Terapia Cognitivo-Comportamentale con bambini e adolescenti PDF

Title Terapia Cognitivo-Comportamentale con bambini e adolescenti
Author Mariachiara De Francesco
Course MEDICINA
Institution Università degli Studi dell'Aquila
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Terapia Cognitivo-Comportamentale con bambini e adolescenti...


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Terapia Cognitivo-Comportamentale con i bambini e gli adolescenti Capitolo 1: Introduzione Nello sviluppo della terapia cognitivo-comportamentale (CBT), Rachman ha descritto 3 stadi: la fondazione della terapia comportamentale nel Regno Unito e negli Stati Uniti tra il 1950-1970, la fondazione della terapia cognitiva negli Stati Uniti nella metà degli anni ’60, la fusione tra le terapie comportamentale e cognitiva nella CBT in Europa e nel Nord America alla fine degli anni ’80. Lo sviluppo della CBT per l’infanzia e l’adolescenza ha seguito un percorso simile. Le terapie comportamentali per i bambini sono state sviluppate precedentemente rispetto a quelle per gli adulti (Mary Cover Jones, nel 1924, aveva trattato le fobie infantili con tecniche simili alla desensibilizzazione; Mower e Mower, nel 1938, avevano descritto un trattamento per l’enuresi notturna basata sul condizionamento). Al contrario, è difficile distinguere uno sviluppo separato della sola terapia cognitiva per i bambini prima della CBT, ciò perché si presumeva che i bambini non avessero una maturità cognitiva sufficiente per trarre beneficio da un approccio cognitivo. È intorno alla metà degli anni ’80 che la CBT si è consolidata come forma di terapia per bambini e adolescenti. Capitolo 2: CBT con i bambini e gli adolescenti: aspetti teorici ed evolutivi Il termine CBT viene utilizzato per indicare numerosi interventi nell’ambito della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, tra cui: metodi psicoeducativi, tecniche di gestione della rabbia e dell’ansia, procedure di condizionamento operante, tecniche comportamentali di esposizione allo stimolo, auto-istruzione, esercizio graduale, rilassamento, training delle competenze sociali, alcune forme di parent-training e la ristrutturazione cognitiva simile a quella utilizzata nella CBT per adulti. Un elemento comune alla base della CBT è l’assunto secondo cui il comportamento sarebbe regolato dalla valutazione cognitiva degli stimoli. Stimoli sono eventi del mondo o all’interno del corpo, stati mentali degli altri o del sé; le valutazioni possono essere verbali ma anche sensoriali o sensomotorie. Dunque, la tesi della CBT è che le valutazioni, cioè il significato attribuito allo stimolo o il modo in cui questo viene rappresentato, hanno un’importanza critica nella regolazione delle emozioni e del comportamento. Questi giudizi disadattivi sono vari e vengono identificati, nel linguaggio tecnico, come: pensieri negativi automatici, distorsioni cognitive, atteggiamenti disfunzionali, assunti cognitivi fondamentali, strategie di compensazione come i comportamenti protettivi, valutazioni secondarie e relative conseguenze. L’identificazione di tutti questi aspetti e della loro relazione funzionale è parte del processo diagnostico il cui focus è, infatti, quello di individuare gli aspetti che devono essere modificati per indurre un cambiamento anche nelle emozioni e nei comportamenti problematici. Due sono i modelli fondamentali che hanno una notevole influenza sulla CBT, soprattutto in relazione alla tesi sul collegamento tra pensiero e azione: quello di Vygotsky e quello di Piaget. Nel modello di Vygotsky, il pensiero e l’azione sono visti come processi sociali e in questa prospettiva si ritrova un’intuizione molto vicina a uno dei principi fondamentali della CBT, ovvero che il linguaggio ha un ruolo chiave nella regolazione o nel controllo dell’azione. In Piaget, il legame tra pensiero e azione è chiarissimo nello stadio sensomotorio, in cui coincidono, ma è presente anche negli stadi successivi compreso quello più maturo delle operazioni formali che viene raggiunto nell’adolescenza. In pratica, all’inizio il pensiero è strettamente collegato all’azione ed è l’azione che lo rende possibile; nella maturità è il pensiero a rendere possibile l’azione. Alcuni fra i principali lavori di terapia cognitiva con i bambini si basavano sulla psicologia evolutiva di 1

