Immagini dal Mandalari PDF

Title Immagini dal Mandalari
Author Paola Civello
Course Psicopatologia del linguaggio
Institution Università degli Studi di Messina
Pages 6
File Size 157.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 62
Total Views 132

Summary

Riassunto capitolo 2 e 3 immagini dal mandalari...


Description

CAP.2 FOTOGRAFARE LA FOLLIA 2.3 Storia naturale (e quindi fotografabile) dell’isteria Considerava l'analisi del sistema nervoso L'unico strumento in grado di rivelare la vera condizione psicologica dei soggetti che presentavano una sofferenza mentale: considerava gli esami neurologici come l'approccio migliore. questo approccio scientifico lo spingeva a considerare le malattie mentali come il portato comportamentale di alterazioni delle funzioni del cervello e dei nervi. solo in questo modo, era possibile eliminare ogni dubbio sulla simulazione della patologia. Per un neurologo gli indizi che non potessero essere simulati erano le modificazioni nello stato della muscolatura, i movimenti riflessi e le caratteristiche delle varie reazioni sensoriali. Questo lavoro di annotazione puntigliosa della variazione durante gli stati ipnotici consentì di accumulare una mole di dati sugli stati nervosi provocati dalla pratica dell’ipnosi. Charcot fu uno dei primi ad ammettere l’ipnotismo come pratica terapeutica e di ricerca. Le reazioni determinate dalla pratica ipnotica, sarebbero state provocate dalla patologia stessa e dunque sarebbero dovute risultare riscontrabili con gli strumenti scientifici della variazione nervosa, in una malattia mentale specifica: l’isteria. Questa malattia secondo lui, non può colpire qualsiasi soggetto; è una malattia costituzionale, che ha le sue radici nella varie affezioni del sistema nervoso dei progenitori. Non era possibile rintracciare una lesione organica comune a tutte le forme di isteria, ma non vi erano dubbi che produceva alterazioni organiche evidenti, relative alla propria percezione del corpo cui il soggetto era predisposto e che venivano alla luce in seguito ad un trauma. I suoi studi convalidano questa ipotesi: sebbene la natura dell’isteria potesse essere emotiva, psicologica, i sintomi rintracciabili riguardavano la sfera della motilità. L’isteria era caratterizzata da 4 fasi: 1. il periodo epilettoide; 2. il periodo delle contorsioni (clownismo); 3. il periodo delle pose passionali; 4. il periodo finale. Non tutte le fasi erano presenti in tutti i malati. Nel gruppo di Charcot era fortemente vincolante l’idea della corrispondenza di funzioni mentali a strutture neurali: perfino le reazioni psicologiche normali venivano esaminate dal punto di vista dei difetti cerebrali ossia della patologia [persino l’incapacità di parlare bene una lingua secondaria era considerato un effetto delle differenze di connessioni nei neuroni del cervello]. Il nome per descrivere questa serie di sintomi, l’isterismo, perse il suo significato quando Charcot vi associò il termine epilessia, ovvero la condizione sintomatologica che più di tutte rendeva identificabile la patologia. L’istero-epilessia divenne il termine per identificare l’attenzione data al solo aspetto esteriore, con l'esclusione di ogni aspetto psicologico. Egli per evitare errori di valutazione, si affidava esclusivamente alle variazioni osservabili e valutabili, assegnando un fondamento medico-scientifico ad una condizione nosologica creata da lui stesso. Egli era a conoscenza degli aspetti psicologici dell’istero-epilessia: l’autosuggestione e l’immaginazione, potevano condurre l’individuo all’esibizione dei sintomi fisico-isterici, ma non per questo erano ritenuti caratterizzanti la patologia: i veri attacchi isterici si manifestavano anche in assenza di influenze psicologiche dirette. L’isteria era un fatto naturale, una malattia dei nervi scatenata da fatti psicologici; per questo era necessario individuare gli aspetti veri, visibili e immortalarli. Nei suoi studi per la prima volta, la malattia mentale veniva associata contemporaneamente ad una eziogenesi biologica e ad una causa psicologica, anche se quest’ultima era considerata contingente e non vincolante per la patologia. Molti studiosi, che partecipavano alle sue lezione, erano interessati ai motivi che consentivano la guarigione delle isteriche. Il metodo di Charcot si basava sull’osservazione del singolo caso da cui poi riusciva a fornire una precisa descrizione degli stati del corpo. E’ proprio la smania dell’oggettività a spingere Charcot sulla strada della fotografia psichiatrica. La fotografia era il mezzo dell’oggettività, bisognava che la verità venisse testimoniata nella maniera più imparziale

