Le fasi del procedimento metodologico PDF

Title Le fasi del procedimento metodologico
Course Metodi e Tecniche del Servizio Sociale 1
Institution Università degli Studi di Sassari
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Le fasi del procedimento metodologico 1. Fase conoscitivo/descrittiva: conoscere Fasi del processo metodologico/dimen sioni del servizio sociale 1. Fase conoscitivo descrittiva: conoscere

Lavoro l’utenza

con Organizzazione dei Promozione della Ricerca sociale servizi Comunità

Individuazione del problema dell’utente; Analisi e conoscenza della situazione problema; Raccolta dati

Individuazione e analisi del problema da affrontare; Scelta delle priorità in base a ipotesi relative a all’urgenza ed alla fattibilità.

Individuazione del problema in base ai segnali e all’emergenza; Formulazione del problema insieme a gruppi di riferimento.

Individuazione del problema da studiare; Razionale (motivazione della ricercaRicerca di sfondo) Formulazione delle ipotesi della ricerca:

Il coinvolgimento dell’assistente sociale al problema può avvenire attraverso varie modalità: richiesta dell’utenza, segnalazione da persone esterne, mandato d’autorità giudiziaria, intervento diretto dell’assistente sociale in situazioni a rischio, riflessione dell’assistente sociale su situazioni già presentate che si possono configurare come problema sociale emergente (ad es. il ripetersi di una problematica in una determinata comunità) e può comportare livelli diversi d’iniziativa. In un processo di aiuto alla persona o al gruppo (lavoro con l’utenza) le informazioni sono fornite essenzialmente dall’utente, dai membri del piccolo gruppo, da persone significative dell’ambiente o dalla documentazione esistente. Se si tratta di un fenomeno sociale o di un servizio da esaminare, in questa fase l’assistente sociale si dedica allo studio della documentazione esistente sul tema (libri, riviste, rendiconti di esperienze nello stesso settore, impostazioni date del problema in realtà diverse, ecc.) cercando di ricavare indicazioni che affinino la conoscenza del campo su cui si intende operare. Altri strumenti utilizzabili possono essere l’osservazione partecipante, la lettura di documenti, il contatto con testimoni significativi, la ricerca sociale e i suoi strumenti tipici (ricerca quantitativa con interviste e matrici dei dati oppure la ricerca qualitativa attraverso l’osservazione partecipante, le interviste semi o non strutturate, l’analisi di documenti, ecc). La raccolta di informazioni e l’analisi della situazione, devono essere il più complete possibile, tenendo presenti tutti i possibili collegamenti tra il problema presentato o rilevato e il sistema sociale più vasto nel quale possono trovarsi le cause del problema. E’dalla correttezza e dall’approfondimento di questa fase che dipenderà l’esito dell’intero nell’intero processo e i risultati che si perseguiranno. 1

2. Fase valutativo decisionale: valutare Fasi del processo metodologico/dimen sioni del servizio sociale 2. Fase valutativo decisionale: valutare

Lavoro l’utenza

con Organizzazione dei servizi

Valutazione dei bisogni e delle risorse; Definizione degli obiettivi; stesura del progetto di aiuto.

Definizione degli obiettivi di aiuto in base alle risorse prevedibili; Definizione del programma operativo; Definizione delle azioni, dei vincoli e delle risorse.

Promozione della Ricerca sociale Comunità

Valutazione della situazione problema; Definizione degli obiettivi; Ipotesi di intervento; Confrontinegoziazione; Definizione del piano; Distribuzione dei ruoli; Ricerca delle risorse.

Valutazione delle possibilità di studiare il problema; Definizione delle ipotesi e del disegno della ricerca; stesura del progetto di ricerca con indicazione degli strumenti e dei tempi.

Questa fase può essere suddivisa in due momenti: 1. Valutazione della situazione problema e, nel caso di ricerca sociale, analisi e valutazione delle possibilità di studiare il problema.

