L\' Illecito Sportivo PDF

Title L\' Illecito Sportivo
Author bruno mattiussi
Course DIRITTO DELLO SPORT
Institution Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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LA RESPONSABILITÀ SPORTIVA: DIFFERENZA RISPETTO ALL'ILLECITO SPORTIVO. L’illecito sportivo consiste in una violazione del regolamento sportivo che si può, eventualmente, riflettere sulla sfera penale: quest’ultima ipotesi si verifica soltanto quando l’azione lesiva del soggetto supera la cd. soglia del rischio consentito, individuata secondo le specificità di ogni sport e la carica lesiva che questi portano con sé. Concependo l’attività sportiva come sede naturale di eventi potenzialmente dannosi verso gli avversari, la giurisprudenza ha teso nel corso del tempo a scriminare, e di conseguenza escludere dall’alveo della punibilità, quegli atteggiamenti che, seppur lesivi e irrispettosi del regolamento sportivo, non oltrepassino in modo evidente il limite della lealtà sportiva, non essendo diretti a cagionare, nell’ambito degli schemi della competizione o addirittura totalmente al di fuori di essi, un danno all’avversario questo può accadere in presenza di cd. ansia da prestazione o risultato, o di eccessiva tensione agonistica, quando, nell’ambito del gioco, l’atleta compia gesti lesivi rientranti tuttavia nel finalismo del gioco e privi di volontà lesiva. In tal senso in dottrina e in giurisprudenza, al di là del possibile inquadramento della condotta sportiva lesiva nell’ambito di operatività delle cause di giustificazione codificate di cui agli artt. 50 e 51 c.p., ci si è preoccupati di indagare la configurabilità di una esimente atipica della condotta sportiva lesiva (c.d. “scriminante sportiva”), pervenendo all’assunto condiviso, alla cui stregua in ciascuna disciplina sportiva vi sarebbe una soglia più o meno estesa di rischio di lesioni alla stessa connaturato e quindi accettato come inevitabile dal singolo partecipante cosicchè verrebbero riguardate come illecite da parte dell’ordinamento generale le sole lesioni esorbitanti rispetto a detta soglia di rischio c.d. “consentito”, mentre quelle in essa ricomprese acquisirebbero rilievo soltanto nell’ambito del particolare sport di riferimento.

LA SCRIMINANTE SPORTIVA. Con il termine scriminante si indica una particolare situazione giuridica in cui, per il ricorrere di un diritto reputato meritevole di tutela, il fatto illecito di un soggetto non subisce le conseguenze penali che l’ordinamento gli riconnette. In generale agli artt. 50 ss del codice penale esse sono definite come particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe da considerarsi reato, tale non è perché la legge lo consente, lo impone o lo tollera l’ordinamento tollera tali

illeciti perché il diritto che vi è sotteso è ritenuto egualmente o maggiormente meritevole di tutela rispetto a quello leso. Esistono scriminanti tipiche ed atipiche, e, fra queste ultime, quella sportiva è una delle più peculiari. In merito bisogna innanzitutto ricordare come l’ordinamento sportivo sia ordinamento a sé, con proprie norme e valori, che possono coincidere o non coincidere con quelle dell’ordinamento generale (l’ordinamento sportivo è teso alla prevenzione di un danno sociale –cd. etica dello sport, utilità universale dei valori ad esso sottesi-: nella pratica di attività sportive ci si attende in generale un atteggiamento corretto e rispettoso dei diritti personali coinvolti (integrità fisica e psichica, tutela della salute etc.) ma, qualora non vi sia da parte di un atleta la volontà di ledere, l’ordinamento sportivo adotta un approccio per così dire “indulgente” riconoscendo la mancanza di responsabilità del soggetto.