Vygotsky e in particolare sull’idea che il pensiero, come discorso interiore, viene utilizzato per l’autoregolazione del comportamento. Questo era il principio alla base dello sviluppo della terapia di auto-istruzione. Meta-analisi successive relative agli esiti del trattamento hanno riscontrato che l’effetto di questi interventi era funzione dell’età: scarsi miglioramenti fino all’età della pubertà e cambiamenti più significativi dopo. I risultati di questi studi sono stati interpretati alla luce della teoria piagetiana, inferendo di conseguenza che la CBT non può avere effetti significativi su bambini che non hanno ancora raggiunto lo stadio delle operazioni formali, cioè l’adolescenza. Al contrario, la teoria piagetiana supportava l’idea che la metodologia più efficace per bambini piccoli era la terapia comportamentale (BT) priva di aspetti cognitivi. Successivamente si è arrivati alla crescente consapevolezza che la teoria piagetiana aveva ignorato le principali influenze ambientali che innescavano cambiamenti evolutivi negli atti cognitivi dei bambini, quali la famiglia e la scuola. Inoltre, i cambiamenti paradigmatici nella psicologia in generale hanno influenzato anche la psicologia evolutiva e ci si riferisce alla predominanza sempre più diffusa del paradigma dell’information processing, alla crescente enfasi sulla settorialità della conoscenza e alla modularità della mente. L’information processing suddivide i pensieri in una serie di routine e subroutine, mentre la settorialità e la modularità enfatizzano l’esistenza di differenti sistemi dedicati allo svolgimento di specifici compiti cognitivi. Per tali ragioni è necessaria una revisione soprattutto degli aspetti meta-cognitivi. Sembra che il linguaggio sia coinvolto nei processi meta-cognitivi e in particolare nello sviluppo di una teoria della mente. Alcuni aspetti di cui si occupa la CBT sono:  riconoscere il legame logico o evidente fra asserzioni, (per esempio che questo concetto deriva da quest’altro o appartiene a quest’altro o che questi pensieri differenti implicano tutti una proposizione generale o che insieme formano una teoria), questa capacità di teorizzazione si raggiunge tardi nel corso dello sviluppo, i bambini di 5 anni ne hanno poca, ma gli adolescenti cominciano a svilupparla;  valutazione/giudizio dei pensieri (o affermazioni), (come per esempio essere cattivo, stupido, inutile, imbarazzante), questo tipo di valutazioni includono molti dei pensieri automatici negativi (NATs) considerati fondamentali nell’interpretazione dell’esperienza presente e quindi nella regolazione delle emozioni e dei comportamenti. Di solito i NATs vengono attivati da situazioni particolari e dai giudizi dei genitori in assenza di mediazione di teoremi generali. Non c’è motivo, dal punto di vista cognitivo, di porre limiti più bassi all’età in cui i bambini possono avere, spontaneamente o in seguito a interiorizzazione, queste riflessioni su pensieri, opinioni o comportamenti; stati emotivi più complessi come l’orgoglio e la vergogna sembrano comparire nella fase di transizione fra la prima e la media infanzia;  rappresentare la controllabilità degli stati mentali, si tratta di riconoscere che gli stati mentali possono essere sotto il controllo della persona, anche se alcuni sono più facilmente controllabili di altri. Questa capacità è presente già dai 7 anni, ma si sviluppa maggiormente nella pubertà;  rappresentare gli stati cognitivi nell’atto di regolare il proprio o altrui comportamento, implica quella che è stata definita teoria della mente e viene utilizza per costruire attribuzioni causali sulle motivazioni delle emozioni e delle azioni. I bambini molto piccoli iniziano a fare qualche attribuzione dopo aver conseguito la capacità di produrre frasi di senso compiuto. Già intorno ai 6 anni i bambini sono in grado di superare compiti che implicano false convinzioni. Un possibile errore di questo tipo sono, per esempio, “se credo che l’ansia non si possa controllare, allora questa convinzione renderà più intensa la paura che provo”. La CBT si è sempre chiesta quale livello di sviluppo cognitivo fosse necessario per intraprendere la terapia; tuttavia ciò su cui si deve focalizzare l’attenzione è comprendere quali sono gli atti 2

