Il Romanticismo di Rudiger Safranski PDF

Title Il Romanticismo di Rudiger Safranski
Course Letteratura tedesca
Institution Università degli Studi di Catania
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Il Romanticismo all'interno del contesto tedesco...


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Il Romanticismo di Rudiger Safranski INTRODUZIONE

Sono tanti i giovani che finirono col continuare quel che era stato iniziato una generazione prima dallo Sturm und Drang (Tempesta e impeto). Johann Gottfried Herder, il Rousseau tedesco, aveva dato lo spunto. Per questo si può far cominciare la storia del Romanticismo proprio nel momento in cui egli, nel 1769, salì su una nave e partì alla volta della Francia, stufo delle opprimenti condizioni di vita di Riga, dove si era trovato coinvolto in faide letterarie e in pieno disaccordo con gli ortodossi. Passando per Berlino, Jena, Dresda, il periodo del Romanticismo terminò con Eichendorff e Hoffmann, l’uno buon cattolico e consigliere governativo, l’altro liberale consigliere di corte d’appello. Il Romanticismo non fu però solo un fenomeno tedesco, ma è in Germania che ha trovato una sua particolare espressione. Il periodo precedente la cosiddetta rivoluzione del marzo 1848 insinuò il Romanticismo nella politica, nei sogni nazionali e sociali. Seguì poi il movimento giovanile del 1900 sfrenatamente romantica; finché scoppiò la guerra nel 1914 e Thomas Mann assieme agli altri cedettero di difendere la cultura tedesca dalla civiltà occidentale. Il disincanto del dopoguerra, la generazione scettica e infine l’ultimo grande risveglio del Romanticismo: il movimento studentesco del ’68. La miglior definizione del romanticismo è sempre quella di Novalis (nel retro del libro), e da questa formulazione ci si accorge che il Romanticismo ha un rapporto con la religione, perché anch’esso fa parte di quei movimenti di ricerca che da due secoli si contrappone al fenomeno della secolarizzazione. In aggiunta, è anche una sorta di continuazione della religione con mezzi estetici. Insomma, lo spirito romantico è sperimentatore e seduttore, ama la lontananza del futuro e del passato, le sorprese nella vita d’ogni giorno, gli estremi, l’inconscio, la follia. Il vecchio Goethe diceva che romantico è il morboso. Eppure neppure lui seppe rinunciarvi. Cap. 1 - Herder

Era il 17 maggio 1769 quando Herder si congedò dalla sua comunità e salì a bordo di una nave che trasportava segala e lino a Nantes. Prendere il largo significò per lui cambiare l’elemento per cui viveva, lasciare il certo per l’incerto. Prima ancora di conoscere altra gente, egli fa nuova conoscenza con se stesso, con il suo Sé creativo. Tutte le idee che gli passarono per la mente durante quel viaggio sul mare mosso, ebbe occasione di annotarle su un diario, importante documento filosofico-letterario della seconda metà del 1700, pubblicato postumo, nel 1846, col titolo Giornale di viaggio 1769. poco dopo quel viaggio, Herder incontrò Johann Wolfgang Goethe a Strasburgo, nel 1771. Questo incontrò verrà ricordato persino da quest’ultimo, nel decimo libro di Poesia e verità, incontro casuale che avvenne sulle scale di una locanda di Strasburgo in cui Herder era andato ad alloggiare mentre si sottoponeva a un periodo di trattamento per curarsi un’infiammazione delle ghiandole lacrimali.

