Jean Itard - Il ragazzo selvaggio PDF

Title Jean Itard - Il ragazzo selvaggio
Course Scienze infermieristiche applicate all'educazione sanitaria e sociale i
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Pedagogia...


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TESTI E DOCUMENTI

JEAN ITARD IL RAGAZZO SELVAGGIO

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Jean Marc Gaspard Itard (24 aprile 1774 – 5 luglio 1838) è stato un medico, pedagogista e educatore francese. Specializzato nel lavoro con i ragazzi sordomuti, è da molti considerato il padre-fondatore della pedagogia speciale. Nasce il 24 aprile 1774 ad Oraison in Francia. Proveniente da una famiglia borghese, inizialmente intraprende con scarso successo studi in ambito finanziario per poi dedicarsi alla chirurgia. Medico chirurgo, daI 31 dicembre del 1800 Itard collabora con l'abate Sicard, erede dell'abate de l'Epée e direttore dell'Istituto nazionale per sordomuti di Parigi, luogo a partire dal quale potrà dedicare la propria cura educativa a Victor, il "ragazzo selvaggio dell'Aveyron. Questa esperienza segnerà la vita di Itard che scriverà due memorie riguardanti gli anni passati con il ragazzo; la pubblicazione della seconda memoria in particolare, nel 1807, lo consacrerà come uno dei medici più ricercati di Parigi. Esperto dei problemi dell'udito e della parola, nel 1821 pubblica il Traité des maladies de l'oreille et de l'audition, seguito nel 1831 dal "Mémoire sur le mutisme produit par la lésion des fonctions intellectuelles", confermando la sua sensibilità per l'interazione tra i fenomeni fisico-organici e quelli psicointellettuali. Nel 1837 Itard incontra quello che diverrà il suo migliore allievo: Édouard Séguin, chiamato per sostituirlo come medico in un caso di idiozia. Itard, infatti, già molto malato morirà l'anno seguente, il 5 luglio a 64 anni lasciando gran parte dei suoi beni all'Istituto per sordomuti. La figura di Itard è sicuramente legata a Victor e al lavoro svolto con lui. Il loro primo incontro avviene nel 1799, quando il ragazzo viene catturato nelle campagne francesi per la seconda volta. Itard è giovane e senza famiglia e si dedica totalmente all'educazione del "selvaggio" al quale dà anche il nome (cosa che nessuno aveva mai pensato di fare fino ad allora), con l'intento di attribuirgli un'identità. Nonostante il grande lavoro svolto, Itard venne anche molto criticato per alcuni metodi da lui utilizzati. I più noti sono quelli di aver punito ingiustamente Victor per instillargli il senso della giustizia e dell'ingiustizia, di costringerlo in lavori ripetitivi contro la sua volontà e di averlo isolato durante le "lezioni" dagli altri bambini. Tuttavia ha avuto il grande merito di prendersi carico di un individuo giudicato dai medici dell'epoca "ineducabile", di avergli dato dignità e in un qualche modo anche una famiglia. Figura, infatti, altrettanto importante nell'educazione di Victor, fu Madame Guèrin, governante di Itard. Questa si configura come una sorta di madre per lui, colei che gli dà affetto, amore e lo sostiene e lo aiuta nelle attività didattiche. Victor si legherà moltissimo a lei e questo lo testimonia lo stesso Itard con un passaggio nella Seconda Memoria: Victor dopo un tentativo di fuga viene ricondotto a Parigi e quando vede Madame Guèrin emette grida acute di gioia, le rivolge radiosi sorrisi, le stringe convulsamente le mani e infine, come un figlio affettuoso, abbraccia colei che gli ha dato la vita. Si può infatti, affermare che Victor ha avuto una seconda nascita grazie a questa donna e ad Itard che hanno costituito una sorta di nucleo familiare che il ragazzo non aveva mai conosciuto fino ad ora.

