LE Norme Costitutive PDF

Title LE Norme Costitutive
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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riassunti norme costitutive- Carcaterra...


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LE NORME COSTITUTIVE (GAETANO CARCATERRA)

1°CAPITOLO: NORME, NORME PRESCRITTIVE E NORME COSTITUTIVE

1. IL PRESCRITTIVISMO E I SUOI CONCETTI FONDAMENTALI

Si può ricostruire il diritto secondo modelli molto distanti dall’imperativismo o dal prescrittivismo e nello stesso tempo si può pensare che le singole norme abbiano un carattere di precetti, di direttive, di prescrizioni. È questo il prevalente orientamento della scienza e della stessa filosofia giuridica: la tesi che le norme giuridiche sono prescrittive ha tagliato le differenti dottrine circa la natura del diritto. Del prescrittivismo bisogna anzitutto cercare di comprendere il senso ed in particolare occorre metterne a foco quelli che sono i suoi termini chiave: “norma” e “prescrizione”. Hobbes, per esempio, definì la legge come l’insieme delle parole enunciate da colui che a buon diritto comanda agli altri di fare o non fare qualcosa. L’interpretazione della teoria prescrittivistica compiuta su questa definizione costituisce la versione più ristretta della teoria stessa: versione che risolve le norme negli enunciati verbali del legislatore e che riduce le prescrizioni a meri comandi. 2.NORME: ENUNCIATI DEL LEGISLATORE,PROPOSIZIONI NORMATIVE E MODELLI LINGUISTICI.

Cominciamo dalla NORMA e supponiamo di poterla identificare con “l’insieme delle parole enunciate” dal soggetto che le pone. Quali conseguenze ne derivano per la teoria prescrittivistica e per la scienza giuridica in generale? Occorre introdurre alcuni utili distinzioni e nozioni. Prima di parlare di “ENUNCIATI”, dobbiamo parlare degli atti normativi,nei quali gli enunciati stessi sono usati. Con un “ATTO NORMATIVO” un soggetto, il legislatore, adotta una o più norme. Si può ampliare la sfera di designazione di “norma” in rapporto sia al suo contenuto sia al soggetto che la pone:le norme potranno essere non solo generali ed astratti, ma anche individuali e concrete; l’atto normativo potrà essere compiuto da un solo singolo individuo come una pluralità di persone,sia che si tratti di soggetti di diritto pubblico che di diritto privato. Norme, perciò, potranno ravvisarsi tanto in leggi propriamente dette, quanto in provvedimenti amministrativi, in atti dell’autorità giudiziaria e in negozi giuridici di privati cittadini. Un atto normativo così concepito spesso involge o si identifica con un atto enunciativo o enunciazione:ciò comporta l’uso di segni convenzionali intesi a rivelare, a dichiarare,ciò che l’atto normativo stesso è e significa. In questo senso la dottrina afferma che l’atto normativo è un atto-dichiarazione. Ciò che,invece, nell’atto si enuncia o si usa diremo enunciato normativo. In generale, si dice che un enunciato normativo è una sequenza di segni di forma grammaticale compiuta, appartenenti ad una lingua naturale o a un qualche speciale linguaggio (per esempio un ministro che emana un decreto). Più frequentemente gli enunciati normativi usati dal legislatore si chiamano disposizioni,testi o formule normative. Concepire le norme come gli enunciati (tipo) del legislatore è insufficiente.