È verosimile che la storia della partenza di Herder da Riga abbia suggerito al giovane Goethe l’idea della scena nello studio dell’Urfaust: Herder era fuggito dal duomo di Riga proprio come Faust fugge ora dalle cupe mura del suo studio. Herder fu tanto immodesto da voler contrastare il concetto di ragione di Kant, presso il quale aveva studiato e al quale era legato da amicizia. Quando il filosofo di Konigsberg aveva cominciato a indicare alla ragione i suoi limiti, le loro strade si erano separate. La Critica della ragion pura era fatta, secondo Herder, di vuoto vaniloquio. Herder infatti parla di una ragione viva contrapponendola a quella astratta, una ragione concreta, in una vita creativa e oscura, vita che per lui assume un suono nuovo ed entusiasta. D’altronde, poco dopo l’incontro con lui, Goethe farà dire al suo Werther “Trovo vita ovunque, nient’altro che vita...”. La filosofia della vita di Herder stimolò quella venerazione del genio tipica dello Sturm und Drang. Era considerato genio colui nel quale la vita poteva fluire liberamente e dispiegare la sua energia creatrice. Cominciò proprio allora il culto attorno ai cosiddetti geni vigorosi. Il concetto che Herder ha della natura viva comprende l’aspetto creativo, al quale ci si abbandona euforicamente, ma anche quello inquietante, dal quale ci si sente minacciati. È una concezione nuova: ora è la natura stessa la potenza creatrice che era stata in precedenza collocata in un ambito esterno al mondo. L’evoluzione percorre diversi stadi, quello minerale, quello vegetale e quello animale. Tutte queste fasi sono fasi preparatorie dell’uomo. Egli può e deve assumere la responsabilità della potenza creatrice che opera nella natura. E può farlo grazie all’intelligenza e al linguaggio di cui dispone, e deve farlo perché la storia della cultura dell’umanità fa parte della storia della natura. Herder chiama tutto questo promozione dell’umanità, l’umanità non è contrapposta alla natura, ma è vista come l’autentica realizzazione della natura umana. Con questa concezione egli si contrappone a Rousseau, secondo il quale l’attuale civiltà è invece una forma di decadenza e di alienazione della vita umana. Herder ha da ridire anche sulla storia. Secondo lui il processo della storia non scorre linearmente, ma si compie in modo dinamico ed enfatico. Si era sempre parlato di un essere umano come singolo. Herder, invece, dopo la concezione della dinamicità della storia, scoprì l’individualismo e di conseguenza la pluralità. L’essere umano è un astrazione, esistono solo gli esseri umani. Egli si occupa anche di rievocare e raccogliere i canti popolari. Riga, attuale capitale della Lettonia, era un centro multietnico in cui vivevano lettoni, polacchi, russi, tedeschi, e in Voci dei popoli, egli rievoca le esperienze fatte con la cultura e la poesia indigena. Si parlerà dunque delle sue radici culturali, senza tuttavia essere arrogante e presuntuoso. Il patriottismo di Herder era democratico e puntava sulla molteplicità delle culture. La scoperta della dinamicità della storia, dell’orgoglio individualistico e dell’umiltà dinanzi alle antiche testimonianze della cultura popolare, rappresentò un’autentica cesura nell’evoluzione dello spirito dell’Occidente.

Cap. 2 – La rivoluzione francese: Goethe, Schiller

Fra il viaggio per mare di Herder e il primo Romanticismo si verifica una grande svolta nella storia: la Rivoluzione francese. Questa diede alla vita intellettuale tedesca impulsi come nessun altro evento. In Francia erano accadute cose di cui i contemporanei si convinsero subito, anche in Germania, che erano di portata universale e che avrebbero suscitato spavento e ammirazione anche nelle future generazioni. Con il giuramento della pallacorda nel 20 giugno 1789 i deputati del terzo stato si costituirono assemblea nazionale e avvenne il definitivo licenziamento del ministro delle Finanze liberale Necker, seguì il 14 luglio la presa della Bastiglia, la nascita della guardia nazionale, la capitolazione del re il 17 luglio, la rivolta dei contadini, la sollevazione da parte dei cittadini e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. E ancora la seconda sollevazione di Parigi il 5 ottobre, con le donne del mercato che costringono il re e l’assemblea nazionale a trasferirsi da Versailles a Parigi. Napoleone che si incoronò imperatore e l’impero napoleonico. Insomma in Germania non c’erano affatto le condizioni per una rivoluzione dal basso. L’unica eccezione è costituita dall’intermezzo della Repubblica di Magonza, del 1793, che riuscì a reggersi per mesi sotto la protezione francese, con la vivace attenzione dell’opinione pubblica. Ma la fine fu tragica e le truppe tedesche, al seguito delle quali c’era, assieme al suo duca, anche Goethe, riconquistarono la città. Nel giro di pochi anni, il vecchio ordinamento politico crollò, il sacro romano impero tedesco tramontò e si costituì in Germania il nuovo sistema di Stati: la Confederazione degli Stati renani adottò il codice civile della Francia napoleonica. La maggior parte degli scrittori tedeschi si rese subito conto della colossale importanza della rivoluzione. Un simile fenomeno è di quelli che non si dimenticano scrive Kant. Ora finalmente si aveva la prova che pensare e scrivere non significava solo interpretare il mondo ma anche cambiarlo. Avvenne così che la Rivoluzione francese desse slancio all’idealismo. L’idealismo, scrive Friederich Schlegel, è da un punto di vista pratico null’altro che lo spirito di quella rivoluzione. C’è dell’entusiasmo rivoluzionario anche nelle lettere di Novalis. Vi si parla di ardore di libertà, schiavitù, odio per i tiranni. La Rivoluzione ebbe un così forte effetto in Germania che si pensava già all’eliminazione di un ingiusto sistema di potere e del potere autoritario in generale. Insomma si pensava che il cambiamento delle istituzioni avrebbe portato all’uomo migliore, l’uomo libero. Tuttavia, molti di coloro che all’inizio l’avevano accolta con entusiasmo, le voltarono le spalle quando prevalsero il Terrore e nuove oppressioni in nome della libertà. Con la Rivoluzione emerge anche una nuova concezione della politica. Ovunque il ragionamento politico è predominante, e non sono pochi i letterati che sentono il bisogno di mettere l’arte del linguaggio al servizio dell’azione politica. Fu proprio questa atmosfera di eccitazione politica a insospettire Goethe. Per lui essa significò l’età delle masse, che lui odiava e temeva, ma di cui riconobbe l’inevitabilità. Ovviamente nel rifiutarla, non divenne un difensore dell’ancien régime. Vede solo in essa una spaventosa eruzione vulcanica di aspetti sociali, economici e politici. Non è un caso che poco dopo si occupi con insistenza del

