Il Principe PDF

Title Il Principe
Author GAIA TOSI
Course Letteratura italiana
Institution Università per Stranieri di Siena
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Summary

Riassunto capitoli del principe di Machiavelli...


Description

Il Principe Il primo capitolo del Principe da il passo per la parte più scientifica e razionale dell’opera. Vengono citati Francesco Sforza condottiero di Milano e il re di spagna il possessore del regno di Napoli. Machiavelli pone un discorso dilemmatico, che presenta delle alternative di fronte alle quali pone sempre una scelta. Inizia in maniera perentoria: i principati sono ereditari o sono nuovi, perciò conquistati da un principe, oppure misti, annessi a un principato precedente (Regno di Napoli). Possono essere conquistati e ottenuti. con armi proprie (esercito del proprio stato) o armi d’altri (esercito di altri principi o di mercenari), grazia alla virtù(capacità) o alla fortuna (circostanze casuali positive). M. nel terzo capitolo afferma che nei principati nuovo vi si possono presentare delle difficoltà. 1498-1512 sono gli anni d’oro di Machiavelli, poiché gradualmente da segretario della repubblica di Firenze diviene uno dei protagonisti della scena europea del ‘500. 1499,1508 e 1511: sono tre momenti che scandiscono uno degli eventi più importanti per M e per la storia d’Italia. 1499: Milano viene presa da Luigi XII contro Ludovico Il Moro, che viene cacciato dalla città per poi rientrare e perderla definitivamente. Luigi intanto inizia la propria campagna di conquista dell’Italia centro settentrionale e settentrionale (fino a quel momento “libera”). 1508-1509: guerra che vede impegnata da una parte la repubblica di Venezia contro Luigi XII, la repubblica di Firenze, Giulio II il Papa, il re di Napoli e Massimiliano D’Asburgo, che compongono la Lega di Cambrai, che sconfiggerà i veneziani. Questa vittoria scandisce il trionfo della politica francese in Italia; i francesi temevano la repubblica di Venezia perché aveva la politica più potente tra gli stati italiani. Questa vittoria segna anche la disfatta della storia della Francia e di Firenze, poiché togliendo potere ai veneziani per darlo al Papa, al re di Napoli e agli Asburgo i francesi segnano la fine della loro campagna di conquista in Italia. 1511: la Lega Santa di cui fanno parte anche i veneziani con a capo il Papa sconfigge Luigi XII, la repubblica di Firenze cade e Machiavelli viene esiliato nel 1513 all’Albergaccio. Qui si palesa concretamente il concetto astratto di fortuna. Il Principe inizia dunque presentandoci la lunga disfatta politica di Luigi XII in Italia, e quindi ci espone ciò che non bisogna fare per ottenere un principato. Cap.3 dedicato ai principati misti, intitolato “La storia di una disfatta” Per Machiavelli sono le difficoltà ad esaltare la forza del ragionamento e le capacità di affrontare le avversità che si pongono nel cammino di un principe. Protagonisti di questo capitolo sono Ludovico Il Moro che perde Milano a favore dei francesi, esempi dell’antica Roma e dell’antica Grecia. Due gravi colpe che M. imputa a Luigi XII sono: il non andare ad abitare nei luoghi, Luigi non ha mai vissuto o mandato amministratori a gestire una realtà estera, perciò straniera a lui ed estremamente complessa. Il secondo errore è connesso al primo: Luigi non ha capito quale fosse il sistema di alleanze da intraprendere una volta arrivato in Italia, quando si conquista un nuovo principato è necessario avere come amici tutti i paesi confinanti più deboli e non indebolire i più deboli. Luigi invece pur di spodestare la rep. di Venezia ha commesso un errore

