dai loro primi scarabocchi tutti tornano a quella loro prima casa abbozzata, composta da un rettangolo con sopra il triangolo del tetto. Quando uno disegna cosa disegna? Un oggetto o un’idea? Ciò che vede o ciò che sa? Li guardo assorti che compiono il gesto di provare a dare forma al mondo, e mi domando: che diritti ho io a correggerli? Ma se li correggo, se propongo la mia soluzione, o meglio la impongo, perché io sono il maestro, interrompo un processo. Così mi blocco e non so bene cosa fare. Portiamo in classe i diversi tentativi di tetti, li osserviamo e si innesca subito una discussione tra triangolisti convinti e alcuni rettangolofili in disaccordo tra loro. Osservando meglio, ora in parecchi si accorgono che i triangoli che tutti hanno disegnato all’inizio, in realtà non sono tetto ma buchi, spazi vuoti. Propongo di interrompere ogni attività per dedicarci a cercare e a rappresentare il paradosso delle figure piane, importanti per ogni ragionamento

geometrico, eppure inesistenti. I bambini si scatenano, chi ritaglia fogli, chi le immagina trasparenti e invisibili nell’aria, chi vorrebbe vederle galleggiare sull’acqua. Una buona ora di tentativi finché Valeria ci mostra un piccolo quadrato ritagliato da un cartoncino blu indicandoci l’ombra che quel cartoncino proietta sul lato della cattedra, investita in quel momento dal sole del mattino. Certo, come non ci abbiamo pensato prima? Le figure piane sono ombre. Hanno la consistenza dell’ombra che delinea uno spazio pur non avendo spessore. CON ANASSIMANDRO A DOMANDARCI COS’E’ UNA RIVOLUZIONE Presento (parlo) ai bambini l’antico scienziato nato a Mileto, che per primo al mondo immaginò che la terra non fosse poggiata a nulla ma volasse nello spazio. Un’idea rivoluzionaria. Infatti è di rivoluzione che cominciamo a parlare. Ancora una volta stiamo procedendo a tentoni. Provoco discussioni e dalle loro parole nascono piste che poi cerco di alimentare, quando ci riesco. Mi sforzo e cerco di sostare un po' su questo cambio di paradigma, avvenuto nella città di Mileto. Così prendiamo la creta e cominciamo a modellare le idee del mondo che circolavano a quell’epoca, insomma consolidiamo con le nostre mani le idee che Anassimandro d’un colpo ha buttato all’aria. Da tempo mi vado sempre più convincendo che dare forma a un pensiero ci permette di sostare, entrarci dentro, approfondire. Credo che ci dovrebbe stare un blocco di creta in ogni classe per l’elementare motivo che è una terra che unisce il gioco del bambino che modella al gesto mitico del Dio che da forma e crea la vita. Passiamo qualche giorno a cercare di rappresentare la nostra idea del cosmo, componendo universi tridimensionali con gommapiuma, stoffe, fili. La cosa ci diverte ma non ci convince più di tanto, perché è davvero difficile rappresentare corpi sospesi nello spazio. Così cerchiamo di avvicinarci alle idee sul mondo che circolavano al tempo di Anassimandro. Osservando le illustrazioni de “il libro delle terre impaginate” scopriamo tante immagini del cosmo e con la creta, divisi in gruppi, diamo forma a quelle idee tanto diverse. Una sola cosa hanno in comune: tutti pensavano che la terra doveva reggersi su qualche cosa. Solo Talete pensava che la terra galleggiava. Mentre stiamo osservando le nostre composizioni di creta a un tratto Fabio interrompe i suoi compagni dicendo: “la terra è retta da un filo”. Se non si regge da sotto, qualcuno lo deve tenere da sopra il nostro pianeta. Dopo un po' di incertezza esclamo: “Fabio ha ragione! Certo che c’è un filo che regge la terra, solo che non si vede e non è fatto di materia. E’ la forza di gravità!” cominciamo a vedere che questa nostra terra che galleggia nello spazio si tiene perché è tirata da due forze opposte. Proviamo a condividere questa visione, disegnando con freccette orientate l’equilibrio che rende possibile la vita sul nostro pianeta. In un tempo di straordinario movimento, lavorare a lungo intorno a pitture, disegni e fotografie, proponendo all’attenzione dei bambini immagini fisse, che rimangono uguali nel tempo, credo sia un terreno educativo necessario, perché permette di sperimentare la sosta e la durata. 2. UN VIAGGIO INTORNO ALLO ZERO Il gioco più antico nella nostra vita credo sia il nascondino, in tutte le sue possibili varianti. Ancora neonati nascondiamo oggetti per gioco, ma il bello di quel primitivo sparire sta nel riapparire, nel ritrovare l’oggetto desiderato. Ritorno al gioco di queste sparizioni, che forse evocano paure più grandi, pensando allo zero, il simbolo matematico più misterioso. Rifletto sulle sue origini perché desidero parlarne con i bambini, rispondendo a una domanda posta da Francesca. “Maestro, ma cos’è lo zero?” La discussione la riprendiamo qualche settimana dopo, quando un bambino si confonde nel contare gli anni che ci separano dalla prima olimpiade. La storia del calcolo degli anni prima e dopo Cristo è un tormentone che accompagna i bambini dalla terza elementare. Lo spiego

