La detenzione di Breivik nelle carceri norvegesi PDF

Title La detenzione di Breivik nelle carceri norvegesi
Author franco Dellacasa
Course Diritto penitenziario
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

La detenzione speciale norvegese al "setaccio" dell'art. 3 CEDU...


Description

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE ISSNS0557-1391

AnnoSLIXSFasc.S3S-S2016

FrancoSDellaSCasa

LA DETENZIONE SPECIALE NORVEGESE “AL SETACCIO” DELL’ART. 3 CEDU. LA CORTE DI OSLO APRE ALLE DOGLIANZE DEL CONDANNATO BREIVIK Estratto

MilanoS•SGiuffrèSEditore

NOTE DI DIRITTO STRANIERO E COMPARATO

LA DETENZIONE SPECIALE NORVEGESE “AL SETACCIO” DELL’ART. 3 CEDU. LA CORTE DI OSLO APRE ALLE DOGLIANZE DEL CONDANNATO BREIVIK Abstract L’A. analizza la decisione della Corte distrettuale di Oslo, in cui si è dichiarato che il terrorista Breivik, condannato il 24 agosto 2012 per l’uccisione di circa 80 persone, è stato sottoposto ad una detenzione non conforme alle direttive dell’art. 3 CEDU. Viene condivisa l’opinione della Corte norvegese che ha accolto il ricorso di Breivik, basandosi non solo sulla lunga durata dell’isolamento, ma anche sulla mancata predisposizione di misure idonee a controbilanciarne gli effetti e sull’impossibilità di sottoporre le determinazioni dell’amministrazione penitenziaria in tema di isolamento e di assegnazione ad una sezione ad altissimo indice di sicurezza al controllo di un giudice.

The Norwegian High Security Detention examined in the Light of Article 3 ECHR. The Oslo Court upholds the Claim lodged by Convict Breivik Abstract The Author analyses the verdict of the District Court of Oslo, in which it has been stated that Breivik, the terrorist who was condemned on the 24 of August 2012 for the murder of about 80 people, has been subjected to the violation of article 3 ECHR during his imprisonment. The Author agrees with the Norwegian Court which upheld Breivik’s claim on the basis of the long duration of solitary confinement, the lacking of compensating measures and the impossibility of subjecting the decisions of the penitentiary administration regarding the placing of the inmate into a high security and solitary confinement section to the review of an independent judicial authority.

SOMMARIO: 1. L’alto livello del sistema penitenziario norvegese. — 2. Segue: le sue imperfezioni. — 3. La pericolosità di Breivik quale presupposto per la sua “differenziazione” e per la sottoposizione ad isolamento. — 4. I rimedi a disposizione del detenuto isolato e

— 1530 — assegnato ad una sezione speciale (S.H.S.) — 5. La pronuncia della Corte distrettuale di Oslo: un primo inquadramento. — 6. La verifica circa l’inumanità della detenzione di Breivik alla luce della giurisprudenza della Corte EDU. — 7. I caposaldi della decisione che ha ritenuto violato l’art. 3 CEDU. — 8. Considerazioni conclusive (in attesa della della pronuncia del giudice di appello).

1. L’alto livello del sistema penitenziario norvegese. — Non è solo per l’enorme atrocità dei fatti commessi che Anders Behring Breivik riesce a fare parlare ripetutamente di sé, ma anche per le assai poco scontate — quanto meno per i non addetti ai lavori — decisioni che i giudici norvegesi hanno emesso nei suoi confronti. Ciò è accaduto una prima volta quando, il 24 agosto del 2012, la Corte distrettuale di Oslo ha dichiarato la sua responsabilità per l’uccisione di 77 persone e per il ferimento di altre 242 in seguito alle azioni terroristiche poste in essere il 22 luglio 2011: prima nel centro di Oslo e, successivamente, nell’isola di Utøia, dove i giovani del Partito laburista avevano organizzato un campo estivo. Accertato, in seguito all’espletamento di due contrastanti perizie psichiatriche (1), che l’imputato era capace di intendere e di volere al momento dei fatti, la Corte distrettuale di Oslo, in composizione collegiale (2), nel deliberare la sanzione, ha applicato i §§ 39-c ss. Lov om straff (in seguito “c.p. norv.”), relativi al forvaring: si tratta, nella sostanza, di una misura di sicurezza detentiva, la cui irrogazione riposa sul presupposto che, a prescindere dalla sua durata, la pena carceraria risulterebbe insufficiente a « proteggere la società » (§ 39-c co. 1º c.p.norv.). Nel quantificare la sanzione, i giudici si sono uniformati ai tetti massimi stabiliti dal codice penale, il quale prevede, da un lato, che il periodo minimo non sia superiore a 10 anni (3) e, dall’altro, che quello massimo non superi i ventuno anni (§ 39 e, commi 1º e 2º c.p. norv.): fermo restando che, in piena sintonia con il collaudato clichè delle misure di sicurezza, anche il forvaring può essere prorogato all’infinito — sia pure per un periodo non superiore ogni volta a cinque anni — qualora si ritengano insussistenti gli elementi idonei a modificare la prognosi di pericolosità che sta alla base della sua irrogazione. Bisogna aggiungere però che una gran parte dei mezzi di informazione ha presentato la condanna in termini diversi, inducendo