grave, poiché ha concesso al Papa di muoversi in Romagna, quando invece doveva opporsi a lui e alla sua grande forza. L. non affronta direttamente la questione del Regno di Spagna che già occupava l’Italia meridionale e già era stato un alleato di L. contro Venezia. L’idea di M. lega la politica alla conoscenza: vi è la necessità per un uomo politico di essere un profondo conoscitore delle cose, soprattutto della cultura classica e della realtà concreta. Di fatto l’esperienza delle cose moderne avrebbe permesso a Luigi XII di comprendere quali fossero gli alleati su cui poter contare per il suo progetto di conquista, mentre la conoscenza della cultura classica gli avrebbe consentito di seguire l’insegnamento dello stato romano, quello dia ver creato degli stati mai sottomessi ma sempre satelliti all’Impero centrale, delle colonie ben organizzate e ben gestibili. Machiavelli crede nella figura di un condottiero come Lorenzo Il Magnifico, verso cui riserva le speranze di riunificatore di gran parte dei territori italiano ma allo stesso tempo esalta le gesta di un avversario come Cesare Borgia. Il terzo capitolo inaugura inoltre una scrittura più ampia e problematica, la sintassi diventa ampia e presenta anacoluti. Quali sono le difficoltà naturali riscontrabili nell’acquisto di un nuovo principato? 1.

Le variazioni: gli uomini cambiano signore credendo di migliorare, l’uomo è malvagio nella sua natura, l’errore del popolo è quello di cambiare volentieri signore e prendere le armi contro il signore precedente, ingannandosi, poiché l’esperienza di ciò gli insegnerà col tempo di aver errato e di aver peggiorato.

2.

Il nuovo principe per entrare e possedere il nuovo principato deve offendere con le ingiurie il suddetto stato, il principe non potrà non generare malcontento e non potrà sostenere i propri alleati che gli chiedono una elargizione in cambio della loro azione.

M. torna in seguito sugli errori commessi da Luigi XII e conclude con una piccola riflessione: è naturale desiderare di possedere terre, ma se gli uomini provano a farlo senza potenzialità, qui vi è l’errore e il biasimo.

Cesare Borgia e il capitolo VII Il capitolo 6, 7 e 8 costituiscono una sorta di trittico: qui M. si concentra su come si ottengono i principati. Nel settimo capitolo M. si sofferma su Cesare Borgia, il modello ideale del principe virtuoso. Nell’ottavo capitolo M. si sofferma sul condottiero di Fermo Oliverotto Eufreducci, trucidato da Borgia nel 1501: i due personaggi sono l’uno dipendente dall’altro, non solo per gli eventi storici. M. si servirà della figura di o. per trattare un tema affrontato nel capitolo 7: la cattiveria e la scelleratezza che possono servire a un principe per ottenere il proprio regno, che possono essere osservate come virtù utili ad un principe, ma pur sempre come vizi da non perseguire. L’incontro di Machiavelli con Cesare Borgia Nel 1499 Machiavelli inizia la sua carriera politica, Luigi ha conquistato Milano, M. viene mandato a Lione insieme a due ambasciatori fiorentini per trovare un accordo e per assicurare un’alleanza solida con il re francese. Dal 1501 viene chiamato ad occuparsi della politica interna a Firenze perché un giovane condottiero Cesare Borgia duca di Romagna inizia a muoversi contro i possedimenti della rep. di Firenze. Borgia si muove affiancato da alcune famiglie

