Il paese mancato Guido Crainz PDF

Title Il paese mancato Guido Crainz
Course Scienze dell'educazione
Institution Università degli Studi di Bergamo
Pages 32
File Size 830.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 64
Total Views 147

Summary

Download Il paese mancato Guido Crainz PDF


Description

IL PAESE MANCATO. DAL MIRACOLO ECONOMICO AGLI ANNI OTTANTA GUIDO CRAINZ L’ITALIA TRA “MIRACOLO” E “CONGIUNTURA” 1. Introibo. Tra il 1963 e il 1964 l’Italia vede cessare il boom economico e il profilarsi della CONGIUNTURA, una crisi economica temporanea. Negli anni del miracolo si erano diffuse speranze di un governo che potesse fare delle riforme reali, volte a sanare arretratezze e contraddizioni, che potessero indicare regole e valori condivisi in un paese che stava cambiando radicalmente. Alle speranze si affiancano però delle paure dalle radici profonde: la formula politica riformatrice, il centro-sinistra, comprendeva infatti il PSI, sempre stato fino a quel momento alleato del PCI, nei confronti del quale esistevano evidenti riserve. Questo anticomunismo aveva condizionato l’agire dello stato nel dopoguerra, determinando forme e limiti della democrazia parlamentare italiana proprio nel segno di questa “continuità dello stato” tra fascismo e postfascismo. Fra la primavera e l’estate del 1964, nel nome de lla congiuntura e delle sue esigenze, prende avvio l’offensiva delle forze più conservatrici guidate dal governatore della Banca d’Italia Carli e il ministro del Tesoro Colombo (contro i sostenitori di una politica riformatrice Giolitti e Lombardi), in aperto dispregio però delle regole istituzionali (lettera di Colombo ad Aldo Moro). A fare da sfondo alla crisi del governo Moro, la questione del “piano Solo” del generale De Lorenzo: questi fatti sanciscono la fine del miracolo economico e della stagione delle riforme (cioè la fine della più grande trasformazione dell’Italia e la fine del tentativo di controllarla e orientarla definendola in modo condiviso). 2. Fra due estati. Tra l’estate del 1963 e quella del ’64 si verificano insieme l’apogeo e il declino del boom economico italiano. Tra di esse il terribile incidente della diga del Vajont, colpa della Sade e delle autorità pubbliche: l’immagine che compare è quella di un’ITALIA DA RIMUOVERE, frenando così rosee previsioni del futuro. Sempre nel ’63 l’apertura dell’Autostrada del Sole, messa in risalto dalla televisione. In questi anni sembrano spostarsi verso nuovi orizzonti le inquietudini della modernità di un paese povero, che scopre l’integrazione e l’alienazione contemporaneamente a forme decenti dell’abitare e dell’alimentarsi. Grandi novità appaiono sugli schermi accanto ai grandi film del periodo (la censura è stata ridotta ma ancora attiva in certi casi, colpisce ad esempio “La ricotta” di Pasolini, ma non film come “Il Gattopardo” e “8 e ½”) come documentari in più puntate e l’inizio del settimanale Tv; nel mondo della musica, dove compaiono cantanti di un mondo di “marginali” (Jannacci e De Andrè) e grandi fenomeni proveniente dall’estero come i Beatles; in libreria compaiono titoli accattivanti che trattano argomenti inusuali come quello della femminilità e della sessualità (“Eros e civiltà” di Marcuse)… Si potrebbero fare mille esempi, ma la cosa importante da sottolineare è che segnalano l’avanzare impetuoso della modernità. Altri due grandi balzi in avanti sono l’avvio ufficiale della scuola media unica e obbligatoria e la possibilità data alle donne di accedere alla magistratura e agli altri impieghi pubblici. Questo va però in contrasto con la persistenza del lavoro minorile. Segnali contradditori all’interno di un mutamento di orizzonti, cosa che avviene anche nel panorama internazionale (escono infatti di scena Giovanni XXIII, Kennedy e Chruscev), in uno scenario scandito da un processo di distensione non lineare (viene istituito il “telefono rosso”, Giovanni XXIII emana l’enciclica “Pacem in terris”, ma si verifica anche la crisi di Cuba e si cominciano ad avvertire i primi dissidi nel blocco comunista con il contrasto tra Cina e URSS). Le stesse contraddizioni si possono percepire anche nel “mito americano”: segregazione razziale, guerra in Vietnam. 3. Una sommaria radiografia. La congiuntura in Italia inizia a manifestarsi già nell’estate del ’63, ma diventa allarmante nel ’64. Già alcuni tratti della trasformazione precedente celavano fortissimi dislivelli del paese, basata sull’utilizzo di manodopera a basso costo che lascia in stato di abbandono le campagne povere. La grande differenza rispetto al passato di questi anni è che l’aumento dei salari, per la prima volta, è più alto di quello della produttività, grazie alla ripresa dell’iniziativa sindacale. La geografia sociale si rimodella attorno ai luoghi dell’industrializzazione, alle vie di comunicazione e ai centri maggiori; si verifica inoltre l’emigrazione all’estero.