possibile. Era sulla base dell’evidenza sperimentale che egli fondava la sua teoria: il sapere sensibile, vedere è sapere. L’isteria era una patologia naturale, di cui era possibile individuare le fasi e prevederne gli esiti: era allora oggetto privilegiato della fotografia medica, si poteva costruire una storia naturale dell’isteria; la fotografia era l’unica in grado di fornire dati oggettivi per la sperimentazione. La verità sperimentale era l’unica su cui si poteva costruire il sapere psichiatrico. (messaggio che Charcot voleva dare ai medici del suo tempo) Era possibile grazie alla fotografia adottare un metodo scientifico che eliminava l’intervento del linguaggio e veniva in soccorso dell’imprecisione dei sensi: un vero e proprio metodo grafico. Nella fotografia Charcot non vedeva la raffigurazione media di tutti i tipi di isterismo, ma costituiva un mezzo utile per produrre previsioni: se ci sono certi aspetti fisici, allora è probabile che si verifichino certe alterazioni organico-comportamentali. L’immagine fotografica trasferiva su ogni minimo dettaglio del corpo i movimenti dell’anima ricorrendo all’obiettività della visione. La fotografia era la prova dell’esistenza della malattia e ne forniva l’esito diagnostico. Era così che Charcot poteva affermare l’esistenza dell’isteria come malattia autonoma, e difendersi dalle accuse di aver inventato dal nulla una malattia puramente mentale. Charcot non faceva lezioni di parole, non parlava mai senza aver presente il malato e senza mostrare e far verificare la verità di ciò che egli asserisce. La fotografia costituiva una vera e propria pratica medica, un servizio dell’ospedale praticato dal fotografo Londe. Nelle raccolte dell’iconografia egli racchiude la casistica esaminata col suo metodo, cercando di evidenziare la corrispondenza con la sua teoria e l’effettiva realizzazione della fasi della grande isteria: crisi isterica, perdita di coscienza, schiena arcuata e addome rigido. E’ proprio questa sequenza ad essere rimasta impressa nell’immaginario collettivo dell’attacco isterico. Questa descrizione delle fasi risultava più accurata, permanente e inalterabile nel tempo grazie alla fotografia. Fotografare le fasi dell’attacco isterico significava prevederne gli esiti. Secondo alcuni critici, Charcot attendeva le lezioni pubbliche per provocare volontariamente l’attacco isterico nelle donne e guarirle davanti agli occhi degli uditori, e le stesse isteriche mettevano in scena la propria condizione per compiacere il medico. Che si trattasse di un’invenzione lo dimostrerebbero proprio i seminari in cui Charcot induceva materialmente gli attacchi isterici tramite la tecnica dell’ipnosi. La terapia consisteva nel massaggio dei muscoli contratti o la stimolazione della parte controlaterale alla contrazione. Ciò destò scalpore: Charcot ha impiegato per dimostrare la verità dell’isteria una tecnica, l’ipnosi, che non rispettava i canoni dell’oggettività perchè faceva leva sulla suggestione. I suoi allievi sostenevano che egli avesse inventato l’isteria e che le isteriche erano sue complici. Le isteriche non avrebbero sofferto di una debolezza nervosa, ma di una condizione di repressione delle proprie istanze vitali a causa delle condizioni sociali e affettive in cui versavano. Charcot è stato considerato un mistificatore, un medico che utilizzava la teatralizzazione della malattia per dimostrare la ferrea correttezza delle sue ipotesi. La teatralizzazione era un mezzo per raggiungere un duplice obiettivo: far conoscere pedagogicamente la sua teoria, mostrando sintomi, diagnosi e terapie; ed ottenere una partecipazione attiva della malata, condizione favorevole per la guarigione. La teatralità delle isteriche può essere considerata sia una reazione naturale all’esposizione al mezzo fotografico, sia un modo per mettere in opera il proprio disturbo emotivo. Quando siamo di fronte all’obiettivo della macchina fotografica tutti assumiamo una posa innaturale, teatrale. Della seconda condizione, quella in cui le isteriche mettevano in scena il proprio disturbo emotivo agevolando la guarigione, Charcot evidenzia che l’interesse principale per la patologia era la sua natura neurologica. Tutto l’impianto della psicoanalisi è teatrale e rappresentazionale; la catarsi psichica, le libere associazioni, la rievocazione, la resistenza. La psicoanalisi considera ancora oggi l’isteria una malattia mentale ben identificabile. Le forme plateali di isterismo, la teatralità sarebbero col tempo scomparse in favore di forme più “intime”, a causa dell’atteggiamento svalutativo e minimizzante dei medici. L’isteria sarebbe prodotta dal bisogno inconscio del paziente di manifestare tendenze affettive non manifestabili pubblicamente. Le forme attuali di isteria vengono slittate dai pazienti su una espressività psicopatologica più