Su cosa si fonda tale indulgenza? ARTT. 50 E 51 DEL CODICE PENALE: ovvero sul legittimo esercizio di un diritto (quello di fare sport, implicitamente tutelato a livello costituzionale agli artt. 2,18,32,33,34,117) e sul consenso dell’avente diritto, ovvero del soggetto che “volontariamente” si presta al rischio dell’attività sportiva, ma con l’evidente limite di cui all’art. 5 cc sugli atti di disposizione del proprio corpo. Praticando un’attività sportiva infatti si è chiamati al rispetto di determinate regole tecniche e all’accettazione del cd. rischio consentito, connaturato all’attività stessa, che implica la comprensione, da parte degli attori, che nel contesto possa crearsi naturalmente una situazione lesiva dei diritti altrui: se tale lesione tuttavia è involontaria e viene ad esistenza nonostante il rispetto delle regole, il soggetto è scriminato. Questo, certamente, con le dovute differenziazioni: è vero in generale che la colpa lieve è scusata mentre quella grave configura responsabilità sportiva, ma ci sono particolari tipologie di sport in cui la soglia del rischio consentito è molto bassa perché implicano di per sé un contatto che può ingenerare nell’altro lesioni gravissime  L’attività sportiva, certamente comporta in generale una carica agonistica dalla quale consegue un contatto fisico che, eventualmente, può generare la commissione di illeciti apprezzabili penale MA in questi specifici sport (detti a contatto necessario) la perizia, e non la mera diligenza, sono requisiti fondamentali per il rispetto puntuale delle regole tecniche e la tutela dei beni primari coinvolti. In merito si distinguono: 

sport a contatto necessario ovvero intrinsecamente violenti, in cui l’attività sportiva è causa efficiente ovvero condicio sine qua non di illeciti, perché la violenza è in re ipsa (ad esempio il pugilato, lotta libera, rugby, sport automobilistici in cui la pericolosità è data dalla velocità e dal mezzo utilizzato) le regole tecniche da osservare qui sono numerose e

per lo più di natura preventiva di infortuni frequentemente molto gravi quando non addirittura mortali, e si può conseguentemente constatare che, con riguardo a tale categoria di attività sportive, la pretesa al rispetto delle regole, del controllo dei colpi inferti e della perizia è massima (opera il cappello protettivo del 2043 c.c., non 2050 perché manca il coinvolgimento di terzi) 

sport a violenza eventuale, laddove, invece, il contatto fisico è possibile ma non necessario, come il calcio o il basket ( dove troviamo il cd. rischio del fallo accettato) si rileva la tendenza a considerare “fisiologico” il rischio generico del “fallo”, di tal che, l’eventuale pregiudizio all’incolumità personale provocato per inosservanza delle regole non viene ritenuto “ingiusto” sul piano dell’ordinamento generale, bensì soltanto nell’ambito di quello sportivo, a condizione tuttavia che si riveli funzionalmente inserito nell’azione di gioco e non si presenti rispetto alla stessa avulso o meramente occasionato e/o addirittura ispirato ad intenzionalità lesiva. Agli effetti di tale giudizio, che fa leva su una rilevata gradazione della colpa in termini di colpa lieve, come tale scriminata, e colpa grave, al contrario non scusabile, potrà soccorrere, il criterio della gravità del danno eventualmente cagionato (valutato in concreto in relazione al nesso funzionale fra azione lesiva e contesto agonistico di gioco)



quelle attività dove la violenza è alla radice esclusa dalla tipologia di attività esercitata (nuoto, tennis, l’atletica leggera) dove la violenza non è mai consentita