cognitivi implicati nella produzione e nel mantenimento del problema nel caso particolare che si ha di fronte. Il terapeuta deve affrontare solo quelli che sono realmente implicati indipendentemente dal livello di sviluppo cognitivo. Non c’è più quindi necessità di preoccuparsi della questione generale se i bambini di 7 anni, o questo particolare bambino di 7 anni è o non è capace, per esempio, di atti meta-cognitivi; piuttosto il terapeuta deve scoprire quali sono gli atti cognitivi coinvolti e affrontarli. Capitolo 3: La CBT in una prospettiva evolutiva Diversi studi dimostrano che la CBT è uno strumento efficace per il trattamento di alcuni fra i più comuni disturbi psicologici dell’infanzia e dell’adolescenza. Un approccio evolutivo, applicabile alla CBT per i bambini, può essere caratterizzato da diversi aspetti. Innanzitutto, piuttosto che vedere la psicopatologia come una costellazione di sintomi, si potrebbe valutarla sulla base della capacità dell’individuo di rispondere alle sfide evolutive, in termini diagnostici, il focus non dovrebbe essere soltanto sull’espressione dei sintomi, ma anche sul corso evolutivo dell’individuo; dunque, i miglioramenti di bambini dopo il trattamento potrebbero essere spiegati da una modificazione della traiettoria evolutiva del bambino e non solo dalla riduzione della sintomatologia. Una seconda caratteristica dell’approccio evolutivo, applicabile alla CBT, è identificare gli elementi che in quella fase evolutiva del bambino, potrebbero modulare la risposta al trattamento o la maniera in cui il trattamento deve essere condotto. Una terza componente del modello evolutivo cerca di posizionare il bambino all’interno del proprio contesto sociale e di esaminare i molteplici ambienti in cui il bambino è coinvolto influenzano le emozioni, i pensieri e i comportamenti. Una quarta componente del modello evolutivo enfatizza la necessità di considerare la continuità tra il comportamento normale e anormale piuttosto che dare per scontata una netta distinzione tra questi aspetti. La comprensione della variabilità della normalità potrebbe aiutare a spiegare il comportamento anormale e viceversa (per esempio, la paura normativa dei cani nell’infanzia potrebbe essere collegata a quella non normativa nella tarda infanzia). Uno dei pochi elementi costanti nei tentativi di formulare un approccio evolutivo alla CBT è quello di fare ricorso a un modello normativo generale dello sviluppo cognitivo che possa spiegare la variabilità in funzione dell’età nell’applicazione e nella risposta al trattamento, come il modello stadiale piagetiano. Tuttavia, i modelli stadiali sono risultati inadeguati soprattutto per la priorità che assegnano alle differenze normative nello sviluppo rispetto alle differenze individuali e al focus sui processi cognitivi centrali rispetto alla considerazione della variabilità intraindividuale e della natura contestuale dei pensieri dei bambini. Dunque, i modelli evolutivi generali dello sviluppo cognitivo sono limitati nell’applicazione al contesto clinico; altri modelli e paradigmi sono stati ampiamente utilizzati nella ricerca evolutiva e potrebbero essere trasferiti al setting clinico, come:  i modelli dell’attribuzione sociale e del social information processing, le componenti del modello sviluppato da Dodge sono relative alla decodifica e all’interpretazione dei segnali sociali, alla definizione di obiettivi per il proprio comportamento, alla generazione di potenziali soluzioni e alla valutazione dei relativi effetti (questo modello sembra essere maggiormente applicabile a popolazioni aggressive o con disturbo della condotta). all’interno di questo modello, l’individuazione degli obiettivi di trattamento e delle strategie per raggiungerli è coerente con il modello CBT;  la teoria dell’attaccamento, è stata sviluppata per spiegare come le esperienze di un bambino con i propri caregiver modellino il successivo sviluppo sociale e di personalità e i pattern intergenerazionali di accudimento. Bowlby ha definito i MOI, ovvero una rappresentazione o 3

