LA Controriforma riassunto libro PDF

Title LA Controriforma riassunto libro
Course Mediazione linguistica
Institution Università per Stranieri di Siena
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LA CONTRORIFORMA IL CONCILIO DI TRENTO Il Concilio si aprì il 13 dicembre 1545 con una processione verso la cattedrale della città. A presiederlo erano 3 uomini: Giovanni Maria del Monte (papa Giulio III), Marcello Cervini (Marcello II) e Ercole Gonzaga. Se ne manifestò la necessità in seguito alla Riforma operata da Martin Lutero e al suo clamoroso successo: il movimento protestante si era infatti diffuso in gran parte della Germania, della Francia e di molti territori europei, inoltre i principi protestanti si erano uniti nella Lega di Smalcalda per difendere la propria fede sfidando l’imperatore e il Papa. La richiesta principale era quella di un rinnovamento spirituale e morale della Chiesa, che tra l’altro molti cattolici appoggiavano ma alla quale non poterono aderire perché ciò avrebbe significato mettere in dubbio l’autorità del papato. La prima fase del Concilio fu fortemente influenzata dal papa e dall’imperatore. Carlo V voleva risolvere lo scisma in Germania, mentre era impegnato nella lotta contro Francesco I di Francia per la conquista dell’egemonia europea e contro i turchi e i corsari. Aveva quindi bisogno di uomini e denaro, che ottenne dai protestanti lasciandogli delle concessioni. Questo lo portò ad avere contro molti cattolici, con i quali cercò un compromesso raggiunto a Ratisbona nel 1541 ma rifiutato sia da cattolici che protestanti. La sua unica speranza rimaneva quindi la convocazione di un concilio universale che riformasse la cristianità corrotta e che si svolgesse nei territori dell’impero, così che lui avrebbe potuto controllarlo. D’altra parte, Paolo III credeva che risanare lo scisma fosse ormai impossibile e voleva concentrarsi piuttosto sull’Europa meridionale, rimasta fedele. Il Concilio inoltre poteva radunarsi solo sotto l’autorità papale. Il suo scopo era quello di affrontare questioni dottrinali per delineare il confine tra eresia e ortodossia bloccando ogni attacco alla propria autorità. La scelta di Trento rappresentava un compromesso: si trovava nel Sacro Romano Impero ma una numerosa parte della popolazione era italiana. Portavoce di Carlo V era il cardinale Cristoforo Madruzzo, mentre il Papa aveva inviato 3 legati. Già nell’organizzazione sorsero però disaccordi: la maggioranza voleva dare la precedenza alla discussione delle riforme, i legati riuscirono però a imporre la discussione parallela di questioni dottrinali e riforme. Il dibattito più importante riguardò sicuramente la dottrina della giustificazione per sola fede (sola fide), fortemente richiesta dai protestanti e appoggiata anche da numerosi cattolici, che minava però l’autorità clericale e il valore dei sacramenti. Mentre il Concilio era già iniziato però i protestanti tedeschi si erano rifiutati di prendervi parte, così Carlo V aveva deciso di passare alle armi. Nell’agosto del 1546 i teologi avevano tratto le prime conclusioni ed erano pronti a proporle a tutti. Essi cercavano un ponte con la sola fide, che fu approvato dopo una lunghissima serie di dibattiti con i padri conciliari. Per quanto riguarda le riforme invece, argomento centrale fu la residenza dei vescovi. Qualsiasi riforma in questo campo però andava contro l’autorità papale, che voleva principalmente accumulare territori e per questo autorizzava la non residenza (i cardinali assegnavano spesso i territori ai familiari). Anche in questo caso il dibattito fu molto lungo; più breve fu invece la discussione sulle dottrine: vennero confermati i 7 sacramenti. A lungo andare si fece sentire il conflitto tra papa e imperatore, quindi tra fazione filoimperiale e papale. Dopo le vittorie di Carlo (quella decisiva a Mühlberg contro la Sassonia e l’Assia), Roma temeva che l’imperatore si sarebbe guadagnato il diritto di comandare, e per evitare ciò si propose di spostare il Concilio in territorio pontificio. Carlo V però non voleva, perché solo rimanendo a Trento poteva costringere i protestanti a