nel modo più vivace possibile, confrontiamo la linea del tempo con la linea dei numeri, facciamo esercizi, disegniamo una gigantesca striscia del tempo con le diverse civiltà che si affiancano e si intrecciano tra loro, eppure molti bambini hanno difficoltà a sommare gli anni prima con quelli dopo Cristo. Quando incontriamo una difficoltà di apprendimento noi insegnanti, ci ritroviamo a ripetere, e ripetere spiegazioni, esercizi sperando che quel nodo concettuale entri infine nelle teste dei bambini. Sono i casi in cui, anche se so che non dovrei farlo, mi arrendo, abdico ai ragionamenti e approdo agli apprendimenti meccanici affidati alla memoria. Se dopo un mese ripeto l’esercizio, ecco che molti di nuovo si confondono e sbagliano. Se apprendere vuol dire afferrare una conoscenza e avere la capacità di trattenerla, mi accorgo che in questo caso ciò che è stato afferrato non è stato trattenuto, perché non è stato incorporato e fatto proprio. Allora devo azzardare un altro percorso, prendere una strada più lunga. CHI DECIDE QUANDO UN ANNO E’ L’ANNO ZERO? Il giorno seguente al nostro interrogarci sugli anni zero, ecco arrivare in classe una massa informe di informazioni, che alcuni bambini sventolano felici. Lorenzo ci rivela che l’anno zero nostro, lo si è cominciato a contare solo intorno all’anno 800. Matteo subito domanda: “chi decide quando un anno è l’anno zero?” Al solito non rispondo, e cerco di allungare la strada. Lo faccio perché penso che lasciare delle domande aperte fa bene ai bambini. Cominciamo a mettere ordine e scriviamo su un cartellone gli anni zero trovati. I bambini erano rimasti molto stupiti all’idea che non si cominciò contare gli anni da quando nacque Gesù, ma appena riflettiamo insieme appare evidente che, per decidere che un anno è l’anno zero, ci vuole una grande autorità. Ad aiutarci in questo passaggio danno una mano Mussolini e Pol Pot, due dittatori che hanno in comune il proposito di costringere tutti a ricontare il tempo dal momento della loro presa del potere. Il giorno dopo, a conclusione di questa nostra indagine sugli anni zero, riprendiamo la discussione. Propongo ai bambini di costruire un piccolo spettacolo teatrale sull’anno zero, che è una specie di gioco in rima, in cui non si capisce mai che anno è, perché ognuno conta gli anni a modo suo. MATERIALI E MANOVRE DI AVVICINAMENTO Quando proponiamo a scuola argomenti di storia è difficile individuare la linea di confine tra una costruzione condivisa di valori e l’indottrinamento dei bambini. Sono convinto che sia nostro dovere educare alla libertà e alla democrazia, dunque presentare ai bambini momenti cruciali della storia del Novecento come il fascismo e la seconda guerra mondiale. Quando mi trovo ad affrontare argomenti di storia torno sempre a Nora Giacobini una straordinaria insegnante. Ella ha dedicato tutta la sua vita ad insegnare con passione e ha sempre sostenuto con forza che, per insegnare la storia, bisogna partire dai materiali. Un buon insegnante è chi fornisce elementi, idee, percorsi perché bambini e ragazzi possano entrare dentro alle vicende della storia, ciascuno a modo suo. Nora parlava sempre di manovre di avvicinamento, perché aveva la consapevolezza che la storia è lontana e non c’è più. La cultura è una cosa viva, si può fare a pezzi e afferrare ciascuno a modo suo, perché si costruisce in una relazione intensa e personale, che poi si è in grado di condividere con gli altri. Lavorare in gruppo è fondamentale, ma è nella relazione individuale e intima con i testi e le immagini che ciascuno si deve poter fermare e formare le proprie idee. Partire da testi originali, frammenti e immagini credo sia fondamentale ad ogni età, perché offre a bambini e ragazzi la libertà di costruire da sé il proprio percorso di conoscenza, ragionando a partire dalla propria intelligenza e sensibilità. Ma farlo non è facile perché richiede lavoro prima,

