LA Musica È UN Gioco DA Bambini (riassunto completo) PDF

Title LA Musica È UN Gioco DA Bambini (riassunto completo)
Author isabella indraccolo
Course Pedagogia e didattica musicale
Institution Università del Salento
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Riassunto molto approfondito e completo...


Description

LA MUSICA È UN GIOCO DA BAMBINI (François Delalande)

INTRODUZIONE “La musica è un gioco da bambini” viene pubblicato nel 1984 e arriverà in Italia dopo 17 anni dalla prima uscita. È un testo di grande importanza per conoscere il punto di vista pedagogico e didattico di Delalande. L'ipotesi centrale del libro è molto chiara: il bambino, nel suo gioco spontaneo con i suoni, già dai primi mesi di vita fa della musica, e questa attività va sottratta alla banale sfera del "rumore" per essere invece pienamente valorizzata come musica. Questo tema prefigura un profondo cambiamento della concezione dell'educazione musicale e del ruolo dell'educatore. Infatti quest'ultimo non deve indirizzare il bambino verso un sistema musicale dato, bensì deve affiancarlo nella scoperta dei suoni e delle loro possibilità espressive, risvegliando e attivando motivazioni, attitudini e condotte musicali. Delalande ci parla proprio di “pedagogia del risveglio”, intesa come ricerca e riscoperta del gusto del suono, in cui l’educatore gioca un ruolo di mediatore e facilitatore della crescita musicale del bambino. Per comprendere il pensiero di Delalande bisogna comprendere inoltre il concetto di condotta, introdotto in psicologia dal francese Pierre Janet. Nella pedagogia delle condotte musicali appare evidente la differenza sostanziale tra “comportamenti” e “condotta”: un comportamento diventa una condotta quando cessa di essere un atto meccanico, introdotto dall’esterno, per diventare un’azione viva, che soddisfa un bisogno autentico della persona e che ha un fine ultimo. Gli elementi che caratterizzano una condotta sono due: il coordinamento di più azioni e avere una finalità. La condotta rappresenta quindi ciò che motiva il comportamento. Le condotte alla base dell’attività musicale del bambino/adulto sono 3: ESPLORAZIONE (gusto per il suono, saper fare e ascoltare), ESPRESSIONE (i suoni assumono un senso, evocano stati affettivi, dimensione immaginativa), ORGANIZZAZIONE (suddivisione delle parti tra musicisti, accordarsi). I punti di riferimento di Delalande sono soprattutto 3: - La musica contemporanea (con particolare attenzione alla musica concreta); 1* - L’antropologia della musica; 2* - L’epistemologia genetica di Jean Piaget. 1* La musica concreta ha avuto particolare sviluppo in Francia negli anni 60 e 70 e viene composta attraverso l’esplorazione e la manipolazione di oggetti che fanno parte della vita quotidiana. Un esempio è Pierre Henry che compone “Variazioni per una porta ed un sospiro” in cui il materiale sonoro è costituito da cigoli di porte di un vecchio granaio e dall’emissione del respiro del compositore. Lo sviluppo della musica concreta propose inoltre un altro tema di ricerca: Pierre Shaeffer iniziò a porre il tema di un ritorno alle origini nella definizione dell’attività musicale. Si trattava di indagare il

