Bambini e gioco PDF

Title Bambini e gioco
Author Anonymous User
Course Educazione alla Corporeità e Metodologia del Gioco
Institution Università di Bologna
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Riassunto del libro bambini e gioco di Donatella Savio...


Description

Bambini e gioco Donatella Savio

1- Contributi per una pedagogia del gioco e dell’infanzia a partire dal pensiero di Friedrich Fröbel (A. Bobbio) 1. Influenze e sviluppi Fröbel (Germania) cerca l’umanità nel puer, nella sua innocenza e nella sua esteticitá, ciò porta a intendere l’infanzia come una categoria specifica e un costrutto pedagogico (romanticismo). Il suo modello in Italia ha avuto influenze sulle sorelle Agazzi, il Marionettissimo didattico, e sul “metodo italiano” di Lombardo Radice, inoltre si pone agli albori dell’attivismo e del dibattito sul metodo, anche nel contesto attuale permette di offrire uno sguardo unitario e continuo sull’infanzia, sposandosi con la tendenza a profilare un sistema 0/6 anni in luogo dei due tradizionali segmenti 0/3 e 3/6. (L’attivismo che si sviluppa in Europa e Stati Uniti tra otto e novecento, ha come basi la scientificità della didattica e la funzione popolare della scuola: l’attività e il gioco sono i principi della natura del bambino, di cui bisogna valorizzare l’intelligenza e l’interesse della sua libera iniziativa)

2. Fondamenti Fröbel (L’educazione dell’uomo, 1826) parla del gioco in relazione all’infanzia e al suo anelito di sviluppo, di vita e di libertà, alle sue istanze integrali di educabilitá e di formazione: diritti fondamentali della prima fanciullezza sono giocare e disporre di una istituzione educativa appositamente destinata all’età prescolare. Particolarmente importante è il disegno pedagogico unitario tra le diverse età, senza tralasciare l’importanza di cogliere gli snodi, i processi del processo evolutivo stesso nonché i risvolti da essi comportati per mettere appunto uno specifico modello istituzionale (Kindergarten) sottolineando il valore decisivo dell’infanzia come incancellabile impronta della vita futura dell’uomo e l’importanza della coerenza degli stili educativi che porterà a una concezione integrata di servizi per l’infanzia, il Kindergarten infatti non è solo un luogo ma la definizione di tutta l’azione educativa che si rivolge al fanciullo, in casa e in altri ambienti, da quando nasci fino circa ai sette anni. In questo contesto la famiglia è il fulcro della concezione frobeliana nella quale il canto delle madri diventa l’elemento di raccordo tra creatività, gioco e sviluppo umano, Formando il carattere e incidendo attraverso l’esempio il clima affettivo in modo profondo e permanente sullo sviluppo del bambino. La didattica non deve essere anticipatoria, ma cogliere il giusto momento, contraddistinguendosi per una necessaria lentezza e sposando il bisogno di tempi distesi per il bambino, deve quindi essere tempestiva più che veloce. 3. Principi pedagogici Fröbel propone una osmosi biofisica tra uomo e natura, (nell’ottica della discussione natura vs cultura) pienamente aderente alla soluzione naturalistica anche se non nega il valore decisivo dell’ambiente nell’inveramento delle energie psicologiche del bambino. - Il primo principio è che ogni bambino possiede una propria individualità che è qualcosa di rispettabile e sacro - Il secondo principio è che questa individualità ha una natura attiva, agente e più esecutiva che ricettiva - Il terzo assunto muove dalla valorizzazione dei sensi e del gioco, non solo occhi per vedere orecchie per ascoltare ma soprattutto mani per toccare. Il gioco è chiamato a sviluppare le forze fisiche, i sentimenti e i sensi, concorrendo a uno sviluppo 1