(1) In una prima relazione peritale consegnata il 28 novembre 2011, due psichiatri sono pervenuti alla conclusione che l’imputato, al momento dei fatti, era affetto da una psicosi; in base ad una seconda perizia, consegnata il 10 aprile 2012, altri due psichiatri hanno, invece, diagnosticato che Breivik soffriva di un disturbo della personalità di tipo narcisistico e dissociativo: per questi ed altri particolari sulla salute mentale dell’imputato, riconosciuto dalla Corte capace di intendere e di volere, v. i paragrafi 6.2/6.8 della sentenza di condanna emessa dalla Corte distrettuale di Oslo il 24 agosto 2012 (per la traduzione in lingua inglese di tale provvedimento, cfr. lovdata.no/static/file/834/toslo-2011-188627-24e.pdf). (2) Il collegio della Corte distrettuale di Oslo che ha giudicato Anders Behring Breivik per i gravi fatti a lui addebitati era composto da due giudici “togati” e tre giudici popolari. Uno dei tre giudici popolari (Thomas Indrebö) è stato dichiarato incompatibile, e, quindi, sostituito, perché il giorno dopo la carneficina aveva scritto in un forum on line che Breivik meritava la pena di morte. (3) In base al § 39 f c.p.norv., una volta trascorso il periodo minimo, il condannato può chiedere la concessione del probation: se la Corte distrettuale accoglie la richiesta, stabilisce la durata della messa alla prova per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a cinque; cfr., sul punto, UGELVIK, Prison as welfare institutions? Punishment and the nordic model, in Handbook on prison, a cura di JewkesCrewe-Bennet, 2nd ed., Oxford, 2016, p. 392.

— 1531 — a ritenere che i ventuno anni di privazione della libertà fossero un limite invalicabile (4). Uno scalpore ancora più accentuato è quello suscitato da una seconda e più recente decisione assunta in sede civile dalla Corte distrettuale di Oslo in composizione monocratica (5): quest’ultima, in esito ad un giudizio promosso da Breivik sul presupposto di un’eccessiva severità delle condizioni detentive, ha ritenuto di dovere aderire alla tesi, sostenuta dal ricorrente, di una violazione dell’art. 3 CEDU (6): con conseguente condanna dello Stato a versare al detenuto, a titolo di integrale copertura delle spese processuali, la somma di 330.937,50 corone norvegesi, corrispondenti a circa 35.721 E (7). A venire in rilievo è, pertanto, una tipica questione di diritto penitenziario, strettamente correlata all’art. 3 CEDU, vale a dire alla disposizione che — seppure non riguardante esclusivamente le persone ristrette in carcere — proprio con riferimento ad una varietà di situazioni da queste ultime illegittimamente subite trova il suo settore privilegiato di applicazione. Tenuto conto che tale questione è sorta in un sistema sensibilmente diverso dal nostro, può essere opportuno indugiare brevemente su talune coordinate fondamentali dell’apparato penitenziario norvegese e sulla relativa regolamentazione. Per quanto concerne i dati di sistema, il riferimento a taluni indicatori statistici — i più recenti sono relativi al 2014 — può costituire un buon punto di partenza: premesso che i residenti erano complessivamente 5.147.792 (8), si trovavano ristrette in carcere 4.103 persone, suddivisibili nelle seguenti categorie: 25% imputati, 72% condannati ad una pena detentiva, 1% condannati ad una pena pecuniaria non pagata (e, quindi, convertita), 2% sottoposti al forvaring, misura di sicurezza che si è già avuto occasione di menzionare (9). Per apprezzarne meglio il significato, è indispensabile contestualizzare questi numeri, aggiungendo che: a) in tutto il Paese sono in funzione 43 istituti per un totale di circa 3.900