privata. La repressione individuale, non è più manifestabile singolarmente a causa dell’atteggiamento dei medici a considerare l’isterico come un simulatore. Charcot era un neurologo, il suo obiettivo principale era attribuire ad una classe di sintomi una certa etichetta nosografica, contribuendo alla sistematizzazione della disciplina psichiatrica. Per ottenere questo risultato ha adottato la fotografia per dimostrare che la malattia mentale da lui individuata esisteva veramente ed era caratterizzata da alcuni stadi tipici. Questi stadi consentivano una diagnosi differenziale e una terapia efficace. L’isteria si mostrava in tutte le forme fotografate: l’intento della costruzione di un’Iconografia della Salpetriere era la collezione dei singoli dettagli delle manifestazioni isteriche. Charcot ha fatto dei singoli casi delle donne della Salpetriere le rappresentazioni delle essenze dell’isteria. C’è un aspetto che viene trascurato in queste produzioni fotografiche: esse possiedono un forte valore documentario, consentendo di conservare rappresentazioni delle condizioni psichiatriche altrimenti non ricostruibili. Far affidamento alla fotografia in ambito psichiatrico ha anche conseguenze positive; esse possiedono sia un valore descrittivo della cultura del tempo, e un valore di normalizzazione rispetto ai canoni sociali dei devianti psichici. La pratica di Charcot non sembra poi così distante dagli intenti delle attuali tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale in vivo (brain imaging), che altro non fa se non fornire immagini, fotografie, delle attivazioni cerebrali di stati mentali.