armonico del bambino, quindi su possono stilare quattro punti che racchiudono i mezzi di cui si serve l’educazione del fanciullo: • Giochi ginnasti accompagnati dal canto • Cultura del giardino • Ginnastica della mano • Conversazioni poesie canti La pedagogia dell’infanzia moderna intende il gioco quale la voce stessa del bambino in accordo con la considerazione di Froebel secondo il quale il gioco è la produzione spirituale più pura dell’uomo durante questa fase e contemporaneamente l’esempio è l’immagine dell’intera vita umana dall’interno. Nel gioco la fatica si annulla nell’impegno e all’infanzia si possono attribuire caratteristiche di forza anziché di debolezza, attraverso l’immagine del Puer Ludens: esso forma l’uomo dall’interno, nel plasma la possibilità di crescita senza ridurla a mero processo adattativo ed è quindi un fenomeno produttivo e da qui diventa chiara la funzione euristica del gioco tanto per il bambino quanto per l’educatore che è il geloso custode della manifestazione umana del bambino come soggetto attualmente capace di esprimere e realizzare atti di umanità totale. Fröbel si dichiara contrario ad ogni ingiustificata forma di intrusione adulta nel gioco, sottolineando il valore autosussistente del bambino che gioca, poiché l’umanizzazione avviene per paziente estrinsecazione di potenzialità, non per eteroplasmazione: tale pedagogia non è interventista, predilige l’osservazione e organizza a posteriori piuttosto che pianificare a priori. 4. Il gioco “denaturato” Vi è però necessità di introdurre dispositivi di mediazione tra lo svolgersi dei dinamismi ludici specifici dell’infanzia e le attività culturali propriamente dette, superando nell’educazione il gioco spontaneistico: da qui nasce il metodo dei doni. L’aspirazione è di organizzare lo sviluppo del bambino in sintonia con quello del cosmo, rispettando la sua globalità evolutiva e spirituale: il bambino, per intuizione, maneggiando i doni avrebbe avuto accesso alle forme costitutive del mondo e della natura attraverso attività percettive, di memorizzazione, rappresentazione, seriazione e classificazione (ciò avrà seguito nella didattica montessoriana). Le critiche sono di eccessiva rigidità, anche materica, contrapposta alla plasmabilitá degli elementi naturali, rigidità di impiego e direttivitá dell’educatrice in contrapposizione alla teoria dello sviluppo libero e autofinalizzato descritta da Fröbel stesso. 5. Per una pedagogia del gioco e dell’avventura Fröbel ha dato un notevole contributo in merito all’idea di una ludicitá più svincolata dall’adulto, centrata sull’esplorazione libera dell’ambiente naturale - Nella prima infanzia il giardino, come metafora pedagogica, svolgeva la funzione di ambiente di connessione tra natura e artificio, interno ed esterno, formazione e autoformazione, veicolando l’immagine di un bambino che, ricevute le cure parentali, le riversa su un’altra creatura vivente, facendo proprio la pratica essenziali della cura di se stesso (cura sui). - Nella seconda infanzia il fanciullo vive nel modo più pieno e autentico la propria avventura formativa nel giardino. Attraverso il giardino e la relazione con la maestra giardiniera il bambino acquista quella sicurezza di base che viene dal sapere sempre di contare su un porto sicuro, come avranno da specificare in seguito Winnicott e Mahler. Così il bambino può sviluppare l’anelito all’autonomia, il diritto all’errore, allo sporcarsi le mani, a una motricità non è inibita dalle ansie dell’adulto, potendo scoprire nell’ambiente se stesso, le proprie paure e i propri limiti, imparando a soppesare le proprie forze e affinare le proprie percezioni nella direzione di una sempre più profonda ricerca di senso. 2

