Machiavelli, riassunto il Principe PDF

Title Machiavelli, riassunto il Principe
Course Letteratura italiana
Institution Università di Bologna
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Riassunto de il Principe di Machiavelli con interpretazione, commento e sintesi dei contenuti capitolo per capitolo. Utile per la preparazione della parte istituzionale dell'esame di letteratura italiana....


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Niccolò Machiavelli, “Il Principe” Dedica: Per prima troviamo un'epigrafe in latino che riporta il nome dell'autore, seguito da quello del dedicatario Lorenzo de' Medici. Segue una costatazione di carattere generico: suole spesso chi desidera ingraziarsi un principe blandirlo con carezzevoli parole o allettarlo con gli svaghi che preferisce, con ninnoli e doni ricercatissimi: cavalli, armi, vestiti e arazzi, pietre preziose degne della sua grandezza. Similmente Machiavelli ricerca la benevolenza del Signore di Firenze con ciò che più di prezioso possiede: la sua conoscenza e saggezza inestimabile sul mondo: i precetti più sopraffini in materia di governo di un territorio, maturati dalla partecipazione attiva sul campo e dall'erudizione storica. Tutto questo sapere viene ora compendiato, epitomato in un volume di formato contenuto, piacevole a leggersi e agevolmente consultabile: Il Principe. L'insistenza dei termini vertenti nell'area semantica della pochezza e della piccolezza nei passi seguenti rientrano nella prassi letteraria della finta modestia (o topos modestiae), artificio retorico attraverso il quale l'autore dà un'immagine di sé non eccessivamente compiaciuta e auto-celebrativa. Si noti tuttavia come Machiavelli eviti di svalutare la sua opera: la brevità, seppur caratteristica non attribuibile alle grandi opere del passato, è un pregio, perché non costituirà una grossa perdita di tempo per un principe come De Medici, sicuramente spesso impegnato. In più si tratta di una sintesi di tutta l’esperienza di Machiavelli. L'opera è scritta da un uomo che conosce gli uomini; come un “bestiario” che tratta, cataloga, viviseziona con la più sistematica precisione l'uomo ossessionato dal potere. Nel testo vi è una dichiarazione di poetica nella quale l'autore afferma di prediligere uno stile scarno ed essenziale, cercando la più pura bellezza nella verità del fatto descritto piuttosto che in orpelli e arzigogoli virtuosistici. Machiavelli esprime la sua modestia attraverso un paragone, per evitare di risultare presuntuoso nel suo tentativo di istruire un principe essendo di umile estrazione sociale: “alla stessa maniera di coloro che disegnano le cartografie devono acquattarsi a livello del mare per comprendere la morfologia dei promontori e degli altopiani e per intendere la conformazione delle pianure devono recarsi sulle cime dei monti, similmente, per conoscere adeguatamente la natura dei popoli bisogna essere principi e per conoscere quella dei principi bisogna essere uno del popolo.” La dedica si conclude con un augurio per Firenze: che pervenga, sotto la guida di Lorenzo, a quella grandezza che la sorte e le virtù lasciano intravedere a questa fa seguire un lamento sopra la sua condizione di esule, per far comprendere al principe che la sua stessa opera ha il fine di riammetterlo con un lavoro presso la sua corte. Riassumendo: la dedica è per Lorenzo de Medici, che resse il regno di Firenze dal 1513. Nella lettera a Francesco Vettori, Machiavelli parla di come avrebbe voluto inizialmente indirizzare l’opera al fratello di Giovanni, Giuliano. Cambia idea perché pensa che Giuliano non la capisca. Nella dedica afferma che molti per ingraziarsi i principi fanno dei doni di vario tipo e che lui tra questi ha scelto quello per lui più importante: la conoscenza guadagnata attraverso la sua

