La natura culturale dello sviluppo - Barbara Rogoff PDF

Title La natura culturale dello sviluppo - Barbara Rogoff
Author Martina Zerbin
Course Pedagogia Interculturale
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Summary

Riassunto del libro "la natura culturale dello sviluppo" capitolo per capitolo utilizzato per l'esame di pedagogia interculturale del corso di laurea di scienze della formazione primaria condotto della professoressa Biffi. ...


Description

LA NATURA CULTURALE DELLO SVILUPPO – Barbara Rogof CAP 1 La natura culturale dello sviluppo: principi e metodi di studio Bisogna comprendere i modelli culturali che intervengono nello sviluppo umano  lo sviluppo umano implica una partecipazione degli individui a comunità culturali e può essere compreso solo alla luce delle pratiche culturali e delle condizioni della comunità che sono in continua evoluzione. Culture diverse possono aspettarsi dai b. determinate capacità in periodi molto diversi dell’infanzia (es. a che età si può affidare a un b. un altro b. più piccolo??). Le aspettative che abbiamo nei confronti dei b. e del loro sviluppo acquista significato solo se teniamo in considerazione le diverse condizioni di vita e le specifiche tradizioni e pratiche culturali. Il comportamento delle persone dipende molto dagli usi culturali, e il limite delle teorie è che pretendono di essere applicate a ogni persona in ogni parte del mondo. Lo scopo è quindi comprendere le costanti che spiegano le differenze, capire in che modo la cultura è importante per lo sviluppo. Per comprendere le costanti culturali dobbiamo considerare la nostra concezione dei processi culturali  cosa intendiamo per processi culturali??  PRINCIPI PER COMPRENDERE I PROCESSI CULTURALI: 1° sviluppo umano implica una partecipazione che cambia, alle attività socioculturali delle comunità in cui viviamo che anche esse sono in continua evoluzione; 2° cultura non è semplicemente ciò che fanno gli altri; 3° studio della propria cultura richiede l’assunzione di una prospettiva per contrasto; 4° le pratiche culturali sono tra loro correlate e si influenzano a vicenda; 5° comunità culturali si evolvono continuamente; 6° non esiste un modo migliore di fare le cose, studiare le diverse pratiche culturali non significa determinare quale sia quella giusta. Bisogna riflettere sulle proprie pratiche culturali come POSSIBILITA’ anzi che come modi naturali di agire, bisogna considerare la possibilità di altri punti di vista. Lo studio di altri modelli culturali dovrebbe essere separato rispetta al giudizio, non dovremmo giudicare le pratiche di altre culture diverse dalle nostre. Applicare giudizi è una forma di etnocentrismo, cioè giudizio secondo cui le usanze culturali di altri popoli sarebbero immorali o insensate senza cercare di capire il significato che hanno all’interno delle comunità in cui si sono formate. È una forma di pregiudizio in assenza di conoscenza. Necessario quindi separare i giudizi di valore dall’osservazione dei fatti, perché interpretare il comportamento delle persone senza tener conto del sistema di significati rende le osservazioni prive di significato. Tenere in considerazione altri punti di vista è necessario, ma ciò non significa che tutte le pratiche culturali siano positive. La diversità culturale è una risorsa che protegge l’umanità dalla rigidità. Ci sono delle differenze nelle priorità educative, in ogni cultura lo sviluppo è orientato verso le competenze promosse dalle istituzioni, gli adulti incoraggiano l’assunzione di pratiche della propria comunità. Idea di un solo traguardo evolutivo va abbandonata, il concetto di traguardo evolutivo deriva da un modo di considerare l’infanzia come preparazione alla vita. Bisogna quindi riconoscere che il nostro punto di vista è legato alla nostra esperienza culturale, ma non è l’unico possibile e neanche per forza il più giusto. Negli studi sociali ci si chiede se sia più giusto il punto di vista esterno o interno, quale sia la prospettiva più corretta. Ma dovremmo rivedere le nostre conoscenze alla base di scambi costruttivi tra persone che hanno diversi punti di vista, bisognerebbe tener conto delle nostre 1

esperienze personali e di quelle degli osservatori attraverso una prospettiva differenziata. Il problema è combinare la conoscenza approfondita delle persone e situazioni con l’esigenza di andare oltre le particolarità e fare affermazioni più generali sul fenomeno. 