nel preparare i materiali e una profonda lettura dei risultati dopo, per restituire a ciascuno la dignità del percorso fatto. SI POSSONO PORTARE I NUMERI A TEATRO? Il teatro comporta come necessità il fare delle prove, ed è stato nel tornare e ritornare sul tema degli anni zero che abbiamo potuto tenere in vita a lungo la nostra attenzione e il nostro interesse verso questo dettaglio così rilevante. Un amico antropologo di Perugia che ho invitato agli spettacoli dei bambini, sostiene che il nostro teatro è un esempio di ripetizione che nomina il ripetere, cioè il domandare e continuare a domandare più volte. E’ tanto importante, nel lavoro dell’educare, avere ogni tanto uno sguardo esterno perché ci aiuta a comprendere meglio cosa stiamo facendo. Mi rendo conto di quanto il teatro ci aiuti a fermarci e sostare a lungo sulle cose. Ci aiuta a sperimentare il senso della durata. Osservando di quali scoperte sono capaci i bambini quando gli si da la libertà di fermarsi a lungo su un argomento, penso che la scuola dovrebbe essere un luogo in cui si gioca e si mettono in gioco le idiosincrasie dell’epoca e della società in cui ci è capitato di vivere. Quando vedi i bambini scoprire qualcosa, quando osservo i loro occhi ravvivarsi improvvisamente, perché felici di avere intuito nessi e collegamenti, è come se d’un tratto si creasse un corto circuito tra il mondo e la sensibilità infantile. BAMBINI ANTENATI A differenza degli insegnanti di medie e superiori, noi maestri elementari, se mettiamo un minimo di cuore nel nostro lavoro, è difficile che non si sia amati. Quando ci muoviamo verso i bambini inevitabilmente tornano i ricordi della nostra infanzia, e in qualche modo, ci avviciniamo a cose che riguardano i primi passi compiuti dai nostri progenitori, perché ogni bambino è anche, sempre, un nostro antenato. E poiché le parole sono i reperti archeologici a noi più vicini, spesso è proprio dall’etimologia dei vocaboli che possiamo partire, se vogliamo compiere qualche viaggio all’indietro. TALETE A GIOVE Tra l’autunno e l’inverno trascorriamo molte settimane con Talete. Tutto comincia con la sfida a misurare l’altezza del castello, cioè scoprire un espediente matematico per calcolare qualcosa che non si può misurare. Ho proposto ai bambini di misurare l’altezza come fece Talete con l’immensa piramide di Cheope. Per avvicinarci a Talete seghiamo un bastone in modo che sia alto un metro e avvitiamo alla sua base un incrocio di legni perché si regga in piedi da solo. Poi, al pomeriggio, quando le ombre si allungano, aspettiamo che l’ombra del bastone arrivi a misurare esattamente due metri. In matematica stiamo ragionando sulle proporzioni e abbiamo avuto modo di disegnare e ritagliare nel compensato diversi triangoli rettangoli simili. Il fatto di manipolarli, sovrapporli e poterli spostare nello spazio, perché costruiti con il legno, rende maggiormente comprensibile a tutti la sua intuizione. Ora dobbiamo passare dai nostri triangoli di legno ai triangoli invisibili che luce e ombra disegnano nello spazio. Divisi a gruppi i bambini fanno comparire in quel pomeriggio cinque triangoli in piedi fatti d’aria, eppure visibili. La scuola ha il vizio di separare tutto precocemente. Ma se i bambini incontrano un uomo che ha visto una similitudine tra il triangolo che forma una piramide con la sua ombra e il triangolo che forma il corpo di un uomo con la sua ombra e poi ha anche detto conosci te stesso, forse in loro sorge spontaneo intuire che tra le due cose ci possa essere una relazione: la relazione tra conoscersi e conoscere che sta alla base di ogni pedagogia che non voglia abbandonare il senso dell’educare.