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I PROGRESSI DI UN GIOVANE SELVAGGIO

Un ragazzo di dodici o tredici anni, che era stato intravisto alcuni anni prima nei boschi della Caune, completamente nudo, mentre cercava ghiande e radici di cui nutrirsi, fu negli stessi luoghi, e verso la fine dell’anno VII1, incontrato da tre cacciatori che lo catturarono mentre stava arrampicandosi su un albero per sottrarsi all’inseguimento. Condotto nei casolari vicini, e affidato alla custodia di una vedova, fuggì in capo a una settimana, e raggiunse le montagne. Fu catturato di nuovo, sorvegliato e curato per due o tre giorni; poi trasferito, di là, nell’ospizio di Saint-Affrique, e a Rodez, dove venne custodito per diversi mesi. Durante la permanenza in quei luoghi ebbe sempre lo stesso comportamento rabbioso, inquieto e agitato: tentava continuamente di fuggire; forniva così materia a osservazioni assai interessanti, raccolte da testimoni degni di fede. Fu dato ordine che il ragazzo venisse condotto a Parigi. Numerosi curiosi già gioivano prevedendo il suo stupore davanti a tutte le cose belle della capitale. Credevano che l’educazione di quell’individuo sarebbe stato affare di pochi mesi, e che l’avremmo presto udito raccontare i dettagli più singolari della sua vita passata. In luogo di tutto ciò, che si vide? Un giovane di una sporcizia disgustosa, in preda a movimenti spasmodici e spesso a convulsioni, che si dondolava senza posa come certi animali del serraglio, e mordeva e graffiava chi lo serviva; e per di più indifferente, sprovvisto di attenzione per checchessia. In mezzo all’indifferenza generale, gli amministratori dell’Istituto nazionale dei sordomuti, e il suo celebre direttore, non dimenticarono che la società, attirando verso di sé lo sfortunato giovane, aveva contratto gli obblighi che toccava a loro assolvere. Condividendo la speranza in un trattamento medico, decisero di affidare il ragazzo alle mie cure. Partendo dall’esposizione delle funzioni sensoriali del giovane selvaggio, il cittadino Pinel ce ne presentò i sensi ridotti a un tale stato d’inerzia da situare, sotto questo profilo, il disgraziato essere molto al di sotto di alcuni dei nostri animali domestici: gli occhi, incapaci di fissare, senza espressione, e che si muovevano vagamente da un soggetto all’altro, senza mai fermarsi su alcuno, così poco guidati ed esercitati dal tatto, da non distinguere un oggetto in tre dimensioni da una pittura; l’organo dell’udito, insensibile sia ai rumori più fragorosi che alla musica più delicata; quello della voce, ridotto a un completo mutismo e in grado di emettere unicamente un suono gutturale uniforme. Passando poi alle funzioni intellettuali del giovane, l’autore del rapporto ce lo mostrò incapace di attenzione, salvo che per gli oggetti dei propri bisogni, e, conseguentemente, di tutte le operazioni dello spirito che derivano da questa prima; sprovvisto di memoria, di giudizio, di attitudine all’imitazione, e così ottuso persino nelle necessità, da non essere ancora arrivato ad aprire una porta o a salire su una seggiola per raggiungere gli alimenti messi fuori dalla portata della sua mano.

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E’ 1798 nel calendario rivoluzionario.