facoltose di condottieri che dispongono di piccoli eserciti. Conquista alcuni possedimenti romagnoli fino a conquistare il porto di Piombino e Arezzo: il suo obbiettivo era accerchiare Firenze per conquistarla. Era appoggiato dal Papa. Successivamente vengono inviati due ambasciatori della rep. di Firenze a parlamentare con Cesare: uno di loro è Francesco Soderini, vescovo di Volterra e Machiavelli. Il primo incontro con Borgia si svolge nel 1502 e M. rimane colpito dalla sua capacità di intessere rapporti politici spregiudicate, egli rappresenta un principe capace di conquistare l’Italia centro settentrionale e di poter controllare una parte dello stato della chiesa grazie all’appoggio del Papa. In seguito Firenze, grazie all’aiuto degli alleati francesi riconquista Arezzo ma a causa degli sconvolgimenti prodotti da Borgia decide di cambiare la propria organizzazione statale: resta una repubblica ma viene eletto come gonfalone a vita Pier Soderini, fratello di Francesco e Machiavelli diventa il suo braccio destro. M. rimane al seguito di Borgia per osservare le sue azioni: l’obiettivo è di stabilire una pace con lui per scongiurare un attacco diretto alla rep. fiorentina. Questi mesi costituiscono un apprendistato per M.. Tra il settembre e l’ottobre del 1502 si tiene una dieta, un consiglio tra le famiglie più importanti alleate di Borgia per osteggiare e congiurare Cesare Brogia poiché aveva tra le mani troppo potere e la sua politica espansionistica minacciava gli interessi dei suoi alleati. Borgia viene a conoscenza di questa riunione e riunisce i suoi alleati a Senigallia, facendoli arrestare e condannare a morte. Machiavelli ne è testimone oculare e Cesare lo incontrerà successivamente raccontandogli ciò che ha fatto. M. produrrà uno scritto su come Borgia assassinò i suoi alleati/nemici. Nell’agosto del 1503 muore Papa Alessandro VI, Borgia si ammala e termina l’epopea dei Borgia. Viene eletto come Papa Giulio II, molto potente e Borgia viene arrestato, muore in Spagna dove era fuggito. Viene ricordato per la sua scelleratezza, per le sue capacità politiche e militari, per la sua visione politica e diventerà il personaggio storico più importante del principe, colui che secondo M. dovrà essere imitato in ogni aspetto. Cap 7. Cesare Borgia rappresenta una figura contraddittoria. M. afferma che i principi che hanno ottenuto con poca fatica il proprio governo sono soggetti alla volontà e alla fortuna di chi ha concesso loro il principato, due cose volubili ed instabili. questi principi non sanno e non possono mantenere il principato. ECCEZIONE ALLA REGOLA: a meno che non si tratti di un uomo di grande capacità mentale e spregiudicatezza. Non possono mantenere un principate senza forze (armi). Non possono averne il controllo perché non hanno i fondamenti che permettono di stabilizzare uno stato, le prime avversità lo travolgeranno. EAR: gli uomini virtuosi possono anticipare l’ottenimento di uno stato attraverso la fortuna e le armi degli altri, possono prepararsi agli sconvolgimenti della sorte. ANTITESI: ritorna la questione della virtù e della fortuna, parla di un principe positivo che ottiene il suo principato per virtù, Francesco Sforza, e di un principe negativo che lo ottiene per fortuna, Cesare Borgia (il Papa era suo padre). Cesare conferma la regola generale, per cui chi ottiene uno stato con la fortuna e le armi degli altri è destinato a perire, lui di fatto lo ottiene grazie al padre e lo perde per quella stessa ragione, qui M. si contraddice: sembrerebbe che Cesare Borgia rifletta le due eccezioni che M. ha sopracitato. Ma questa è una doppia contraddizione, dato che in seguito C. perde il suo stato a causa della malignità di fortuna, grande e continua, estrema. Ma se la malignità di fortuna è così forte, che senso ha scrivere un trattato sulle virtù di un principe se anche queste sono fallibili. Digressione di M. su Remirro de Orco: C. aveva messo al controllo della Romagna Remirro, condottiero molto severo, lo fa giustiziare per rispettare il volere popolare e per ottenere il

consenso del popolo, in modo spregiudicato e crudele. Secondo M. per far si che i fondamenti per ottenere e mantenere un principato si solidificano serve il male.

