\"JAZZ! Una guida completa per ascoltare e amare la musica jazz\" di Swzed. Riassunto PDF

Title \"JAZZ! Una guida completa per ascoltare e amare la musica jazz\" di Swzed. Riassunto
Author Ma Be
Course Metodologia della critica musicale
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Riassunto di uno dei libri consigliati al corso di "Metodologia della critica musicale". Lavoro esaustivo e accurato, con precisi riferimenti a capitoli e paragrafi presenti sul libro. ...


Description

JAZZ! Una guida completa per ascoltare e amare la musica jazz – John. F. Swzed INTRODUZIONE

Una quantità di fattori sociali ed estetici hanno fatto attraversare al jazz una serie di cambiamenti che nessun altro genere ha sub un tempo così breve. Nato come musica etnica, il jazz si è poi progressivamente spostato al centro della scena culturale, diventan musica americana più popolare, ascoltata su tutte le radio e in tutti i juke-box, per trasformarsi subito dopo in avangua nuovamente musica di minoranza, sostenuta da una combinazione di intellettuali, alternativi e appassionati di ogni parte del mo Tutto questo in meno di mezzo secolo. Adesso, prossimo a compiere i suoi primi cento anni, il jazz si è frammentato in molte cose diverse per persone diverse; per la ma parte delle persone il jazz è principalmente la musica di Duke Ellington, Count Basie, Dizzy Gillespie e Charlie Parker: in altre paro jazz è considerato alla stregua dello swing e del bepop, musiche che hanno ben più di cinquant’anni, suonate da musicisti o scomparsi. Ma il jazz non ha smesso di svilupparsi negli anni cinquanta: nel 1959 era ormai evidente che nell’aria ci foss cambiamento decisivo. La musica di Ornette Coleman, Cecil Taylor, John Coltrane e altri era diventata l’avanguardia, quella che sar stata l’ultima musica d’avanguardia riconosciuta come tale nel ventesimo secolo. Buona parte della produzione posteriore a periodo deve essere discussa in termini di “post-Coleman”. Per tutti gli anni sessanta ci sono stati continui cambiamenti, specialmente fusioni e alleanze con musiche folk, popolari e classic tutto il mondo, comprese quelle non occidentali. Molti musicisti jazz appartenenti a varie scuole diedero il via a un’intensa ope rivalutazione dei loro predecessori. Molti avanguardisti cominciarono a fare proselitismo e a diffondere la conoscenza dei t nascosti del jazz delle origini. È stato un modo per ricordare che a fasi di grandi risultati artistici succedono spesso fasi di rivaluta critica del passato. Il jazz si trova oggi stretto tra quella che Gary Giddings ha chiamato “l’elite della musica istituzionalizzata” e coloro ce seguono i popolari: malgrado sia aumentato il tempo dedicato alle attività artistiche e di svago, l’accesso degli americani al jazz è drasticamente limitato dai radicali cambiamenti del gusto e nella collocazione e distribuzione delle risorse culturali. Il jazz è oggi m raro nei club delle città americane, fatte salve alcune delle più grandi metropoli, e comunque molti dei suoi stili più recenti considerati inutilizzabili in quel contesto, dato che non si tratta di “intrattenimento” in senso stretto. Tuttavia il jazz è qualcosa d che la musica, ed è sotto questo profilo che paradossalmente la sua influenza è più profonda. Jazz è anche una serie di con liberamente associati: ha una storia e una tradizione di pensiero, un immaginario e un vocabolario che gli hanno dato realtà e prese Il jazz è stato rappresentato in un’incredibile varietà di maniere con i mezzi più disparati; il jazz è cresciuto superando i suoi m originari, muovendosi oltre la musica, per diventare quello che qualcuno potrebbe chiamare un discorso, un sistema di influenze punto in cui molti testi diversi convergono e molti diversi codici vengono creati. Il jazz è fore la prima forma d’arte a mette discussione la definizione di cultura “alta” europea come la cultura per eccellenza, la prima a sfidare il canone, l’idea dei classici c “consacrati nel tempo” e “seri”. L’arte “alta” veniva esaminata e rimodellata senza tante cerimonie, fin dai primordi (si possono c l’incisione del 1922 di un brano della Lucia di Lammermoor da parte di Phil Specht con la Astor Orchestra, l’energetico “Beethoven On” di John Kirby del 1941, o il “Bolero in Blue” inciso nel 1956 da Larry Clinton, arrangiamento in una versione ballabile in 4/ Bolero di Ravel), mentre allo stesso tempo venivano rivisti e aggiornati brani della musica folk. Alla fine del suo primo secolo di vita il jazz si trova a un passaggio critico, con confini che si fanno incerti. Qualcuno potrebbe dire questa prima forma d’arte postmoderna e multiculturale è stata vittima del suo stesso successo; anche se le cifre di vendita suggeriscono che continua a trattarsi di un’arte minoritaria, la sua influenza sembra stranamente in crescita. Oggi c’è chi sostiene non ci si debba preoccupare della popolarità, e che sia venuto il momento per il jazz di ricevere il rispetto delle università, delle sa concerto, dei mezzi di comunicazione e degli utenti pubblici; buona parte del jazz sta già andando in questa direzione, almen quando critici e storici hanno cominciato a chiedere che tale musica venisse adeguatamente considerata, avviando una revisione sua storia sulla linea della dottrina del progresso, segnando la crescita in termini di precisi periodi stilistici, definendo una tradizio un corpus classico di opere. L’inizio di questa revisione ha luogo negli anni cinquanta, e furono anche il periodo in cui venne introd il disco long-playing (LP), in cui furono disponibili ristampe del jazz di tutti i periodi, e in cui si sentì il bisogno di collegare tutte le della sua storia in una struttura unica. Sulla stessa base ci sono oggi coloro che vogliono purificare il jazz da quanto percepiscono c debolezza, errore evolutivo o deviazione dalla tradizione. Per quelli che hanno questo atteggiamento, il jazz sta rinunciando alla grandezza: ciò che si deve are oggi è affermare i valori e difendere la miglior musica che sia mai stata pensata o suonata in qu paese. Il vertice di queste attività è la sezione Jazz al Lincoln Center di NY, dove si è creato un programma formativo e concertist molti livelli senza precedenti, progettato per dare risalto al jazz ed evidenziarne le linee di sviluppo. Altri –spesso appassionati de d’avanguardia degli anni ’60-’70 o di più recenti evoluzioni- hanno denunciato questa visione come un approccio elitario paragonab quello che ha imbalsamato la musica classica, scoraggiando l’innovazione e restringendo la prospettiva.