Quando si dice che una norma è un insieme di parole usate da qualcuno,si intende un insieme di parole considerate congiuntamente al loro significato. Il prescrittivismo è tanto più importante quanto maggiore è il numero dei fenomeni che esso è in grado di spiegare e quanto meno entra in conflitto con la scienza giuridica. Su di questa esso intende innestarsi: in ogni caso in cui la scienza o il comune osservatore giuridico è in grado di individuare una norma,la teoria prescrittivistica la riconosce e vuole apporre il suo sigillo affermando che è una norma giuridica ed è,in quanto tale, prescrittiva. Esistono una grande quantità di norme desumibili da atti o contegni in cui non si usano espressioni né verbali né segnaletiche, perché essi non hanno funzione dichiarativa delle norme stesse. Qui l’atto normativo cessa di essere un atto-dichiarazione. Si è tentati di allargare il concetto di linguaggio del legislatore:ravvisando un genere di linguaggio negli stessi comportamenti o stessi tipi di comportamenti, si può ridefinire la norma coma la forma o la manifestazione attraverso cui l’atto normativo si è reso riconoscibile. Questo comporta che ci saranno sempre delle norme che non riusciremo a far corrispondere a forme linguistiche usate dal legislatore e che,perciò, una teoria che insista invece nel definire le norme in termini di tali forme in realtà non fa altro che limitare il proprio discorso a quelle che potrebbero dirsi norme esplicite. Certo si può dire che la norma è uno qualsiasi degli enunciati delle diverse lingue presenti nell’atto di normazione. Ma proprio questo implica che ormai si prende in considerazione la forma linguistica non più in quanto tale,bensì in quanto rappresentativa di un significato. Spesso la stessa forma dell’enunciato presenta segni speciali o particolari caratteristiche che destinano l’enunciato ad esprimere atti di un certo genere piuttosto che un altro. Questi segni si possono chiamare spie (Tarello) della funzione prescrittiva dell’enunciato:un esempio di spie può essere la parola “obbligo”. Quando un enunciato contiene spie prescrittive diremo che esso ha forma prescrittiva: in particolare diremo che è ordinariamente prescrittivo, se,date le regole linguistiche,è destinato prevalentemente a dichiarare atti prescrittivi, e rigorosamente o tipicamente prescrittivo,se è destinato a dichiarare esclusivamente tali atti. La necessità dettata dalla stessa teoria prescrittivistica ha indotto a includere nella ontologia del diritto i significati normativi,quelle entità denominabili proposizioni normative o proposizioni normogene o anche statuizioni. Anzitutto si può dire che le proposizioni normative sono ciò che è significato da atti normativi: è usuale dire ch gli atti normativi significano che certe persone devono tenere un dato comportamento. Questo è il primo modo di introdurre in generale l’idea di significato. In secondo luogo, le proposizioni normative possono essere definite anche facendo riferimento a ciò che è significato dagli enunciati. In sostanza i 2 modi di spiegare questo concetto sono connessi l’uno all’altro, giacché, essendo gli enunciati normativi usati per dichiarare il significato degli atti,quello che possiamo chiamare significato degli enunciati coincide con ciò che gli atti stessi intendono significare. Parlare del significato di un enunciato richiede peraltro delle cautele. Dato un enunciato,inteso come elemento di una lingua o di un linguaggio,possiamo parlare del suo significato solo se esso è rigoroso,tipico,univoco, in tutti i suoi elementi,ossia se può essere usato per dichiarare un unico e determinato significato; altrimenti, potremo parlare del suo significato ordinario, di quello cioè che è destinato ad assumere nell’uso del significato che ad esso è conferito o che acquista in un