CAP.3 IMMAGINI DAL MANDALARI Le immagini della follia hanno consolidato la rappresentazione stereotipata del malato di mente come un individuo strambo, delirante. Molti autori, attribuiscono alla pratica della fotografia in ambito psichiatrico una colpa inespiabile: l’oggettivazione del malato di mente e la legittimazione del paradigma di analisi utilizzato dalla psichiatria positivistica. Alcuni critici le assegnano la responsabilità di aver alimentato l’illusione di poter contenere la malattia mentale all’interno dei manicomi, visti come luoghi razionali in cui poter ri-dirigere il caos della follia. Se l’impiego della fotografia in ambito medico, può aver prodotto una maggiore diffusione a livello sociale di alcuni stereotipi sui tipi di follia, di certo non gli si può attribuire il peso delle scelte terapeutiche adottate tra la fine dell’800 e gli anni 70 del 900: le teorie della psichiatria positivistica in relazione alla natura e alla terapia delle varie malattie mentali, erano già presenti nelle teorie mediche e nelle invenzioni tecnologiche. Diversi studi neuroscientifici segnalano la partecipazione attiva dell’autore alla creazione dell’immagine fotografica. Si tratterebbe, di un processo in cui la naturalità della percezione visiva che viene attivata da indizi, presenti nella scena, si associa una rielaborazione della scena affinché si avvicini quanto più possibile alla rappresentazione visivo-cognitiva che il fotografo ha di ciò che ha percepito. Una serie di mediazioni che impediscono di guardare alla fotografia come ad un’immagine specchiata della realtà. La rappresentazione fotografica è l’esito concreto di un progetto, che l’autore vuole realizzare nell’esatto momento in cui scatta la foto. E’ una funzione di funzioni, la percezione visiva è condizionata da ciò che l’autore vuole esprimere. La diffusione dell’immagine prototipica del folle , è il risultato di un processo mediato in cui le teorie della fisiognomica e della frenologia hanno fatto collassare sulle variazioni delle espressioni del volto le tendenze psicologiche dell’individuo. Questa impostazione teorica ha prodotto un tipo facciale che corrispondesse ad una alterazione mentale. La fotografia è una tecnologia al servizio dei bisogni simbolici e i bisogni simbolici degli anni in cui si è affermata erano basati su assiomi positivistici, su entusiasmi sperimentali. Se la fotografia psichiatrica ha diffuso lo stereotipo dei tipi di pazzi, se ha costituito l’emblema dell’oggettivazione del malato di mente, è conseguenza del positivismo imperante.

Alcuni asili manicomiali hanno impiegato la fotografia per individuare i pazienti: sia al momento dell’ingresso nel manicomio, ma riguardava anche ritratti scattati prima e consegnati dai familiari alla direzione dopo l’internamento. L’impiego della fotografia psichiatrica come strumento diagnostico è da inquadrare all’interno del percorso storico- epistemologico che lo ha favorito, trattando le foto come un documento storico. Questa operazione culturale ha visto alcuni fotografi portare agli occhi dell’opinione pubblica lo scandalo della reclusione forzata di persone, spesso in stato di abbandono non solo terapeutico, ma anche igienico e sanitario. Il ruolo sociale della fotografia consisteva nella forma di denuncia che essa assumeva: bisognava fotografare i folli, le condizioni tremende in cui venivano costretti all’interno dei manicomi, per sensibilizzare i governi al tema e spingere alla chiusura i manicomi. La necessità di abolire le strutture che si prendevano carico dei soggetti con patologie psichiche, era basata sia sullo stato di abbandono in cui versavano alcune strutture, sia dalla convinzione che l’internamento dei folli in strutture chiuse impedisse loro di recuperare la dimensione delle relazioni sociali, soprattutto con i familiari. Era fondamentale mostrare le atrocità dei manicomi. Ciò che colpisce di molte fotografie è il carattere oleografico, mascherato da reportage: le regole della composizione e i canoni estetici vengono assolutamente rispettati. Sembra che le fotografie di protesta contro la reclusione manicomiale si concentrino più su una dimensione estetizzante; quell’estetica del dolore, che interessa per i contenuti ma attrae per la “bellezza” dell’immagine che cerca di rendere quanto più alieno della normalità il soggetto rappresentato. Si tratta di prodotti artistico-simbolici che mostrano il dolore costruito dei malati costretti nelle camicie di forza. Secondo l’impostazione fenomenologica la psichiatria non può ridurre il folle ad una serie di sintomi: questi sono la base di partenza per la comprensione della sua mente e del suo modo di rappresentarsi il malato. Su questi assunti si è fondata la riforma del trattamento dei malati di mente, ottenuta da Basaglia nel 1978, la famosa legge 180 che imponeva la chiusura degli istituti manicomiali. Il caso emblematico è quello dell’ospedale psichiatrico di Mandalari di Messina. Nel suo archivio vengono conservate non solo le fotografie che immortalano momenti diversi della vita del paziente nell’istituzione ma anche le produzioni linguistiche, iconografiche e artistiche degli internati. Questa tipologia di documenti è importante per comprendere la svolta epistemologica operata in psichiatria dall’impostazione organicistica a quella fenomenologico-esistenziale, che considera il linguaggio la chiave di volta per la comprensione delle malattie della mente, che non coinvolgono il cervello. Il linguaggio costruisce il legame tra sé e il mondo; attraverso il linguaggio l’essere umano forma la propria rappresentazione della realtà. Le psicosi sono caratterizzate da un esubero di logica, o di linguaggio, di cui il folle rimane prigioniero. Le produzioni linguistiche dei malati di mente sono decisive per comprendere la dimensione ontologico-esistenziale della pazzia: conservare queste produzioni, costituisce una contro-tendenza rispetto all’impostazione organicistica.