MUSICA SU DISCO E DAL VIVO

A conoscere il jazz si arriva in molteplici modi. Nei primissimi anni il jazz si poteva ascoltare solo suonato dal vivo nelle sale da b negli anni ’20 molti l’ascoltarono per la prima volta sui dischi del fonografo; negli anni trenta, quaranta e cinquanta le fonti prim divennero la radio, i dischi, i film e le orchestre da ballo. Oggi il pubblico del jazz è ancora più segmentato: alcuni incontrano qu musica ascoltandola dal vivo nei club o ai concerti, altri l’ascoltano alla radio, come sottofondo di una pubblicità, in un corso di mu ma all’inizio del ventunesimo secolo le registrazioni solo le principali fonti d’informazione e quindi saranno i dischi le nostre principali. Al contrario di quanto accade per la musica classica, per buona parte del jazz non ci sono partiture da poter esaminare, e anche qu

ci sono il modo in cui vengono eseguite può essere molto diverso, le improvvisazione solistiche non compaiono sugli spartiti. L’u problema dei dischi è che nel momento in cui ne discutiamo ci siamo doppiamente allontanati dalla performance originale, p attraverso la registrazione stessa, poi perché usiamo le parole. È anche vero che per quanto le tecniche di registrazione e di as possano essere perfezionate, i dischi non arriveranno mai nemmeno ad avvicinarsi all’esperienza della musica ascoltata dal vivo. È musica viscerale, corporea, che dipende interamente dall’interazione tra musicisti e pubblico. Il rapporto tra la musica dal vivo e q