problema centrando l’attenzione sui comportamenti e sulle motivazioni di chi fa musica, al di là delle specifiche e particolari espressioni musicali. Le proposte di Shaeffer correvano in parallelo con ricerche che emergevano in altri paesi. 2* Antropologia della musica: Alan Merriam, nel suo “Anthropology of music”, aveva posto la questione dell’universalità dell’attività musicale, definendo la musica universale come comportamento ma non come lingua. Egli osserva che tutti i popoli fanno musica, con motivazioni, funzioni sociali e significati simbolici anche molto simili tra loro, mantenendo però l’esclusività del ritmo nella melodia e negli stili vocali e strumentali. 3* Epistemologia genetica: Delalande analizza il gioco sonoro del bambino attraverso lo schema piagetiano. Piaget distingue 3 fasi nello sviluppo del gioco infantile: senso-motorio, simbolico e di regole. Il gioco senso-motorio corrisponde alla condotta dell’esplorazione, basata sul lavoro di scoperta e sperimentazione sonora: il bambino esplora le potenzialità sonore degli oggetti che lo circondano e attribuisce schemi senso-motori che producono poi dei suoni differenti; anche l’esplorazione della propria voce fa parte di questa condotta. La fase del gioco simbolico corrisponde alla condotta dell’espressione ed è la fase in cui il bambino attribuisce al suono la capacità di rappresentare, di avere un senso nel contesto, di evocare personaggi, movimenti, situazioni. La terza condotta, cioè quella dell’organizzazione corrisponde alla fase del gioco di regole. Anche nel gioco musicale possiamo parlare di regole, cioè di condotta organizzativa ogni volta che il bambino trova piacere nell’organizzare i suoni secondo regole che egli stesso stabilisce e questa è una condotta che andrà fino all’età adulta. È chiaro quindi che, secondo Delalande, il gioco sonoro del bambino e la pratica musicale dell’adulto trovano rilevanti corrispondenze. Altra problematica sollevata da Delalande è quella dell’educazione al ritmo che, in passato, era insegnamento del solfeggio (attività ritmico-motoria), nella convinzione che il ritmo fosse l’elemento primordiale e fondamento della musica. Egli critica i metodi storici della musica (come quelli di Orff e Kodaly) perché hanno una visione troppo restrittiva della musica e tendono a proporre ai bambini un sistema musicale dato come assoluto. Si realizza un cambiamento profondo della concezione di insegnamento che si avvicina molto all’idea socratica della maieutica: non inculcare nozioni, ma “risvegliare” attitudini e condotte naturalmente insite nel bambino. La proposta metodologica quindi è chiara: si deve andare nella direzione di un sistema musicale in cui l’educatore non impone un determinato sistema musicale ma lo aiuta e lo sostiene nella sua crescita musicale, offrendogli occasioni per risvegliare le sue attitudini, capacità e desideri di comunicare in forma sonora. Il libro è in forma di dialogo perché i temi affrontati sono stati trattati in 10 colloqui radiofonici tra Jack Vidal e Delalande.

PRIMO DIALOGO - Quale musica, quale pedagogia? Nel primo dialogo Delalande difende una concezione di “Risveglio alla musica”. La finalità è formare i bambini a tutto ciò che possa precedere le acquisizioni tecniche, a sensibilizzare i bambini alla musica, a praticare una pedagogia di risveglio. In un passato, ancora recente, l’educazione musicale era soprattutto l’insegnamento del solfeggio, di tecniche strumentali, studio di un repertorio classico e di storia della musica. Oggi le cose sono un pò cambiate grazie all’accento posto sulle pedagogie attive. Non si pensa più di far solamente ascoltare la musica, ma si punta al far fare. La finalità è formare i bambini a tutto ciò che possa precedere le acquisizioni tecniche (no educazione tonale). Delalande afferma che quanto più l’esperienza preliminare di ricerca sonora e di creazione sarà stata profonda e avrà sviluppato il senso musicale, tanto più il lavoro tecnico dopo sembrerà naturale. Talvolta è la famiglia che trasmette un gusto musicale, altrimenti tocca ad una pedagogia del risveglio svolgere questo compito. Bisogna aiutare il bambino a sviluppare le proprie attitudini, dargli una condotta e il senso dell’ascolto di sé. Bisogna lasciar inventare ai bambini la loro musica con i loro strumenti, i loro corpi sonori. Cosa significa fare musica? Delalande sostiene che ci sono 3 dimensioni della musica che siamo tutti in grado di sviluppare: - il gusto per il suono, questa è la prima qualità del musicista, una certa sensibilità per la sonorità che si accompagna all’abilità di ottenerla sullo strumento - la dimensione immaginativa della musica che significa trovarle un significato - l’organizzazione. Fare musica vuol dire sotto diversi punti di vista organizzare. Dapprima organizzarsi tra più musicisti, accordarsi e distribuirsi le parti. I musicisti, sia che facciano musica sia che l’ascoltino, hanno in comune queste 3 grandi capacità di essere sensibili ai suoni, di trovarvi un significato e di godere della loro organizzazione Per quanto riguarda l’ascolto sostiene che l’attenzione ad ascoltare è soprattutto una questione di motivazione. Si ascolta ciò per cui si ha una buona ragione di ascoltare e il risveglio dell’ascolto musicale consiste nel moltiplicare le ragioni per ascoltare. Il mezzo migliore per motivare l’ascolto è fondarlo su un esperienza di produzione. Delalande sostiene che non bisogna far ascoltare ai bambini musica classica ma i pezzi più recenti, quelli che si fondano. Questo perché l’educazione musicale classica è viziata dall’assillo di non dover fare errori o essere stonati. LA musica contemporanea invece è più aperta. Molti dei suoni infantili non sono altro che rumori ma è comunque musica perché la musica non è solo un gioco di altezze e durate.