partecipare. Nonostante ciò, il Concilio venne spostato a Bologna. Si conclude così la prima fase, alla quale hanno partecipato rappresentanti di tutti i paesi cattolici ma nessun tedesco, e che principalmente è stata guidata dai legati papali. Risultato: 4 decreti di riforma → oggetto di dispute violente tra conservatori e coloro che riconoscono l’esigenza di un nuovo spirito (residenza); 4 decreti concernenti i dogmi → autorità della Vulgata (conferma della tradizione ecclesiastica), conferma dei 7 sacramenti, decreti sul peccato originale e sulla giustificazione delineano differenze tra dottrina cattolica e protestante. Seconda fase: I sessione → Bologna, 21 aprile 1547-giugno 1548. Carlo V fa pressioni sul nuovo papa Giulio III per riportare a Trento il Concilio. II sessione → Trento, 1551-1552. In seguito alla conferma della dottrina della transustanziazione si ha la definitiva rottura tra cattolici e protestanti (partecipano al Concilio ma non hanno molto peso). Non ci furono grandi progressi a livello di riforme. Centrale fu la figura di Francisco de Toledo, ambasciatore imperiale, che riuscì a far sempre piegare il papa alle proprie esigenze. Alla fine di questa fase, nel 1552 con la dieta di Augusta viene riconosciuta la confessione luterana nell’impero e Giulio

III, che finalmente è aperto all’attuazione di riforme, con la bolla Varietas temporum accetta i suggerimenti della commissione da lui nominata ma muore prima che essa venga pubblicata. Dopo di lui, papa Marcello II è propenso a riforme ma è fermato dalla prematura morte e viene nominato papa Paolo IV. Il suo riformismo e la sua volontà di ritorno alla povertà (fonda l’ordine dei teatini) è però danneggiato dal forte regime repressivo che mette in atto. Dopo di lui, papa Pio IV, più moderato, decide di riconvocare il Concilio, motivato dalla complessa situazione politica europea che vede non più papato contro impero ma 4 grandi potenze in contrasto (Francia, Spagna, Impero e papato). In questa fase l’imperatore Carlo V viene sostituito da Ferdinando I. Terza fase: Trento, 18 gennaio 1562 – 3 dicembre 1563. Tedeschi, inglesi e scozzesi non partecipano. Nonostante questo, la partecipazione fu numerosissima rispetto agli anni precedenti (portoghesi, svizzeri, italiani, bavaresi, ambasciatori imperiali, francesi). Si inizia subito con una crisi: nonostante fosse stato stabilito l’obbligo di residenza, il partito curiale continua a rifiutarlo per interessi economici. I vescovi italiani si trovano però in contrasto con tutti i vescovi non italiani riuniti in un partito riformatore. Un altro dibattito importante riguarda la comunione sotto le due specie (con il pane e con il vino) e la decisione finale (comunione ai laici in una sola forma) contribuisce a differenziare cattolici e protestanti. Con l’entrata in scena dei francesi continuano i dibattiti sulla questione della consacrazione e del diritto divino dei vescovi, che va però a minare l’autorità papale. Seguì una fase di conflitti anche personali che impedirono ogni tipo di progresso e si cominciò quindi a perdere la fiducia sulla volontà di Roma di riformarsi. Dopo questo periodo di crisi, sotto la guida del cardinale Morone, il Concilio riprese e venne confermato il decreto sulla residenza episcopale senza minare l’autorità papale. Venne inoltre ribadita la superiorità dei vescovi sul clero diocesano e l’erezione di monasteri per istruirli. Nell’ultima fase la partecipazione raggiunse l’apice. Si discusse il sacramento del matrimonio, approvando il decreto Tametsi, secondo il quale non erano validi i matrimoni contratti senza almeno 3 testimoni, da maschi sotto i 20 anni e da femmine sotto i 18. Inoltre proibiva di risposarsi in caso di infedeltà (altra differenza con il protestantesimo). Un altro dibattito riguardò la riforma del clero. Dopo numerose proteste si approvarono i decreti di riforma che riguardavano la vita clericale (rafforzamento autorità dei vescovi su capitoli e collegiate, restrizioni negli appelli a Roma, regolari visite pastorali, allontanamento dalle parrocchie di preti non casti, riforma di tutti gli ordini religiosi). I NUOVI