La fine dell’età dell’oro (nero). Le grandi compagnie e la prima crisi energetica PDF

Title La fine dell’età dell’oro (nero). Le grandi compagnie e la prima crisi energetica
Author Francesco Petrini
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Società italiana per lo studio della storia contemporanea Cantieri di storia VI. La storia contemporanea in Italia oggi: linee di ricerca e tendenze Panel: Shock al sistema. La crisi petrolifera del 1973 e le origini del mondo contemporaneo Forlì, 22-24/9/2011 La fine dell’età dell’oro (nero). Le gr...


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Società italiana per lo studio della storia contemporanea Cantieri di storia VI. La storia contemporanea in Italia oggi: linee di ricerca e tendenze Panel: Shock al sistema. La crisi petrolifera del 1973 e le origini del mondo contemporaneo Forlì, 22-24/9/2011

La fine dell’età dell’oro (nero). Le grandi compagnie e la prima crisi energetica di Francesco Petrini

La crisi petrolifera del 1973 cominciò nel 1971, almeno. Nell’ottobre 1973, alla vigilia della crisi, i prezzi del greggio del Golfo Persico erano aumentati, rispetto al 1970, di circa l’80%, quelli del petrolio libico di più del 100% 1 . L’impennata dei prezzi di fine 1973 fu in realtà il culmine di un processo lungo quasi un decennio di progressivo indebolimento del sistema di governo dei mercati petroliferi costruito dalle majors dopo la seconda guerra mondiale. Questo processo fu innescato da tre dinamiche distinte: primo, la ricerca da parte dei Paesi esportatori di un maggior controllo sulle proprie risorse naturali; secondo, la crisi dell’oligopolio delle majors provocata dall’ingresso nei mercati petroliferi internazionali (in specie nel centro di essi, il Medio Oriente) di nuovi attori (di solito compagnie private statunitensi al di fuori del cerchio magico delle sette sorelle, oppure compagnie nazionali di altri Paesi consumatori) 2 ; terzo, il modificarsi del rapporto tra domanda e offerta sui mercati del greggio. La domanda cui intendiamo rispondere in questo paper è: quale fu il ruolo in questo processo delle grandi compagnie 3 ? In che modo le artefici di un complesso, e per certi versi

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Si veda: Archives de la Compagnie Française de Pétrole, Parigi (ACFP), SC 89/15, Le choc pétrolier de 1973 et ses conséquences sur l’économie de l’énergie, s.d., p. 21. 2 Si stima che tra il 1953 e il 1972 più di 300 imprese private e più di 50 compagnie statali siano entrate nell’industria internazionale del petrolio (James Bamberg, British Petroleum and Global Oil, 1950-1975. The Challenge of Nationalism, Cambridge, Cambridge UP, 2000, p. 584). 3 Le “sette sorelle”, secondo la abusata espressione di Mattei. Cinque americane: la più grande di tutte, la Standard Oil of New Jersey, dal 1973 Exxon (qui per comodità la chiameremo così), diretta discendente dell’impero di John D. Rockefeller; la Mobil, come la Exxon anch’essa figlia diretta dello smembramento della Standard Oil, e poi la Gulf, controllata dai grandi rivali dei Rockefeller, i Mellon, la Socal (poi, dopo la fusione con Gulf nel 1984, Chevron), che godeva della fama di essere la più conservatrice delle majors; e la Texaco, che, come scrive Sampson, “has always taken pride in being the meaniest of the big companies” (Anthony Sampson, The Seven Sisters. The Great Oil Companies and the World They Made, Sevenoaks, Hodder and Stoughton, 1985, p. 209). Una britannica, la British Petroleum (BP), l’unica ad avere tra i suoi azionisti (e con il 50% delle quote) il governo; una anglo-olandese, la più grande dopo la Exxon e forse la più internazionale, la Shell. A queste si aggiungeva, per il suo ruolo nel controllo delle risorse mediorientali, la Compagnie Française de Pétrole (CFP), oggi conosciuta come Total. Per farsi un’idea orientativa delle proporzioni, nel 1973 Exxon disponeva (tra produzione diretta e buy back dai Paesi produttori) di 335 milioni di t di greggio, Shell 270, BP 240, e la CFP 70 (ACFP, Le choc pétrolier de 1973 et ses conséquences sur l’économie de l’énergie, s.d., p. 8, loc. cit.).