SECONDO DIALOGO - La musica è un gioco da bambini La musica e il gioco hanno qualcosa in comune? Delalande basa la propria pedagogia musicale sull’intreccio teorico tra musica e gioco e, per dar maggiore vigore alla sua teoria, può contare sul rinforzo lessicale che traduce il verbo “JOUER” con giocare ma anche suonare. Tale significato però viene purtroppo perso sul testo italiano dove il “JOUER” francese verrà tradotto solo con giocare.

La musica può essere vista come: 1) un gioco senso-motorio = che domina fino ai 2 anni. Si tratta del gioco senso-motorio attraverso il quale il bambino acquisisce gli automatismi motori, ovvero, attraverso le mani e i gesti, prende coscienza del mondo che lo circonda. Secondo Piaget, il gioco d’esercizio domina il primo periodo di vita fino ai due anni del bambino che, attraverso esso, arricchisce il proprio bagaglio di schemi sensoriali. All’inizio non sa fare altro che succhiare, poi impara ad afferrare e scuotere: è il movimento in cui è attirato dai sonagli. Lo stesso vale quando, più tardi, giocherà con la palla contro il muro o quelli in cui si fa lavorare il corpo per il piacere di farlo. Se parliamo di gioco è perché il bambino si compiace di “esercitare a vuoto” le proprie possibilità motorie senza necessità immediate (musica come gioco senso motorio) Questo accade perché il bambino non ha altre finalità nel gioco se non quella di divertirsi. Dunque la soluzione potrebbe essere quella di avvicinare il bambino alla musica con il solo intento di farlo divertire. 2) un gioco simbolico = condotte musicali hanno in genere uno scopo simbolico. Siccome tutta l’attività umana è impregnata di simbolismi, il gioco simbolico è una condotta ben conosciuta dai genitori. E’ il gioco del “far finta” che mima il reale e lo aggiusta a modo proprio. Anche la musica mima il reale. Essa evoca un movimento, una situazione vissuta oppure dei sentimenti che si provano in determinate situazioni. Tutte le condotte musicali hanno in genere uno scopo simbolico, non fine a se stesso ma con l’intenzione dei musicisti di rinviare a qualcosa di altro dal suono e questo “altro” è fatto di immagini, emozioni o storie fantastiche. 3) un gioco di regole = rimanda a tutto ciò che può essere fonte di piacere nell’applicazione del sistema musicale. Il lavoro educativo deve seguire le 3 forme dell’attività ludica definita da Piaget: con i bambini più piccoli l’attività verrà centrata sul suono ed il gesto, con i bambini della materna si svilupperà il carattere simbolico ed infine con i bambini più grandi il gioco musicale si dovrà dare delle regole Potremmo dire che la musica contemporanea di trova ad uno stadio senso-motorio (un buon numero di musiche prendono il loro schema più o meno ripetitivo dalle reazioni circolari, ossia suono che si ripete).

TERZO DIALOGO - Un’arte del gesto Associare il gesto alla musica significa enfatizzare l’espressione corporea. Lo si comprende bene se si pensa alla produzione del suono: cioè quando si suona uno strumento, è il gesto che crea e controlla il suono. Spesso, in concerto, l’esecutore accentua il suo gesto come se volesse trasmettere al suono tutto il movimento del corpo per rinforzare l’emissione, per aiutare il gesto che tecnicamente lo produce, ma al tempo stesso si tratta di una forma di esplicitazione per il pubblico. La musica si legge nelle espressioni gestuali del pianista o sulle mani del direttore d’orchestra quasi altrettanto chiaramente di quanto la si sente attraverso l’orecchio.