fenomeno naturale del vulcanismo contrapposto al nettunismo, vale a dire alla teoria della graduale modificazione della superficie terrestre da parte degli oceani. Goethe era un sostenitore dell’evoluzione, non della rivoluzione. Nonostante tutti gli elogi a Goethe, i romantici non gli perdonarono mai il suo ritirarsi fuori dalla storia rivoluzionaria. Anche Schiller aveva accolto all’inizio con fervore la Rivoluzione, salvo poi allontanarsene. Per lui solo il gioco dell’arte può rendere l’uomo davvero libero. Schiller definisce la Rivoluzione un momento generoso che ha trovato una generazione insensibile. Insensibile perché non libera interiormente. Ma che cosa significa essere interiormente liberi? Non essere dipendenti dalle ingordigie. L’unica strada per la liberazione dell’uomo sono le belle arti, che educano e raffinano la sensibilità dell’uomo. Nell’arte si può imparare che le cose importanti della vita hanno il loro scopo in se stesse, che non sono sensate perché servono a qualcos’altro. L’amore vuole l’amore, l’amicizia l’amicizia e l’arte l’arte. Che dopo siano conseguiti altri scopi è ovvio, ma ciò non deve essere voluto, intenzionale. Un’amicizia calcolata non è amicizia, né è arte l’arte fatta perché sia socialmente utile. Solo quando l’arte vuole se stessa può accadere che serva alla società. L’arte è dunque anzitutto un gioco, e poi è fine a se stessa. Solo in terzo luogo serve alla società borghese per lo sviluppato sistema della divisione del lavoro. Più tardi Holderlin, Hegel, Marx, tutti si rifanno all’analisi di Schiller. Non c’è studio della società risalente a quel periodo che sia stato più gravido d’effetti di quello di Schiller. Il gioco dell’arte ha il compito, se non di superare, quanto meno di compensare i danni prodotti dal cancro della divisione del lavoro nella società. Esso incoraggia l’uomo a giocare con tutte le sue energie: con la ragione, i sentimenti, la forza d’immaginazione. Questo libero gioco consente al singolo che soffre della sua frammentazione di diventare qualcosa di integro, una totalità. Cap. 3 – La lettura, il mistero, la poesia universale progressiva, Schlegel e l’ironia