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grandioso, sistema di spartizione dei mercati e di controllo dei prezzi che, nel secondo dopoguerra, aveva assicurato ai consumatori un approvvigionamento stabile e a bassi prezzi di petrolio, reagirono al crollo del sistema? Per fare ciò ci concentreremo non sulla fase più nota dell’esplosione dei prezzi, a fine 1973, ma su uno snodo decisivo che preparò quella svolta, evidenziando per la prima volta il cambiamento degli equilibri sui mercati petroliferi: le trattative sul posted price (il prezzo di riferimento del greggio, che non coincideva col prezzo di mercato, ma rappresentava la base di calcolo di tasse e royalties pagate dalle compagnie concessionarie ai Paesi esportatori) che condussero agli accordi di Teheran e Tripoli di inizio 1971. Tabella 1 – La quota delle “sette sorelle” sulla produzione mondiale di greggio, 1972 (migliaia di barili al giorno)

Exxon Texaco Socal Gulf Mobil BP Shell Totale

Produzione negli USA

% sul totale produzione USA

1.114 916 528 651 457 726 4.392

9,9 8,1 4,7 5,8 4,1 6,5 39,1

Produzione in MO e Libia

2.527 2.155 2.155 1.887 1.178 3.903 1.372 15.177

% sul totale produzione del MO e Libia

12,9 11,0 11,0 9,7 6,0 20,0 7,0 77,6

Produzione nell’area OPEC

4.050 2.674 2.614 2.409 1.477 4.506 2.877 20.607

% sul totale produzione OPEC

15,2 10,0 9,8 9,0 5,5 16,9 l0,8 77,1

Produzione globale (escluse Europa orientale e Cina)

6.145 4.021 3.323 3.404 2.399 4.659 5.416 29.367

% sulla produzione globale (escluse Europa orientale e Cina)

14,7 9,6 7,9 8,1 5,7 11,1 12,9 70,0

Fonte: Anthony Sampson, The Seven Sisters. The Great Oil Companies and the World They Made, Sevenoaks, Hodder and Stoughton, 1985, p. 215.

Riguardo al ruolo delle compagnie nella crisi energetica dei primi anni ’70 la letteratura si colloca tra due estremi. Ad un polo, ben rappresentato da un’opera come quella di William Engdhal 4 , vi è chi vede nel quadruplicamento dei prezzi di fine 1973 il risultato di un complotto orchestrato da grandi compagnie e circoli finanziari di New York e Londra in combutta con l’amministrazione Nixon. I primi erano alla ricerca di una via d’uscita da una crisi di profittabilità causata dal crescente protagonismo dei Paesi esportatori, gli Stati Uniti da parte loro intendevano reagire al proprio declino egemonico, mettendo i bastoni tra le ruote del meccanismo di “sviluppo ineguale”, come lo ha definito Robert Brenner, che aveva consentito agli altri paesi del campo capitalista, in primis Germania e Giappone, di mettere in crisi la leadership economica americana. In questa ottica, un aumento dei prezzi del petrolio avrebbe messo maggiormente in difficoltà proprio quei paesi, più dipendenti rispetto agli Stati uniti dalle importazioni. 4

William Engdhal, A Century of War. Anglo-American Oil Politics and the New World Order, London, Pluto Press, 2004.

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All’altro estremo, vi è chi, come l’economista del MIT Morris Adelman, pone l’accento sul ruolo del cartello costituito dall’OPEC, sottolineandone l’“avidità” e l’incapacità di agire in modo ordinato (secondo Adelman l’OPEC non sarebbe altro che “a strong but clumsy monopoly” 5 ), la cui azione viene implicitamente posta a contrasto con i risultati ottenuti dall’“ordinato” oligopolio delle grandi compagnie negli anni Cinquanta e Sessanta 6 . È questo un punto di vista condiviso, prevedibilmente, dalle storie “ufficiali” delle grandi compagnie 7 , in cui queste vengono dipinte come artefici di un grandioso sistema di produzione e distribuzione 8 , baluardo di ragionevolezza in un mondo scosso da estremismi e irrazionalità di vario genere, e allo stesso tempo, in contrapposizione alla vulgata che considera le grandi multinazionali attori più potenti di molti stati nazionali, come soggetti in fondo deboli, perché invisi all’opinione pubblica e non sostenuti dai propri governi, spettatori impotenti di una rivoluzione portata avanti dai Paesi produttori. Così, per esempio, l’atteggiamento prudente dei governi dei paesi importatori, restii ad imbarcarsi in uno scontro aperto coi Paesi OPEC, è stato enfatizzato per evidenziare l’isolamento delle compagnie e la mancanza di possibili alternative a una resa più o meno totale alle richieste dei consumatori. Come scrive Bamberg, nell’ottima storia della BP: Most of the governments of oil-consuming countries were, they pointed out, more concerned about getting oil supplies than about the price. They definitely did not want a shut-down. The companies were won round and decided ‘in the light of reaction from the consuming countries’ that it was better to make an agreement, even at great financial cost, than to face unilateral action by OPEC. 9