Gli osservatori esterni sono estranei al sistema dei significati e riescono a comprendere solo in parte e inoltre si scontrano con i preconcetti dei membri della comunità che si chiedono che ruolo abbia lo straniero. L’osservatore esterno può essere accolto bene e diventare quindi parte degli eventi, oppure può essere accolto male.



Osservatori interni sono coloro che partecipano alla vita della comunità e il problema è che in questo caso non si ha una posizione neutrale perché si è coinvolti nella situazione. Inoltre le persone agiscono in modo diverso dal normale se sanno che qualcuno li sta osservando.

Distinzione tra tre approcci: 1. Approccio emico: il ricercatore cerca di rappresentare il punto di vista culturale degli appartenenti alla comunità partecipando e osservando la comunità. 2. Approccio etico imposto: ricercatore propone affermazioni sul comportamento nelle diverse culture, imponendo assunti culturali inappropriati, cioè applica in modo acritico teorie, principi e strumenti di misura.  sbagliato perché è necessario avere qualche conoscenza sulle usanze e significati del luogo per decidere come interpretare un comportamento. 3. Approccio etico derivato: il ricercatore adatta il modo di porre domande, osservare e interpretare in base alla prospettiva dei partecipanti.  la ricerca culturale quindi cerca di comprendere le culture studiate adattando le proprie procedure alla luce di quanto appreso. In una stessa situazione comportamentale si può attribuire lo stesso significato, solo se entrambe le persone appartengano alla stessa cultura, perché non possiamo credere che lo stesso comportamento abbia lo stesso significato in culture diverse. Alcuni autori hanno proposto di confrontare i comportamenti sulla base di ciò che le persone vogliono ottenere, quindi distinguere scopi e motivi dagli strumenti usati.

CAP 2  Lo sviluppo come partecipazione dinamica ad attività culturali Tesi secondo cui le persone e le comunità culturali si strutturano e si modellano reciprocamente. Vari modelli teorici definiscono il rapporto tra sviluppo individuale e processi culturali. Anni 60-70 psicologi cercano di applicare test cognitivi sviluppati in America e Europa a b. di altri paesi cercando di studiare gli stadi generali di sviluppo cognitivo o abilità generali, i ricercatori rimasero sconcertati dai risultati perché molti b. ottenevano dei scarsi risultati nei test cognitivi, ma mostravano notevoli capacità di ragionamento o logica in altri contesti (es. b. che avevano 2

ottenuto scarsi risultati nei test matematici, dimostravano di avere ottime capacità nei mercati o in situazioni locali). I ricercatori cercarono quindi di rendere più famigliari il contenuto e la forma dei test. Il test è una forma tipicamente scolastica che riflette un addestramento specifico, i ricercatori spesso la danno per scontata perché essi stessi hanno una formazione scolastica, ma per persone non scolarizzate non è scontato. Critica al principio di generalizzazione  alcuni iniziarono a criticare l’idea di un progresso infantile che si compie attraverso stadi evolutivi generali e la cultura come un qualcosa di rigido. All’interno della stessa cultura ci sono membri molto diversi tra di loro, quindi il problema è individuare qual è l’essenza di una cultura. Recentemente sono state proposte diverse teorie sul rapporto tra sviluppo individuale e processi culturali: 

Modello psicoculturale di Whiting  per comprendere lo sviluppo è necessario acquisire dettagliate info sulle situazioni in cui esso ha luogo. L’insieme di situazioni che vive il b. e le persone che incontra influenzano in modo determinante il corso dello sviluppo, quindi lo sviluppo è il prodotto di una serie di condizioni sociali e culturali in cui è immerso il b. C’è un rapporto di causalità tra i vari fattori.