esperienza del presente e il suo studio del passato. L’opera sarà semplice e per questo apprezzata, vista l’utilità, la chiarezza e la profondità dei contenuti. Non vuole mostrarsi presuntuoso, ma “Geometra” da una prospettiva diversa da quella del principe per capirne l’operato. I capitolo: Il primo capitolo è breve e conciso, per rappresentare concretamente fin da subito la brevità di cui l’autore aveva parlato già nella dedica iniziale. L’autore inizia con due opposizioni: tra repubbliche e principati e tra principati ereditari o nuovi. Machiavelli si soffermerà solo sui principati nella sua opera, perciò prosegue esemplificando due ulteriori tipologie: quelli nuovi in tutto (Milano per gli Sforza) e quelli nuovi solo in parte, acquisizioni in più rispetto all’originario stato ereditario (Napoli per il re di Spagna). Gli abitanti o vivevano liberi o sotto ad un altro principe. Le parti nuove si acquisiscono con le armi proprie o altrui, con la fortuna o con la virtù. Quelli acquisiti per mezzo di fortuna sono i meno durevoli, mentre quelli acquisiti con virtù sono i più sicuri. La virtù serve, infatti, proprio a controllare la fortuna (Intesa come sorte/ caso). Machiavelli si basa sia su basi teoriche sia su osservazione diretta per teorizzare. Crede, in più, nella storia come ripetizione, utile per imparare dagli errori altrui. Si tratta della prima opera che non richiama direttamente il valore del trascendente: per Machiavelli la religione è solo uno strumento di potere, mentre il potere va attuato solo in ambito pratico e terreno. II capitolo Machiavelli qui spiega che tratterà solo dei principati, ha già parlato delle repubbliche nei Discorsi sulla X deca di Tito Livio. Si sofferma sui principati ereditari. Per l’autore è più facile trattenerli: basterà infatti seguire l’operato dei propri antenati, poiché il popolo è affezionato alla stirpe reggente. Nelle situazioni difficili si potrà temporeggiare, poiché anche gli attacchi esterni non costituiranno una vera minaccia. Per esempio parla del Duca di Ferrara che, nel 1484 non riusciva a tener testa ai Veneziani e a papa Giulio II nel 1510. Riuscì a mantenere il proprio regno grazie all’antichità della sua casata e all’appoggio di altre forze italiane. Un principe ereditario, infine, non avrà bisogno di esercitare violenze e sarà per questo più amato, a meno che non abbia dei vizi odiosi. III capitolo Tratta dei principati misti e di quelli nuovi, più difficili da mantenere. Se è di nuova acquisizione il principe si confronterà con una nuova popolazione e, per sottometterla, sarà necessaria la violenza. Con la violenza il principe otterrà l’odio sia di chi non lo voleva, sia di chi desiderava un nuovo principe, che ne rimarranno delusi. Un principe nuovo, deve comunque, offendere tutti. Per esemplificarlo parla di Luigi XII che perse Milano due volte: la prima per via di Ludovico il Moro, chiamato dal popolo ribellatosi contro il dominio francese. L’esperienza di Luigi XII insegna che è più difficile perdere un principato una volta che lo si avrà riconquistato, perché si sarà più cauti nei confronti degli oppositori. La seconda volta, infatti, per sconfiggerlo, servì la Lega Santa, alleanza tra Spagna, Venezia e papato.