registrata è complesso e non è stato mai del tutto chiarito. All’incirca per i primi quarant’anni, la tecnologia era tale da limita durata del disco a circa tre minuti, con lo sviluppo dell’LP diventò possibile, alla fine degli anni ’40, registrare brani di quaranta m anche se ci sono solo pochi esempi di composizioni che riempiono un intero disco, e ancora meno da quanto il CD ha porta potenziale durata della registrazione a oltre settantacinque minuti. Quando la regola erano i dischi a 78 giri la maggior parte sedute di registrazione di jazz producevano due dischi singoli con un brano per facciata; durante le sedute in realtà venivano effett più registrazioni, chiamate “takes”, registrate o per avere un’esecuzione migliore o come copia di sicurezza in caso di danneggiame Per molti anni le esecuzioni scartate hanno fornito materiale a un’industria di ristampe che si rivolgeva ai collezionisti desidero confrontare i loro musicisti preferiti. A ogni disco a 78 giri erano attribuiti diversi numeri:  Un numero di matrice  Un numero di presa sonora, come A o B, che segue il numero di matrice  Un numero di catalogo che identifica il disco nei cataloghi della casa produttrice Con l’avvento della registrazione multi traccia, il numero di presa sonora perse importanza, in quanto i vari elementi che formava brano a quel punto erano conservati su tracce o nastri separati.

DEFINIRE IL JAZZ

Si dice che il jazz sia una musica afroamericana, creata dai neri per i neri, improvvisata, caratterizzata dal senso ritmico chiamato s e decisamente influenzata dal blues. Attraverso tutta la storia del jazz ci sono state persone di altre razze ed etnie coinvolte in qu misura nella sua creazione e nella seconda parte del ventesimo secolo il jazz ha cessato di essere particolarmente popolare t persone di origine afroamericana. Buona parte dl jazz è improvvisato solo parzialmente, in qualche caso non lo è per nulla, e anch lo fosse sempre, molte altre musiche nel mondo fanno uso dell’improvvisazione in varia misura. La presenza di qualche elemento b nella maggior parte del jazz sembra innegabile, ma cos’è poi il blues? Lo si può definire come una caratteristica necessaria ma sufficiente a definire il jazz: non tutti i jazzisti suonano bene il blues, e qualcuno, come Bill Evans, di solito evita di suonarlo. Se il bl difficile da definire, lo swing è ancor meno comprensibile: si dice ce sia un certo modo di sentire il ritmo, oppure un atteggiam verso il ritmo che è stato definito sincopato o un accento posto fuori dai tempi forti della battuta, o ancora ci si riferisce allo s quando si parla del suonare con le “crome swing” (valori e durate diverse). Nello sforzo di definire il jazz alcuni autori hanno redatto una lista di caratteristiche che dovrebbe avere o di forme che utilizza, tut non è mai chiaro il ruolo giocato da queste caratteristiche. I primi che scrissero a proposito di jazz usarono una definizione contrasto, enfatizzando le differenze tra musica classica e jazz, ma l’esercizio definitorio diventa ben presto noioso.