In merito alle prime due classi si pongono i principali problemi relativi alla configurazione e all’entità della responsabilità, alla graduazione dell’elemento psicologico e alla delimitazione della soglia Generalmente in tema di lesioni cagionate nel contesto dello svolgimento di un’attività sportiva, allorquando venga posta a repentaglio coscientemente l’incolumità del giocatore, che legittimamente si attende dall’avversario un comportamento agonistico anche rude, ma non esorbitante dal dovere di lealtà fino a trasmodare nel disprezzo dell’altrui integrità fisica, si verifica il superamento del cd. rischio consentito, con il conseguente profilarsi della responsabilità per dolo o per colpa. Il dolo si configura ogni qualvolta vi sia intenzionalità lesiva ALDILÀ DEGLI SCHEMI PROPRI DELLA COMPETIZIONE, quando cioè la circostanza di gioco è solo l’occasione dell’azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica eccessivo e non funzionale al gioco(per ragioni estranee alla gara o per pregressi risentimenti personali o per ragioni di rivalsa, ritorsione o reazione a falli precedentemente subiti, in una logica dunque punitiva o da contrappasso  non c’è alcun nesso causale fra azione di gioco e lesione).

Siamo invece nell’ambito della colpa –che dovrà essere graduata in funzione del nesso causale fra azione di gioco e lesione- quando, invece, la violazione delle regole avvenga nel corso di una ordinaria situazione di gioco, in quanto la violazione consapevole è finalizzata non ad arrecare pregiudizi fisici all’avversario, ma al conseguimento, in forma illecita, e dunque anti-sportiva, di un determinato obiettivo agonistico: in questo contesto la colpa sarà lieve, e dunque scriminata, se la violenza è determinata da una mancanza di prudenza media, mentre sarà grave se l’atleta viola le regole specifiche del gioco, mancando gravemente di perizia, diligenza e lealtà.  NEGLI SPORT AD ELEVATA ED INTRINSECA PERICOLOSITÀ –motoristici o a violenza necessaria- LA RESPONSABILITÀ SI CONFIGURA ANCHE SENZA INTENZIONALITÀ PERCHÉ LA COLPA GRAVE DISCENDE GIÀ DAL MANCATO RISPETTO DELLE REGOLE TECNICHE SPECIFICHE questo perché sono sport naturalisticamente pericolosi e in quanto tali necessitano di un grado di protezione dei diritti coinvolti più elevato soglia del rischio più bassa piùnorme tecniche più puntuali. E negli altri sport? La colpa grave potrebbe non integrarsi con una mera violazione delle regole del gioco: bisognerà valutare il nesso funzionale fra azione di gioco e lesione e la gravità del danno arrecato, di talché la violazione della regola sportiva resterà un mero elemento di prova. A maggior ragione, negli sport a ridotta aspettativa agonistica la soglia del rischio è maggiormente accettata. Se invece non c’è alcuna violazione di norme né eccessività nel comportamento del soggetto, né tantomeno intenzionalità lesiva non si configurerà alcun illecito (sportivo, penale o civile). RICAPITOLANDO in considerazione degli indirizzi giurisprudenziali, le situazioni verificabili sono quattro: 1. L’atleta cagiona un danno all’avversario senza violare alcuna regola tecnica e senza intenzione di ledere, né con modalità della condotta eccessive rispetto al perseguimento dell’obiettivo di vincere: in tal caso non incorrerà in alcuna responsabilità; 2. l’atleta cagiona un danno all’avversario nel formale rispetto delle regole di gara, ma intenzionalmente, ovvero con modalità eccessive o comunque non strettamente funzionali al contesto di gioco: in tal caso, la presenza del dolo o della colpa grave determinerà la responsabilità penale e/o civile, che infatti non può considerarsi esclusa dal semplice rispetto delle regole;

3. l’atleta provoca un danno all’avversario violando le regole del gioco, ma senza intenzionalità lesiva: in tal caso, negli sport a violenza necessaria e negli sport motoristici, si sarà senz’altro in presenza di colpa grave, che determinerà la responsabilità penale e/o civile; negli altri sport occorrerà valutare se l’atleta versi in colpa grave o lieve, avvalendosi del criterio del “nesso funzionale” fra l’azione di gioco e la lesione arrecata, la cui accertata presenza evidenzierà la colpa “lieve” dell’atleta, mandandolo esente da responsabilità sul piano dell’ordinamento generale; a tal fine, sarà altresì verosimilmente rilevante la considerazione della gravità del danno cagionato in rapporto al particolare sport; 4.