Se il nuovo principato parla la stessa lingua del principe, è vicino al regno originario, condivide con esso gli usi e i costumi ed era già in precedenza governata da un principe, sarà facile da mantenere: bisogna uccidere la precedente dinastia e lasciare l’organizzazione e le leggi precedenti. Altrimenti è molto difficile: servono fortuna e industria. Il principe deve trasferirsi nelle terre conquistate (Es. Turchi in Grecia, Maometto II a Costantinopoli), risiedendovi si possono soffocare prima e meglio i disordini. Nel territorio conquistato vanno poi fondate colonie, Facendolo si colpiranno solo coloro a cui vengono confiscate le terre che, però, proprio per la loro povertà, non potranno reagire. Altrimenti si può intervenire con gli eserciti e le armi, ma costano di più. Il principe deve farsi alleati di piccolo calibro, senza accrescerne troppo il potere, così aiuteranno il principe ma non potranno spodestarlo. I Romani, per esempio, seguirono queste regole con la provincia di Acaia in Grecia. Inoltre riuscivano a prevenire i mali come i medici, anziché curarli con guerre o lasciarli incancrenire. Di nuovo si parla di Luigi XII come colui che ha sbagliato tutto: aiutò il papa Alessandro Borgia a conquistare la Romagna, inimicandosi chi era contrario al potere della Chiesa, e ampliando le forze di questa. Divise il regno di Napoli con gli spagnoli anziché introdurci un viceré etc. Il totale consiste in cinque errori: aveva spento i minori potenti, accresciuto il potere di una potente, legittimato la presenza spagnola in Italia, non era andato ad abitare a Milano e non aveva fondato colonie. La sua coalizione con la Chiesa e la Spagna fece si che queste due si alleassero contro di lui e lo sconfiggessero. Tutto ciò è frutto di un disegno espansionistico irrazionale. IV capitolo Il capitolo inizia con l’esempio degli stati nuovi in Asia controllati da Alessandro Magno, che, dopo la sua morte, non si ribellarono. I principati sono governati da un sovrano assoluto, come il sultano Turco, attorniato dai propri servi, oppure dal principe e da altri nobili, come il re di Francia. Il primo ha più autorità e il secondo deve rispettare una nobiltà più numerosa. Infatti, togliere il potere al primo sarà più difficile, ma poi sarà facile rimanere al comando, perché una volta uccisa la famiglia reale, non ci saranno più oppositori. Togliere il potere al secondo è più facile, ma i nobili potrebbero insidiare al potere del nuovo principe. Un altro esempio di sovrano assoluto è Dario dei persiani. Alessandro, dopo averlo vinto, divenne principe incontrastato, ma i suoi successori litigarono e fecero fallire la sua egemonia. Gli stati con molti piccoli potentati sono più difficili da controllare (Es. Gallia, Spagna, Grecia divise in tribù, difficili per i romani da conquistare). V capitolo Quando ci si occupa di uno stato che possedeva già delle leggi proprie, si può intervenire con la violenza, distruggendo la città, oppure andando ad abitare di persona il territorio per esercitare il potere direttamente, oppure istituire una oligarchia da controllare a distanza, mantenendo invariate le leggi precedenti. Il primo modo fu utilizzato dai romani a Cartagine, che venne distrutta durante la 3° Guerra Punica, ma anche a Numanzia e a Capua. Furono costretti a farlo anche con altre città greche che avevano tentato di

mantenere con le proprie leggi precedenti. Gli spartani utilizzarono la terza via per Atene e Tebe, in un primo momento ebbero successo ma poi le persero. Il metodo più efficace è quindi quello di distruggere la struttura precedente di una città per annetterla più facilmente e per evitare rivolte. Segue un confronto tra gli abitanti dei principati e quelli di una repubblica: i primi sono più facili da governare perché sono abituati a un potere assoluto, non sanno vivere liberi e non sanno organizzarsi. I secondi sono invece attenti alla vita politica, il loro desiderio di libertà è più grande e il loro odio per l’oppressione è forte. E’ in questo caso che bisogna andare ad abitarci o distruggerla. VI capitolo Il principe avrà meno difficoltà nel mantenere un principato se utilizzerà la virtù e se la fortuna sarà dalla sua parte, ma, anche in quel caso, non dovrebbe fare affidamento solo ad essa. Seguono esempi di personaggi illustri, modelli di virtù da imitare (Arciere punta più in altro l’arco per raggiungere un bersaglio lontano): Mosè, Teseo (fondatore di Atene per sinecismo), Ciro (fondatore dell’impero cristiano), Romolo. L’autore è indeciso per quanto riguarda Mosè: è stato Dio a dirgli come comportarsi, ma ha comunque meritato la grazia di poterlo ascoltare. La virtù serve per cogliere l’occasione data dalla fortuna: Mosè ha trovato il popolo ebreo oppresso dagli egizi, Teseo trovò gli ateniesi dispersi, Ciro trovò i Persiani non contenti dei Medi, Arrivano al potere con difficoltà, ma mantengono il potere con facilità. (Le difficoltà consistono nei sostenitori del vecchio ordinamento, precedente al principe). Per farlo si possono utilizzare due strade: con i propri mezzi o con i mezzi altrui, la seconda è meno sicura perché non ti rende preparato a delle possibili rivolte. Es. Girolamo Savonarola: era riuscito a trovare discepoli contro la Chiesa corrotta, ma quando i Medici tornano a Firenze viene bruciato, senza più sostenitori. Questo perché la natura del popolo varia, si fa persuadere ma non ti rimane fedele. Per farli credere di nuovo bisogna usare la forza, ma Savonarola non era armato. Un altro es. minore di virtù è Gerone di Siracusa: giunse al principato da cittadino privato, superando molte difficoltà e rimanendo al potere per molto tempo. VII capitolo Coloro che diventano principi solo per mezzo della fortuna, non sapranno mantenere il loro stato: sono sempre vissuti sulle spalle altrui e quindi non conoscono il comandare. Gli stati conquistati sono come alberi cresciuti troppo in fretta e, quindi, senza le radici, vulnerabile. Es. di virtù Francesco Sforza di Milano. Es. di principe salito per sorte e grazie all’aiuto altrui: Cesare Borgia. Conquistò grazie al padre, papa Alessandro VI, una volta morto lui, venne incarcerato e condannato a morte. E’ il padre infatti che gli fornì l’aiuto militare per la conquista della Romagna. In seguito, però, riuscì a crearsi le proprie alleanze e il proprio esercito, governò bene e sconfisse persino il re di Francia. Spense le stirpi che aveva sostituito, si guadagnò il titolo di nobiltà romana contro il nuovo papa, ridusse in suo potere il collegio dei cardinali. Fallì comunque perché salì subito dopo Alessandro, Giulio II della Rovere, nemico dei Borgia, mentre Cesare era ammalato. Si fidò del papa