Teoria ecologica di Bronfenbrenner  sottolinea il ruolo delle interazioni tra persona e ambiente che sono entrambe in continua trasformazione. L’ambiente è costituito sia dai contesti in cui si ha una diretta esperienza, che dai sistemi culturali e sociali. Gli individui quindi sono il prodotto delle situazioni che vivono direttamente, ma anche di contesti più ampi. B. ha rappresentato la sua teoria con dei cerchi concentrici: il cerchio più piccolo è quello più vicino all’esperienza immediata del b., quelli più grandi si riferiscono a situazioni che esercitano un’influenza meno diretta. I 4 cerchi sono: 1 microsistemi che sono le esperienze immediate come a casa e scuola, 2 mesosistemi comprendono le relazioni all’interno e tra i sistemi, 3 esosistemi sono le situazioni a cui non si partecipa direttamente come il posto di lavoro dei genitori, che però influisce molto e 4 macrosistema si riferisce alle ideologie e istituzioni sociali che dominano la cultura.



Teoria storico-culturale  l’approccio storico-culturale propone di considerare lo sviluppo individuale nel suo contesto storico, sociale e culturale senza separare i due aspetti. Vygotskij sostiene che il comportamento dell’individuo non è separabile dal tipo di attività e situazioni a cui prende parte. I b. apprendono ad usare una serie di “strumenti” culturali nel corso delle interazioni con partner più competenti all’interno della zona di sviluppo prossimale. Gli strumenti culturali vengono quindi ereditati dalle precedenti generazioni e trasformati dalle successive. La cultura non è statica e sono gli individui che contribuiscono a organizzare i processi culturali.

CAP 3  Individui, generazioni e comunità culturali dinamiche

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La natura biologicamente culturale:  il dibattito oppone biologia e cultura, se qualcosa è culturale allora non può essere biologico e viceversa, ma questa separazione non coglie la natura “BIOLOGICAMENTE CULTURALE” degli esseri umani. Spesso si attribuiscono le somiglianze di comportamento alla biologia e le differenze alla cultura. I processi come apprendimento e linguaggio sarebbero inizialmente uguali per tutti quindi biologici e solo in seguito il contatto con una cultura induce a variazioni. MA non è esatto affermare che gli universali sono biologici e le differenze sono solo culturali; gli uomini hanno molto in comune sia dal punto di vista biologico che culturale, come esistono differenze sia dal punto di vista biologico che culturale. Le differenze culturali consistono in variazioni su temi di carattere universale, es. le modalità di apprendimento dei b. variano da paese a paese, ma tutti i b. apprendono assistendo o partecipando a qualche tipo di attività sociale. Un altro es. è l’allattamento al seno, prima dell’invenzione del biberon l’allattamento era essenziale alla sopravvivenza quindi comune a tutte le culture, ma erano comunque presenti notevoli differenze di durata tra una cultura e l’altra. Gli aspetti culturali agiscono sempre insieme a quelli biologici. I b. vengono al mondo equipaggiati con preferenze e tendenze nell’apprendimento in base ai geni ma anche in base all’esperienza parentale. Pertanto i processi biologici e culturali interagiscono continuamente. Due prospettive mostrano in modo efficace l’interazione tra processi biologici e culturali: 1. Predisposizione dei neonati all’apprendimento: alla nascita il b. è predisposto ad apprendere dal comportamento di chi lo circonda, gli esseri umani apprendono dalla cultura in cui vivono già prima di nascere. B. apprende il linguaggio grazie alla capacità di percepire differenze nei suoni e dall’ascolto di conversazioni. Fino ai 6 mesi i suoni prodotti nella lallazione sono uguali per tutti i b. a prescindere dalla lingua, poi nel primo anno diventano sempre meno sensibili ai suoni che ascoltano raramente e si specializzano nella lingua madre. La predisposizione a prestare attenzione alle differenze ha origine sia nei processi biologici che socioculturali, inoltre aspetti biologici e culturali consentono al b. di ascoltare la lingua e comunicare. Nel corso dell’infanzia il b. partecipa più attivamente alle attività socioculturali, apprende i ruoli e le usanze della comunità. I b. apprendono sempre in relazione a un determinato contesto e con l’aiuto di chi li circonda. 2. A cosa si devono le differenze di genere? : dibattito intorno alla questione se le differenze di genere siano inevitabili da un punto di vista biologico oppure se sono plasmate dalla cultura. L’autrice sostiene che si basano sia su processi biologici che culturali. Predisposizione biologica  tesi sostiene che la procreazione maschio-femmina implichi strategie riproduttive molto diverse che si estendono poi ad altri aspetti della vita. Le differenze di genere dipendono dal diverso investimento nella cura dei b. tra donne e uomini. Addestramento culturale  tesi sostiene che i b. sviluppano ruoli sessuali distinti a seconda dei modelli a cui sono esposti e dal rinforzo positivo o negativo ai comportamenti legati al genere. Le differenze di genere sono promosse da una disparità nei compiti assegnati ai maschi e alle femmine fin da piccoli. I b. cercano regole comportamentali sulle categorie salienti della propria cultura e il genere sessuale è una di queste categorie. I b. quindi cercano regole e se ritengono di averne trovata una la applicano più fedelmente rispetto 4