Lo sgretolarsi dei precedenti aspetti sconvolge relazioni, condizioni di vita e culture. In Italia più che in altri paesi SI VERIFICA CONTEMPORANEAMENTE UNA REALIZZAZIONE DI CONSUMI NUOVI ED ELEMENTARI ESIGENZE ANTICHE (esempio: si comincia a mangiare finalmente carne e ad avere l’acqua in casa e contemporaneamente si diffondono i televisori). La lista delle novità di questo periodo è lunga: telefono, aria condizionata, motociclette e automobili… I primi anni Sessanta sono dunque gli anni del “grande balzo”. Queste novità sembrano però amplificare più che annullare le differenze delle diverse parti del paese: si evidenziano diseguaglianza sociali e discriminazioni che proprio il miracolo rende più inaccettabili. Il mondo industriale, in più, risponde in modo drastico alla congiuntura, peggiorando la situazione: riduzioni d’orario e licenziamenti, usati anche come forma di pressione nei confronti dei lavoratori. Inoltre, il clima fa spiccare anche le grandi CONTRADDIZIONI di questo periodo che spiccano nelle trasformazioni in atto, come l’elevato tasso di analfabetismo, ma che non possono negare ciò che si sta verificando (vedendo ad esempio come cambiano gli indicatori della mortalità infantile e dell’altezza media). 4. Una grande trasformazione non governata. Quali sono le caratteristiche e il ruolo della rivoluzione dei consumi in Italia? Al suo interno agiscono strategie di promozione sociale e “modelli acquisitivi” individuali e familiari, ma questi versanti corposi contrastano con la carenza dello Stato nel dare risposte adeguate ai bisogni collettivi. Il modello acquisitivo individuale è quello che si verifica con maggior forza, a volte non privo di caratteri “patologici”, in quanto le opportunità del boom enfatizzano miglioramenti di status poco rispettosi delle regole, alimentando la rincorsa all’ascesa sociale di gruppi e ceti specifici in concorrenza tra loro. Guardando soprattutto al mondo giovanile ci accorgiamo del tratto fondamentale di sottofondo delle trasformazioni in atto: si afferma una messa funebre alla società precedente e al suo mondo di valori e norme, lasciando spazio all’ampio spettro di possibilità che offre la società dei consumi. Questo rifiuto del passato viene enfatizzato dai disvalori dei “modelli acquisitivi” del boom e dalle sollecitazioni culturali connesse alla circolazione di idee e ansie di rinnovamento di respiro internazionale. Prendiamo ad esempio la nuova classe operaia che si delinea con al centro i giovani: la società consumistica ha grandi potenzialità di integrazione dei ceti subalterni, ma il boom innesca anche una ripresa del protagonismo collettivo (i conflitti nelle fabbriche hanno ragioni ricorrenti: condizioni lavorative dure, orari pesanti, discriminazioni, assenza di diritti, paghe sproporzionate…). Si nota quindi una grande contraddizione: da un lato la produzione di ricchezza e di possibilità offerte dal boom, dall’altro le condizioni reali di ampi settori di lavoratori e i costi da essi pagati. Dietro la persistenza di queste lotte quindi si scorge una sorta di “ECONOMIA MORALE”: si rifiuta l’”etica del sacrificio” e con essa il rifiuto delle forme tradizionali di subalternità e di distinzioni gerarchiche, con l’accumularsi di speranze e valori collettivi antagonisti all’ordine esistente. In questi processi gioca un ruolo fondamentale la politica, con la sua capacità o meno di decidere, nelle illusioni o disgusti che alimenta, nei modelli che propone o che implicitamente legalizza, nell’esasperare particolarismi di ceto o nel dare esca a forme di protesta e ribellione. Oltre a sottolineare le carenze dell’intervento pubblico, bisogna cogliere le modalità e le logiche che muovono questi interventi e le conseguenze che ebbero nel modellare il paese. Ciò che sembra verificarsi è una sfasatura tra uno sviluppo economico forte e una più lenta modernizzazione civile, un vischioso modificarsi di istituzioni impastate di burocrazia, incultura e autoritarismo.