Anche nella letteratura di impostazione maggiormente critica verso il big business prevale una visione che sottolinea la passività delle compagnie, incapaci di rispondere alle sfide che scaturivano dalla decolonizzazione e dall’emergere di nuovi concorrenti sui mercati. Uno degli esempi più significativi in questo senso è il libro del 1975 di Anthony Sampson, una delle migliori 5

Morris A. Adelman, The Real Oil Problem, in “Regulation”, Spring 2004, pp. 16-21, p. 16. Su una valutazione di questo tipo converge, piuttosto sorprendemente, anche un ex Segretario Generale dell’OPEC: Francisco Parra, Oil Politics. A Modern History of Petroleum, London, IB Tauris, 2004, p. 73. 7 Si vedano: J. Bamberg, British Petroleum and Global Oil, cit.; Bennett H. Wall, Growth in a Changing Environment. A History of Standard Oil Company (New Jersey) 1950-1972 and Exxon Corporation 1972-1975, New York, McGraw-Hill, 1988; Keetie Sluyterman, A History of Royal Dutch Shell: Vol. 3: Keeping Competitive in Turbulen Markets, 1973-2007, New York, Oxford University Press, 2007. Per il punto di vista della CFP sulla prima crisi energetica è molto utile il rapporto interno di 175 pp. intitolato: Le choc pétrolier de 1973 et ses conséquences sur l’économie de l’énergie, s.d. in ACFP, SC 89/15. 8 Nelle parole di un non identificato dirigente di un “grande gruppo petrolifero francese”, le grandi compagnie: “ne sont jamais qu’un exemple de cette chose magnifique, sans laquelle rien ne se fait dans ce monde et qui est ‘l’entreprise’. Car, pour créer une richesse pétrolière à partir de quelque chose que le droit minier français appelle ‘res nullius’ […] il ne suffit pas de gouvernements, d’administrations, d’opinion publique, de presse, même s’il en faut aussi. Il faut des gens qui se réunissent […] pour constituer ce qu’on appelle une entreprise, c'est-à-dire une équipe d’hommes qui, malgré la diversité de leurs origines, se mettent tous ensemble pour poursuivre un même objectif qui est de créer quelque chose au service de la collectivité des hommes” (ACFP, Le choc pétrolier de 1973 et ses conséquences sur l’économie de l’énergie, s.d., p. 8, loc. cit.). 9 J. Bamberg, British Petroleum and Global Oil, cit., p. 460. La citazione, sottolineata da Bamberg, proviene da una lettera di David Steel (vicepresidente della BP) a Eric Drake (CEO della BP) del 12/2/1971. 6