nuovo, unico errore di Cesare, perché, infatti, questo lo imprigionò e lo uccise. Cesare è, quindi, comunque utilizzato come esempio positivo nonostante l’aiuto del padre: si è comportato in modo virtuoso, prudente. Fallisce per estrema malignità di fortuna. VIII capitolo Da privato cittadino, ci sono due modi per raggiungere il potere senza la virtù e la fortuna: o l’infamia o grazie al favore dei propri concittadini. Nel primo caso abbiamo l’es. di Agatocle, tiranno di Siracusa: causò un eccidio dei propri aristocratici e senatori, alleandosi con Annibale. Ha mantenuto il potere e l’impero, ma non la gloria. Un altro es. è quello di Oliverotto Euffreducci da Fermo. Per conquistarla organizzò un banchetto ingannando gli invitati e uccidendoli. Cesare Borgia, però, successivamente, lo sconfisse. Esistono quindi due tipi di crudeltà: quella ben usata si fa una volta sola per necessità e diventa poi utilità per i sudditi, quella mal usata si prolunga nel tempo. Le violenze devono essere compiute nello stesso momento, così i sudditi se ne dimenticano, mentre i benefici vanno fatti assaporare poco per volta. IX capitolo E’ un capitolo dedicato al principato civile, inteso come opposto alla tirannide e, quindi, rispettoso della legalità e delle istituzioni repubblicane, piuttosto che signorile e facente uso della forza. Il principato civile ha il favore dei concittadini, ottenuto con l’astuzia fortunata, una combinazione tra il favore del popolo e il favore dei grandi, Il popolo non desidera essere comandato o oppresso, i grandi vogliono comandare e opprimere, viene perciò eletto un principe tra i nobili e uno tra il volgo per difendersi e da queste due tendenze si possono originare: un principato, la libertà o la licenzia (anarchia). Il principe eletto tra i grandi troverà difficoltà perché ha a che fare con dei suoi pari, che non può comandare o maneggiare a suo piacimento. Quello eletto tra il popolo non verrà considerato uguale agli altri e avrà molti desiderosi di obbedirgli. Bisogna offendere gli altri per far piacere ai nobili, ma non è così per il popolo: il popolare è più onesto (Non vuole essere oppresso, sono i nobili che vogliono opprimere). Il popolo deve, in più, essere sempre amico del principe, perché è molto numeroso. I grandi possono essergli anche nemici, perché sono pochi. Questi, però, se gli si rivoltano contro, sanno essere più furbi e accorti. I grandi devono essere perciò cambiati a piacimento del principe, che, invece, deve ovviamente avere a che fare sempre con lo stesso popolo. I grandi possono comportarsi in due modi: o si obbligano completamente alla volontà del principe, e quindi sono da lodare e onorare, oppure no. Questi ultimi o lo fanno per pusillanimità e per difetto naturale, e vanno quindi onorati nelle condizioni favorevoli e non temerli nelle avversità, o lo fanno per ambizione, pensando più a se stessi che al loro principe. Questi sono quelli da temere nelle avversità, perché cercheranno di spodestarlo. Il principe divenuto tale grazie al popolo deve mantenerselo amico,, facile perché questo chiede soltanto di non essere oppresso. Quello che lo è divenuto grazie ai grandi deve renderlo amico, facile se utilizza le precauzioni necessarie: se il popolo riceve del bene da un