5. La sconfitta del riformismo. Come viene governata quindi la trasformazione? E come si interviene nel suo ripiegare? Il primo punto di partenza è la “Nota aggiuntiva” che La Malfa fece seguire nel 1962 alla “Relazione generale sulla situazione economica del paese”: mette al centro il contrasto tra l’impetuoso sviluppo e il permanere di situazioni di arretratezza. Egli indica come linea ispiratrice del centro-sinistra la capacità dello stato di intervenire per correggere distorsioni dello sviluppo, ovvero con la programmazione economica. Indica anche gli strumenti per attuarla, cosa che traspare anche dall’intervento di Lombardi nel maggio del 1964, nel quale però emerge anche la difficoltà con cui il governo si sta muovendo: sta trovando nuova forza la DC, saldamente insediata ai vertici delle istituzioni, che rema contro la politica riformatrice a causa della paura di una completa “sovietizzazione” dell’economia (nazionalizzazione energia elettrica, riforma 1

urbanistica, politica sindacale tesa a rovesciare il sistema, cosa che causa un aumento dei salari rispetto alla produttività dopo gli scioperi del 1959-62). Davanti al fallimento del riformismo si verifica un “odio al politico”, la formula di governo del centrosinistra viene accusata di aver lavorato male e aver così causato la crisi: toni accesi si leggono nelle relazioni dei prefetti della Repubblica nei mesi decisivi del ’64 e in quelle dei carabinieri , vediamo uno sbandamento ideologico all’interno delle compagini partitiche e l’insorgere di iniziative estremiste (ciò che poi sfocerà nel fallimento del “piano Solo” del generale De Lorenzo). A crisi passata, che provoca la fine del centro-sinistra, possiamo valutare questo PERIODO DI POCHEZZA RIFORMATRICE COME IN CONTRASTO CON LE RIFLESSIONI DI NOTEVOLE RESPIRO CHE NE AVEVANO ACCOMPAGNATO LA NASCITA, ma anche con le aspirazioni che si erano diffuse. Quali sono le RIFORME realizzate, anche in modo parziale, e quelle non realizzate? • Scuola media obbligatoria (ma non vengono riformati gli altri gradi dell’istruzione e rimangono contenuti arcaici e pratiche autoritarie); • Nazionalizzazione dell’energia elettrica (che alimenta paure di comunismo e fantasmi di espropri a catena, i cui indennizzi non vengono pagati agli azionisti ma direttamente alle ex società elettriche che così hanno a disposizione in contanti grosse risorse su cui non si può avere controllo e che portano ad una nuova stagione per l’imprenditoria privata); • “Cedolare d’acconto” sui titoli azionari in materia fiscale: viene resa effettiva la nominatività dei titoli per evitare le evasioni fiscali (ma provoca forti attacchi da parte di ceti che vedono in ogni vincolo all’arricchimento un attentato alla libertà individuale, costringendo il governo a creare l’alternativa della “cedolare secca” che permette a chi ha redditi elevati di mantenere l’anonimato). Tutto questo crea le condizioni per un’evasione fiscale più profonda e l’inasprimento radicale del conflitto sociale; • Riforma urbanistica di Sullo: approvata la legge 167, ma la riforma viene accantonata per l’ondata di panico suscitata dallo spettro di una seconda nazionalizzazione dopo quella energetica; • “Piano quinquennale di programmazione economica” di Giolitti (che però ha definitivamente fine con gli accordi di Villa Madama del luglio ’64 che pongono le basi per il secondo governo Moro). Il fallimento di un progetto impegnativo di un governo del paese alimenta tendenze opposte ed estreme: da un lato un adeguamento all’esistente portato a privilegiare la ricerca dell’utile e del vantaggio individuale; dall’altro il sedimentarsi di sentimenti di insoddisfazione sociale e di focolai di dissenso. Non furono solo le singole riforme a sfumare, ma FU PROPRIO IL MODELLO RIFORMISTA IN QUANTO TALE A PERDERE FASCINO E CAPACITÀ DI MOBILITAZIONE, apparendo irrealistico e incapace di trasformare le modalità precedenti della politica. LA PRODUZIONE E GLI UOMINI 1. L’importanza di “anni inutili”. Gli anni successivi al ’64, cioè alla fine del riformismo, sono passati alla storia come anni di immobilismo sterile e tempo perduto, soprattutto dal punto di vista della rinuncia di adozione di comuni valori di cittadinanza, con l’abbandono dell’interesse generale a favore della rivendicazione particolare. Gli che vanno DAL ’64 al ’68 SONO CENTRALI, per le scelte fatte o meno negli anni peggiori della crisi e per i processi e le dinamiche che maturano. Intanto vi è l’azione degli industriali per riprendere controllo sulla classe operaia che era sfuggita di mano con le agitazioni sindacali degli anni dal ’59 al ’63: rivogliono il modello di impresa degli anni Cinquanta con manodopera a basso costo. Sempre in questi anni si verifica un immiserimento della politica di governo con conseguenze importanti. Infine, vi è il permanere di istituzioni arcaiche che si irrigidiscono sempre più di fronte all’impossibilità di rispondere alle domande della società, che invece è radicalmente cambiata e in fermento. Sono per lo più PROCESSI SOTTERRANEI, anche se alcuni iniziano fin da subito a individuarli e criticare un sistema che non faceva i conti con il mutamento dei tempi e della società e che si voleva basare ancora su un sistema economico paternalistico degli anni ’50, sottomesso al padronato e in cui gli operai non avevano diritti. 2. L’Italia della congiuntura Sono anni in cui il padronato torna alla vecchia maniera padrone dell’impresa e in segno di questo inizia a licenziare i suoi dipendenti e ridurre l’orario. Ad esempio, l’occupazione nell’industria