infine, con riferimento a contesti sportivi relativamente ai quali ci si attende una ridotta carica agonistica, come le gare fra dilettanti o fra minori, oppure le attività di allenamento, si tende a considerare ridotta, quando non addirittura nulla, la soglia di rischio sportivo “consentito”, e a considerare quindi gravemente colposa la condotta lesiva che valichi detta soglia, pretendendosi infatti, se non lo stretto rispetto delle regole tecniche vigenti per l’attività sportiva di riferimento, comunque l’osservanza delle comuni regole di diligenza, prudenza e perizia, di cui all’art. 2043 c.c..

*la dottrina sovente tenta di graduare l’elemento soggettivo della colpa “individualizzandola”, modellandola cioè sulla situazione concreta e sulla capacità dell’autore dell’illecito di rispettare di fatto le aspettative deluse es. che ruolo gioca la stanchezza alla fine di un match o le situazioni di ansia da prestazione o eccessiva tensione CASI GIURISPRUDENZIALI: -CASO ROLLA: durante una partita di pallacanestro un atleta sferra un pugno ad un avversario, a gioco fermo, come reazione ad una precedente gomitata, rompendogli la mandibola. La cassazione riconosce la responsabilità penale del soggetto in quanto il gesto si palesava come una chiara violazione delle regole di gioco, totalmente al di fuori degli schemi d’azione del basket, presumibilmente con l’intento di intimidire l’avversario: conferma la sentenza d’appello e ritiene sussistente la colpa grave del giocatore per aver compiuto il gesto nell’ambito della competizione, ma totalmente aldilà degli schemi propri di quest’ultimo, violando le regole e le basi minime della lealtà sportiva, con un impeto irrazionale non giustificabile. -CASO LOLLI ( SENT. 9627/1992), nell’ambito di una partita di calcio fra dilettanti un difensore aveva atterrato con un calcio l’attaccante avversario, in possesso di palla e lanciato a rete. In questo

caso la corte aveva innanzitutto affermato che “l’accertamento relativo al superamento del rischio consentito è questione di fatto da risolvere caso per caso in relazione al tipo di sport ed anche al tipo di gara nell’ambito di quel determinato sport” e che, tanto più in contesti dilettantistici, viene richiesta una particolare cautela e prudenza per evitare il pregiudizio fisico all’avversario, e quindi un maggior controllo dell’ardore agonistico, non equiparabile a quello che caratterizza le competizioni sportive tra professionisti, le cui azioni impetuose, invece, sono scriminate nei limiti del rischio consentito. Inoltre, la Cassazione ha escluso l’elemento del dolo “perché il fatto lesivo avvenne in un’azione di gioco finalizzata ad impedire che l’avversario si proiettasse con il pallone verso la rete avversaria”, ma ha riscontrato la sussistenza della colpa perché il difensore commise un fallo che, oltre ad essere volontario, era diretto contro l’avversario e di portata tale (non sgambetto, ma violento calcio sulla gamba) da comportare la prevedibilità di conseguenze gravemente lesive non ammissibili, per di più in un incontro tra dilettanti. Secondo la sentenza Lolli il superamento del rischio consentito si verifica “quando il fallo, oltre che essere volontario, sia di tale durezza da comportare la prevedibilità di pericolo serio dell’evento lesivo a carico dell’avversario, che in tale caso viene esposto ad un rischio superiore a quello accettabile dal partecipante medio”. -CASO LUPINO: in un incontro di pugilato uno degli atleti sferra un pugno all’altro, cagionandone la morte. Il Tribunale di Milano con la Sent. del 14/01/1985 ha statuito che “non integra né il delitto di omicidio preterintenzionale, né quello colposo, il fatto che un pugile, in assenza di colpi volontariamente diretti a cagionare lesioni e della violazioni di norme regolamentari e di altre di prudenza e diligenza, abbia cagionato, durante un incontro sportivo, la morte dell’avversario.” Non costituisce reato, quindi, la morte cagionata in un match pugilistico quando risulti che il combattimento si è svolto con l’osservanza della disciplina relativa, senza “colpi proibiti” o comunque diretti a cagionare lesioni e senza eccessi o imprudenze da parte dei pugili in questo caso i colpi sferrati erano leciti, nell’ambito di uno sport, a contatto necessario, che prevede tali situazioni di rischio e identifica, come condizione essenziale per lo svolgimento della competizione, il rispetto delle regole tecniche