presunto malfattore, si obbligherà a lui, come se lo avesse posto sul trono. Un esempio è Nabide, re di Sparta, che, per combattere tutta la Grecia e i romani, dovette solo imprigionare 80 nobili e gli Ilioti e avere il popolo a suo favore. E’’ più importante avere il proprio popolo amico piuttosto che avere soluzioni alle avversità. Il proverbio “Chi fonda sul popolo fonda sul fango” è vero soltanto se si pensa che il popolo possa liberare dai nemici (Es. Caio e Tiberio Gracco). Questi tipi di principati, si dissolvono solo se il principe tenta di passare a un regime assoluto: i suoi magistrati si opporranno, e il popolo smetterà di obbedirgli perché abituato ad obbedire ai magistrati. X capitolo Il principe può essere indipendente dalle milizie altrui oppure quello che ha sempre bisogno dell’aiuto degli altri. I primi possono sostenere le battaglie con le proprie forze, i secondi devono rifugiarsi all’interno delle mura e difendersi. Es. Le città germaniche non vengono attaccate. Sono temuti per le loro mura, la loro forza armata, il lavoro che offrono a tutti i cittadini, le dispense di viveri gratuiti che offrono al proprio popolo. La città è ben organizzata e il principe è benvoluto dal popolo, e degno di rispetto. Se il popolo ha i propri possedimenti fuori dalle mura li vedrà distrutti dal nemico, sarà allora compito del principe dare loro la speranza e alimentare il timore contro la crudeltà del nemico. I cittadini si sentiranno così più vicini a lui, la loro natura è quella di ricambiare i favori concessi. XI capitolo L’unica difficoltà per quanto riguarda i principati ecclesiastici, sta nell’ottenerli. Si conquistano e si mantengono con virtù e fortuna, ma avendo fondamento nell’istituzione religiosa, il principe non potrà più perderli, perché è molto potente. Sono quindi principati sicuri e felici. Es. prima della discesa di Carlo re di Francia, c’erano i Veneziani, il regno di Napoli, lo stato della Chiesa, Milano e Firenze. Nessuno doveva estendere il proprio dominio e nessun straniero doveva entrare in Italia. I più importanti erano i Veneziani e lo stato della chiesa, i quali poteri venivano frenate dagli altri o dalle lotte interne (Es. Orsini vs Colonna). Le brevi vite dei papi non gli permetteva di espandere i propri domini, solo con Alessandro VI i Colonna e gli Orsini vennero spenti, grazie all’intervento di Cesare Borgia. Papa Giulio II proseguì nell’espansione conquistando Bologna e sconfisse i Veneziani e i francesi. Papa Leone X fu molto potente, santo e rese il papato grande in santità, non più in ricchezza. XII capitolo I due fondamenti di ogni stato sono le leggi e un buon esercito. Senza quest’ultimo non ci sono le prime, quindi Machiavelli si concentra sulle milizie. L’esercito può essere proprio, mercenario, ausiliario o misto. Il secondo e il terzo sono inutili e dannosi e causarono la divisione in Italia in molti principati. Non sono animati per il principe o lo stato, ma solo per interessi personali. Questo causa rischio e instabilità. Se questi mercenari non sono soldati eccellenti, non ci si può fidare, ma nemmeno se lo sono, perché aspireranno alla propria grandezza. Ogni capitano in realtà, anche non mercenario, potrebbe comportarsi nello stesso modo. Perciò, per ottenere la

vittoria, dovrebbe essere il principe in persona a guidare l’esercito. Es. di eserciti nazionali: spartani, romani e svizzeri. Es. di eserciti mercenari: cartaginesi, Tebe, Milanesi degli Sforza. Venezia e Firenze sono eccezioni: pur con dei mercenari hanno vinto. L’origine dell’utilizzo di mercenari è dovuto al fatto che la maggior parte dei territori sia assoggettata alla chiesa, che non è abituata a guidare una milizia, Il primo fu Alberigo, conte di Cumio, che fondò la prima compagnia di ventura italiana. L’Italia è stata perciò vituperata da Carlo VIII, Luigi XII, Ferdinando il Ca...


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