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Gioco e sviluppo socio cognitivo: l’approccio psicologico (D. Bulgarelli, P. Molina) 1. Il gioco come apprendistato: la prospettiva evoluzionistica di Karl Groos Groos sottolinea il valore adattativo del gioco, che favorirebbe la conservazione della specie, garantendo un vantaggio nella selezione naturale, permettendo all’individuo di esercitare in modo protetto competenze specie specifiche importanti per sopravvivenza e riproduzione, competenze che non potrebbero essere interamente definite dall’ereditarietà. A favorire questa dinamica sarebbe la presenza di un relativamente lungo periodo di immaturità (neotenia) che permette il dispiegarsi del gioco, inoltre c’è una caratteristica tipicamente umana che riguarda il piacere che l’individuo prova nel giocare: da un punto di vista psicologico è possibile dire che sia il gioco solo quando l’individuo riproduce un’attività per il piacere che gli è ne deriva. 2. Il gioco come assimilazione: Jean Piaget Influenzato dalla psicoanalisi, Piaget tratta il gioco simbolico in una cornice teorica caratterizzata dal suo interesse per lo sviluppo cognitivo e al costrutto di adattamento. (Adattamento= identifica la relazione tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda e avviene tramite i processi di assimilazione, che consiste nell’azione dell’individuo sull’ambiente, grazie alla quale un elemento nuovo viene incorporato in uno schema motorio o mentale già esistente, e l’accomodamento, l’azione dell’ambiente sull’individuo, cioè gli schemi motorio mentali dell’individuo che vengono modificati per adattarsi all’ambiente: quando queste sono in equilibrio si realizza l’adattamento, accogliendo nuovi elementi e conservando le acquisizioni passate nelle sue strutture cognitive.)

Il gioco è espressione tipica dell’assimilazione, in particolare il gioco simbolico poiché trasforma la realtà a misura della fantasia del bambino. Per ogni stadio piace fa corrispondere modalità specifiche di gioco e quindi di assimilazione: • Primo stadio: il gioco consiste nell’esercizio delle strutture sensomotorie del bambino, per il puro piacere funzionale di dominarle, prima attraverso l’apprendimento di come farlo, cioè un accomodamento dei suoi schemi senso motori, poi ripetendolo per il proprio piacere. • Secondo stadio: il bambino, con la conquista della rappresentazione, differenzia significato e significante, sia attraverso l’accomodamento, nell’imitazione differita o nel disegno che riproduce la realtà, sia attraverso l’assimilazione, con l’emergere del gioco simbolico in cui il reale è assimilato alla rappresentazione immaginaria che ne fa il bambino • Terzo stadio: il gioco di regole si palesa quando il bambino è in grado di coordinare tra loro rappresentazioni diverse e diversi punti di vista, con la possibilità di stabilire accordi condivisi fra i partecipanti. L’adattamento alle regole è un accomodamento a un vincolo esterno, ma il fatto che possa essere negoziato lo rende comunque un’assimilazione del reale all’io, pur nel rispetto dell’esigenza della reciprocità sociale. Paul Harris, seguace di piace mette in rilievo il valore dell’immaginazione e del pensiero controfattuale, cioè la riflessione su cosa sarebbe potuto accadere nel caso in cui gli antecedenti di una situazione fossero stati differenti, anche se, poiché entrambe le situazioni sono immaginate, si discosta dal pensiero controfattuale dell’adulto. 3. Il gioco come soddisfazione di desideri realizzabili: Lev Vygotskij Sempre influenzato dalla psicanalisi, riprende la prospettiva legata alla soddisfazione del desiderio attraverso il gioco mettendo in luce anche il ruolo degli oggetti materiali come tramite nel passaggio dall’azione al pensiero. Il gioco è possibile solo a partire dall’età prescolare, nella quale emergono inclinazioni, interessi, bisogni intellettuali e desideri che non possono essere realizzati nell’immediato e trovano quindi il loro soddisfacimento nel gioco La dimensione immaginaria che caratterizza il gioco si collega alla sua dimensione affettiva e questo dovrebbe portare a riconoscerne gli aspetti non soltanto strettamente cognitivi, infatti il gioco, sebbene immaginario, è pieno di regole stabilite dal bambino stesso, di autolimitazione e 3