3.1 Il metodo: fotografie e testi Il Mandalari è stato il più grande manicomio del 900, Accolse pazienti provenienti da tutte le zone della Sicilia della Calabria. La chiusura è avvenuta nel 1998 nonostante la legge 180 del 1978 che imponesse la chiusura dei manicomi intesi come luoghi di permanenza dei malati. L’ultimo direttore della struttura, pensava ad una razionalizzazione del materiale d’archivio, considerato una fonte preziosa di dati per la storia della psichiatria e della rappresentazione del malato mentale. Oggi il Mandalari non esiste più. La sala della mensa è diventata il primo centro diurno a norma della regione Sicilia: il Camelot. Si tratta di un centro frequentato da pazienti volontari in maniera semi-

residenziale in cui viene loro offerta la possibilità di esprimersi attraverso l’esercizio di una forma d’arte. L’archivio invece ha subito grandi perdite a causa di un incendio che ha distrutto gran parte del materiale. Oggi siamo in possesso di circa 2000 cartelle cliniche selezionate, molte delle quali continenti reperti iconografici di vario genere. Sono stati trascritti documenti testuali autografi dei pazienti, l’anamnesi dei pazienti, il diario clinico dettagliato, i referti e le relazioni dei medici. Il lavoro ha come scopo indagare in che modo il soggetto psicopatologico sia stato generalmente descritto e rappresentato nel particolare ambiente del Mandalari. L’aspetto interessante è costituito dalla descrizione del vissuto del soggetto internato. Il caso delle cartelle del mandalari è unico nell’ambiente della letteratura psichiatrica, perché raramente si sono riscontrate descrizioni così dettagliate e costantemente aggiornate sull’evoluzione della patologia mentale del paziente e sul suo vissuto personale. L’archivio Mandalari ha qualcosa di particolare: la descrizione autoprodotta della condizione esistenziale della patologia l’unica che riesce a cogliere aspetti inesprimibili e illeggibili con la sola pratica fotografica. Si è preferito lasciare le immagini nelle condizioni in cui sono state recuperate, mentre i testi sono stati trascritti per procedere all’analisi linguistica.

3.2 Il paradosso dell’evidenza: la fotografia della follia e la costruzione delle credenze La fotografia non solo non è una fissazione della realtà sul supporto cartaceo, ma non è nemmeno lo specchio della natura, la cristallizzazione della verità: è sempre il fruitore a interpretarne i contenuti. Non si tratta sempre di fotografie impiegate per riconoscere fisiognomicamente i tratti della degenerazione mentale. Alcuni errori storici sono stati commessi nell’applicazione della tecnica fotografica allo studio della follia. Ad esempio i casi di Diamond e Charcot, casi di costruzione volontaria dell’iconografia della malattia mentale, sebbene con scopi nosografici di controllo sociale o addirittura di mistificazione. Le conseguenze di questi errori possono essere rinvenute nell’immaginario popolare (pose strambe, corpi e visi stravolti); ad influenzare l’iconografia erano gli strumenti e le modalità tecniche di ripresa cui erano costretti i primi fotografi. Lo scatto in posa, frontale e laterale, è un modo tipico di immortalare i devianti sociali per garantirne meglio l’identificazione. I soggetti devono mantenere la posa e mettere sotto la migliore luce i propri tratti affinché catturabili dalla tecnologia. Come tutte le tecnologie, anche la fotografia è soggetta a manipolazione e il valore dei prodotti fotografici assume significati differenti a seconda del contesto storico in cui vengono realizzati. La fotografia è stata utilizzata come strumento di denuncia delle condizioni...


Similar Free PDFs