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sintesi della storia dell’industria petrolifera, da cui le sette sorelle emergono come giganti impotenti, figli di un mondo superato10 . Sampson sottolinea a più riprese la presunzione delle majors, che si ritenevano e si presentavano come una sorta di Stato nello Stato, le uniche in grado di gestire con competenza gli approvvigionamenti energetici del mondo sviluppato, alle quali i governi dei maggiori paesi consumatori, come Stati Uniti e Gran Bretagna, avevano in pratica appaltato la gestione della politica estera nei confronti dei Paesi esportatori. Il problema di fondo, secondo Sampson, era che la dirigenza delle grandi compagnie, composta essenzialmente da tecnici (ingegneri chimici e minerari, geologi 11 ), mancava della profondità politica e dell’esperienza internazionale necessarie a comprendere e gestire con sufficiente flessibilità e lungimiranza strategica le dinamiche di un mondo sottoposto a radicali mutamenti 12 . Il presente contributo, pur non sposando le conspiracy theories di chi vede la crisi energetica dei primi anni ’70 come la risultante di uno scontro di potere essenzialmente interno al mondo occidentale, intende al contempo proporre una rivalutazione del ruolo delle grandi compagnie nel processo di aumento dei prezzi che condusse alle decisione di fine 1973, nella convinzione che esse non furono semplicemente un recettore inerme delle istanze dei Paesi esportatori ma, una volta appurata l’impossibilità di conservare lo status quo ante, “volentieri” cedettero alle pressioni per un rialzo del prezzo del greggio, nella prospettiva che ciò gli avrebbe consentito di invertire una tendenza all’abbassamento del saggio di profitto e al contempo di aprire una via di uscita da una dipendenza eccessiva dalle risorse di aree politicamente “calde” come il Medio Oriente e il Nord Africa. Come ha scritto Joe Stork, gli anni tra il 1948 e il 1960 furono “a bonanza” per l’industria petrolifera 13 , grazie ad un sistema oligopolistico di governance che, attraverso la spartizione dei mercati e la fissazione dei prezzi, ne stabilizzò il funzionamento evitando i crolli del prezzo che ne avevano caratterizzato la storia nei decenni precedenti (l’ultima volta negli anni Venti con l’irruzione del petrolio russo sui mercati europei ed extra-europei 14 ). In conseguenza all’aumento dei costi di estrazione dei giacimenti iper-sfruttati su suolo statunitense e all’approvazione da parte del Congresso USA nel 1951 di una legge che esentava i profitti all’estero derivanti dall’estrazione del greggio dal pagamento delle tasse, si verificò una sostenuta crescita delle attività estere delle 10

A. Sampson, The Seven Sisters, cit. Sampson rileva che la concentrazione sui profitti ricavati upstream, cioè dall’estrazione del greggio, indotta dal sistema delle concessioni e dal favorevole trattamento fiscale concesso fin dal 1951 dal governo statunitense, ebbe sostanziali ripercussioni sulla composizione dei consigli di amministrazione delle grandi compagnie, dove “the marketing men lost caste over the engineers, with much less say on policy decisions (as in the disastrous 1960 decision to reduce the posted price)” (A. Sampson, The Seven Sisters, cit., p. 203). 12 Ad esempio, nel caso della Exxon: “Only one member of the board, 'Pete' Collado -- who had been Acheson's economic adviser at Bretton Woods -- had experience of international diplomacy; and after the retirement of Howard Page in 1970 Exxon had no real oil statesman.” (Ibidem). 13 Joe Stork, Middle East Oil and the Energy Crisis, New York, Monthly Review Press, 1975, p. 56. 14 A. Sampson, The Seven Sisters, cit., pp. 85-87. 11

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grandi compagnie. L’area di maggiore espansione per l’estrazione del greggio diventò il Medio Oriente, dove i costi estrazione erano particolarmente bassi: secondo i dati riportati da Adelman, nel 1960, a fronte di un prezzo di mercato di 1,63$ al barile, il costo totale di produzione ammontava a 18 centesimi di dollaro 15 (cfr. Tabella 2), contro più di un dollaro in Venezuela e gli 1,3 dollari del Texas 16 . La produzione mediorientale fu sviluppata sotto l’egida delle sette sorelle (e della Compagnie Française de Pétrole, CFP) attraverso un intricato sistema di partecipazioni incrociate in una serie di consorzi di produzione nei maggiori Paesi di estrazione (Iran, Iraq, Arabia Saudita, Abu Dhabi) che gli permisero di esercitare un altro grado di cooperazione senza incappare nei rigori dell’Anti-Trust statunitense. Composizione principali Joint Ventures di produzione in MO, 1972 100 90

Altri

80

CFP

70

Socal

60

Texaco

50

Gulf

40

Mobil

30

Exxon

20

Shell

10

BP

l et ro Dh ab iP Ab u

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(A r. co

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Fonte: Fonte: Anthony Sampson, The Seven Sisters. The Great Oil Companies and the World They Made, Sevenoaks, Hodder and Stoughton, 1985, p. 150.