autodeterminazione. Inoltre, la dimensione immaginaria del gioco lo rende parzialmente svincolato dalle costrizioni della percezione degli oggetti o delle azioni, tanto che l’uso degli oggetti per quello che sono e la loro esplorazione sensomotoria non si configurerebbe come un’attività ludica vera e propria. Il bambino in età prescolare è ancora ancorato alla sola percezione della realtà, poiché il suo uso dei simboli non è consapevole, l’attività ludica non è quindi simbolica ma immaginaria e ha un ruolo di transizione tra le costruzioni situazionali della prima infanzia e il pensiero svincolato dalle situazioni reali, perciò il gioco crea la sua zona di sviluppo prossimale. 4. Il gioco come apprendimento culturale: Jerome Bruner Bruner vede il gioco strettamente legato al contesto culturale ma riprende anche la prospettiva evoluzionistica. C’è uno stretto legame tra adattamento dell’uomo all’ambiente e gioco, visto come un elemento nel processo di apprendimento culturale ed inserimento dell’individuo nella società: il corredo genetico non può rispondere adeguatamente alla necessità di adattamento che quindi dipende dall’apprendimento, basato sulla trasmissione culturale, si può quindi dire che l’apprendimento per osservazione ha un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura tra adulti e bambini che trasferiscono il comportamento osservato nell’attività di gioco, facendone pratica fissandola e perfezionandolo ed in seguito usandolo efficacemente per la risoluzione di problemi nuovi Il gioco è funzionale sia per la sperimentazione delle convenzioni sociali, sia come processo di educazione culturale all’uso di strumenti, che strutturano l’intelligenza dell’individuo (anche Vygotskij riteneva che le funzioni del potere di pensiero dell’individuo si sviluppassero grazie all’uso di strumenti). 5. Il gioco come socializzazione: Mildred Parten e Peter Gray Mildred Parten Intende la socializzazione come competenza sociale e padronanza dell’interazione cooperativa e distingue una scala di partecipazione sociale con categorie rigidamente definite: • Comportamento non occupato: il bambino apparentemente non gioca, si occupa guardando qualsiasi cosa accada che susciti un interesse momentaneo • Spettatore: il bambino guarda gli altri bambini giocare, parlando con essi senza però entrare apertamente nel gioco • Gioco solitario: dipendente il bambino gioca da solo indipendentemente dagli altri bambini, con giochi e spazi diversi • Attività parallela: il bambino gioca in modo indipendente ma gioca con giocattoli che usano anche gli altri pur senza cercare di modificare influenzare l’attività altrui, gioca di fianco piuttosto che con gli altri bambini. • Gioco associativo: il bambino gioca con altri bambini, tutti i membri sono coinvolti in attività simili ma non c’è divisione dei compiti né organizzazione dell’attività intorno a un obiettivo o a un prodotto comune • Gioco cooperativo o gioco organizzato supplementare: il bambino gioca in un gruppo organizzato per uno scopo o con un marcato senso di appartenenza al gruppo, cioè divisione dei compiti, dei ruoli e l’organizzazione dell’attività. Il gioco è un’occupazione in cui il bambino si coinvolge spontaneamente, al crescere dell’età dei bambini crescere anche il livello di partecipazione, sempre più negoziata Peter Gray Il gioco è lo strumento che permette evolutivamente l’apprendistato dei bambini e la loro integrazione nel contesto culturale, è inoltre necessario perché l’individuo possa apprendere ed esercitare le competenze sociali necessarie per l’interazione con gli altri (= Bruner) e le competenze di regolazione delle emozioni. Oggi il tempo libero dei bambini si è ridotto drasticamente e coincide con una minore 4