Schiller, all’inizio degli anni ’80, aveva chiamato la sua epoca il secolo imbrattacarte. È una situazione che, due decenni dopo, mentre sta per entrare in scena la generazione romantica, non è cambiata; anzi: si legge e si scrive anche più di prima. L’elevazione di rango della letteratura, la sua importanza per la vita sono ancora una volta accresciute. Il leggere molto diventa alla fine del 1700 un fenomeno epidemico negli ambienti borghesi e piccoli-borghesi. Pedagoghi e critici della cultura cominciano a lamentarsene. Quel che accade nel lettore è difficile da controllare: e se i lettori si abbandonassero a segreti eccessi? In Germania tra il 1750 e il 1800 raddoppia il numero delle persone in grado di leggere. Diminuisce nel frattempo l’autorità dei libri grandi e importanti, la Bibbia per esempio, che erano letti e studiati ripetutamente. Fra il 1790 e il 1800 furono pubblicati in Germania 2500 romanzi, esattamente quanti nei 90 anni precedenti. Nel frattempo la mancanza di importanti centri urbani della vita sociale favorisce l’isolamento e quindi il piacere della compagnia immaginaria fornita dal libro. Anche le biografie diventano interessanti. Si andava insomma alla ricerca della vita nella letteratura, ci si sforzava di vivere ciò che si era letto. Si indossava il frac a coda di rondine come quello di Werther, si cercavano esperienze suggerite dalle sceneggiature letterarie. Lettura e

scrittura promettono l’avventura dietro l’angolo, ovvero una piccola rivoluzione un mistero. Alla fine del 700 la bizzarria poté di nuovo spacciarsi per meraviglia. In Sassonia e in Turingia imperversava l’esorcista Gassner, mentre a Lipsia il famoso evocatore di morti. Gli stati d’animo della gente erano cambiati, ci si dilettava di nuovo dell’enigmatico, mentre la fiducia nella trasparenza e nella calcolabilità del mondo si era indebolita. Una delle ambizioni dei romantici sarà quella di rivolgere l’attenzione sull’inquietante attorno a noi. Il giovane Tieck quando va a scuola sceglie ogni giorno vie diverse per elevare la possibilità di incontri che conducono verso l’imprevedibile. Quest’atmosfera favorisce un genere letterario fra i cui inventori vi è Schiller con il suo Visionario. È il genere di romanzo cospirativo che racconta con brividi di piacere di misteriose società segrete. Negli anni ’80 e ’90 ne furono pubblicati oltre 200. Nel romanzo cospirativo ricorre uno schema stereotipo: un uomo ignaro finisce coinvolto in misteriosi grovigli; lo seguono per strada, s’imbatte in persone che sembrano saper tutto di lui. Spesso c’è anche una bella donna, e una congiura buona e una malvagia. Il punto di riferimento reale di queste storie è l’operato di organizzazioni più o meno sergete o clandestine come i gesuiti, i massoni, gli illuminati. I teorici delle congiure di allora sapevano tutto della Rivoluzione francese. Con particolare favore è stato accolto il romanzo Il genio di Karl Grosse. Il giovane Tieck lo legge d’un fiato agli amici e si emoziona al punto da temere per la sua ragione nel leggerlo. Ci mette una settimana a riprendersi, e poi inizia a scrivere il romanzo William Lovell, in cui non può mancare una società segreta. Al giovane Hoffmann le cose andarono similmente. Dopo la lettura di Il genio inizierà a scrivere il suo primo romanzo, che rimarrà inedito. Dopo la fine del secolo però non si apprezza più il mistero perché l’illuminismo vi può saggiare il suo potere esplicativo, ma perché si oppone alla spiegazione illuminata: l’inesplicabile non è ora più uno scandalo, ma un fascino. Nel frattempo Friederich Schlegel inventa l’espressione poesia universale progressiva. Il famoso frammento n.116 dell’Athenaum in cui quest’espressione compare per la prima volta contiene l’intero programma del primo Romanticismo La poesia romantica, vi si legge è una poesia universale progressiva. Deve ora mescolare, ora fondere poesia e prosa, genialità e critica, poesia artistica e poesia naturale. Friederich Schlegel, nato nel 1772, dopo una breve deviazione di rotta durante la quale ha seguito un apprendistato commerciale, sprofonda in uno studio autodidattico dell’antichità con la ferma intenzione di diventare il Winckelmann della poesia antica. Di fatto lo diventa. Ha 23 anni quando pubblica il saggio Dello studio della poesia greca con il quale suscita immediatamente il massimo apprezzamento. Occorre però metterci della genialità e capire che la vita non è altro che una grande recita. È proprio qui infatti che si sente l’eco – in tedesco la parola Spiel significa sia gioco che spettacolo, recita. Per Friederich Schlegel ne scaturirà così il gioco dell’ironia. Fu proprio lui l’inventore dell’ironia romantica, che è molto più della figura retorica. Fino ad allora l’ironia era ritenuta solo una figura retorica, al contrario dell’ironia socratica. La frase io so di non sapere è ovviamente una frase ironica, perché Socrate sa un sacco di cose, e soprattutto perché sa che gli altri sanno