ORDINI RELIGIOSI È all’inizio del ‘500 che lo spirito di riforma ha effetti sulla gerarchia ecclesiastica: a partire da Iñigo di Loyola, giovane che dopo aver abbandonato la carriera militare si convertì all’ascetismo e fondò il nuovo ordine della Compagnia di Gesù (1537, ordinati preti da Paolo III, vogliono imitare l’opera dei primi apostoli nella predicazione della fede), nacquero numerosi altri ordini religiosi (cappuccini – ispirati allo spirito francescano, teatini – spirito ascetico, fondati nel 1524 dal vescovo di Chieti o Teate Gian Pietro Carafa, dedicati alla cura d’anime; barnabiti – ordine ascetico, prendono il nome dalla chiesa di San Barnaba a Milano, fondati nel 1530; somaschi – nascono nel 1528 a Venezia con lo scopo di prendersi cura degli orfani; lazzaristi; ordini femminili: angeliche, orsoline, visitandine accanto a già esistenti carmelitane, benedettine e terziarie francescane). I nuovi ordini (osservanti) hanno in comune che si sviluppano nell’Italia centro-settentrionale, nella prima metà del ‘500 devastata dalle guerre tra Valois e Asburgo, si dedicano ai mali della società e sono protetti dai nobili, infine manifestano una tendenza all’ascetismo. In questo primo periodo gli ordini tradizionali (conventuali) subirono un duro colpo per poi recuperare nel ‘600, a parte i domenicani che furono molto partecipi al Concilio di Trento e all’Inquisizione. Dai francescani nasce e prende autonomia l’ordine dei cappuccini, forza guida del rinnovamento dopo i gesuiti. Essi nascono nel 1525 come movimento apostata, insoddisfatti della rilassata osservanza dei francescani. Dalla gente vengono chiamati “scapuccini”, eremiti vaganti, e ottengono il riconoscimento papale nel 1528 grazie all’appoggio di numerosi nobili. Essi si dedicarono molto a svolgere opere di carità e diedero un forte contributo durante i periodi di pestilenze, sacrificandosi per i malati. Nella prima metà del ‘600 si diffusero anche in Francia e nell’Europa centrale operando intensi cicli di predicazione. Ebbero un ruolo centrale nella diplomazia europea e insieme ai gesuiti contrastarono i protestanti nell’Europa settentrionale, proclamandosi i maggiori difensori della controriforma. I gesuiti invece si dedicarono di più alla predicazione nelle strade, negli ospedali, nelle prigioni e in terra straniera. Vennero da subito individuati come compagnia mobile e furono molto criticati per la loro vicinanza al Papa e a alla parte bassa

della società. Avevano una struttura fortemente centralizzata (Ignazio fu primo generale), regolata da costituzioni. I loro contributi maggiori furono come missionari (arrivando nelle colonie americane, in tutte le aree europee e addirittura in Asia) e come insegnanti (dapprima nelle università, poi nei nuovi collegi, apposta per istruire nuove reclute). I primi collegi furono a Gandia, Messina, Palermo e Colonia per poi arrivare a numeri elevatissimi a livello internazionale. Ottennero sovvenzioni da tutta Europa e furono frequentati dalla società medio-alta, destinati a diventare personaggi importanti nel clero e nella società (Cartesio, Richelieu e tanti altri). L’insegnamento (gratuito) prevedeva l’istruzione di latino e greco, nonché teologia cattolica e etica. Essi ebbero tanto successo da riuscire a guidare le coscienze di numerosi sovrani europei. Con il Concilio di Trento si assiste a cambiamenti anche per quanto riguarda il mondo religioso femminile: nel 1566 la bolla Circa pastoralis promulgata da Pio V impose la clausura a tutte le comunità religiose femminili, inclusi i terzi ordini e i conventi di monache fino ad allora esenti. Lo scopo di ciò era raggiungere una clausura più rigida per proteggere le monache dalle tentazioni del mondo e la preservazione da parte delle famiglie nobili del patrimonio e della castità delle figlie, in vista di eventuali accordi matrimoniali. Centrale fu il ruolo di Teresa d’Avila, che si dedicò a rendere invisibili le donne nei monasteri. Ebbe molto successo in quanto riuscì a conciliare la volontà maschile di controllo e la sete di onori delle élite. Si andò così a rimpiazzare il modello tardo-medievale dei beghinaggi (comunità autonome aperte di pie donne tipiche dell’Europa settentrionale). L’ordine delle angeliche ad esempio, fondato a Milano nel 1535 come ramo dei barnabiti e del quale facevano parte donne di varia estrazione sociale, inizialmente non era sottoposto alla clausura e anzi maschi e femmine si ritrovavano spesso e operavano insieme. Poi però furono indagati dall’Inquisizione e le angeliche furono costrette a una severa clausura e i barnabiti furono repressi. Il pericolo rappresentato dalle angeliche consisteva nello scandalo di un potere femminile che si esprimeva pubblicamente tramite esibizioni di contesse in abiti penitenziali o nell’obbedienza di sacerdoti alla “divina madre”. La compagnia di sant’Orsola nacque invece nei pressi di Brescia nel 1532 e accolse principalmente donna di estrazione sociale più modesta. Esse vivevano in comunità o in famiglia, obbedivano all’autorità religiosa maschile (affiliate alla Compagnia della pace) e si dedicavano alle opere di carità e all’insegnamento delle giovani fanciulle seguendo l’esempio dei gesuiti. Fu probabilmente per questo che esse non incontrarono particolari opposizioni, anzi furono appoggiate e non furono costrette alla clausura. Si diffusero anche in Francia, dove acquisirono un carattere più nobile. Un ordine femminile esplicitamente ispirato ai gesuiti fu quello delle damigelle inglesi, fondato da Mary Ward, dedito all’insegnamento e alla predicazione. Esse furono però contrastate dai gesuiti stessi e causarono la pubblicazione di una bolla che vietava l’uso del nome della Compagnia per gli ordini femminili. Le regole necessarie per far approvare alla Chiesa gli ordini femminili sembravano tre: sostegno di chierici maschi, esercizio della pietà senza pretese di potere e rango sociale. Appoggiate dai gesuiti furono invece, oltre alle orsoline, le caterine (fondate da Regina Protmann). Altro ordine che fu contrastato fu quello delle visitandine o suore della Visitazione; essendo esse formate perlopiù da donne appartenenti alle élite della società erano soggette a lassismo e mondanità e crearono molti scandali. In conclusione, fondamentale per il successo degli ordini femminili fu la cooperazione con ordini maschili. Le scelte venivano inoltre prese più che altro dalle famiglie e dalle condizioni sociali delle stesse. Al di sopra di tutti gli attributi della religiosità femminile diventò in questo periodo la castità, mentre nel Medioevo il matrimonio non era un vincolo per la santità. Per salvaguardare la castità, la chiesa impose (non senza incontrare resistenze) la clausura ai monasteri femminili. Questa chiusura che spingeva le monache a una più inflessibile disciplina del corpo alimentò al tempo stesso il misticismo e le visioni. LA CHIESA TRIONFANTE Il rinnovamento cattolico, che ebbe le sue radici in Italia e nella penisola iberica, si sviluppò in due modi diversi. Portogallo: dopo la morte del re Sebastiano nel 1578, il legame tra autorità ecclesiastica e monarchica si fece sempre più stretto. Nacquero a partire dal 1640 (anno della divisione dalla Spagna) molte sette messianiche, tra le quali ad esempio il “sebastianesimo”, che credevano nell’arrivo appunto di un nuovo re che avrebbe piano piano diffuso la fede cattolica in tutto il mondo. Numerosi tra questi furono i missionari. Caratterizzante di questo periodo fu la persecuzione di ebrei convertiti ( marranos o conversos), i nuovi cristiani associati agli ebrei “giudaizzanti” e denunciati per le sue origini e per il mantenimento di

tradizionali comportamenti/riti familiari. Essi furono presi di mira dall’Inquisizione, simile a quella spagnola, con a capo un Consiglio generale e articolata in 4 tribunali regionali (Lisbona, Coimbra, Evora e Goa). Inquisizione e visite episcopali divennero due istituzioni complementari per consolidare la disciplina religiosa, suddividendosi gli ambiti di azione ma condividendo spesso il personale (aumenta l’attenzione dalla repressione di ebrei e protestanti al disciplinamento di masse cattoliche). Queste operazioni di persecuzione e inoltre la conversione tramite missioni religiose furono portare avanti soprattutto