SUL MALE Cap.8 Questo capitolo permette di definire meglio la grandezza di Cesare borgia in modo negativo, attraverso l’esempio di Oliverotto Euffreducci, personaggio storico contemporaneo. Inoltre anticipa delle posizioni di M. che presenterà in seguito. Affronta l’esempio di Agatocle, figura dell’antichità e l’esempio di O. Euffreducci per riflettere su una questione che si apre con Cesare Borgia: la sua gestione della Romagna: la Romagna prima dell’arrivo di Cesare era mal amministrata e problematica a causa di una profonda depressione economica, occorrevano delle imposizioni forti e decise che avrebbero aggiustato e uniformato l’amministrazione dello stato, però avrebbero anche scontentato il popolo. C. pone come amministratore Ramiro di Lorca per poi farlo giustiziare per compensare il disagio popolare a causa della sua amministrazione severa. Cesare vince due volte: racconcia la Romagna con un’amministrazione severa e pone fine a questa amministrazione ascoltando il volere popolare, quindi accontenta il popolo. La questione etica si scontra con il problema delle virtù, ossia la capacità del principe di far fronte alla variazione del bene e alla malignità di fortuna. Molto spesso M. fa coincidere la virtù con la malignità e la cattiveria. Questo capitolo rappresenta un approfondimento della questione legata a Borgia attraverso un personaggio che ha a che fare moltissimo con lui, O. Euffreducci: egli ambisce a diventare amministratore/condottiero della città di Fermo e riunisce con l'inganno tutte le figure più importanti della città, facendoli trucidare (organizza dunque una congiura) per diventare per diventare signore di Fermo. Tempo dopo cadrà nell’ ingannevole congiura di Borgia a Senigallia. Quali sono i limiti della virtù? O. pone dei limiti etici alla questione della governabilità: O. come Cesare sono principi per scelleratezza. M. si pone un quesito: la scelleratezza proposta sia da Agatocle, che da Oliverotto che da Cesare Borgia è che li ha permesso di ottenere e di mantenere il principato? Tutto ciò genererà odio e disprezzo nel popolo? Altro grande tema è quello del parricidio: Oliverotto uccide suo zio, Giovanni Fogliani, che lo ha cresciuto come fosse suo padre. Per diventare signore di Fermo O. utilizza suo zio per radunare tutti i nobili della città e ucciderli, lui compreso. M. giustifica delle crudeltà che un uomo può compiere per ottenere il proprio bene o il bene altrui. Tornando alla questione di Borgia, egli ha perso il proprio principato perché si è basato solo sulla fortuna: B. è l’eccezione alla regola generale che viene al tempo stesso contraddetta dagli eventi poichè C. ha comunque perito con la morte di suo padre. Questa contraddizione va applicata a tutto il trattato perché pone la questione del rapporto tra virtù e fortuna, la questione tra regola ed eccezione e della possibilità umana di amministrare la propri vita a dispetto della fortuna e delle variazioni del bene (il libero arbitrio). La questione di C. è una sineddoche generalizzante, il suo caso si espande e rappresenta la contraddizione che pervade tutto il trattato. In questo capitolo si parla di Agatocle, condottiero di Siracusa del 360 a.C.che riunì le figure più importanti di Siracusa nello stadio per farle trucidare: C. e O. lo imiteranno. Il caso di A. permette a M. di fare considerazioni generali, di fare un punto: il problema è un problema capitale, la capacità militare di Agatocle grazie alla quale da condottiero diventerà re di

Siracusa, e il suo coraggio di sopravvivere grazie alla forza in infinite lotte. M. riconosce che le sue azioni permettono di acquistare il suo regno ma non si possono chiamare virtù, poiché non gli permettono di acquistare gloria. Allora che differenza c’è tra A. e C., se le azioni di Cesare vengono definite virtuose? Tutte le capacità di resilienza non gli permettono di avere la gloria, di essere ritenuto un capitano eccellente. Non è possibile parlare di fortuna e di virtù ragionando di Agatocle perchè lo conseguì (il principato) attraverso la scelleratezza, che nel suo caso non viene paragonata ad una virtù. La scelleratezza può diventare una virtù del principe se amministrata con sapienza e quando unita ad aspetti che permettono al principe di mutare a seconda delle circostanze. Quando un principe opera come Agatocle non si può parlare di un principe virtuoso, ma di un principe scellerato: è un’estremizzazione del modello di un principe. La gloria: va al di là della governabilità di un principe, agatocle attraverso la scelleratezza riuscire ad evitare di sottoporsi alla fortuna e a governare ,ma non permette a M. di parlare di virtù e di enumerare come uno dei grandi principi della storia. M. pone un limite a quella cattiveria che in Borgia sembrava infinita, ma se nel suo caso è volta a governare meglio e quindi considerata come una virtù, in Agatocle lo configurano come tiranno. (un principe non può essere un tiranno). E’ possibile usare la crudeltà per governare ma bisogna fare una distinzione tra le crudeltà bene usate per evitare l’odio e il disprezzo e quelle male usate o male amministrate. Nel 19 cap. abbiamo la percezione del popolo, dell’ottenimento del popolo, come il popolo considera il proprio principe. Lo stile letterario utilizzato da M.: la descrizione della congiura di Oliverotto è la compensazione della mancata descrizione della congiura di Senigallia di Borgia. L’utilizzo del gerundio e del participio, e quello ripetitivo delle congiunzioni ‘e’ Machiavelli lo riprende dal Decamerone di Boccaccio. Il trattato si perde al piacere del racconto.

