LA Narrazione Della Guerra IN Cesare (De Bello Gallico e De Bello Civili) PDF

Title LA Narrazione Della Guerra IN Cesare (De Bello Gallico e De Bello Civili)
Course Letteratura latina
Institution Università di Bologna
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Riassunto sulla narrazione della guerra nelle opere di Cesare (De bello Gallico e De bello civili). Le informazioni provengono da vari manuali e il testo è alquanto esaustivo (il testo di riferimento è "Forme e Contesti della letteratura latina"...


Description

LA NARRAZIONE DELLA GUERRA IN CESARE Le uniche due opere scritte da Gaio Giulio Cesare che sono state conservate interamente sono i Commentarii sulla guerra gallica e sulla guerra civile. Con il termine Commentarius (“commentario”), in particolare nella tarda età repubblicana, ci si riferiva ad un tipo di narrazione a metà fra la raccolta dei materiali grezzi (nel caso di Cesare: gli appunti personali, i rapporti al senato sull’andamento delle campagne galliche e così via) e la loro elaborazione in forma artistica - cioè arricchita degli ornamenti stilistici e retorici - tipica della vera e propria storiografia (che veniva invece considerata un genere più “alto”). Sia Cicerone (Brutus, 262) sia Irzio (nella prefazione al libro VIII del De bello Gallico) parlano dei Commentarii di Cesare come di opere composte per offrire ad altri storici il materiale su cui basare una successiva narrazione; sottolineavano inoltre che nessuno avrebbe osato riscrivere quanto già Cesare aveva detto con ineguagliabile semplicità. In realtà, i Commentarii di Cesare si avvicinano per molti aspetti alla storiografia, come è dimostrato dalla presenza, seppur scarna, di scene drammatiche, discorsi e digressioni; difatti, già i contemporanei alle due opere si accorsero che quella di Cesare è una storiografia vera e propria dal gusto raffinato e inimitabile. I Commentarii di Cesare sono comunque l’unico grande esempio latino di quella storiografia “pragmatica” risalente a Polibio, che si contrappone all’historia “tragica” romana e che, specialmente in autori come Sisenna e Sallustio, ricerca anche un’utilità morale (proprio per questo Cicerone afferma che “la storia è in sommo grado un genere oratorio”). La storia di Cesare si limita al dato politico-militare e alla ricerca delle cause economiche e sociali che muovono le vicende umane. Lo stile scarno, il rifiuto degli abbellimenti, la forte riduzione del linguaggio valutativo contribuiscono moltissimo al tono apparentemente oggettivo e impassibile della narrazione. Già Asinio Pollione, qualche tempo dopo la morte di Cesare, mise sotto accusa i Commentarii e Cesare stesso, attribuendogli poca diligenza e poco rispetto per la verità, e da allora i giudizi sono stati contrastanti (è quasi impossibile, per uno storico contemporaneo, essere obiettivo). Bisogna comunque sempre tenere a mente che lo scopo di Cesare è comunque quello di rispondere alle accuse che gli venivano mosse, di aver cioè scatenato la guerra in Gallia per ambizione personale, quindi cercava di mettere in rilievo le esigenze difensive che lo hanno spinto a intraprendere la guerra; era del resto consuetudine consolidata dell’imperialismo romano presentare le guerre di conquista come necessarie a proteggere la res publica e i suoi alleati. Nel De bello civili, Cesare tiene a presentarsi come un moderato, un uomo rispettoso delle leggi e delle istituzioni repubblicane, un politico che quindi non puntava di certo alla rivoluzione (la propaganda aristocratica dei tempi lo avvicinava a figure come Catilina); fin dalle prime pagine del testo, Cesare spiega i motivi che lo avevano spinto a sfidare un senato corrotto, strumento nella mani di Pompeo. La responsabilità della guerra civile viene quindi scaricata sui pompeiani, che sfruttavano le istituzioni per la rovina di Cesare (a pagina 371 del nostro libro di testo c’è un’analisi dell’incipit del De bello civili). Oltre alla strategia militare, nel De bello Gallico ha un ruolo importante anche il tema etnografico, infatti sono famosi gli excursus riguardanti gli usi e costumi dei Galli e dei Germani (nel libro VI si parla in paricolare di religione e società). I Romani, quindi, entrano in contatto con culture differenti, che precedentemente gli erano state raccontate solo da fonti greche come Posidonio (II-I secolo a.C.); infine, il lettore romano doveva leggere brani del genere con molto interesse, perché per la prima volta, attraverso lo strumento di un’analisi sociologica attenta e precisa, venivano distinti con chiarezza i Germani dalle popolazioni della Gallia celtica (le nozioni geografiche ed etnografiche, infatti, aprono l’opera per marcare da subito, con l’assenza del tradizionale proemio, la specificità del genere memorialistico rispetto al genere storico). Nel De bello Gallico, inoltre, Cesare dedica uno spazio rilevante all’esaltazione del valore e del coraggio dei suoi soldati, che erano a lui fedelissimi (effetto della riforma post-Mario); questa attenzione riguarda anche personaggi di grado inferiore come centurioni o portainsegne (nel quinto libro, Cesare scrive di due centurioni che, pur essendo da tempo in competizione su chi dei due fosse effettivamente il più valoroso, in battaglia si salvano