Scopo della valutazione è quello di riconoscere e analizzare i fattori rilevanti per “capire” una situazione.1 “L’assistente sociale mette in rapporto i vari elementi individuati, sia sul piano particolare che sul piano generale, cercando di mettere in luce le interrelazioni, tra i vari fattori (materiali, affettivi, sociali, fisici, intellettuali, relazionali) e di coglierli nella loro dinamica. Verranno così descritte le forse interne ed esterne su cui si potrà fondare l’intervento, con i punti deboli e meno dinamici”.2 E’ il giudizio professionale dell’assistente sociale sulla situazione ricavato dalle narrazioni e dalle informazioni raccolte, confrontate con le conoscenze teoriche possedute. Di fronte a una serie di racconti, di dati, di sentimenti, di emozioni, di aspettative l’assistente sociale mette in atto il processo di generalizzazione, di confronto con gli orientamenti generali delle teorie in relazione al determinato fenomeno che sta affrontando o studiando. La primissima valutazione verte la competenza: l’AS valuta se e fino a che punto il problema rientra nella competenza sua come professionista e come parte di un servizio.

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Pieroni, Dal Pra Ponticelli, “Introduzione al servizio sociale”, Carocci Faber, Roma, 2005, p. 193 A. Manahan, A. Pincus “ A model for social work practice” in Specht and Vichery; integrating sociale work methods, London 1979, riportato in Pieroni, Dal pra Ponticelli, op. cit. p. 193

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Se ciò accade la seconda tappa attiene il richiamare alla memoria le conoscenze che ha sulle risorse (della persona e del suo ambiente, del servizio/organizzazione, della comunità), le confronta con la situazione ed ipotizza i possibili esiti. Scrive Dal Pra Ponticelli: “Uno dei compiti professionali dell’assistente sociale, che impegna in modo particolare le sue capacità riflessive, è il processo per giungere ad una valutazione della situazione di difficoltà di un utente, di una famiglia o di un gruppo, di situazioni di disagio sociale che si evidenziano nella comunità, di funzionalità di un servizio, l’efficacia di un progetto. Il termine valutazione deriva dal latino valere cioè attribuire valore, dare importanza ad un avvenimento, a un aspetto di una situazione, al comportamento di una persona ai risultati raggiunti da un progetto. Una valutazione scaturisce dal processo che l’operatore compie ogni volta che riflette su quanto è venuto a conoscere dalle parole dalle parole delle persone con le quali ha instaurato una relazione d’aiuto, nell’analisi delle situazioni di disagio sociale in ambito comunitario o ogni qualvolta è necessario riflettere in maniera integrata sulla funzionalità di un servizio, sulla possibilità di riuscita di soluzioni ipotizzate con le reti sociali e con i responsabili di risorse istituzionali. La valutazione è perciò il giudizio che responsabilmente l’operatore riesce a dare ripercorrendo gli aspetti salienti, i significati che si sono evidenziati attraverso il racconto della situazione da parte degli utenti e di altre persone del loro contesto, attraverso la verifica fatta assieme ad altri operatori della funzionalità di un servizio o della realizzabilità della soluzione. E’ un giudizio che cerca di approfondire le diverse dimensioni di una situazione complessa rispetto alla quale l’AS cerca di attribuire un valore, cerca di formulare un proprio parere professionale in vista di azioni da compiere in prima persona oppure cerca di fornire ad altri gli elementi necessari per prendere decisioni e fare scelte”.3

La tappa della valutazione è necessaria per pervenire alla formulazione di un progetto che in relazione alla dimensione del servizio sociale in cui ci si sta muovendo (utenza, servizio, comunità) perviene a interventi di diverso tipo: - intervento per fronteggiare il problema ad esempio rispetto al processo di aiuto rispetto all’utente oppure di stesura di una relazione sulla situazione, contenente tutti gli elementi, compreso il giudizio professionale dell’assistente sociale, che permettano ad altre persone o organismi decisionali di prendere una decisione (che può a sua volta implicare o meno l’attività dell’assistente sociale per la sua attuazione.), - revisione della risposta istituzionale e, ad esempio, di razionalizzazione di interventi già erogati, riorganizzazione di alcune prestazioni del servizio, messa a punto di protocolli di intesa con altri servizi; - ricerca.