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Altrettanto necessariamente ne conseguiva che, colpito da una malattia sino ad oggi giudicata incurabile, egli non era in grado di intrattenere rapporti sociali, né di essere educato. Per due volte è scappato dalla casa dei sordomuti, malgrado la sorveglianza della sua governante; locomozione straordinaria, meno agile in verità da quando calza le scarpe, ma sempre notevole per la difficoltà di regolarsi sui nostri passi posati e misurati, e per la tendenza continua a trasformarsi in trotto o galoppo, testarda abitudine di fiutare tutto quello che gli viene presentato, anche le cose che a noi sembrano inodori, e non meno stupefacente masticazione, compiuta attraverso l’azione precipitosa dei soli incisivi, sufficiente a suggerire, per la sua analogia con quella di alcuni roditori che, come questi animali, il nostro selvaggio è vissuto cibandosi soprattutto di vegetali: dico > perché sembra, da un episodio, che in certe circostanze abbia raccolto piccoli animali privi di vita. Altri indizi di una vita completamente isolata, precaria e vagabonda, ci vengono dalla natura e dal numero delle cicatrici di cui il corpo del giovane è coperto; se ne contano quattro sul viso, sei lungo il braccio sinistro, tre a poca distanza dalla spalla destra, quattro nel cerchio del pube, una sulla natica sinistra, tre su una gamba e due sull’altra: in totale ventitrè cicatrici, di cui alcune sembrano dovute a morsi di animali, altre a lacerazioni e graffi più o meno larghi, più o meno profondi. Si saprà così che, nei primi giorni dopo il suo ingresso nella società, si nutriva soltanto di ghiande, patate e castagne crude, e non emetteva alcun suono; che malgrado una rigida sorveglianza, riuscì diverse volte a fuggire; che manifestò una grande ripugnanza a dormire in un letto. Si saprà soprattutto che era stato visto più di cinque anni prima, completamente nudo, fuggire all’avvicinarsi degli uomini, e che quindi, al tempo della sua prima apparizione, doveva già essere abituato a quel genere di vita; abitudine che presupponeva almeno due anni di soggiorno in luoghi non abitati. Questo ragazzo ha dunque trascorso in solitudine assoluta circa sette anni dei dodici che presumibilmente aveva quando fu catturato nei boschi della Caune. E’ probabile, e quasi provato, che sia stato abbandonato non più tardi dei quattro o cinque anni, e che se, a quest’epoca, già possedeva qualche idea e qualche parola, frutto di un rudimento di educazione, tutto si sia cancellato dalla sua memoria in seguito all’isolamento. In rapporto al poco tempo trascorso tra gli uomini, il Selvaggio dell’Aveyron non era tanto un adolescente idiota quanto un bambino di dieci o dodici mesi; un bambino che aveva contro di sé delle abitudini antisociali, una disattenzione ostinata, degli organi poco flessibili e una sensibilità resa ottusa dalle circostanze. Fissai cinque obiettivi principali al trattamento morale, o educativo, del Selvaggio dell’Aveyron. Primo obiettivo: Farlo affezionare alla vita sociale, addolcendo quella che conduceva, e soprattutto renderla più simile alla vita che aveva lasciato. Secondo obiettivo: Risvegliare la sensibilità nervosa con gli stimoli più energici e talvolta sollecitare le più vivaci emozioni dell’anima. Terzo obiettivo: estendere la sfera delle sue idee creandogli bisogni nuovi e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri circostanti.

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Quarto obiettivo: Condurlo all’uso della parola spingendolo all’imitazione attraverso la legge imperiosa della necessità. Quinto obiettivo: Esercitare per qualche tempo le semplici operazioni del suo spirito sugli oggetti legati ai suoi bisogni, per orientarle poi verso oggetti la cui funzione fosse istruire. Primo obiettivo: Farlo affezionare alla vita sociale, addolcendo quella che conduceva, e soprattutto rendendola più simile alla vita che aveva lasciato. Così con la sola eccezione dei momenti in cui la fame lo spingeva verso la cucina, se ne stava accoccolato in un angolo del giardino, o nascosto al secondo piano, dietro detriti lasciati dai muratori. Alcuni curiosi di Parigi l’hanno giudicato degno di essere spedito alle Petites-Maisons; come se la società avesse il diritto di strappare un giovane a una vita libera e innocente per mendarlo a morire di noia in un ospizio. Credetti che esistesse una scelta più semplice e soprattutto più umana: trattarlo bene e accondiscendere ai suoi gusti e alle sue inclinazioni. Madame Guèrin, a cui l’amministrazione ha affidato la custodia del giovane, ha assolto e assolve il suo difficile compito con tutta la pazienza di una madre e l’intelligenza di un’educatrice illuminata. Invece di contrariarlo ella ha saputo, in un certo senso, venire a patti con le sue abitudini, e creare così i presupposti per il raggiungimento del mio primo obiettivo. Egli conosceva solo quattro cose: dormire, mangiare, poltrire, scorazzare per la campagna. Fu dunque necessario farlo felice a modo suo, mettendolo a letto al tramonto, fornendogli un’alimentazione abbondante e di suo gusto, rispettando la sua indolenza e accompagnandolo nelle passeggiate, o piuttosto nelle scorribande all’aria aperta, qualunque tempo facesse. Queste uscite campestri sembravano, anzi, essergli più gradite quando sopravveniva un mutamento atmosferico brusco e violento. Ma se un vento tempestoso sorgeva, se il sole nascosto dietro le nuvole si mostrava d’improvviso, rischiarando più vivamente l’atmosfera, allora erano rumorosi scoppi di risa, una gioia quasi convulsa durante la quale tutti i movimenti, orientati dal dietro verso l’avanti, facevano pensare allo slancio che avrebbe voluto prendere per proiettarsi al di là delle imposte e precipitarsi nel giardino. Qualche volta lo prendeva una sorta di rabbia frenetica; torceva le braccia, serrava i pugni sugli occhi, faceva stridere i denti e diventava pericoloso per chi gli era vicino. Un mattino in cui una nevicata abbondante era cominciata a cadere mentre ancora dormiva, ecco che si sveglia, lancia un grido di gioia, abbandona il letto, corre alla finestra, poi alla porta, va, viene con impazienza da una all’altra, scappa fuori vestito a metà, raggiunge il giardino. Qui, manifestando gioia con le grida più acute, corre, si rotola nella neve raccattandola con le mani e se ne pasce con incredibile avidità. Quando la rigidezza del clima cacciava tutti dal giardino, quello era il momento da lui scelto per discendervi. Ne faceva più volte il giro e finiva per sedersi sul bordo della vasca. Mi sono spesso fermato, per ore intere, con un piacere indicibile, a esaminarlo in quei momenti; a osservare come i movimenti spasmodici e il dondolio continuo del suo corpo diminuissero, si quietassero a gradi, per dar luogo a un’espressione di tranquillità; e come insensibilmente il suo volto insignificante e deformato dalle smorfie assumesse, mentre i suoi occhi si concentravano sulla superficie dell’acqua, in cui gettava di tanto in tanto qualche pezzetto di foglia secca, un’espressione assai pronunciata di tristezza e di fantasticheria malinconica. 5

