LA Storia DEL Servizio Sociale Italiano PDF

Title LA Storia DEL Servizio Sociale Italiano
Author Maria Assunta Valenti
Course PRINCIPI E FONDAMENTI DEL SERVIZIO SOCIALE
Institution Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro
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LA STORIA DEL SERVIZIO SOCIALE ITALIANO NASCITA E SVILUPPO DEL SERVIZIO SOCIALE ITALIANO La storia del servizio sociale in Italia nacque nel secondo dopoguerra. In Inghilterra invece, era avvenuta tra 800’-900’, e i 3 fattori che influenzarono le forme di assistenza furono: -i movimenti di riforma sociale, -l’avvio della SOCIAL RESEARCH -Charity Organization Societies (cos): Quest’ultimo movimento fu più legato all’origine della professione sociale. Nacquero a Londra seconda metà 800’ per cercare di rimediare al fallimento della riforma avviata nel 1834 “legge sui poveri”, cercarono di rendere più efficace e funzionale l’organizzazione degli aiuti sia pubblici e privati e venne introdotto la distinzione tra attività di tipo volontaristico e gratuito e quella a retribuzione. Le attività del COS si basavano su regole ovvero la cooperazione di tutte le agenzie caritative locali, la creazione di un registro confidenziale e l'indagine sulle condizioni sociali dell’assistito condotta da un visitatore amichevole che aveva il compito di individuare i bisogni reali. Operatori e volontari si resero conto che per poter svolgere queste attività avevano bisogno di acquisire conoscenze più specifiche perciò nacquero le prime scuole per operatori sociali con corsi di preparazione e di addestramento. Nel 1898 a New York dove insegnava MARY RICHMOND. → nel 1917 scrisse il primo testo organico di metodologia del servizio sociale, social diagnosis. In ITALIA invece non avvenne come in Inghilterra, la nascita dell’assistente sociale fu grazie alle scuole del servizio sociale a farsi promotrice della professione. L’origine del S.S. può essere collocato all’inizio degli anni 20’ a Milano dove sorse l’Istituto italiano per l’assistenza sociale che aveva il compito di formale le SEGRETERIE SOCIALI, con funzioni amministrative, per poter lavorare nelle aziende e aiutare gli operai per offrire informazioni sulle prestazioni sanitarie e assistenziali. Nel 1928 il partito fascista istituì a Roma una scuola per la formazione delle assistenti di fabbrica. Visto che per molti autori non si può ritenere la nascita delle a.s di fabbrica significativa per S.S perciò bisogna analizzare la nascita e le trasformazioni delle scuole S.S. dalla seconda metà anni 40’. C’era una situazione di miseria molto diffusa che aggravava sulla popolazione dove il sistema assistenziale (regolato ancora dalla legge Crispi) e caratterizzato dalla presenza di enti pubblici inadeguati per poter affrontare la crisi del paese. Per rispondere a queste esigenze nacquero 5 scuole in Italia facendo propri l’ideale democratico, i valori di libertà ed eguaglianza per poter riorganizzare gli organismi assistenziali per poter aiutare i cittadini.