manifatturiera aveva raggiunto alla fine del ’63 la sua punta massima, con 6 milioni di addetti; da allora scende fino al ’66 perdendo 300000 unità. Anche i settori tessile ed edile sono pesantemente colpiti. Eppure, già nel terzo trimestre del ’64 la produzione industriale ritorna a ritmi sostenuti e cresce negli anni; dal ’66 segni di ripresa ormai consolidati e anche il reddito torna a crescere: malgrado ciò in quegli anni vi è un rigido blocco dei salari perseguito dalla Confindustria e un forte calo degli investimenti (CONTRADDIZIONE STRIDENTE). Si verifica l’idea, appunto, della ripresa economica attraverso manodopera a basso prezzo (es. titolo di un libro “Il boom per loro, la congiuntura per gli altri”). L’uso padronale della crisi riportava la situazione alle pesanti ingiustizie degli anni Cinquanta, vanificando gli sforzi dei sindacati che nel ’63 erano riusciti ad allineare salari con produzione; dal ’63 al ’68 la percentuale del reddito spettante al lavoro salariato scende dal 63% al 57% come livello del ’61. All’aumento della produzione si aggiunge una ripresa delle esportazioni, eppure – a differenza degli altri paesi – gli investimenti industriali riprendono solo con molta lentezza mentre cresce enormemente la fuga di capitali all’estero e continuano i flussi migratori (quadro complessivo assurdo: l’Italia è un paese che esporta sia capitali che lavoro invece di investirli entrambi sul territorio nazionale). Secondo versante della contraddizione: alla base del rilancio produttivo vi è una ristrutturazione aziendale basata largamente sull’utilizzo intensivo della forza lavoro, aumento dei ritmi, parcellizzazione ulteriore delle operazioni. I passaggi alle categorie superiori avvengono spesso con procedure arbitrarie che privilegiano fedeltà e obbedienza dei lavoratori, mentre crescono forme di lavoro ripetitive e assillanti. La durezza della vita in fabbrica porta all’isteria, alla disperazione per i ritmi e la nullità del proprio lavoro, malattie e svenimenti e pianti; aumentano enormemente le malattie nevrotiche (“In fabrica se s’sciopa”). Si tratta di una stridente contraddizione: una società che da un lato allarga la sua cultura e moltiplica le scuole, dall’altro crea lavori sempre più “infantili ed ebeti”. Il padronato che imponeva queste misure non dava però prova di spirito di sacrificio e moralità (alta esportazione di capitali ed evasione fiscale all’ordine del giorno, giustificata dai più come difesa dal comunismo e dall’estremismo sindacale). Si verifica un disimpegno da parte di alcuni imprenditori (ad esempio il caso clamoroso del Cotonificio Valle Susa dove nella fabbrica sempre più in crisi gli operai non vengono pagati da mesi. Il proprietario Felice Riva è in vacanza e si occupa della compravendita dei giocatori del Milan, declinando continuamente gli incontri con i suoi 7000 operai moribondi; il caso è talmente vistoso e ingiusto che il vescovo del Piemonte lo condanna e chiede immediati provvedimenti, facendo arrivare la notizia anche a Milano dove avvengono manifestazioni di solidarietà e volantini nella galleria della Scala a favore degli operai). 