Così cercai, e riuscii infine, per gradi, a rendere le sue corse più rare, i suoi pasti meno copiosi e frequenti, le sue permanenze a letto meno lunghe, le giornate più profittevoli alla sua istruzione.

Secondo obiettivo: Risvegliare la sensibilità nervosa mediante stimoli assai energici e, di tanto in tanto, sollecitare le più vivaci emozioni dell’anima. Spesso, durante l’inverno, l’ho visto mezzo nudo accoccolato sul terreno umido, restare così per ore, esposto al vento freddo e piovoso. L’ organo della pelle e del tatto era senza reazione non soltanto al freddo, ma anche al più forte calore; ogni giorno, quand’era vicino al fuoco, prendeva con le dita i carboni ardenti rotolati fuori dal camino, e senza troppa fretta li riponeva sulla brace; toglieva dal fuoco le patate che stavano cuocendo nell’acqua bollente; e posso assicurare che, nonostante ciò, aveva una pelle vellutata. Ho spesso provato a riempirgli le cavità nasali con tabacco, senza provocare lo starnuto. Questo presuppone che non esistesse, tra l’organo dell’odorato, del resto da lui esercitatissimo, e gli organi della respirazione e della vista, alcuno di quei rapporti di tipo simpatico che fanno parte integrante della nostra sensibilità, e che in questo caso avrebbe provocato lo starnuto o la secrezione di lacrime. Quest’ultimo effetto non si verificava nemmeno per la tristezza dell’anima; malgrado le molte contrarietà e i cattivi trattamenti che gli erano toccati durante i primi mesi della nuova vita, non l’ho mai sorpreso a piangere. L’udito era, di tutti i sensi, quello che sembrava più ottuso. Si sa tuttavia che i rumori di una noce o di un altro alimento gradito non mancavano mai di farlo voltare. Osservazione verissima; e tuttavia il suo orecchio si mostrava insensibile a veri e propri frastuoni e alle esplosioni di armi da fuoco. Un giorno, vicino a lui, sparai due colpi di pistola; il primo parve metterlo un po’ in agitazione, il secondo non gli fece nemmeno girare la testa. La reattività nervosa di tutti i suoi sensi era stranamente debole; rientrava nei miei piani svilupparla con tutti i mezzi possibili, e preparare lo spirito all’attenzione, disponendo i sensi alla ricezione degli stimoli più energici. Dei molti espedienti che usai, il calore mi sembrò il più efficace. Non mi bastava che il giovane fosse pesantemente vestito, che dormisse e vivesse in un ambiente caldo: gli feci prendere tutti i giorni un bagno di due o tre ore a temperatura molto alta, inframmezzato da frequenti docce della stessa acqua sulla testa. Notai che il calore e la frequenza dei bagni non avevano effetto debilitante che si attribuisce loro. Dopo qualche tempo il nostro giovane selvaggio cominciò a mostrarsi sensibile all’azione del freddo: si serviva della mano per misurare la temperatura dell’acqua, e rifiutava di entrarci se non era sufficientemente calda. Apprezzò anche i vantaggi dei vestiti, che sino allora aveva sopportato con molta riluttanza. Una volta che ne ebbe apprezzato l’utilità non fu difficile costringerlo a vestirsi da solo: ci riuscimmo nel giro di pochi giorni, lasciandolo ogni mattino esposto al freddo, a fianco dei suoi vestiti, sino a che non imparò a indossarli. Con un espediente simile riuscimmo a farlo progredire sulla strada della pulizia: la certezza di trascorrere la notte in un letto freddo e umido gli diede l’abitudine di alzarsi per soddisfare i suoi bisogni. Feci aggiungere alla 6