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M.Dal Pra Ponticelli “Nuove prospettive per il servizio sociale”, Carocci faber, 2010, pp 137-138

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Dice Bianchi come il termine “valutazione” abbia sostituito quello di “diagnosi sociale” che aveva un carattere prevalentemente ripartivo-lenitivo 4 e non si proponeva la promozione delle persone in quanto non ipotizza il coinvolgimento della persona nella “diagnosi”. Al contrario nella valutazione formulata come tappa dell’intervento, l’apporto delle persone coinvolte nel processo è determinante ai fini della formulazione della valutazione stessa. Infatti se il medico, dopo aver analizzato i sintomi, propone un trattamento senza la necessità della partecipazione del paziente alla diagnosi (sia il paziente che il medico ritengono che il paziente non possieda le conoscenze per poterla fare), nei processi di aiuto del servizio sociale sono le persone che devono diventare promotori del proprio cambiamento. Per tale motivo è determinante proporre e discutere la valutazione, ossia il giudizio professionale dell’assistente sociale, alle persone con cui si formula il progetto per poterla discutere, ri-orientare, modificare, integrare di parti che erano sfuggite in precedenza all’assistente sociale. Secondo De Ambrogio, Bertotti, Merlini: “La valutazione è un oggetto di lavoro importante e significativo per due ordini di motivi:  In primo luogo perché permette di costruire con attenzione e senso la prospettiva dell’agire successivo, utilizzando metodi che favoriscono la comparazione dei processi e la valutazione degli obiettivi e dei risultati.  In secondo luogo perché, quando la valutazione adotta modalità di realizzazione caratterizzate dalla trasparenza e dalla partecipazione dei soggetti coinvolti, attiva il cambiamento, contribuisce alla costruzione di soluzioni sociali nel rispetto del principio di autodeterminazione e potenzia la logica dell’empowerment.” 5 Una finestra: dal modello medico-terapeutico al modello processuale del metodo Sin dagli anni 80 e a partire dal testo di metodologia di Cristina De Robertis si è sottolineato che il metodo processuale e le fasi del procedimento metodologico hanno permesso, sia pure con fatica, il superamento dello schema studio-diagnosi-trattamento, mutuato da medicina e psicologia, che collocava il servizio sociale all’interno di una matrice terapeutica e lo confinava in una funzione eminentemente riparatrice, per sottolineare la componente promozionale sociale e di cambiamento 6. Scrive Bianchi: “Per anni si è usato, per illustrare il metodo nel servizio sociale, specialmente applicato al caso individuale, il modello medico-terapeutico, che cerca di definire, sulla base di uno studio del caso, una diagnosi che tenga conto dei vari elementi e che in qualche modo definisce il tipo di “patologia sociale” o “psico-sociale” dell’utente, e cerca di individuare, e poi attuare, il conseguente trattamento riparativo……Questo schema di riferimento rischia di accentuare la definizione “patologica”; la stessa anamnesi è finalizzata a raccogliere elementi sulla base di tipologie diagnostiche. Ora vi è la tendenza a prendere come base un modello “processuale” di intervento. A livello di linguaggio, si è già abbandonata la terminologia “terapeutica”….Si sottolinea che il metodo del servizio sociale si configura come un “processo di aiuto” che, oltre a cercare la risposta al bisogno prossimo, tende ad aiutare gli utenti a scegliere gli obiettivi che possono e vogliono raggiungere, a individuare le risorse, a prendere in mano le situazioni, nella linea di “mobilitare delle risorse personali e collettive”. 7 4

E.Bianchi, op. cit. p.192 U. De Ambrogio, T. Bertotti, F. Merlini “L’assistente sociale e la valutazione” Carocci Faber, 2007, p. 49 6 Bianchi, op. cit., 2005, pag. 184. 7 Elisa Bianchi “Contributo alla riflessione teorica sul metodo del servizio sociale” in in Dal Pra Ponticelli “ Metodologia del servizio sociale. Il processo di aiuto all’utenza” F. Angeli, Milano, 1985, pag. 62-77 ripreso in P.