dai gesuiti portoghesi, che furono poi cacciati a metà ‘700. Spagna: la Spagna rimase il paese cattolico per eccellenza, con la minor presenza protestante. Infatti la monarchia stessa si considerava la più sicura paladina della fede, l’Inquisizione non risparmiava nessun rango e l’autorità tanto del re quanto dell’Inquisizione era riconosciuta da tutta la popolazione. Filippo II, forte di numerosi poteri e privilegi a livello ecclesiastico, si fece difensore della fede, così come fecero anche i successori Filippo III e IV. L’azione di centralizzazione regia e ortodossia cattolica fu portata avanti anche qui dall’Inquisizione. Essa era nata per contrastare i conversos (ebrei convertiti per convenienza) e contribuì all’esclusione dalla piena partecipazione alla vita civile di coloro che avevano radici ebree (limpieza de sangre). Con la riforma protestante, dalla seconda metà del ‘500, le persecuzioni si concentrarono contro alumbrados, protestanti e moriscos. Con il passare del tempo e il coinvolgimento di una classe elitaria (commissari e familiari degli inquisitori), l’istituzione finì per passare a salvaguardare i privilegi sociali. Non va però dimenticato che, in quanto difensore della fede cattolica, il tribunale dell’inquisizione fu creato dal popolo spagnolo, che rimase a lungo molto legato al cattolicesimo fatta eccezione per alcune regioni periferiche. Importanti nel periodo del rinnovamento furono i mercanti, che spesso destinavano alla Chiesa i propri figli e si impegnavano di diffondere la fede. Inoltre, le carestie di inizio ‘600 e il declino demografico portarono all’aumento dell’attività ecclesiastica. Italia: in Italia, allora sotto il controllo della Spagna, l’autorità statale ed ecclesiastica si diffuse principalmente al nord. Con l’attività del cardinale Borromeo molte riforme tridentine vennero approvate e si diffuse soprattutto tra i nobili la tendenza alla beneficenza e alla carità (soccorso a gruppi precedentemente trascurati). Altri successi furono conseguiti nello sradicamento dell’eresia e nel disciplinamento del clero. Consolidando l’autorità centrale si riuscì a reindirizzare la vita sacramentale, promuovere confraternite e costituire uniformi liste d’anime. Questa forma di controllo trovò opposizioni nel Mezzogiorno, dove esistevano realtà ecclesiastiche più privilegiate (chiese ricettizie, dove le élite controllavano i benefici ecclesiastici). Il divario tra le riforme e le pratiche del Mezzogiorno fu accentuato anche dal fatto che molti vescovi non risiedevano nelle loro diocesi, e in generale la riforma non riuscì a diffondersi. Prese invece piede la figura del missionario: il Mezzogiorno divenne un centro di missioni interne a livello europeo. Vari ordini si recavano nei villaggi a predicare e talvolta fondavano confraternite che potessero portare avanti l’opera da loro iniziata. Il rinnovamento portò però a convergere devozione popolare e rituali officiali, creando il culto dei santi dai poteri taumaturgici, considerato ridicolo e barbaro dalle élite. LA CHIESA MILITANTE Nella lotta tra cattolici e protestanti, l’Europa divenne teatro di battaglie e nei paesi del nord (poi calvinisti), la Controriforma agì in modi diversi e trovò risposte diverse. Polonia: qui la popolazione era eterogenea e la nobiltà sosteneva perlopiù la tolleranza religiosa, infatti le idee protestanti trovarono un’ampia diffusione. L’offensiva della Controriforma iniziò nella seconda metà del ‘500 con Stanislao Osio (mediatore tra Cracovia e Roma nel Concilio di Trento, porto in Polonia l’ordine dei gesuiti) e fu molto influenzata dalla cultura italiana (in seguito al matrimonio tra re Sigismondo I e Bona Sforza). Nonostante la lotta contro le eresie, non si riuscì ad eliminare le sette cattoliche, che appoggiarono i nobili nella questione della tolleranza. Dopo il 1576 tuttavia, grazie all’azione di gesuiti e francescani osservanti, le conversioni furono numerosissime e la Polonia si fece difensore della Controriforma. Si tentò di unire la chiesa cattolica e ortodossa, firmando nel 1596 l’Unione di ...


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