somministrazione dei bagni quella dei massaggi lungo la spina dorsale, e anche di frizioni nella regione lombare. Un giorno mi sedetti accanto a lui e misi tra di noi una bottiglia di Leida leggermente elettrizzata. Ne conosceva l’effetto, perché il giorno prima aveva preso una piccola scossa. Ma egli prese una più saggia risoluzione: mise le mani nell’apertura del gilet e si scostò un pochino perché il rivestimento della bottiglia non gli sfiorasse la coscia. Mi avvicinai di nuovo e la rimisi tra noi. Altro spostamento da parte sua, altro spostamento della bottiglia. Per procurargli la gioia bastava un raggio di sole raccolto da uno specchio e riflesso sul soffitto della sua camera; l’acqua di un bicchiere lasciata cadere goccia a goccia da una certa altezza sulle sue mani, mentre faceva il bagno; e ancora, sempre durante il bagno, una ciotola di legno con un poco di latte che, posta lontano sull’acqua, a poco a poco, spinta dalle onde, galleggiando arrivasse, tra grida di gioia, alla sua portata: ecco quanto bastava per svagare e divertire questo figlio della natura, talvolta sino a renderlo ubriaco di felicità. Questi e molti altri furono gli stimoli psichici e morali con i quali mi sforzai di sviluppare la sensibilità dei suoi organi. Dopo tre mesi ottenni un risveglio generale di tutte le sue forze sensoriali. La minima irritazione del naso gli provocava lo starnuto. La paura che lo prese al primo starnuto mi fece giudicare che per lui fosse un fenomeno nuovo: fu così forte che lo spinse a gettarsi subito sul letto. L’affinarsi del gusto era ancora più marcato. Gli alimenti di cui questo giovane si nutriva poco tempo dopo il suo arrivo a Parigi erano disgustosi e orribili. Li trascinava in tutti gli angoli, li impiastricciava con mani invariabilmente sudice. Intorno ai primi giorni di primavera il nostro giovane selvaggio ebbe un violento raffreddore e, poche settimane dopo, due infiammazioni catarrali, a poca distanza l’una dall’altra. Tuttavia i successi non si estesero a tutti gli organi. Quelli della vista e dell’udito non parteciparono al progresso; senza dubbio perché questi due sensi, assai meno semplici degli altri, avevano bisogno di un’educazione particolare e più lunga, come si vedrà in seguito.

Terzo obiettivo: Estendere la sfera delle sue idee creandogli bisogni nuovi e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri circostanti. Ho riscontrato innumerevoli ostacoli nel realizzare il terzo obiettivo. Gli ho mostrato, uno dopo l’altro, giocattoli di ogni sorta; più di una volta, per ore intere, mi sono sforzato di insegnargliene l’uso; e ho visto, con delusione, che, invece di catturare la sua attenzione, quelli oggetti finivano invariabilmente per spazientirlo, tanto che arrivava a nasconderli, o a distruggerli, se ne aveva l’occasione. Tuttavia riuscii qualche volta a interessarlo a giochi che avevano rapporto col desiderio del cibo. Disponevo davanti a lui, senza ordine né simmetria, e in posizione rovesciata, diversi bicchierini 7

d’argento, sotto uno dei quali nascondevo una castagna. Sicuro di aver attirato la sua attenzione, li sollevavo tutti uno dopo l’altro, salvo quello sotto il quale era la castagna. Dopo aver così mostrato che non nascondevano niente, e averli rimessi nello stesso ordine, lo i...


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