IL Cesaropapismo - Riassunto Storia dei rapporti Stato Chiesa PDF

Title IL Cesaropapismo - Riassunto Storia dei rapporti Stato Chiesa
Course Storia dei rapporti Stato Chiesa
Institution Università degli Studi di Perugia
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riassunto sul cesaropapismo...


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IL CESAROPAPISMO IL CESAROPAPISMO NELL’IMPERO ROMANO. Nel sistema definito cesaropapismo si realizza la piena unione fra potere temporale e potere spirituale in quanto le prerogative civili e religiose sono concentrate nel medesimo soggetto, l’imperatore, che è simultaneamente Cesare, capo dell’organizzazione politica, e Papa, ossia massima autorità religiosa. Anche nel sistema della teocrazia si realizza l’unione dei poteri concentrati stavolta nelle mani del pontefice anziché nella persona dell’imperatore. Tuttavia mentre nel cesaropapismo non esiste ancora fra i due poteri una distinzione neppure a livello teorico, distinzione che al contrario è invece presente in linea di principio nel periodo teocratico. Nel mondo antico non esisteva una distinzione tra politica e religione, la quale era un sentimento collettivo comune a tutti gli appartenenti alla comunità. La materia spirituale faceva parte e rientrava tra i compiti del potere temporale e veniva regolata dalle leggi civili, in quanto parte dell’amministrazione pubblica. Il jus sacrum faceva parte dello jus publicum . L’imperatore era anche al vertice dell’organizzazione religiosa pagana, e ricoprì per tutto il paganesimo e per i primi secoli del cristianesimo il ruolo di pontifec maximus. L’imperatore esercitava ampi poteri anche nei confronti della Chiesa. -

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Dal punto di vista legislativo l’autorità imperiale ha rappresentato la fonte suprema del diritto della Chiesa. Lo stesso concilio ecumenico veniva convocato dall’imperatore e inoltre spettava la presidenza e individuava le materie oggetto di trattazione. Le deliberazioni del concilio (decreti o canoni) erano subordinati all’approvazione dell’imperatore. Dal punto di vista del potere esecutivo l’imperatore attraverso i propri governatori controllava l’effettiva osservanza delle leggi ecclesiastiche, partecipava alla nomina dei funzionari e dignitari ecclesiastici. Dal punto di vista del potere giudiziario, in materia religiosa competeva all’imperatore convocare i tribunali ecclesiastici e decidere le questione da attribuire alla competenza degli stessi.

Il modello cesaropapista, da un lato comportava grandi vantaggi per la Chiesa che godeva della protezione e dell’appoggio dell’autorità civile, dall’altro lato anche lo Stato ricavava vantaggi in quanto l’aiuto e sostegno alle questioni religiose rappresentava un fattore di coesione e stabilità sociale e politica. Le cose iniziano a mutare nel 476 con la caduta dell’Impero romano d’occidente che vede spezzarsi l’unità politica dell’impero. La rottura dell’unità religiosa si avrà invece nel1054 che avrà luogo con lo scisma della Chiesa d’oriente rispetto a quella latina. Infatti al vescovo di Roma si oppone quello di Costantinopoli, il quale essendo insediato nella capitale dell’impero pretende di essere considerato il capo della Chiesa cristiana, dando origine ad un dissidio che condurrà allo scisma.

I caratteri del cesaropapismo in oriente appaiono più marcati di quanto si verifica in occidente, nel senso che l’ingerenza imperiale nella sfera spirituale è più incisiva. Maggiore dipendenza del vescovo di Bisanzio dall’imperatore, rispetto al rapporto meno stretto tra l’imperatore d’occidente e il vescovo di Roma. L’imperatore d’oriente esercitava un’ingerenza non solo riguardo all’organizzazione e alla vita delle istituzione della Chiesa, ma anche direttamente in materia dogmatica e liturgica.