(4) Così, tra gli altri, LEWIS-LYALL, Norway mass killer gets the maximum: 21 yars, in New York Times (on line), 24 agosto 2012, dove, partendo da una premessa errata, si afferma che il condannato sconterà, per ciascuna delle sue vittime, una pena inferiore a quattro mesi; MICALESSIN, A Breivik solo 21 anni. In una cella extralusso, in Il Giornale (on line), 25 agosto 2012; anche laddove non c’è stata una distorsione dei contenuti della condanna, non si è mancato di sottolineare il dissenso internazionale nei confronti di una sanzione ritenuta troppo mite: cfr. KISIĆ-KING, Toward a more lenient law: trends in sentencing from the european Court of human rights¸ in Human Rights Brief, 2014, f. 2, p.13. In un’ottica opposta, v. DE GRAAF-VAN DER HEIDE-WEGGEMANS, The Anders Behring Breivik trial: performing justice, defending democracy, in ICCT, Research Paper, June 2013. (5) Cfr. Oslo District Court 20 aprile 2016: per la traduzione in italiano di tale pronuncia, cfr. Dir. pen. cont., 20 ottobre 2016, allegato. (6) Non sono state invece accolte le censure di Breivik concernenti l’art. 8 CEDU. La Corte di Oslo ha, infatti, ritenuto che, con riferimento ai colloqui, alle telefonate e alla corrispondenza epistolare, le limitazioni disposte dall’amministrazione penitenziaria fossero giustificatamente circoscritte, essendo stati vietati soltanto quei rapporti col mondo esterno che avrebbero messo Breivik in contatto con persone a lui ideologicamente affini, concretizzando il rischio della commissione di ulteriori reati. (7) In senso critico, cfr. DEARDEN, Anders Breivik: right-wing extremist who killed 77 people in Norway massacre wins part of human rights case, in The Indipendent (on line), 20 aprile 2016; MICALESSIN, L’incredibile Norvegia dà ragione a Breivik: isolarlo è disumano, in Il Giornale (on line), 21 aprile 2016; per una presa di posizione favorevole alla decisione del giudice di Oslo, v. però DE CAT ALDO, Breivik: se l’assassino diventa una vittima, in La Repubblica, 21 aprile 2016, p. 31. (8) Cfr. www.indexmundi.com/it/norvegia/popolazione_profilo.html (9) Per i dati relativi alla popolazione detenuta e alla sua composizione, cfr. https://www.ssb.no/ en/fengsling.

— 1532 — celle (10), un terzo delle quali ubicate in carceri “a custodia attenuata” (le c.d. prigioni aperte) (11). Fatta eccezione per il carcere di Oslo, che contiene 392 celle, tutti gli altri istituti sono di dimensioni alquanto contenute, tant’è che la media nazionale è di 70 celle per struttura (12). È una scelta nient’affatto casuale, in quanto, come viene sottolineato da molti commentatori (13), le contenute dimensioni degli istituti di pena sono considerate una condizione essenziale per l’instaurazione di buoni rapporti tra detenuti e prison officers e, quindi, per una favorevole concretizzazione del progetto rieducativo (14). Alle origini di tale scelta si colloca tuttavia anche un fattore squisitamente locale, vale a dire la scarsa densità della popolazione norvegese, da considerare unitamente all’ampiezza del territorio che si estende per circa 325.000 Km.q.; b) oltre alle ridotte dimensioni degli istituti di pena, un’altra peculiarità del sistema penitenziario norvegese è costituita dall’alta professionalità dei prison officers (15), la cui formazione avviene mediante corsi biennali di livello universitario (16), nei quali si insegnano psicologia, criminologia, diritto (con una particolare attenzione al settore dei diritti dell’uomo) ed etica. Una delle ragioni più importanti che sta alla base di questa scelta così impegnativa è quella di potere fare affidamento su custodi più preparati e consapevoli, quale premessa indispensabile per la creazione di un clima meno carico di tensioni all’interno del carcere (17). Risulta coerente con questo obiettivo, la figura del contact-officer, grazie alla cui creazione è possibile affidare a ciascun prison officer un piccolo gruppo di detenuti per i quali il medesimo costituisce il primo punto di riferimento, in particolare per quanto concerne l’attivazione di servizi che operano all’esterno del carcere (18). c) per quanto concerne — in un’ottica di più stretta aderenza alla decisione che si sta commentando — il “primo comandamento” concernente la fase di esecuzione della pena, esso trova un autorevole riconoscimento nel § 93 della Costituzione norvegese, il quale, subito dopo la messa al bando della pena di morte, proclama che « nessun individuo può essere sottoposto a tortura, né ad altri trattamenti inumani o degradanti ». Si pone in consonanza con questa regola, rendendola concretamente operativa, e la travalica, in quanto garantisce il riconoscimento di