C’è una forma di relazione tra suono e gesto che balza agli occhi, questa è la danza. A seconda della velocità del movimento, si può associare al gesto che lo segue una forma, di sentimento. Non si può parlare del gesto senza pensare immediatamente alla musica che invita al movimento. È quello che Faisse chiama “Effetti dinamo genesi” della musica: se si fa ascoltare ad un soggetto una ripetizione di impulsi sonori regolari, egli tende a battere il tempo. Bisogna fare in modo che l’attenzione del bambino si sposti dal movimento della mano al risultato sonoro, che sia lui a guidare la mano invece di lasciarla muovere da sola. A volte l’unico contatto con la musica che propone la scuola è quello di far danzare i bambini perché la musica li spinge spontaneamente al movimento.

QUARTO DIALOGO - Il ritmo: un doppio malinteso A proposito del ritmo si denunciano 2 malintesi. Il primo consiste nel credere che il ritmo sia una caratteristica universale della musica, per questo i metodi che puntano su una base ritmica della musica corrono il rischio di smarrirsi un po’ e quindi è bene preparare i bambini a una musica basata su una ritmica particolare per l’induzione alla danza. Spesso si crede che il ritmo sia universale: tutte le musiche del mondo hanno un tratto in comune ovvero il ritmo. Tuttavia il significato della parola ritmo è diverso da una cultura ad un'altra. Per ritmo noi intendiamo una successione regolare di pulsazioni, di cui alcuni tempi forti vengono accentuati periodicamente. Al contrario in Africa non ci sono tempi forti né alcuna regolarità percepibile. I due aspetti del ritmo occidentale che ritroviamo in Bach sono il tempo e le divisioni in battuta. Questi aspetti sono tipici delle musiche del passato a condizione che non ci si spinga troppo indietro nel tempo (per esempio il canto gregoriano nulla deve alle misure e ai tempi forti). Il secondo consiste nell’invocare il fondamento corporeo del ritmo. Certamente i battiti del cuore come il dondolio del camminare sono archetipi della pulsazione regolare, che nella danza porta il corpo ad un movimento sincronizzato. Dobbiamo però considerare che in questo caso stiamo parlando del livello più elementare della musica e che la sincronizzazione motoria si fonda su un’operazione intellettuale. Non bisogna quindi aspettarsi che partendo dalla risonanza corporea del ritmo si riesca ad ottenere un’educazione raffinata. Il ritmo è stato studiato dalla psicologia sperimentale e da questi studi sono emersi 2 aspetti: l’induzione motoria che ci avvicina alla danza e la percezione del ritmo. Tuttavia è sbagliato pensare che il ritmo abbia un fondamento corporeo, certamente i battiti del cuore o il dondolio del camminare sono gli archetipi della pulsazione regolare che porta il corpo alla danza ma in realtà si tratta di un’operazione intellettuale. All’età di circa un anno, la musica stimola il dondolamento ma non c’è ancora la sincronia sensomotoria tra il ritmo della musica e quello del dondolarsi. Verso i 4 anni il bambino si dondola al ritmo della musica. Il suono si attiva attraverso due aspetti: - La ripetizione - La variazione