uno schema cognitivo socio-emotivo che il bambino sviluppa in risposta alle esperienze di vita reale con i propri caregiver. L’importanza per la CBT sta nel fatto che, all’interno di questa teoria, c’è un modello esplicativo per lo sviluppo dei modelli rappresentazionali cognitivi distorti delle relazioni d’attaccamento, per il loro consolidamento e per il ruolo che hanno nella vulnerabilità alla psicopatologia. Inoltre, i modelli di attaccamento possono essere adattati al contesto clinico. La valutazione degli stili di attaccamento nei bambini molto piccoli e in quelli in età pre-scolare si basa sulla Strange Situation; quella dei bambini in età scolare viene effettuata attraverso storie proiettive, giochi con bambole o pupazzi e si chiede al bambino di completare le storie. Nel caso in cui un bambino presenta distorsioni cognitive bisogna cercare di non mettere in discussione i suoi pensieri, ma piuttosto di aiutare il genitore a sintonizzarsi meglio con il bambino e a rispondere alle sue necessità di attaccamento;  la comprensione che i bambini hanno della mente, sono stati sviluppati numerosi concetti in merito a questo ambito, come teoria della mente, assumere la prospettiva cognitiva e interpersonale dell’altro, empatia e comprensione delle emozioni. Una linea di ricerca è si esista un legame tra l’emergere delle competenze sociali nei bambini e le distorsioni dei pensieri e delle emozioni. La CBT è stata ampiamente applicata alla pratica clinica e Dobson ha identificato 22 differenti tipologie di terapia cognitiva e comportamentale con principi logici e costrutti differenti. Pertanto, è necessario definire quelle che sono alcune caratteristiche chiave della CBT. Per esempio Beck ha enfatizzato come gli assunti cognitivi e le strategie di elaborazione dell’informazione danno luogo a visioni caratteristiche (distorte) del sé, del mondo e del futuro. Di particolare interesse sono 3 dimensioni della cognizione: schemi/assunti cognitivi disfunzionali (atteggiamenti fondamentali costruiti sulla base delle esperienze precedenti), pensieri automatici (brevi dialoghi interiori che consentono di valutare e interpretare le esperienze presenti e di fare previsioni sugli eventi futuri) e distorsioni cognitive o distorsioni nell’elaborazione delle informazioni (per esempio pensiero dicotomico, iper-generalizzazione, astrazione selettiva, ignorare gli eventi positivi e pensiero catastrofico). Dunque, i principali effetti terapeutici derivano dall’identificazione, dall’analisi e dalla correzione delle distorsioni e degli assunti cognitivi disfunzionali. Altre caratteristiche della CBT che hanno importanza nel processo terapeutico sono l’enfasi sul qui e ora, la collaborazione fa il paziente e il terapeuta. Da diversi studi è emerso come i bambini che ricevono un trattamento di CBT associato a una componente familiare rispondono più positivamente rispetto ai bambini trattati unicamente con CBT. Ciò è vero soprattutto per i bambini, ma non per gli adolescenti che avevano una minore probabilità di trarre benefici dall’inclusione della componente di terapia familiare. Per intraprendere una CBT con i bambini è necessario accertarsi, il prima possibile nel corso del contatto clinico, della probabilità che il trattamento ha di riuscire o meno. Innanzitutto è necessaria una valutazione delle competenze linguistiche e intellettive di base utilizzando strumenti di valutazione cognitivi tradizionali, in particolare se si dubita dell’adeguatezza della CBT a causa dell’età del bambino; tuttavia, i test standardizzati valutano unicamente le abilità intellettuali molto generali e potrebbero non essere sensibili al tipo di processi cognitivi utilizzati nella CBT. Le misure della comprensione delle emozioni in bambini più grandi, della capacità riflessiva e dell’abilità di utilizzare i propri e altrui stati mentali non sono ancora state ancora completamente sviluppate, ma potrebbe essere utile sviluppare questo campo. È necessaria, inoltre, una valutazione accurata della famiglia del bambino e delle relazioni familiari; della sintomatologia dei genitori che potrebbero alterare e complicare il trattamento; della qualità della relazione genitore-bambino (come calore e supporto forniti, conflitto, monitoraggio/controllo e autonomia psicologica). 4