L’ascesa religiosa e politica del papato. Dopo il 476, ossia dopo il crollo dell’impero romano d’occidente, e dunque il venir meno di un forte potere centrale favorisce la progressiva ascesa del ruolo del vescovo di Roma, rimasto ormai l’unico punto di riferimento dello scenario occidentale, godendo quest’ultimo di ampia libertà sia in ambito religioso ma anche politico. Davanti alle invasioni barbariche e all’assenza di un’autorità civile unitaria, la Chiesa di Roma viene a rappresentare un punto di riferimento e un polo unificatore. La lontananza dell’imperatore d’oriente, consente al papa di discutere o ignorare gli ordini imperiali, a differenza del patriarca di Costantinopoli. Il papa non ha un’autorità civile a cui appoggiarsi e proprio per questo gode di autonomia e può acquistare sempre più prestigio e potere. Uno dei fattori che favoriscono l’ascesa del papato è l’affermazione del primato di giurisdizione a favore del vescovo di Roma detto anche primato pontificio o romano. Si tratta di un principio in virtù del quale dal punto di vista canonico al pontefice compete una supremazia su tutti gli altri vescovi. In sostanza il vescovo preposto alla diocesi romana vanta un potere gerarchico che lo pone dal punto di vista giurisdizionale al di sopra degli altri vescovi e di tutti i soggetti che fanno parte ella chiesa. Si discute sul fondamento del primato primaziale spettante al pontefice, la cui giustificazione secondo la dottrina ufficiale della Chiesa latina deriverebbe dal potere che Cristo, fondatore della Chiesa, avrebbe conferito a Pietro mediante le parole “ tu sei Pietro e su questa pietra edificherai la mia Chiesa”. Per successione apostolica tale potere sarebbe stato trasmesso da Pietro, primo dei pontefici ai suoi successori. In effetti già papa Damaso si rifà al passo evangelico per legittimare il primato romano, anche se si deve a papa Leone la compiuta formulazione del primato del vescovo di Roma basata sul conferimento del potere da parte di Cristo a Pietro e la conseguente successione apostolica. A giustificazione del primato romano si adducono altre ricostruzione tra le quali si fa riferimento a ragioni storiche e politiche che sarebbero in grado di spiegare la progressiva maggior importanza ed autorità della sede vescovile romana. Inoltre non può essere trascurata l’importanza derivata al pontefice dal verificarsi di determinate circostanze come ad esempio l’esercizio di una carità che trascendeva i limiti della comunità, un’attività letteraria perspicua. Inoltre il papa ebbe un ruolo centrale nelle lotte contro le eresie dei primi secoli. Il concilio di Sardica del 343, in quanto non ecumenico e dunque non vincolante per l’intera cristianità , assegna al papa il compito di giudicare in appello i vescovi condannati dai concili provinicali.

Altri fattori che contribuirono ad accrescere il prestigio della sede vescovile romana vi è anche l’attività diplomatica che i pontefici, a partire da Gregorio Magno intraprendono con i sovrani dei popoli barbari. Il primato pontificio gode ormai di espressa previsione normativa ne codice di diritto canonico. Altro elemento che nel tempo contribuisce ad accrescere il prestigio e l’autorità della sede apostolica può rinvenirsi nel sorgere del dominio temporale in capo al pontefice, ovvero nella nascita di un vero e proprio stato governato dal papa, che in tal senso non appare diverso dagli altri regnanti. La chiesa ben presto iniziò ad essere destinataria ad opera dei fedeli di donazioni e lasciti, aventi per oggetto anche beni immobili che andavano a costituire il c.d. patrimonio di san Pietro. Tale patrimoni si accrebbe sempre di più nel tempo fino a comprendere intere province, che erano in tal modo di proprietà del pontefice. Con l’invasione barbarica molti territori italici si trovarono senza un effettivo governo con la conseguenza che il pontefice esercitava di fatto l’autorità. Al patrimonio costituito dai lasciti dei fedeli si aggiunse quanto pervenuto dai franchi. I carolingi avevano un debito di riconoscenza dei confronti del papato il quale aveva legittimato la loro ascesa al potere attraverso il colpo di mano attraverso il colpo di mano con i quali essi avevano spodestato i merovingi. Si avrà un’alleanza tra stato e chiesa che condurrà allo loro successiva unione culminata con l’incoronazione di Carlo Magno nel natale dell’800 per mano del pontefice.

Il Cesaropapismo nell’impero franco e nelle realtà storiche successive. Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente la Chiesa ha dovuto affrontare in maniera autonoma il rischio delle invasioni barbariche, senza peraltro la possibilità di un’alleanza ed una fusione con i nuovi dominatori, che professavano una religione diversa. L’unione risulta invece possibile con i franchi, ed in particolare con i carolingi, indebito di riconoscenza con il papato che aveva consacrato la loro ascesa al potere in danno della dinastia dei merovingi. Si crea un’alleanza che darà vita al Sacro Romano Impero e culminerà nell’incoronazione di Carlo Magno nel natale dell’800 da parte del papa Leone III. Questa investitura ha un valore simbolico perché, da un lato consente ai pontefici di liberarsi storicamente dai legami con l’impero d’oriente, dall’altro una pretesa di superiorità del potere spirituale su quello temporale. L’unione di Roma con i franchi comporta stretti legami fra potere temporale e potere spirituale, con gli imperatori impegnati a difendere la Chiesa di Roma. La volontà di difendere la Chiesa testimonia l’intenzione di riunire tutto il mondo cristiano in un’unità, con il Cristianesimo che è considerato strumento di civilizzazione e di affinamento di costumi. Di fatto gli imperatori franchi prendono ad esercitare poteri anche in sede ecclesiastica, in maniera analoga a quanto era avvenuto nell’impero d’occidente. Il sovrano legifera anche in materia spirituale e si preoccupa di riunire nelle raccolte di legge (Capitularia) le disposizione di natura civile e quelle di carattere religioso (Capitularia ecclesistica). L’imperatore procede alla riforma dell’organizzazione ecclesiastica, rafforzando