reciprocamente la vita). Sintetizzando, tre sono le caratteristiche principali dei soldati di Cesare: astuzia, fortuna e coraggio; personaggi come il generale Labieno diventano exemplum per tutti i soldati (T9 pag. 354). Almeno nella guerra gallica, anche il valore militare dei nemici viene esaltato; questo atteggiamento, infatti, è comunque molto spesso funzionale a una più o meno esplicita celebrazione delle virtù militari e strategiche di Cesare (si pensi a grandi personaggi come Ariovisto, Critognato e Vercingetorige). Sebbene Cesare non inserisca mai falsificazioni evidenti nella sua narrazione, selezionando e ordinando opportunamente gli elementi del racconto riesce comunque a orientare le opinioni del lettore. Nel De bello civili l’aspetto politico prevale su quello militare e Cesare racconta le vicende cercando di rovesciare contro i suoi avversari politici l'accusa di violazione della legalità, presentandosi a sua volta come un uomo di pace, fautore della conciliazione; verso i propri nemici romani quindi non mostra lo stesso rispetto che aveva dimostrato verso i Galli. Cesare usa spesso l’arma di una satira sobria ma graffiante, con cui colpisce la vecchia classe dirigente romana a lui ostile; infatti, personaggi come il console Lentulo, Metello Scipione, ovvero il suocero di Pompeo, e Catone Uticense sono presentati come estremisti mossi da risentimenti e interessi personali. Anche nel De bello civili è presente l’intento propagandistico, che si muove però su un terreno molto più ‘accidentato’: in molti punti traspare il disagio di Cesare per uno scontro Romani contro Romani inutilmente doloroso e dal costo altissimo, sia dal punto di vista economico sia umano. Il De bello civili è una grande celebrazione della vittoria di Cesare, che però non è stata di certo indolore. Un fondamentale motivo dell’opera di Cesare è la clemenza verso i vinti, che si contrappone alla crudeltà degli avversari; vengono quindi prese le distanze da personaggi come Mario e Silla, che affermavano la propria autorità a forza di bagni di sangue e proscrizioni. Cesare cerca in questo modo di rassicurare la popolazione. Nel De bello Gallico è famoso l’episodio in cui Cesare rinuncia a far giustiziare Dumnorige, uno dei capi della tribù degli Edui che tramava contro i Romani, convinto dal fratello Diviziaco, un generale che in più occasioni si è dimostrato fedele (1, 19, 2-5; 20). In altri passi della sua opera, comunque, Cesare ha il merito di non nascondere omicidi, rappresaglie sanguinose e atti di efferatezza da parte dell’esercito romano ma, per quanto tenti di giustificarli di volta in volta sulla base di varie considerazioni, essi si scontrano inevitabilmente con l’immagine di clemens che voleva trasmettere (cfr. “Il massacro degli abitanti di Avarico”, in cui l’esercito romano non trae nessun vantaggio strategico dall’eccidio, e anzi Cesare sottolinea come i soldati non si siano neppure dati al saccheggio). Concludendo, un tema-chiave del De bello civili sta nel concetto di fortuna, infatti Cesare non conferisce un gran ruolo alla divinità: non ci sono prodigi o profezie; per convinzione personale e per motivi propagandistici afferma più volte di godere del favore della fortuna, mostrando anche di conoscerne i limiti: essa non è solo un fattore esterno, indipendente dalla volontà del singolo, ma si costruisce con l’intelligenza e il senso della misura. Per aver successo, quindi, alla fortuna deve essere assistita la virtus: quando l’errore di un singolo oppure la stessa fortuna (che è combinazione di fattori che sfuggono al controllo razionale) ha causato un danno, è il valore degli uomini che può mutare quello stesso danno in un bene. Giacomo Galvani 4ALC Liceo scientifico e classico A.F.Formiggini 04/01/2022...


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