meno di ciò che credono di sapere. L’ironia socratica era stata uno degli strumenti prediletti degli autori dell’Illuminismo. L’ironia dunque non era affatto sconosciuto. Fu Schlegel che la romanizzò. L’ironia consiste nel produrre frasi comprensibili che tendano all’incomprensibile. Egli scrisse un saggio proprio su questo tema, intitolato Dell’incomprensibilità in cui è detto: ma l’incomprensibilità è poi davvero qualcosa di riprovevole? Sarebbe angoscioso se il mondo intero, come voi pretendete, divenisse sul serio totalmente comprensibile. L’incomprensibile è dunque una forza viva che risulterebbe compromessa se la ragione volesse svelarla sino in fondo. Accanto alle due dimensioni del caos incomprensibile, ovvero se stessi e l’insieme degli esseri umani, esiste una terza dimensione: l’universo, Dio. Dio è in ogni caso l’incomprensibile assoluto. Schlegel introduce poi l’ironia nel cuore della filosofia, ed è qualcosa che Hegel non perdonerà ai romantici. La filosofia, scrive Schlegel, è il luogo per eccellenza dell’ironia , è una buffoneria trascendentale. L’ironia non si trova spesso nelle opere poetiche. Solo Tieck, Brentano, E.T.A. Hoffmann seppero usarla da virtuosi. Lucinde, il frammento di romanzo di Schlegel vorrebbe essere disinvolto ma risulta forzato; c’è più teoria dell’ironia che ironia messa in pratica. I veri campi d’applicazione dell’ironia di Schlegel rimasero l’intrattenimento sociale, la filosofia e la riflessione. Ai suoi amici egli sembrò a volte l’Orlando Furioso in campo intellettuale: per il modo in cui divorava tutto e lo sapeva poi rapidamente elaborare, per l’esuberanza nel parlare, per le idee. Schlegel inizia a sviluppare l’idea dell’opera d’arte aperta. Questa è qualcosa che non si attiene più alla divisione dei generi (epica, lirica, drammatica). L’artista deve poetare, sì, ma deve anche pensare e discutere di tutto. Insomma egli vuole vedere al potere lo spirito dell’ironia, e con esso il senso e il gusto dell’incomprensibile, dell’infinito e della riflessione. Poesia, filosofia, scienza e politica devono fondersi. Questa nuova filosofia era appena affiorata. È la filosofia di Fichte. Cap. 4 – Fichte, senso dell’io, la casa di Schlegel a Jena

Quando nel 1794 arrivò a Jena, Fichte era già un personaggio famoso. Robusto, sguardo acceso, il suo modo di tener lezione con un che di dittatoriale, non tollerando alcuna obiezione. Una personalità forte, che non era arroganza, ma che derivava dalla sua indomabile passione. Quando per la prima volta si presentò a Goethe al Frauenplan di Weimer, Goethe lo giudicò senz’altro un artista della filosofia perché puntava sull’energia creatrice dell’uomo. Fichte mise in lui il processo creativo della cosmogonia, e non solo dell’arte. Figlio di un tessitore di nastri, da ragazzo badava al bestiame mentre ripeteva a memoria la predica e il barone von Miltitz lo spiava. Questi, colpito, decise di prendersi cura dell’adolescente e spedirlo con una borsa di studio alla celebre scuola dei principi. Dopo la morte del barone, fu il padre di Novalis a occuparsi di quel giovane senza messi, finanziandone gli studi. Lo stesso Novalis conobbe di persona il filosofo a Jena, dove incontrò per la prima e ultima volta Holderlin, pure lui entusiasta di Fichte.

Dopo lo studio della teologia e della giurisprudenza, si era precariamente mantenuto facendo il precettore. Fiche aveva ripreso in mano la Critica della ragion pura, la...


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