l’autorità del vescovo, che diventa un funzionario del sovrano con poteri anche temporali, nominato e deposto dallo stesso. L’intervento del potere temporale raggiunge il culmine nella disciplina dell’elezione del pontefice, contenuta nel Constitutum di Lotario dell’824 che riservava alle famiglie nobili romane e non al clero la scelta del papa, la cui consacrazione è tuttavia subordinata all’approvazione dell’imperatore, cui l’eletto deve prestare giuramento di fedeltà. La situazione non muterà con il passaggio dalla dominazione carolingia a quella germanica. Ottone I, incoronato a Roma nel 962, come imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, confermerò con un accordo con papa Leone XIII le previsione del Consititutum circa la nomina del papa, sancendo ancora una volta la soggezione del papato all’imperatore. Inoltre la nascita di un nuovo impero cristiano costituì una minaccia grave per l’indipendenza della Chiesa. A partire dal XII secolo, la nuova compagine imperiale fu pervasa da un vero cesaropapismo, che minaccio gravemente l’autonomia della Chiesa, con il rischio di ridurla a mera Chiesa di stato. In questa face la decadenza ecclesiastica è grande, per cui la Chiesa non solo non ha la forza di opporsi efficacemente al potere politico, ma si compromette con esso. Quando poi il sacro romano impero si scinderà in stati, il potere politico frammentato non avrà la forza di imporsi ad una Chiesa invece organizzata, e ciò segnerà il tramonto dell’esperienza cesaropapista. La crisi del papato e lo scisma d’oriente. La frantumazione dell’impero carolingio e la nascita nel 962 del sacro romano impero germanico coincidono con il momento di massima decadenza dell’istituzione papale, detto anche periodo buio del papato. Il declino della sede papale in realtà era già iniziato alla fine del IX secolo a causa di gravi fenomeni di corruzione e malcostume accompagnati dall’assenza di una personalità di spicco al soglio pontificio. La stessa nomina del pontefice era rimessa in sostanza all’imperatore dall’824, fino a quando nel 1059, quando papa Niccolò II, stabilirà nuove regole per l’elezione del pontefice, affidando tale compito ai cardinali. Inoltre, in questo periodo, il pontificato si trova ad affrontare la separazione della Chiesa d’oriente da quella d’occidente. In realtà esisteva già da tempo l’opposizione fra le due chiese. La contrapposizione sul piano dottrinale riguarda la questione del filioque, riguardate il dogma trinitario. Il Concilio di Nicea del 325 aveva affermato nella professione di fede la processione, cioè la derivazione dello Spirito Santo dal Padre. In certe province occidentali si era tuttavia affermata la prassi di estendere la processione dello Spirito Santo non solo dal Padre, ma anche dal Figlio, introducendo il termine filioque nel testo originario. La nuova formula procede che lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”. Ma in oriente la nuova formulazione non viene accettata dal concilio tenutosi a Costantinopoli negli anni 879-880. La questione nasconde in realtà altre divergenze ben più rilevanti, di natura teologica, disciplinare e politica, che minavano il rapporto tra le Chiese: il primato pontificio sulla Chiesa universale, il culto delle immagini, l’uso del pane azzimo nell’Eucarestia in occidente e non fermentato diversamente dalla regola orientale, il problema del celibato ecclesiastico. La rottura dei rapporti tra Roma e Costantinopoli si verifica dopo una precedente diatriba tra le parti in ordine alla validità dell’elezione di Fozio a patriarca di

Costantinopoli, a seguito dell’elezione nel 1043 di Michele Cerulario a patriarca bizantino, grazie all’amicizia di costui con l’imperatore Costantino Monomaco. In veste di patriarca Cerulario mostrò ostilità nei riguardi di Roma, al punto che il pontefice di allora Leone IX, nell’intento di chiarire la situazione e migliorare i rapporti inviò a Costantinopoli una delegazione. Cerulario si rifiutò di incontrare i delegati romani, i quali prima di ripartire per Roma deposero sull’altare della Chiesa di Santa Sofia una bolla di scomunica a carico di Cerulario (16 luglio 1054). Cerulario reagisce subito convocando un Sinodo orientale che il 24 luglio del 1054 pronuncia la scomunica del papa e dei suoi delegati. I due atti segnano la scissione fra la Chiesa di Roma e quella bizantina (Scisma d’Oriente) e rimangono formale in vigore fino al Concilio Vaticano II, in occasione del quale il 7 dicembre 1965 viene letta contemporaneamente a Roma e a Costantinopoli la Dichiarazione comune cattolica-ortodossa , in cui si precisa che le scomuniche del 1054 riguardava le singole persone coinvolte e non le Chiese di rispettiva appartenenza, e pertanto tali provvedimenti non intendevano rompere la comunione ecclesiastica fra la sede apostolica romana e quella di Costantinopoli....


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