Elda Fiorentino Busnelli evidenzia l’aspetto del S.S. come fattore democratico e un frutto di un ordinamento democratico e secondo lei c’erano quattro padri fondatori (coniugi Calogero, Valllin, e don Giovanni de Menasce) che avevano individuato come cardini del s.s. la centralità della persona, unità e responsabilità per l’A.S. Secondo le loro ideologie l’A.S. non doveva identificarsi con un l’immagine di un funzionario amministrativo, ma di un operatore con un ruolo centrale nel promuovere una società più giusta. L'assistente sociale quindi doveva avere un ruolo attivo nella promozione della partecipazione delle minoranze, nella difesa dei diritti e nella promozione di una società dove si potesse avere maggiore giustizia sociale e l'uguaglianza dei cittadini. Le scuole si dividono in due gruppi: ● scuole di ispirazione cattolica ovvero l’ONARMO (operazione nazionale per l’assistenza religiosa e morale agli operai) e l’ENSISS (ente nazionale scuole italiane di servizio sociale) ● scuole di ispirazione laica l’UNSAS (unione nazionale scuole di assistenti sociali) e le CEPAS (centro di educazione per assistenti sociali). Le scuole sorsero per iniziativa privata, prive di un inquadramento giuridico perciò il titolo che rilasciavano non era legalmente riconosciuto. La gestione privata comportava anche ad un altro problema, ovvero quello dei finanziamenti, che venne risolto nei primi anni grazie ai contributi AAI. Successivamente i fondi vennero utilizzati per fornire assistenza tecnica alle scuole per ampliare le conoscenze e le basi teoriche e pratiche del servizio sociale. L’INSERIMENTO DEGLI ASSISTENTI SOCIALI NEGLI ENTI ASSISTENZIALI La realtà lavorativa della maggioranza degli assistenti sociali fu costituita dagli enti assistenziali (OMNI, ENAOILI) o previdenziali (INPS, INAIL) le cui prestazioni consistevano in contributi economici o nel ricovero in istituto. Tali enti fornivano prestazioni rivolte ai problemi di persone singole, per la loro comprensione era necessario un approccio di tipo psicologico. Tale approccio portò una maggiore conoscenza delle situazioni problematiche di disagio, devianza o disadattamento e alla correzione dell’approccio moralistico che si traduceva nella distinzione fra il povero buono e quello cattivo. Inoltre con il diverso tipo di approccio alla persona dette avvio a un processo di superamento dell’impostazione burocratico-amministrativo. All’inizio degli anni 60’ in Italia si manifestarono i primi sintomi di una profonda crisi. Si era maturata una consapevolezza dell’inadeguatezza dell’attività professionale centrata sull’ individualità attraverso risorse limitate. Si avviò così la riflessione politica del ruolo professionale dell’A.S., inteso come un lavoro volto sia a modificare le istituzioni sia ad assumere una funzione promozionale nei confronti delle persone, cercando nuovi strumenti di intervento e nuovo assetto dei S.S. (emerse nel convegno di Fregene Roma 1961) Nel congresso dell’associazione professionale ANAS nel 1965 ha avuto un ruolo importante. 1970 a Rimini l’assemblea nazionale degli a.s. (organizzata dall’ASSNAS) contestarono il sistema capitalistico e il ruolo dell’A.S. che aveva fino a quel momento.

Le proteste investirono anche le scuole, soprattutto mettendo in discussione le materie professionali in particolare il CASEWORK. Si parlerà di un metodo unitario, qualunque sia la dimensione dell’intervento e con quali strumenti e tecniche usi. CAMBIAMENTI NEGLI ANNI 70’ L’Istituzione delle Amministrazioni regionali nel 1970, i decreti di trasferimento degli enti locali delle funzioni amministrative nelle materie previste dall’art. 117 della Costituzione posero le basi per cercare di superare l’accentramento degli enti assistenziali pubblici, con la concretizzazione del progetto di ricomporre a livello locale la programmazione, la gestione e l’erogazione di servizi territoriali ai quali il cittadino potesse accedere facilmente. Tuttavia sarà solo con il D.P.R. 616/1977 e con la legge 833/1978. Al centro del nuovo sistema di servizi venne posto il distretto sociosanitario perché è ritenuto l’ambito territoriale il più adeguato a integrare i servizi sociali e sanitari. Nei nuovi servizi territoriali verranno inseriti gli a.s. provenienti dagli enti sciolti da principi, valori e obiettivi. Ciò portò al superamento dei cinque metodi, il casework rivolto all’individuo, si arriverà a comprendere che il metodo è unitario qualunque sia la dimensione di intervento.

GLI ANNI 80’ Si manifestarono problemi dal mancato riconoscimento giuridico del titolo di studio che costringevano gli a.s. ad accettare lavori ingiusti, oppure con la collaborazione tra diverse figure professionali portò ad una crisi di identità. La reazione a tale crisi portò alla mobilitazione per il riconoscimento del titolo di studio, infatti verrà approvato il D.P.R. 15 gennaio 1987. La crisi del welfare nella seconda metà degli anni 80’ arrivò ad un livello incontrollabile che si tradurrà in un articolo quadro di riforme. La crisi portò il superamento del welfare di impronta statale. Uno dei settori che si trasformò fu il campo operativo del servizio sociale. Nel nuovo scenario a causa della riduzione delle risorse pubbliche, per questo all’apparato di organizzazione e di offerta servizi si sono affiancati sia il settore privato e sia il cosiddetto terzo settore. WELFARE STATE ---> WELFARE PLURALE con la legge 328 Al servizio sociale professionale è stato attribuito un ruolo fondamentale in quanto il suo inserimento deve essere assicurato in ogni livello di assistenza. E’ uno strumento per promuovere, organizzare e realizzare politiche locali integrate per la promozione della salute, del benessere e della qualità della vita. Tuttavia nel nuovo assetto bisogna modificare le modalità di proporsi e superare l’atteggiamento di attesa passiva dell’utenza che si reca portando il suo problema. Grazie alle riforme si crea una rete integrata di servizi, di prestazioni e di interventi da vari soggetti. Quindi diventano centrali la collaborazione, lo sviluppo e il potenziamento di tutte le risorse e il ruolo dell’A.S. diventa il ruolo di case manager, ossia più responsabile del caso, di attivazione e organizzazione delle risorse.