FORTUNA E VIRTÙ’ (15-19, natura del principe) Quali sono le qualità di un principe? Fa una riflessione sulla propria originalità: il proprio realismo gli permette di essere uno scrittore moderno e nuovo. a partire dal capitolo 19 M. pone una differenza fondamentale che ci permette di capire cosa cambia in questa sezione rispetto a quella fino ad ora affrontata. Le qualità di un principe derivano dai modelli classici del passato. La virtù in questo caso segue un modello astratto: come il principe dovrebbe comportarsi. Il principe deve essere in grado di usare e non usare la cattiveria, la parsimonia e l’aggressività a seconda delle condizioni: l’obiettivo è ottenere un governo stabile. La crudeltà può essere usata se la situazione lo necessita, ma non sempre, poiché la crudeltà assoluta è scelleratezza ed essere scellerati non significa essere virtuosi. Il modo scellerato in cui Agatocle e Oliverotto agiscono rimane invariato, invece viene mutato da Cesare Borgia, definito come un grande condottiero dotato di di virtù da M., mentre Agatocle è un principe scellerato, anche se ha usato la crudeltà in modo positivo. Il principe deve conoscere la realtà in cui si trova, il suo principato. L’altro aspetto a cui il principe deve sottostare è la percezione popolare: c’è un popolo che subisce il principe, che deve essere assecondato e al tempo stesso spaventato, il principe deve saper imporre la sua figura al popolo anche per ottenere il suo consenso. *la virtù è essere capaci di usare e non usare le qualità a seconda delle condizioni. Cap. 15

Inizia un’altra sezione di questo trattato: come il principe deve comportarsi col popolo, come il principe è percepito dai sudditi e dagli alleati e come deve comportarsi con questi ultimi. Il realismo di Machiavelli è la strada verso la conservazione, e non la rovina (per colui che segue l’ideale, e non la realtà effettuale). L’essere umano è malvagio: un principe che in ogni aspetto vuole presentarsi come buono è necessario che rovini tra tanti uomini che non sono buoni. La virtù è poter essere non buono e adoperarla a seconda delle condizioni di necessità. Le qualità dell’essere umano immutabile rispetto a una storia che varia, che possono portare virtù e lode, o biasimo: la generosità, la crudeltà e la bontà, la fiducia, l’essere affidabile, l’onore della parola data e il principe deve saper rovesciarle per essere virtuoso. Spesso le qualità positive secondo l’etica possono risultare controproducenti per la sua immagine, poiché in base al realismo machiavelliano, un principe che fa da ogni parte professione di bontà conviene che ruini. Relativismo di M. basato sull’osservazione della realtà effettuale: virtù e vizi non sono più assoluti, il principe che seguirà sempre quelle che sono le virtù lodabili potrebbe perire e se seguisse in alcuni casi ciò che per l’etica è un vizio potrebbe ottenere benessere suo e del suo stato. M insegna al principe a tutti gli uomini che l’immagine del sé deve essere curata molto più di quello che è l’effettivo sé: è un insegnamento estremamente contemporaneo. M non da un giudizio, ma presenta una condizione reale: ciò che il principe deve sapere (che gli uomini sono malvagi) e ciò che deve fare (deve operare di conseguenza [questione delle virtù])....


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