agli adulti. I b. sono circondati da indicazioni rispetto ai ruoli di genere considerati adeguati nel proprio contesto culturale e il condizionamento a cui sono sottoposti quotidianamente influisce in modo rilevante. La partecipazione dell’individuo a comunità culturali dinamiche  spesso si usa una sola categoria per classificare una persona, ma è un problema considerare la cultura come una categoria identificativa. Bisognerebbe invece considerare i processi culturali come usanze e tradizioni di comunità culturali dinamicamente interconnesse. L’approccio classificatorio si basa sull’idea che gli aspetti culturali della vita delle persone siano fissi in categorie identificative come razza, classe socioeconomica… esse possono aiutarci a comprendere, ma non possiamo equipararle alla cultura. È meglio usare un modello che sottolinea la partecipazione degli individui al contesto culturale evidenziando la natura dinamica sia delle persone che delle comunità. Evitare categorie identificative può aiutarci ad affrontare alcuni problemi come la variabilità nei gruppi e la partecipazione simultanea a diverse comunità. Variabilità  le categorie identificative fanno spesso riferimento alla nazionalità sottovalutando importanti differenze all’interno della stessa nazione. Il problema non esisterebbe se anzi che pensare alla cultura come ad un insieme di categorie, la pensiamo come partecipazione dinamica degli individui. Non bisogna considerare nazione di origine, religione.. come categorie separate, ma come aspetti interdipendenti. Il concetto di comunità culturale, che richiama alla partecipazione dinamica delle persone, è essenziale per andare oltre ad una visione categoriale. Una comunità non è un gruppo di persone che hanno in comune una o due caratteristiche, MA una COMUNITA’ è DEFINITA come un gruppo di persone che condividono stabilmente una stessa struttura sociale, usanze, tradizioni, conoscenze e valori. Una comunità comprende un insieme di persone che cooperano per uno scopo comune condividendo una serie di usanze. Le relazioni tra le persone che vivono in una comunità possono essere varie, hanno ruoli e responsabilità diverse e non si escludono conflitti. Una comunità per sopravvivere deve adattarsi al cambiamento nel tempo. Variabilità tra gli individui che compongono una comunità è normale e prevedibile, perché non hanno esattamente lo stesso passato o lo stesso punto di vista o le stesse usanze e obiettivi. Le persone poi spesso partecipano a più di una comunità e le diverse usanze culturali possono sovrapporsi o entrare in conflitto. Generalizzazioni  la categorizzazione generalizza le osservazioni relative a tutti coloro che condividono una certa caratteristica, ma bisognerebbe considerare i risultati di un certo studio come attinenti solo al gruppo studiato. Anzi che trarre le conclusioni che le categorie sono sempre generalizzabili, bisogna esaminare in che modo le osservazioni vengono generalizzate. La cultura va studiata sulla base di un approccio dinamico superando l’approccio statico. Es. spesso si assume che i risultati ottenuti con i b. americani di classe media rappresentino i risultati di tutti i b. in generale. Caso delle comunità culturali “americane”  usanze, tradizioni e valori delle comunità americane possono essere meno visibili a chi appartiene alla stessa comunità perché chi ne fa parte spesso da per scontato il modo in cui vive considerandolo “normale” e l’unico possibile, sono degli abiti culturali. È fondamentale però prendere in considerazione anche altre possibilità e modi di vivere. 5