QUINTO DIALOGO - Parole per descrivere i suoni Spesso l’insegnante dispone di un grande vocabolario per parlare dell’esecuzione di un violinista, al contrario non possiede parole pe descrivere l’attività di ricerca di un bambino di 3 anni che fa rotolare una biglia in una scatola. Al punto che non osa chiamarla musica. Una delle difficoltà che l’insegnante incontra è la mancanza di strumenti per capire musicalmente le produzioni infantili. All’insegnante mancano le parole per ascoltare, ed è per lei impossibile mettere da parte la propria concezione di melodia per poter ascoltare i “rumori” prodotti dai bambini. La descrizione più oggettiva del suono avviene attraverso i 4 parametri classici (altezza, durata, intensità, timbro) tuttavia pensare ed insegnare la musica in termini di parametri vuol dire farne una costruzione puramente formale eliminando ciò che ha di più prezioso: la corrispondenza tra il gesto e la vita affettiva. Schaeffer è partito da 0 e ha classificato i rumori con un orecchio puro, ha prodotto una fonetica dei rumori che ci interessa perché è neutra e generale; non essendo orientata all’uso di un linguaggio musicale particolare, corrisponde agli obiettivi di una pedagogia del risveglio. Egli ha individuato 2 principali caratteristiche: la forma (l’involucro, il profilo generale del suono) e la materia (il materiale da cui è ricavato il suono). Il bambino privilegia certi aspetti del suono come la forma, anche se non dispone di nessuna parola per nominarli, grazie al gesto: la percezione si costruisce inizialmente con la motricità poi si fissa con le parole degli adulti. Infatti sappiamo che a 3 anni si ha la capacità di comprendere le differenze tra i suoni ascoltati indovinando i gesti che li hanno prodotti. I bambini sono anche molto sensibili alla persistenza del suono ( o durata del suono). Schaeffer distingue 3 casi di durata: gli impulsi (la cui durata è molto breve, non si distingue un inizio, una parte centrale ed una fine), le strisce sonore (molto lunghe, che evolvono lentamente e in sui si percepisce la materia sonora), i suoni formati (di durata intermedia, lasciano capire materia e forma, in essi appaiono bene le differenti fasi di attacco, corpo ed estinzione). Con Schaeffer si passa dalla musica astratta alla musica concreta. La musica astratta di Bach era uan combinazione di rapporti di durata e di altezze tra note, da questa musica di combinazioni si è passati ad una musica d’evoluzione. Schaeffer introduce anche i concetti di oscillazione e grana. L’oscillazione è una generalizzazione del vibrato. La grana è una sorta di rugosità cioè piccole irregolarità della materia dovute ad una successione di minuscoli impulsi. Schaeffer inoltre affermava che le parole aiutano ad ascoltare. Per questo bisogna aiutare i bambini a rinforzare con le parole le loro trovate sonore, l’esercizio di verbalizzazione è consigliabile ma il vocabolario deve essere aperto ovvero la lista di attributi per ogni suono può allungarsi

SESTO DIALOGO – Quali strumenti? Il primo incontro del bambino con la musica avviene attraverso uno strumento. E’ necessario che già a partire dal nido, nell’area gioco vengano posti degli oggetti sonori che si prestino all’esplorazione. Il sonaglio è il primo strumento musicale del bambino che intorno ai quattro/cinque mesi impara a

tintinnare e insieme ad una serie di bilancieri che si urtano producendo un suono, è tutto il catalogo di giochi educativi che si hanno a disposizione per il risveglio sonoro. Il bambino di 1- 2 anni è affascinato dal suono in sé o per essere precisi dal gesto che lo produce. Il suono provoca motricità. Si può dire che il piccolo ascolta con le mani. In questo periodo è già possibile un intervento pedagogico semplicemente scegliendo gli oggetti sonori da disporre nell’area gioco. Crescendo il gusto del suono lascerà posto al potere di far nascere immagini. Il bambino di 4 anni avrà voglia di associare un suono ad un’immagine (es. un animale). Questo comportamento non sostituisce il primo ma si sovrappone. Dunque, alla scuola materna, la ricerca delle fonti sonore è uno dei percorsi fondamentali e la scelta degli strumenti dipende dall’uso che si fa. L’autore predilige la ricerca di corpi sonori piuttosto che l’acquisto di strumenti perché attraverso la ricerca i bambini presteranno attenzione al rumore di qualsiasi oggetto, ascoltando i dettagli del suono. Una giusta linea pedagogica è quella di risvegliare le condotte di ascolto, partendo da oggetti trovati o di recupero. Bisogna imparare a considerare sorgenti di suono oggetti di vario tipo, imparare ad ascoltarli. Meglio prediligere quei corpi sonori che producono suoni interessanti per il loro carattere concreto, la loro “grana”, le loro “impurità”. L’errore più grande che fa un educatore è dare ai bambini più piccoli gli strumenti più semplici e ai bambini grandi gli strumenti più complessi. In realtà bisognerebbe fare il contrario e questo anche perché i bambini più piccoli suonano da soli e quindi...


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