IL NUOVO QUADRO ISTITUIZONALE Le trasformazioni delle materie socioassistenziale, in cui le Regioni hanno potestà legislativa primaria ha privato la legge 328/2000 del proprio valore come legge quadro nazionale. La realtà del S.S.I. dovrà essere analizzata d’ora in poi. Le regioni non sono più vincolate dalla legge 328/2000 e apre la strada a politiche sociali basate su differenze regionali. I tentativi di analisi della realtà dei servizi socio-assistenziali per ricostruire il lavoro che gli A.S. svolgono soprattutto all’interno. Il lavoro di Luigi Gui sulla situazione del S.S. nelle varie Regioni Italiane partendo dalla rielaborazione dei rapporti regionali pubblicati dall’EISS nel I rapporto sulla situazione del S.S. Per ricostruire l’azione del S.S. professionale, bisogna interrogarsi sull’influenza della legge 328/2000 e sui relativi principi guida sull’organizzazione regionale dei servizi. La risposta, anche se la legge non ha più potere vincolante ha ancora un’importante funzione recettore e amplificatore di carattere del Welfare italiano, segnando alcuni punti di non ritorno nella cultura politica degli anni 2000. Per quanto riguarda il S.S. evidenzia una relativa omogeneità per gli aspetti essenziali di intervento sociale. In ogni regione il segretariato sociale e stato confermato come livello essenziale. Generale è il riconoscimento del valore e della centralità della famiglia con l’organizzazione di servizi per essi. Nei servizi amministrati dagli enti locali, e la categorizzazione delle prestazioni per fasi del ciclo di vita o per fasce d’età. Da specificare è la trasversalità, rispetto ad ogni categorizzazione, delle prestazioni di servizio sociale professionale. Con una riflessione sulle modalità e sulle condizioni di lavoro di assistente sociale nei servizi socioassistenziali, non si può considerare il cambiamento nella gestione amministrativa e nelle modalità di erogazione di questi servizi. Come già detto, in questo periodo l’evoluzione del sistema dei servizi sociosanitari e rientrate nel più generale processo di decentramento istituzionale con l’ampliamento della sfera di autonomia degli enti periferici, che ha preso via con una serie di leggi, soprattutto legge 59/1997. La legge 142/1991 introduce la gestione amministrativa dei servizi socioassistenziali e sarà poi la legge sull’autonomia locali. Per introdurre cambiamenti, prevedendo tra i comuni la possibilità di gestire i servizi direttamente e con soggetti terzi. Questo ha portato, in tutte le regioni, a un’ampia adozione dello strumento della concessione a terzi per l’esercizio dei servizi sociali con un processo “esternalizzazione”, che nel momento in qui si trasforma il contesto e le modalità organizzative ed di erogazione dei servizi socioassistenziali, si riflette sul ruolo dell’assistente sociale. Questo cambiamento conduce verso la liberazione. LA FORMAZIONE DELL’ASISTENTE SOCIALE E IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLA PROFESSIONE Ora dobbiamo soffermarci su alcuni aspetti relativi l’assistente sociale rinviando l’analisi del percorso legislativo che ha portato al riconoscimento giuridico della professione e al suo inserimento in ambito accademico.

La nascita della professione fu strettamente legata al processo evolutivo delle sedi di formazione degli assistenti sociali. Fino alla fine degli anni 80, una professione formata in strutture private, ha influito sull’identità della professione. Per quanto riguarda gli aspetti negativi la mancanza del riconoscimento giuridico del titolo conseguito a fine studi ha permesso che le altre professioni pure essendo nate decenni dopo, hanno sempre avuto riconoscimento e posizioni più forti. La natura privata ha permesso maggiore libertà e autonomia, rendendo possibile l’inserimento di materie nuove e prevedendo un addestramento pratico (tirocinio). Per quanto riguardano gli aspetti positivi sono stati:   

Stretto collegamento su teoria e pratica. (La teoria non è mai stata pura, doveva essere usato per il “saper fare” e “saper essere”, teoria nasceva dal rielaborazione della pratica). Importanza del tirocinio (campo di sperimentazione, riflessione, rielaborazione della teoria presa sia come apprendimento con l’esperienza e sia per sperimentazione). La caratteristica seminariale e la didattica attiva delle materie professionali. (No semplice trasmissione di contenuti teorici, si processo circolare cioè processo bidirezionale).

Decreto ministeriale 3/11/1999 n 599 ha raggiunto pari dignità e convinzione che anche l’assistente sociale avesse bisogna di una formazione universitaria...


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