3. Fuochi sotto le ceneri Fra anni Cinquanta e Sessanta a portare il segno del cambiamento sono soprattutto i conflitti che hanno come protagonisti i metalmeccanici, categoria molto cresciuta negli anni del boom. Già nel ’60 si avvertono segnali nuovi, quando “il ‘miracolo’ scende in piazza”: non sono disposti a essere trattati e lavorare come i loro genitori (vogliono le ferie, vogliono il cinema, una casa con frigorifero, la macchina), rifiutano sottomissione e sacrificio. In primo luogo, non vogliono dover temere il licenziamento e l’elemosina dell’assunzione: in un periodo di ricchezza crescente queste esigenze di giustizia erano un cambiamento morale. La PROTESTA MORALE assume un carattere sempre più radicale e ampio per il contratto dei metalmeccanici nel ’62 ’63, contro una resistenza padronale ostinata e gretta e ormai condannata anche da alcuni settori del mondo cattolico che l’avevano appoggiata fino a qualche anno prima. Caso molto noto è RIPRESA DELLA LOTTA OPERAIA ALLA FIAT con gli scontri di Piazza Statuto del 7/9 luglio 1962 contro le umiliazioni e i licenziamenti: il caso della FIAT “fa crollare il mito del neocapitalismo italiano”. In queste proteste violente emerge un soggetto nuovo, cioè i giovani operai meridionali di recente immigrazione, traumatizzati dall’impatto con il mondo della fabbrica che non era pronto ad accoglierli: il nuovo soggetto spiazza sia gli industriali che il governo e persino il PCI. Torino non è un caso isolato, anche in altre città accadono episodi simili, talora di analogo rilievo e con protagonisti sociali diversificati (a Pisa in una delle roccaforti dell’autoritarismo padronale, la Piaggio di Pontedera). Forme aspre e nuove di lotta si verificano ovunque, sia in fabbriche che hanno già una tradizione sindacale sia in quelle appena sorte in aree contadine e bianche: uso di fischietti e lanci di sassi alla direzione, blocchi stradali, cortei, danneggiamenti delle macchine degli operai che non scioperano. A Milano più che altrove si crea unità sindacale nell’organizzazione e per la prima volta compare, fino a quel momento impensabile, lo slogan “Uniti si vince”. 1

La lotta operaia acquista nuova visibilità e si diffondono forme più efficaci di agitazione, venendo condannate seccamente dalla Confindustria che nel ’63 con una lettera minaccia provvedimenti drastici contro le rivolte sindacali e diffida le aziende che trattano coi sindacati compromettendo il basilare diritto degli industriali di dirigere la propria azienda. Da più voci si leva la denuncia, aperta o limitata, dello stato ingiusto in cui vivono gli operai e dell’eccessiva intransigenza e forza padronale dei proprietari. Le scelte padronali, volte a un rifiuto della strada di una contrattazione reale e invece basate sui rapporti di forza, porteranno a rivendicazioni e rivincite nella gestione dei salari, quando i rapporti muteranno, e nel campo dei diritti personali, portando all’avvento dell’AUTUNNO CALDO del 1969 (con un’evoluzione degli scioperi nella nuova organizzazione del sindacato). Dopo la firma del contratto dei metalmeccanici anche la polizia e la prefettura s...


Similar Free PDFs