3. LA PRIMA SCUOLA APERTA ALLE DONNE La scuola pitagorica fu la prima in cui erano ammesse le donne. Pitagora decide di fondare una comunità e una scuola dove tutte le proprietà erano in comune. La cosa che incuriosisce tutti e appassiona in particolar modo le bambine, è che in quella scuola si imparava insieme danza, musica e astronomia. IL NOSTRO PRIMO INCONTRO CON RAFFAELLO Quando insegno ai bambini, vorrei sempre offrire loro la possibilità di confrontarsi con la profondità di quelle scoperte e rivoluzioni, per sostenere e dare un senso alle loro fatiche. Non è facile cominciare a contare bene, a scrivere e leggere accettando regole stabilite dagli altri. Sempre più mi convinco che in questo grande sforzo che chiediamo ai più piccoli possa aiutarli il ragionare sul senso che ha scrivere e contare, risalendo all’origine di queste pratiche umane. I bambini nella scuola elementare incontrano per la prima volta la storia, la scienza, l’arte e il pensiero che pensa se stesso. Cominciano ad esplorare in modo più strutturato la matematica e la lingua, che praticano da quando sono nati. In questi anni abbiamo dedicato molto tempo alla pittura, questa volta li vedo attratti dalla riproduzione dell’affresco di Raffaello. I bambini cominciano ad osservare molti particolari dell’affresco e iniziano a collezionare congetture. Chiedo a ciascuno di loro di scegliersi una figura e ridisegnarla perché, se la ridisegni è come se fossi lì. Nei giorni successivi, ciascuno comincia a scrivere, con l’indicazione che deve dare voce al personaggio scelto. Il problema non è quello di azzardare banali interpretazioni psicologiche, ma si limita ad offrire ai bambini più modi possibili per uscire allo scoperto, per dire di sé con diversi linguaggi, senza mai essere giudicati. Ci sono luoghi e momenti espressivi che vanno accolti così come sono, nel silenzio e nell’ascolto, perché i bambini hanno il diritto di essere, prima di tutto, semplicemente se stessi. UNA SCUOLA CON MAESTRI SCALZI Cominciamo a ragionare insieme, domandandoci se abbiamo gli elementi sufficienti per riconoscere l’identità di qualcuno dei personaggi dipinti da Raffaello. Alla fine i personaggi di cui siamo davvero certi sono solo due. Pitagora e Raffaello. Ancora una volta mi rendo conto che noi guardiamo, diamo valore e riconosciamo solo quello che già sappiamo o crediamo di sapere. In questa pittura i bambini hanno prima trovato ciò che a loro piaceva. Hanno individuato due personaggi con cui eravamo stati insieme a lungo: Pitagora , studiando le sue scoperte e la scuola, e Raffaello guardandolo. Non so se ha ragione Platone, quando sostiene che noi impariamo solo ciò che ricordiamo, so però che in questo mondo è necessario fare esperienze, osservare tanto e frequentare il bello ovunque si trovi, per nutrire l’immaginazione nostra e dei bambini. E che questo dovrebbe essere il maggiore imperativo per un’istituzione che ha l’ambizione di formare le nuove generazioni. 4. ESISTE UN ALTRO MONDO? Dopo la morte di un bambino della classe, il maestro e gli altri bambini iniziano a discutere se ci sia una vita dopo la morte. C’è chi sostiene che dopo la morte si rinasca, chi sostiene che l’anima si incarni in un’altra persona e chi invece sostiene che si viva un’altra vita in questo mondo.

5.ETICA E COCCODRILLI

Uno dei primi anni in cui insegnavo a Giove rivolsi ai bimbi di una quita la solita domanda che facciamo noi adulti, chiedendo cosa avrebbero voluto fare da grandi. Un bimbo piccolo e biondo mi rispose l’architetto (era figlio di un geometra) che era il mestiere che suo padre avrebbe voluto fare. Mi ricordo che tornai a casa sconsolato pensando quanto fosse difficile in un piccolo paese allargare l’orizzonte delle proprie aspettative. Ormai si laureano solo i figli dei laureati o quasi e siamo il paese europeo con una delle percentuali più basse di studenti che terminano l’università. In campo educativo conosco molti insegnanti che mettono tutta la loro energia per dare senso e cercare di svolgere nel miglior modo possibile il proprio lavoro anche in situazioni di grande difficoltà. Ciò mi conforta perché dimostra che quando la critica radicale a come va il mondo si intreccia a un impegno concreto e fattivo, le cose cominciano a cambiare. Bimbi e ragazzi sono assai sensibili all’energia e alla convinzione che gli adulti mettono in ciò che fanno e ne traggono le debite conseguenze. Nelle indicazioni nazionali per il curricolo si invitano gli insegnanti ad educare alla cittadinanza con parole convincenti. Il problema dell’educazione alla cittadinanza, come dell’educazione interculturale e ambientale sta nel rischio della predica, che è il peggior modo di presentare temi civili e morali ai bimbi. Penso infatti che la possibilità di nutrire con elementi etici la nostra pratica educativa non possa passare che attraverso l’esempio e l’immedesimazione. Penso tuttavia che, se abbiamo la pretesa di educare non dobbiamo dimenticare mai che i bimbi osservano con attenzione : il corpo, il comportamento e l’esempio che gli diamo e dunque con...


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