Capitolo 4: Terapie psicologiche: una famiglia di interventi La ricerca sui processi e sugli esiti della terapia per gli adulti è molto più estesa rispetto a quella dei giovani. I risultati di questa ricerca sugli adulti sono stati sintetizzati in numerosi modelli concettuali, di cui il più importante è il modello generico della psicoterapia (Orlinsky e Howard, 1987). Nella sua forma originale, il modello generico includeva 5 dimensioni del processo terapeutico che erano considerate maggiormente responsabili degli esiti successivi: la presenza di un contratto terapeutico, cioè il format, la durata, la frequenza; procedure terapeutiche tecniche; la creazione di una relazione terapeutica; la sintonizzazione del cliente su se stesso, la motivazione e l’apertura al cambiamento; gli effetti seduta per seduta. La ricerca sui bambini manca di una simile cornice organizzativa. I primi studi sul processo terapeutico nei bambini condotti negli anni ’40 fino a tutti gli anni ’60 si sono focalizzati sul gioco non direttivo; si trattava di una codifica microanalitica di tutti quei comportamenti che si verificavano durante l’ora, piuttosto che una misurazione selettiva di quelle interazioni terapeuta-bambino considerate componenti significative del cambiamento. Nei seguenti studi di follow-up sono stati fatti alcuni tentativi per misurare come i comportamenti di queste gioco-terapie potessero variare nel corso del trattamento. A partire dalla metà degli anni ’60, l’interesse nella classificazione dei comportamenti che si verificavano nel corso della terapia è stato sostituito dall’analisi dei processi terapeutici che si riteneva facilitassero od ostacolassero l’esito positivo. Una serie di studi hanno analizzato i livelli di scontro, guida, insegnamento e strutturazione del terapeuta includendoli nella categoria più generale di direttività dello stile terapeutico. La maggior parte delle analisi è stata condotta nel contesto di una terapia con bambini aggressivi, impulsivi o disfunzionali, quindi poco si sa della direttività del terapeuta con bambini che presentano sintomi interiorizzati. In tutte le tipologie di trattamento, i comportamenti direttivi del terapeuta designati a mantenere i bambini e le famiglie concentrate sul compito e focalizzati sulle tecniche della terapia sembrano dare dei benefici. Tuttavia, un programma di ricerca sul parent training (Patterson) con famiglie di ragazzi gravemente antisociali ha portato a risultati quasi opposti. Gli studi di Patterson sulla direttività potrebbero differire dagli altri in 3 aspetti fondamentali: la gravità della disfunzionalità del bambino e della famiglia; l’intensità dei comportamenti direttivi del terapeuta; il livello di strutturazione della terapia. Un altro aspetto del comportamento interpersonale del terapeuta su cui è stato posto grande attenzione è il calore umano del terapeuta definito attraverso i comportamenti empatici e supportivi, atteggiamenti di accoglienze, accudimento e profondo rispetto. Anche Patterson ha riscontrato che le affermazioni facilitanti e supportive e la compliance genitoriale con il protocollo del parent-training diminuivano significativamente la probabilità di un’immediata resistenza. da diversi studi è emerso che i bambini a cui venivano forniti elevati livelli di condizioni facilitanti, rispetto a coloro ai quali venivano forniti bassi livelli di condizioni facilitanti, con il progredire del trattamento, rispondevano con affermazioni su di sé più positive. Lo studio della relazione terapeutica come meccanismo di cambiamento prevede l’analisi dell’interazione fra gli stili del terapeuta e del cliente e l’analisi dei comportamenti, atteggiamenti e sentimenti che il terapeuta ha solo parzialmente il potere di manipolare. In quanto tale, la qualità della relazione terapeutica potrebbe essere influenzata ...


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