particolare contesto enunciativo. In rapporto agli enunciati, le proposizioni vengono fatte risaltare mostrandone la variabilità in contrasto con l’invarianza di quelli e viceversa. Sappiamo che l’ispezione della forma linguistica dell’enunciato è spesso insufficiente alla sua comprensione,dal momento che una medesima forma può essere impiegata per scopi comunicativi diversi. Un’altra delle fondamentali ragioni che inducono in generale a postulare le entità proposizionali è quella di individuare in esse l’elemento intermediario della traduzione. Possiamo trovarci di fronte a 2 enunciati normativi che sono equisignificanti, vale a dire aventi lo stesso significato. Qui nasce una sottile questione. L’affermazione che 2 enunciati hanno lo stesso significato si impegna esplicitamente nel riconoscimento dell’esistenza dei significati o proposizioni come enti,ciò che invece non fa l’affermazione che 2 enunciati sono reciprocamente traducibili; la stessa affermazione che 2 enunciati sono equisignificanti può essere considerata neutrale rispetto al problema se esistano o meno cose come i significati e le proposizioni. Il principio di astrazione, stabilendo l’equivalenza fra tutte queste affermazioni, potrebbe essere interpretato nel senso che esso permette di eliminare la prima in favore delle altre e potrebbe perciò funzionare a ritroso, come principio che consente di fare a meno dell’astrazione e che quindi opera una riduzione ontologica. Ma nel diritto vi sono particolari esigenze che rendono impossibile tale riduzione. In un certo senso, il prescrittivismo può essere addirittura concepito come la sistematica negazione della possibilità di arrestarsi al linguaggio legislativo nel processo di comprensione del diritto, ossia come l’affermazione che gli enunciati del legislatore sono spesso fuorvianti e mascherano l’effettiva prescrittività delle norme. Accettate, invece, le proposizioni ed individuate in esse le norme, la teoria prescrittivistica acquista la possibilità di dire una quantità di cose che non riuscirebbe a dire se poggiasse sul presupposto di una ontologia limitata agli enunciati legislativi. La tesi che le norme giuridiche sono prescrittive viene a dire che le proposizioni adottate dal legislatore sono prescrittive e che lo sono anche gli enunciati usati dal legislatore , nel senso che essi servono a dichiarare significati prescrittivi. Rimane di fatto che l’uso di un linguaggio è spesso uno degli elementi che integrano la realtà stessa dell’atto normativo, e certamente uno degli elementi più sintomatici del senso dell’atto, che può anche vincolare l’attività dell’interprete. Questa verità non è contraddetta dall’altra secondo cui non è possibile far coincidere di principio quelle che la scienza giuridica chiama NORME e le unità linguistiche del legislatore. Invero, nell’effettivo processo di comprensione del diritto, le norme rivivono negli enunciati, nei quali le traduce l’interprete, spesso con proprie voci, vi corrispondano o no enunciati e formule normative da parte del legislatore. La possibilità di queste affermazioni è garantita da un “Principio di esprimibilità” sottolineato da Searle. Di qui il principio che per qualunque cosa un soggetto significhi, può esistere un enunciato che ne costituisce l’esatta formulazione; il che,fra l’altro, consente di trattare gli atti di comunicazione come se fossero letterali emissioni di elementi linguistici. Riferito all’esperienza giuridica, questo principio valorizza il linguaggio del giurista nei confronti del linguaggio del legislatore. Questo principio di esprimibilità consente in ogni caso un’opera di restauro linguistico, possibilità che è testimoniata continuamente dal lavoro dell’interprete. L’osservatore giuridico, quando si trova dinanzi a una norma di un qualche ordinamento,ne può rilevare e affermare l’esistenza in modi diversi.

Il principio di esprimibilità ha il pregio di indicare, come mezzo di specificazione delle norme, degli enunciati che: a)in quanto tali, sono forme linguistiche che si possono pensare usabili per esprimere le proposizioni normative e non soltanto per citarle e nominarle; b)sono dotati di una struttura articolata che fornisce un’analisi delle relative norme,e sono pertanto nomi che le designano ma anche ne disegnano l’intima costituzione; c)in quanto enunciati propri dell’osservatore giurista, essi possono venire costruiti in modo rigoroso, con l’intesa che essi siano univocamente e tipicamente destinati a caratterizzare la proposizione che formulano. Grazie a siffatte caratteristiche, questi enunciati si prestano a diventare veri e propri modelli ricostruttivi non soltanto delle norme ma di tutti i fenomeni di cui le norme stesse sono i significati,fenomeni che per mezzo di essi possono venire esplicati. Poiché le norme,o proposizioni normative,sono i significati dichiarati o sottintesi nel linguaggio del legislatore, il principio che le norme possono sempre trovare enunciati che ne costituiscono una formulazione esatta,implica che in tali enunciati noi possiamo ravvisare una ricostruzione delle formule normative o di qualsiasi genere di espressione di cui si sia servito il legislatore. Dall’altra parte le norme sono anche i significati degli atti normativi: il principio di esprimibilità delle norme comporta la ricostruibilità nei modelli enunciativi di ciò che gli atti stessi sono. In definitiva, quando ciò che importa è cogliere un significato normativo, il principio di esprimibilità permette di ricostruire in ben formati enunciati o atti di enunciazione, e di studiare la struttura di questi, le caratteristiche e la natura non solo di enunciati e di enunciazioni dati,ma anche di espressioni e di atti che enunciativi non sono, e addirittura di fenomeni che non potrebbero neppure dirsi atti:dinanzi a qualunque dato normativo, comunque manifestato, noi abbiamo a disposizione un modello linguistico capace di ricostruirlo. La teoria prescrittivistica appare come una guida per la ricostruzione del diritto in uno specifico modello linguistico. Inoltre la tesi che le norme giuridiche sono prescrittive viene a dire tutto ciò che abbiamo visto implicato dal principio di esprimibilità. In definitiva, la teoria prescrittivistica sostiene che il dato normativo, ossia qualunque evento nel quale si possa dire presente una norma,può essere integralmente compreso nel suo senso e nella sua essenza ricostruendolo secondo modelli prescrittivi ad esso equivalenti. La teoria medesima può chiamarsi nel suo complesso modello prescrittivistico o modello prescrittivo delle norme giuridiche. 3. NORME PRESCRITTIVE: LE PRESCRIZIONI E LA LORO VARIETA’ NEL DIRITTO.