ELEMENTI

Strumenti – Non esistono strumenti musicali estranei al jazz, tuttavia quelli più popolari sono rimasti il sassofono, la trom trombone, il basso, la batteria, il pianoforte e la chitarra. Sono stati tutti usati nella configurazione della big band, dove ciascun gr di strumenti a fiato forma una diversa sezione, e anche in piccoli gruppi, dove ogni strumento a fiato funziona come una piccola sez autonoma. Pianoforte, basso, batteria e chitarra vengono chiamati sezione ritmica; strumenti elettrici o collegati ad amplificatori stati in molti casi sperimentati e introdotti da jazzisti, tuttavia la maggior parte della musica resta acustica e anche quando v suonata elettricamente il volume è tenuto agli stesi livelli della musica non amplificata. Armonia e melodia – La cosa più facile da dire sulla melodia è che questo elemento della musica non mostra partic caratterizzazioni, perché il jazz in pratica ha usato liberamente qualsiasi tipo di melodia; questo genere musicale ha usato una va ugualmente vasta di strutture armoniche, dato che ogni nota suonata in una melodia può sottintendere un diverso accordo o una di accordi. Ritmo – Il tempo è la velocità a cui la musica si muove, il “beat” è la pulsazione, udita o percepita, di un pezzo di musica. il metro raggruppamento di beat (pulsazioni) basato sullo schema con cui si ripetono; certi beat sono forti, altri deboli, a seconda di come piazzati gli accenti. Nella maggior parte della musica occidentale il “down beat” (il primo tempo di ogni battuta) spesso era il più f poi veniva il terzo. Specialmente nel jazz delle origini il primo e terzo tempo della battuta erano rafforzati, lasciando spesso vu secondo e il quarto, con un effetto “zum-pa”, questa forma di organizzazione ritmica è nota come “two-beat”. Quando il second quarto tempo della battuta vengono fortemente enfatizzati il risultato è spesso chiamato “back-beat”. All’arrivo dell’era dello s tutti e quattro i tempi venivano ugualmente accentati in un ritmo noto come “four-beat”. Ma non esiste una forma di accentuaz ritmica usata soltanto in un dato periodo. “Double time”: raddoppiare il tempo della melodia mentre gli strumenti che accompagnano continuano sempre alla stessa veloci viceversa), in modo da permettere al solista di mostrare l’intera gamma delle sue capacità e di ideare risposte diverse alla me originale. Il contrario è “Half-time”. “Break”: breve sospensione nell’accompagnamento mentre il solista o gli strumenti melodici continuano a suonare. “Stop-time”: gli strumenti d’accompagnamento suonano con accenti particolarmente taglienti, esagerando il ritmo, che così n ferma per niente (ritmo charleston). “Riff”: brevi figure melodiche e ritmiche ripetute come sottofondo.

LE FORME DEL JAZZ

La forma più comune d’improvvisazione nel jazz è quella in cui vengono variate l’armonia e/o la melodia di una preesistente canzo bepop degli anni quaranta fu sensibile alle limitazioni formali della canzone e del blues e spesso le melodie venivano risc mantenendo solo l’armonia delle vecchie canzoni usate come base per la produzione di una serie di assoli; la melodia rivista veniv semplicemente esposta alla fine del brano allo scopo di segnalarne la chiusura. D’altra parte il free jazz e il jazz-rock tendevan

abbandonare la forma della canzone e anche quando una melodia apriva e chiudeva il brano le improvvisazioni che venivano eseg potevano non essere direttamente collegate ad essa. Una delle modalità tipiche con cui i musicisti modificano le forme standa quella di dividerle per gli assoli in unità; durante questo processo, definito “trading eights” –o “fours”, ecc (scambiarsi gli otto) , i s improvvisano a turno per la durata delle battute indicate.

La canzone pop – Ai primi del Novecento le canzoni erano piccole storie, divise in due parti: un “verse”, il cui testo preparava la s per quello che sarebbe successo dopo e la cui melodia era libera e non prevedeva ripetizioni, e un “refrain” con testo e musica ripe in genere con piccole variazioni ad ogni “chorus”. Alla fine degli anni ’20 il verse sempre più di frequente era omesso dalle esecuz dagli anni ’40 in poi spesso non era nemmeno composto come parte della canzone. Le canzoni si trasformavano così in bozzetti titolo veniva ripetuto spesso per inciderlo nella memoria del pubblico, costituiti solo dal refrain, un tema di sedici o trentadue bat diviso in frasi di quattro o otto misure, raggruppate secondo schemi come AABA o ABAC. Ci si riferisce spesso alla sezione B di q temi chiamandola “bridge” o “release”, in essa il testo, la melodia e l’armonia contrastano con quelli della sezione A. i testi poeti melodia e la struttura armonica di queste piccole composizioni cooperano per rimandare sempre all’inizio e ripetere di nuovo il tem Il blues – Il blues è una forma afroamericana, creata modificando canzoni provenienti originariamente dall’area sudanica dell’A centrale e adattandole prima ai gusti musicali afroamericani e infine a quelli europei. Nel bues rurale delle origini la forma era m flessibile e irregolare, addirittura aperta, e comprendeva ripetizioni salmodianti, esclamazioni allungate e parlato, ognuno variat numero delle battute. Le melodie blues erano caratterizzate dalle “blues notes” (note che sono state cambiate e piegate per rende musica più espressiva), che sono aree attorno a specifiche note che possono essere suonate più alte o più basse, o usate come no passaggio nel percorso verso una particolare altezza. Nell’ambito del jazz, da alcuni anni i musicisti hanno accertato una forma del di dodici battute come uno standard adatto alle loro necessità. Questa forma di dodici battute può essere definita sulla base della struttura armonica: il blues così come viene suonato in ambito jazzistico usa, nella sua forma più semplice, gli accordi I, IV, V. La jam session – La jam session o semplicemente “jam”, è la maniera più informale possibile di usare le forme musicali e dip esclusivamente da quanta conoscenza delle tradizioni jazz hanno in comune i musicisti che vi prendono parte. Gli anni quaranta stati l’età d’oro della jam, ma anche l’ultima decade in cui musicisti di tutti gli stili jazzistici potevano essere ascoltati insieme nei d chiave del periodo, mentre a partire dagli anni ’50 la possibilità per i musicisti di trovarsi a loro agio in una jam session cominciav affievolirsi: gli stili si stavano frammentando e alcune tradizioni si stavano irrigidendo.