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De Robertis affermava che: “ Per un lungo periodo la metodologia del servizio sociale ha attinto dal modello di trattamento medico un buon numero di riferimenti e di termini ad esso propri, soprattutto per quel che riguarda il metodo psico-sociale individualizzato (case-work). Il metodo del case work era suddiviso in fasi o tappe mutuate direttamente dal linguaggio medico. - studio (o ricerca) della situazione, - diagnosi sociale, - trattamento - valutazione - fine del trattamento. Compito dell’operatore sociale era di “trattare” una “malattia sociale”. Il professionista si poneva come la persona in grado di dare delle risposte o di fornire delle soluzioni, dei “rimedi” a chi soffriva di una carenza o di una disfunzione sociale. Il “trattamento” era “prescritto” da colui che era in grado, per formazione, di definire nella “diagnosi sociale” il male di cui l’altro soffre. In questo senso il servizio sociale cercava di stabilire delle tipologie di diagnosi sociale e di sistematizzare le risposte (i trattamenti) in grado di risolvere le differenti “malattie” sociali. Il modello medico-psico-terapeutico aveva come punto di arrivo gli obiettivi del trattamento e si poneva in un’ottica esclusivamente ripartiva. Alla base del modello processuale sta la concezione del ruolo dell’operatore sociale come “agente di cambiamento” (cambiamenti personali o individuali, cambiamenti familiari, cambiamenti sociali). L’obiettivo del “cambiamento” sostituisce gli obiettivi di cura. L’operatore sociale partendo dalla comprensione della dinamica sociale e psicologica in cui si trova il cliente deve definire gli obiettivi precisi di cambiamento da raggiungere e i mezzi per conseguirli. Questa definizione di obiettivi e di mezzi è chiamata progetto o progetto di intervento. L’operatore sociale è solo uno degli elementi in gioco; gli altri sono l’Ente, che assume gli assistenti sociali per mettere in atto la sua politica sociale, e il cliente che può essere un individuo, una famiglia, un gruppo, una comunità. La definizione degli obiettivi e la scelta dei mezzi vengono perciò effettuate mettendo a confronto i progetti delle varie persone interessate e raggiungendo un accordo su un progetto comune. Altri termini si inseriscono in questo modello: per esercitare il ruolo di agenti di cambiamento gli operatori sociali fanno degli “interventi”. Parlare di intervento equivale a “voler agire” intervenire “prendere parte volontariamente” porsi come mediatore. Significa, dunque, porre l’accento sull’azione. Ciò che viene messo in rilievo è la volontà cosciente di modificare , mediante la propria azione, la situazione del cliente. A nostro avviso, la parola “intervento” è più forte della parola azione, anche se spesso sono utilizzate come sinonimi. La combinazione di questi elementi – cambiamento, progetto, intervento- e la loro messa in relazione fanno apparire l’ultima parola chiave di questo modello di riferimento: la strategia. La strategia tiene conto di elementi di natura diversa come le risorse materiali, il tempo, la personalità ecc.. Essa tenta di prevedere l’evoluzione e le interazioni dinamiche tra questi elementi. L’accento è quindi posto sugli aspetti dinamici e mutevoli, sulla definizione degli scopi da raggiungere, e sull’analisi dei diversi elementi che compongono la situazione……Per arrivare allo stesso fine sono possibili diverse strategie, ogni “stratega” ne potrà concepire una di diversa; la cosa fondamentale è trovare quella che ha maggiore possibilità di riuscita. “Il concetto di strategia mette l’accento su chi ha l’iniziativa8” (ossia sul regista dell’intervento: l’assistente sociale). 2) Fissazione degli obiettivi, formulazione del progetto, contratto per la sua attuazione.