(10) Per queste indicazioni, cfr. About the norwegian correctional service, in www.kriminalomsorgen.no/index.php?cat=265199. (11) Cfr. S HAMMAS, A prison without walls, in Prison service journal, 2015, n. 217, p. 3. (12) V. ancora About the norwegian, cit. (13) Cfr., in particolare, JOHNSEN-GRANHEIM-HELGESEN, Exceptional prison conditions and the quality of prison life: prison size and prison culture in norwegian closed prisons, in European Journal of Criminology, 2011, p. 527. (14) Cfr. UGELVIK, Prison as welfare institutions?, cit., p.391. (15) Per una conferma, cfr. BRUHN-NYLANDER, Professionalization of prison officers in Sweden and Norway: two routes, two different goals?, in pascal.iseg.utl.pt/~socius/interim/?download=bruhn-nylander-prison.pdf. Relativamente all’informazione che lo staff del prison service ammonta a 3.600 persone, e che i prison officers, il 60% dei quali è di sesso maschile, sono disarmati, cfr. About the norwegian, cit. (16) Come si ricava da BRUHN-NYLANDER, Professionalization of prison officers, cit., p. 6, la formazione è affidata al Kriminalsorgensutdanningssenter (Correctional service of Norway staff academy). (17) Per l’indiscutibile affermazione secondo cui le relazioni tra custodi e custoditi costituiscono « the heart of any prison », CREWE, Soft power in prison: implications for staff-prisoner relationships, liberty and legitimacy, in European Journal of Criminology, 2011, p. 455. (18) Per maggiori dettagli, cfr. MILAND-LUNDEBERG-GLOPPEN, Penal hybridization: staff-prisoner relationships in a norwegian drug rehabilitation unit, in AASEN-GLOPPEN-MAGNUSSEN-NILSSEN, Juridification and social citizenships in the welfare state, 2014, Cheltenham-Northampton, 184 ss.; v. altresì C. FREDIANI, In Norvegia guardie-tutor per ognuno dei carcerati, in Il secolo XIX, 18 settembre 2016, p. 11.

— 1533 — altri non meno importanti diritti dell’uomo, la l. 21 maggio 1999, n. 30 (19), con la quale non ci si è limitati ad incorporare nel diritto norvegese la Convenzione del 1950, ma si è stabilito altresì (section 3) che le disposizioni in essa contenute devono prevalere, in caso di contrasto, sulla normativa nazionale. Proprio per questo si è osservato che le regole contenute nella Convenzione europea sono diventate di rango « semi-costituzionale » (20): infatti, pur non ponendosi allo stesso livello della Legge fondamentale, vengono a risultare sovraordinate rispetto a tutte le altre fonti di diritto interno (21). Naturalmente quando si parla di precetti dettati dalla Convenzione europea ci si riferisce, in particolar modo, al “diritto vivente”, cioè all’elaborazione di tali precetti risultante dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 2. Segue: le sue imperfezioni. — Proviamo a riassumere quanto sin qui osservato: istituti carcerari di piccole dimensioni, rispetto del principio di territorializzazione dell’esecuzione della pena, buon livello della vita detentiva, prison officers in possesso di un’alta preparazione professionale. Si tratta di un quadro decisamente positivo che ha resistito anche quando in molti altri Paesi — non a caso si è parlato a questo proposito di « anomalia scandinava » (22) — è prevalsa la tendenza verso un ridimensionamento del welfare, l’adesione ad una svolta neoliberale e la parallela concretizzazione di modelli punitivi che sul versante sanzionatorio hanno accantonato il finalismo rieducativo, per puntare decisamente sull’idea di pena-castigo (23). Senza voler mettere in discussione questa lusinghiera valutazione, bisogna però aggiungere che anche il sistema penitenziario norvegese deve fare i conti con talune “imperfezioni”. Concentrandoci su quelle più significative, può essere opportuno distinguere tra una criticità le cui origini sono risalenti nel tempo ed un problema affiorato da non molti anni, in seguito ai massicci flussi migratori che hanno riguardato ovviamente anche la Norvegia, quale meta finale di migliaia di persone alla ricerca di un miglioramento delle loro infime condizioni di vita (24). Se ci sofferma, sia pure brevemente, su questa seconda questione per valutarne le ricadute sul sistema penitenziario norvegese, risulta convincente la tesi che