*Scriminante in altri sport pericolosi:

SPORT MOTORISTICI, in sono compresi automobilismo, motociclismo e ciclismo, in cui la pericolosità è data dall’elevata velocità e dall’utilizzo di particolari mezzi di spostamento. Occorre distinguere fra: - gare a circuito aperto al pubblico transito vigono meccanismi di imputazione della responsabilità di natura “oggettiva” od “aggravata” (art. 2054 c.c., responsabilità oggettiva del conducente, e 2050 cc. Perché il rischio coinvolge terze persone. Tuttavia, proprio per questo, se i terzi si rendono corresponsabili dell’illecito –attraversando ad esempio le barriere predisposte- si avrà un concorso di questi alla lesione, pertanto saranno parzialmente scagionati organizzatore e pilota. [il caso è stato affrontato dal tribunale dell’Aquila per una minore investita) Nelle gare su strade aperte al traffico trova applicazione, ove ne ricorrano i presupposti di fatto, l’art. 2054 c.c. sulla presunzione semplice di uguale concorso nella produzione del danno nel caso di scontro tra veicoli. - gare a circuito chiuso, in cui, in linea di principio, il rischio dovrebbe coinvolgere i soli gareggianti pretesa al massimo rispetto delle regole tecniche, e comunque ala massima perizia e padronanza nell’equilibrare audacia e controllo della propria condotta (art. 2043 c.c.). *CASO DELLA GARA DI RALLY: in una gara di rally a circuito chiuso il pilota, uscendo fuori strada dopo una curva, investe e cagiona la morte di un’intera famiglia. Il pilota viene condannato dal Tribunale di Ivrea per omicidio colposo plurimo così come l’organizzatore della gara, responsabile di non aver adottato le misure di sicurezza idonee a scongiurare il verificarsi di fatti lesivi tanto gravi. I giudici confermano che, con riferimento ai piloti dei rallies, essi sono esonerati dalla responsabilità penale e civile derivante dalle loro condotte causanti danni all’integrità fisica altrui, solo se hanno agito con quel livello di perizia, prudenza e diligenza richiesta non al normale guidatore su strada, ma all’astratto pilota modello di un rally, tenuto conto ovviamente delle particolarità di ogni specifica gara e di ogni singolo mezzo utilizzato per correre. Dunque, seppure sussista la regola secondo cui non ad ogni condotta imperita e/o imprudente del pilota di rallies che cagioni dei danni a terzi corrisponda una sua responsabilità penale, tuttavia essa permane qualora l’imperizia e/o l’imprudenza dell’agente sia di tale gravità da superare la cosiddetta soglia del rischio consentito dall’ordinamento, soglia individuata di volta in volta dal Giudice di merito, in ragione delle circostanze del caso concreto  in questo caso il pilota, accortosi di essere uscito fuoristrada, aveva effettuato una manovra imprudente ed azzardata, violando così la minima soglia della perizia che ci si può legittimamente attendere dal pilota modello e andando oltre il rischio

consentito. Anche se non vi sono norme specifiche che codificano il comportamento da tenere, l’errore appariva palesemente grossolano, al limite dell’abnormità, come anche attestato dai video mostrati in aula per ricostruire la dinamica del fatto. Il pilota inoltre viene equiparato dai giudici al medico chirurgo al quale, compiendo un’attività socialmente utile ma profondamente pericolosa, è richiesto un grado di perizia tecnica e diligenza superiore a quella che ci si attende dall’uomo medio....


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