Grigoletti Butturini, G. Nervo (a cura di) “ La persona al centro nel servizio sociale e nella società: il contributo di Elisa Bianchi”, Collana Scienze sociali e servizi sociali n. 36, Fondazione Zancan, Padova, 2005, pag. 154-155. 8 Liberamente tratto da C. De Robertis “Metodologia del’intervento nel lavoro sociale” Zanichelli, 1986 pag. 57-59

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2.1 Fissazione degli obiettivi e formulazione di ipotesi di intervento, confronti-negoziazione, definizione delle ipotesi e del disegno della ricerca;

Una volta espressa una valutazione (che può anche essere parte di un lavoro integrato con altri operatori), l’assistente sociale avanza una serie di ipotesi operative circa gli obiettivi e i sottoobiettivi dell’intervento specificando le risorse disponibili o virtuali, i costi, le attività da intraprendere per realizzarli, , il personale, i tempi per l’attuazione del progetto. La fissazione degli obiettivi è, ancora, un’operazione mentale che appartiene al confronto tra realtà e teoria. Occorre vedere qual’è l’obiettivo dell'azione, con chi e su che cosa si voglia agire, per ottenere che cosa, quali i cambiamenti attesi nella persona, nel gruppo, nella istituzione, nella comunità. I bersagli del cambiamento possono essere diversi: la persona o il suo ambiente familiare-sociale nel caso di intervento individuale, ma anche l’attivazione di un gruppo organizzato appartenente alla comunità, o il finanziamento di un progetto particolare da parte degli organismi decisionali dell’Ente di appartenenza. Gli obiettivi devono essere particolareggiati, precisati in termini di strategie operative concrete. Difficilmente gli obiettivi possono essere disgiunti dalle strategie operative ipotizzate, per cui, in questa fase, sono necessarie operazioni mentali diverse quali il confronto fra i dati e le ipotesi per la definizione degli obiettivi, il rapporto tra i fini ed i mezzi con l’esplicitazione concreta delle risorse disponibili, di quelle virtuali (presenti ma non utilizzate), di quelle da approntare.

2.2 Stesura del progetto di aiuto, Definizione del programma operativo, Definizione delle azioni, dei vincoli e delle risorse, Definizione del piano, Distribuzione dei ruoli, Ricerca delle risorse. Stesura del progetto di ricerca con indicazione degli strumenti e dei tempi. L’esito è la stesura di un piano/progetto concreto di lavoro che sappia prevedere strategie di intervento, tempi, costi, persone implicate, ecc. E’ un processo di raccordo logico tra i dati di realtà, aspettative, strumenti e risorse; si tratta di valutare la concretezza e sostenibilità delle aspettative in base ai dati di realtà posseduti, gli strumenti e le risorse disponibili e di contestualizzarli traducendoli in operazioni concrete, dalle quali ci si possa aspettare un certo esito. Le azioni e gli interventi possono essere molto diversi ed avere come obiettivi: -

la chiarificazione (della situazione problematica);

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l’informazione (sulle risorse esistenti);

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il controllo (relativamente a forme di trascuratezza/maltrattamento/devianza);

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la modificazione delle relazioni e dei rapporti di potere attraverso la conoscenza della rete personale dell’utente e l’apertura della a nuove persone – risorsa;

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l’acquisizione di consapevolezza rispetto a scelte individuali o familiari quali, ad esempio, l’adozione o l’affidamento familiare;

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un miglior funzionamento dei servizi in modo che rispondano più adeguatamente ai bisogni dell’utenza e alle sollecitazioni della comunità;

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il coinvolgimento delle risorse volontarie collettive e individuali, organizzate o non, da sollecitare, promuovere, integrare con quelle pubbliche per il fronteggiamento di problemi socio-assistenziali sia individuali che collettivi.

Gli strumenti utilizzabili sono quelli della comunicazione e dell’interazione umana (relazione d’aiuto, colloqui in ufficio e a domicilio, colloqui telefonici, riunioni, documentazione scritta ecc.), quelli messi ...


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