IMPROVVISAZIONE, COMPOSIZIONE E ARRANGIAMENTO

L’improvvisazione è stata per lungo tempo considerata il segno distintivo del jazz; i jazzisti dicono di voler superare le limitazioni musica pre-composta e di voler andare oltre la pura e semplice interpretazione per arrivare a un livello di creatività più istanta basato su un’ispirazione più profonda. La distinzione tra improvvisazione e composizione non è semplice: l’improvvisatore o all’interno di un gruppo più ampio di musicisti, diversamente dal compositore che crea la propria opera in solitudine; si tratta d forme diverse di composizione, tutte e due variamente coinvolte nell’esecuzione dal vivo. Una complicazione ulteriore in qu distinzione è introdotta dall’importanza dell’arrangiatore. Un arrangiamento, lo schema che il musicista prima di cominciare a suo accetta di seguire, serve innanzitutto a dare una forma alla musica, al di là della melodia e dell’armonia: può anche es semplicemente un’intesa che prevede di esporre la melodia a un certo punto, di prendere gli assoli in un certo ordine e di chiude un particolare momento. Gli arrangiamenti possono essere concordati subito prima di suonare o prendere forma durante l’esecuz gli “head arrangement” sono spesso sviluppati sul palco, modificati sera dopo sera. In gruppi più grandi l’arrangiatore emerge c una figura di importanza maggiore, il suo compito sarà di creare speciali “voicing” (diversi modi di esprimere un accordo: ne quando lo spartito indica un accordo di do7 maggiore, quasi mai il pianista suona le note fondamentali (do, mi, sol, si) nell’o originale, ma lo modifica omettendo la fondamentale, sostituendo o inserendo note aggiuntive, ecc) per l’armonia o addiri cambiarla, riscrivendo con piccole varianti la melodia originale o scrivendo su di essa vere e proprie variazioni. I migliori arrangiato jazz hanno trovato i loro modi di inserire i solisti nella cornice orchestrale, stabilendo un equilibrio tra singola voce e “tutti”. C succede per i grandi solisti, lo stile dell’arrangiatore è sempre riconoscibile, indipendentemente dal materiale musicale che v arrangiato; nei casi migliori è talvolta difficile per l’ascoltatore distinguere le parti arrangiate da quelle composte o improvvisat questo senso il jazz costituisce una rottura con il pensiero convenzionale dell’Occidente e nega la distinzione tra compositor esecutore, creatore e interprete, compositore e arrangiatore, solista e accompagnatore, artista e intrattenitore, e addirittura soli gruppo. In che misura è spontanea l’improvvisazione? È davvero totalmente non pianificata? Qualche volta anche i più grandi musicisti pro e riprovano un assolo, anno dopo anno, apportando nel tempo solo minimi cambiamenti. Alcuni compositori di jazz non erano con che i musicisti interpreti dei loro arrangiamenti avrebbero davvero eseguito i loro assoli secondo le indicazioni dell’autore, e q alcuni tra i più interessanti break e assoli, come nei dischi di Jelly Roll Morton, sono stati scritti nota per nota. All’altro estremo a musicisti hanno fatto ogni possibile sforzo per evitare di suonare la stessa cosa due volte. È possibile improvvisare una melodia dal nulla, lavorando sulla base di niente di più delle proprie risorse e...


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