(19) L. 21 maggio 1999, n. 30, intitolata « Lov om styrking av menneskerettighetenes stilling i norsk rett (Menneskerettsloven) ». (20) Trasparenti sono le affinità con la categoria nostrana delle c.d. norme interposte, nell’elaborazione conseguente alle sentenze costituzionali n. 348 e 349 del 2007: al riguardo, v., ex plurimis, CART ABIA, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, in Giurisprudenza europea e processo penale italiano, a cura di A. Balsamo e R. E. Kostoris, Torino, 2008, p.33 ss. (21) Sul tema, cfr. WIKLUND, The reception process in Sweden and Norway, in Europe of rights: the impact of the ECHR on national legal systems, a cura di Keller, Oxford, 2008, p. 188 ss.; cfr. altresì BJORGE, The status of ECHR in Norway: should norwegian courts interpret the Convention dynamically?, in European public law, 2010, p. 146 ss. (22) Cfr., tra i molti, PRAT T , Scandinavian exceptionalism in an era of penal excess, in British Journal of Criminology, 2008, p. 119 ss.; NELKEN, Comparative criminal justice, in European Journal of Criminology, 2009, p. 294, che parla dei Paesi scandinavi come di un « faro della tolleranza ». (23) Cfr. WACQUANT , Punire i poveri, Roma, 2006, p.241 ss.; GARLAND, La cultura del controllo, Milano, 2004, p. 317 ss.; GRANDE, Il terzo strike, La prigione in America, Palermo, 2007, p. 135 ss. (24) L’immigrazione, incoraggiata all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso da un atteggiamento di favore verso l’utilizzo di mano d’opera straniera, si è via via intensificata diventando sempre meno controllabile. Si calcola che attualmente il 13% della popolazione — circa 655.00 persone su un totale di quasi cinque milioni — sia straniera: per questo dato, cfr. UGELVIK, Immigration control in ultima thule: detention and exclusion norwegian style, in European Journal of Criminology, 2013, p. 709.

— 1534 — prende le mosse dal cambiamento di clima politico verificatosi a partire dalla fine degli anni ottanta in seguito al successo elettorale di partiti che incentravano il loro programma sulla riduzione delle tasse e sostenevano che tale obiettivo sarebbe stato raggiungibile escludendo gli stranieri dalla fruizione dei servizi garantiti dalle politiche di Welfare (25). Servizi tra cui sono da sempre entrate, a buon diritto, le prestazioni di vario genere a favore delle persone finite in carcere (26), le quali, però, ormai non erano più tutte norvegesi, essendo circa un terzo della popolazione detenuta di nazionalità straniera (27). La veemente e crescente polemica nei confronti di costoro, di chi stava cioè approfittando “senza titolo” della generosità del welfare norvegese, si è tradotta nella creazione di un sistema binario così caratterizzato: da un lato, il trattamento penitenziario poteva continuare a rimanere ricco di offerte — sebbene non siano risultati inoffensivi gli strali di taluni partiti politici, molto critici circa il suo preteso permissivismo (28) — per i detenuti norvegesi, dall’altro si doveva ripiegare su un regime detentivo molto più ...


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