Negli anni successivi, la nascita dell’OPEC e l’ingresso sui mercati di nuovi produttori, tra cui, ancora una volta, l’Unione Sovietica, sembrarono non intaccare quel meccanismo che continuò a garantire quella che appariva come una sorta di quadratura del cerchio: alti profitti per le compagnie e bassi prezzi per i consumatori (a scapito, ovviamente, degli interessi del terzo lato del triangolo su cui si reggeva il mercato petrolifero: i Paesi esportatori). Ma in realtà l’andamento dei prezzi segnò una flessione proprio a partire dal cuore del sistema petrolifero delle grandi compagnie: tra il 1954 e il 1970 il prezzo del greggio Arabian Light, Fob al Golfo Persico, decrebbe 15

M. A. Adelman, Genie Out of the Bottle. World Oil Since 1970, Cambridge (MA), MIT Press, 1995, p. 56. Leonardo Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, storia e futuro della più controversa risorsa del Mondo, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 103 16

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da 1,90$ al barile a 1,25$ al barile 17 . L’abbassarsi del prezzo fu causato dalla sovrabbondanza di offerta sui mercati petroliferi mondiali, nonostante una crescita assai sostenuta della domanda. Tra il 1950 e il 1970 la domanda totale di petrolio crebbe a livello mondiale di più di quattro volte 18 . Ma l’offerta crebbe a ritmi ancor più sostenuti. La produzione combinata dei Paesi del Golfo Persico passò dagli 1,8 milioni di barili al giorno del 1950 ai 14 del 1970 19 . Nello stesso periodo l’URSS passò da 750mila barili al giorno a 7 milioni. Persino negli Stati Uniti, la regione petrolifera più sfruttata la mondo, la produzione crebbe, raddoppiando quasi. “Di fatto il tratto distintivo dell’‘età dell’oro’ del petrolio è proprio la sovrapproduzione” 20 . Perciò, nonostante l’attenta gestione dei giacimenti da parte delle majors che cercarono di limitare al minimo la sovrapproduzione, provocando forti risentimenti nei Paesi produttori, ma ottenendo, come scrive Parra, un “gently declining price” 21 , il tasso di crescita dei profitti tendeva comunque a diminuire. Secondo i calcoli di Stork, nel 1963 i profitti lordi delle compagnie operanti in Medio Oriente (Iran, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Abu Dhabi e Qatar) ammontavano a un totale di 1,7 miliardi di dollari. Nel 1969 tale ammontare era diminuito leggermente a 1,6 miliardi di dollari. Ma questa sostanziale tenuta dei profitti era avvenuta solo grazie al raddoppiare della produzione, quindi con un dimezzamento del profitto per barile prodotto. Conclude Stork: “the most prominent and notable trend in these figures is the sharply declining rate of return per barrel. The result is that the total profit remained just about the same in the years considered, while output more than doubled from 2.6 billion barrels in 1963 to 5.5 billion barrels in 1969.” 22 La situazione era riconosciuta dalle stesse compagnie. Secondo la BP: “through much of the decade [gli anni ’60] the rates of return of the seven major oil companies declined by comparison with those of the US manufacturing industry” 23 . Secondo uno studio della Shell apparso nell’aprile 1971 “I ricavi delle sette maggiori compagnie nell’Emisfero Orientale sono passati da 56,5 centesimi per barile nel 1960 a 32,7 centesimi ne 1970.” 24

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F. Parra, Oil Politics, cit., p. 74. F. Parra, Oil Politics, cit., p. 41. 19 M. A. Adelman, Genie Out of the Bottle, cit., p. 43. 20 L. Maugeri, L’era del petrolio, cit., p. 103. 21 F. Parra, Oil Politics, cit., p. 73. 22 J. Stork, Middle East Oil, cit., p. 120. 23 British Petroleum Archive, University of Warwick, Coventry (BPA), BP 57665, Strategy Planning Committee, Note: Energy Policy, 28/3/1973. 24 Archivio Storico ENI, Pomezia (Roma) (AENI), BB.III.1, 442, Direzione Estera, fasc. Organismi nazionali internazionali, Shell Briefing Service, Financial Needs of the Oil Industry in the 1970s, aprile 1971, traduzione italiana del 7/7/1971. con questi dati concorda anche lo studio condotto dalla CFP: ACFP, Le choc pétrolier de 1973 et ses conséquences sur l’économie de l’énergie, 1973, p. 16, loc. cit.. 18

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Tabella 2 - “Big Four”* del Golfo Persico: costi, profitti, tasse (dollari correnti per barile) 1960 1970 Prezzo

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