sperimentazione nel rapporto con gli altri bambini che ha prodotto meno empatia, più narcisismo ed effetti negativi sulla creatività, poiché non è ammessa la noia. 6. Gioco e metacomunicazione: Gregory Bateson e Nicolas G. Blurton Jones Gregory Bateson La metacomunicazione riguarda i messaggi che sono riferiti alla funzione comunicativa stessa, spesso sono impliciti e veicolati da aspetti non verbali e richiede che l’individuo tratti i segni comunicativi come segnali, cioè non come aspetti oggettivi della realtà ma come elementi suscettibili di essere creduti, alterati, corretti, ampliati… Lo sviluppo del gioco è legato a quello della competenza comunicativa: il gioco è una cornice psicologica paradossale che permette di stabilire la consapevolezza che i messaggi scambiati sono in una certa misura non veri o che denotano qualcosa di non esistente. Per gli esseri umani la capacità di differenziare segnale e contenuto è un aspetto fondamentale che viene sviluppato nei nel gioco. Inoltre il gioco implica una combinazione di pensiero primario, cioè inconscio, e di quello secondario, conscio: da una parte vi è la consapevolezza della distinzione tra gioco e non gioco, dall’altra, come nel sogno è facile perdere la consapevolezza della dimensione ludica. Nicolas G. Blurton Jones Jones osserva la metacomunicazione in un contesto particolare come quello del gioco della mischia: i bambini usano messaggi metacomunicativi per dichiarare i compagni che quello che stanno facendo è un gioco tramite l’uso di comportamenti non verbali con connotazione emotivamente positive (sorridere, ridere, saltare), l’esperienza del gioco con i pari è necessaria affinché i bambini non fraintendono i messaggi di gioco e anzi diventino in grado di comunicare adeguatamente la loro partecipazione. 7. Osservare per supportare il gioco • Giocare è un bisogno del bambino che permette la sperimentazione protetta di attività propria della specie umana. • Permette di integrare fantasie e realtà e rielaborare l’esperienza attraverso simboli concreti e attraverso l’immaginazione • È uno strumento potente di socializzazione poiché consente di sperimentare la comunicazione, l’interazione e la relazione con gli altri oltre a regolare le emozioni Quale può essere il contributo dell’adulto? È cruciale l’osservazione: • struttura la conoscenza relativa le tele vita ludica • permette di agire come scaffolder • permette di conoscere, progettare supportare il bambino che gioca autonomamente e di interagire con lui in modo non intrusivo • permette di sostenere l’approccio riflessivo dell’educatore • è uno strumento a sostegno dei lavori in équipe • richiede un tempo specificamente dedicato 8. Osservare i bambini che giocano: strumenti operativi Nella letteratura psicologica si parla di valutazione del gioco, non come misurazione, ma come strumento di conoscenza delle caratteristiche del gioco del bambino e passaggio obbligato per favorirne l’attuazione. Gli strumenti più specifici colgono diversi aspetti del gioco, può esserci l’osservazione diretta o indiretta, le interviste, i questionari ai genitori, ai bambini e test veri e propri. Si parla di valutazione del gioco quando l’analisi si focalizza sulla partecipazione alle attività ludiche, sulle preferenze di gioco o sulla playfulness (Disposizione al gioco del bambino, include la motivazione, il grado di controllo esercitato sull’attività video, il grado di sospensione della realtà

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capacità di interagire efficacemente con i compagni, le caratteristiche dell’ambiente possono favorirla). Si parla invece di valutazione basata sul gioco quando è utilizzata come indicatore di altre caratteristiche psicologiche. - Scala SVALSI (Scala di valutazione delle abilità ludico simboliche infantili, Italia) - Scala di BORNSTEIN e O’REILLY Relativa al gioco esplorativo e al gioco simbolico - AFFECT IN PLAY SCALE Valuta la dimensione cognitiva dell’organizzazione dell’attività ludica e quella affettiva, che comprende aspetti emotivi secondo la prospettiva psicanalitica - Scala di BELSKY E MOSS Rileva il gioco presi in Ball Hijo e il gioco simbolico - IL PRIMO VOCABOLARIO DEL BAMBINOCon l’uso di item per rilevare la presenza di gioco simbolico - TAVOLE DI BELLER Con l’uso degli item riferiti al gioco concreto di esplorazione o di esercizio e al gioco simbolico di rappresentazione o di ruolo Questi strumenti del gioco sono standardizzati, cioè prevedono procedure e materiali da usare per sollecitare il gioco ma non rappresentano campioni normativi con cui confrontare la prestazione del singolo bambino rispetta i pari L’adulto ha la necessità di rispettare il gioco, deve offrire al bambino un ambiente in cui sia possibile giocare e dove sia incentivato il gioco creativo, quella dell’adulto deve essere una presenza discreta e l’osservazione ne è uno strumento indispensabile, se sostenuta da strumenti adeguati, ricordando che anche gli adulti sono portatori di preferenze e attitudini e cheNon può mancare all’educatore il piacere della conoscenza del bambino.

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Gioco e affettività: la lezione della psicanalisi (A. Bondioli) 1. Il gioco e le riflessioni di Sigmund Freud L’individuazione dell’inconscio per Freud va di pari passo con la scoperta dell’infanzia...


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