Le comunità di americani di origine europea di classe media sono persone che per la maggior parte hanno origine europee con una posizione sociale definibile come classe media, caratterizzata da alti livelli di istruzione formale. Ma il sistema culturale della classe media non si applica solo agli americani e anche all’interno della classe media americana ci sono importanti differenze. Le differenze tra gli americani di regioni diverse sono visibili al punto che può essere difficile considerarli membri della stessa comunità, ma hanno anche importanti aspetti in comune. È necessario considerare la partecipazione alle comunità come un processo generazionale in cui vengono conservate alcune continuità con il passato mentre altre trasformate. Una comunità con le sue tradizioni si trasforma in base a diversi fattori come l’economia mondiale, le guerre, innovazioni tecnologiche e altri contributi. Ciascuno può partecipare alla vita di diverse comunità e le diverse usanze possono amplificarsi o entrare in conflitto. Il fatto che ogni persona possa introdurre delle nuove parole è un buon esempio di processo generazionale, la lingua subisce dei cambiamenti nel corso delle generazioni e ciò dimostra il ruolo degli individui e delle comunità nell’evoluzione delle usanze culturali.

CAP 4  Educazione e cura del bambino in famiglia e nella comunità Il ruolo della famiglia e della comunità nello sviluppo del bambino differiscono nelle varie parti del mondo. L’accordo su chi si prenderà cura del b. nelle varie situazioni è connesso al sostegno offerto dalla comunità e dalla famiglia allargata. La composizione delle famiglie dipende molto dalle politiche governative, le nascite sono incoraggiate o scoraggiate dai governi per incrementare o stabilizzare la popolazione. I cambiamenti politici riguardanti la nascita e la sopravvivenza dei b. hanno un profondo impatto sullo sviluppo e sulle pratiche educative dei genitori, sulla vita e l’educazione dei b. Strategie culturali per la sopravvivenza e la cura del b.  Il problema della sopravvivenza dei b. ha un ruolo fondamentale nella definizione delle pratiche di cura: nelle comunità in cui c’è un alto tasso di mortalità infantile le priorità dei genitori riguardo ai figli possono essere molto diverse rispetto a quelle in cui i genitori sono relativamente sicuri che il b. sopravviverà. In Europa e USA il problema della mortalità infantile è superato, ma ci sono parti del mondo dove è ancora oggi una piaga. R. Le Vine ha proposto una gerarchia rispetto alle priorità dei genitori nella cura ed educazione dei b. : 1 occuparsi della sopravvivenza e salute del b., 2 preparazione dei b. a sostenersi economicamente da soli una volta adulti e 3 investire energie nella valorizzazione del potenziale di ciascun b. massimizzando altri valori culturali. Nelle comunità in cui la mortalità infantile è elevata i genitori considerano il secondo e terzo punto solo dopo che il b. è sopravvissuto alla prima infanzia. nelle comunità con alto tasso di mortalità infantile le pratiche di cura sono incentrate su obiettivi di salute e di sopravvivenza. In alcuni paesi dell’Africa la strategia per garantire la sopravvivenza è quella di fare molti figli e di all’attarli fino a 18-24 mesi, inoltre il b. dorme con la mamma e riceve rapide risposte quando piange; quando il b. è svezzato si unisce al gruppo di b. e la madre si occupa di un altro neonato. In USA raramente i b. contribuiscono all’economia fa...


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