Da parte dei prescritti visti, le proposizioni prescrittive vengono distinte da proposizioni di altro genere e dagli atti ed enunciati corrispondenti: in particolare dalle proposizioni espressive e da quelle descrittive. Concepire le norme come proposizioni prescrittive e formularle nei termini di modelli prescrittivi vuol dire ricostruire gli atti di formazione come atti coi quali si intende produrre un certo stato di cose,influendo direttamente sui comportamenti di individui e gruppi,sollecitando i destinatari della prescrizione stessa a tenere una determinata condotta piuttosto che un’altra. Le prescrizioni sono guide dell’azione umana, dicono di far qualcosa. Si è sottolineato il carattere dell’influenza che sulle azioni ed omissioni si esercita prescrivendo sulla condotta umana si può influire per mezzo di atti di natura espressiva e persino per mezzo di atti di natura descrittiva. È importante,per comprendere quale sia la funzione di un atto, guardare a ciò che direttamente si intende fare con quell’atto,non già ai suoi scopi o ai suoi effetti indiretti.

Un secondo aspetto caratteristico dell’atto prescrittivo è che esso è teso a produrre un certo stato di cose, e in particolare un comportamento umano, la realizzazione del quale non dipende dall’atto prescrittivo stesso. Wright sosteneva che le prescrizioni ravvisa l’essenza delle norme giuridiche,sono “language dependent”, nel senso che la loro posizione involgerebbe necessariamente l’uso di un qualche linguaggio da parte del soggetto prescrivente. Se fosse così, molte norme non potrebbero venir considerate prescrittive. Carcaterra,inoltre, sostiene che non vede la necessità del requisito linguistico degli atti prescrittivi, come per gli atti normativi. È vero che, essendo l’atto prescrittivo diretto ad influenzare, col suo stesso porsi, la condotta del destinatario,colui che lo compie: 1.deve sempre essere convinto che sussiste la pratica possibilità che l’atto venga conosciuto nella sua esistenza e ricostruito nel suo significato; 2.spesso ha interesse ad agevolare tale riconoscimento pubblicizzando l’atto e usando qualche genere di linguaggio; 3.mai può sforzarsi di fare in modo che l’atto rimanga segreto al destinatario della prescrizione. Le prescrizioni possono avere varia forza o intensità. La concezione prescrittivistica ammette norme giuridica di differente norma prescrittiva. Il prescrittivismo è un punto d’arrivo; storicamente parlando, esso è maturato grazie al pensiero di Bobbio. Il punto di partenza, è indicato con il nome di “imperativismo”. Come in Hobbes, l’imperativismo individua l’essenza della norma giuridica il momento della massima forza della prescrittività: per esso le norme giuridiche sono comandi. Per Austin un comando è l’espressione di un desiderio, caratterizzato però dal proposito di infliggere un male per il caso che esso venga disatteso. La persona cui la volontà è diretta si dice vincolata o obbligata dal comando. Le norme giuridiche vere e proprie risultano definite come una specie di comandi: sono comandi e perciò accompagnati dalla minaccia di una sanzione e vincolanti o obbliganti, che un soggetto sovrano, rivolge direttamente o indirettamente a persone che si trovano in stato di subordinazione rispetto a quel soggetto. Questa concezione è stata recentemente portata all’apice del rigore logico da Von Wright. Per lui , una norma giuridica è una prescrizione , un comando. A sua volta, un comando implica la minaccia di una sanzione idonea a generare il timore effettivo della punizione, e questa effettività comporta che la norma sia osservata e presuppone che l’autorità che la emana sia più forte dei soggetti cui la norma stessa è diretta: cosicché la base fattuale su cui si fonda l’ordinamento giuridico è costituito dalla maggiore forza di coloro che comandano su coloro che sono comandati. Questa concezione si rivela inadeguata proprio al confronto con l’esperienza giuridica. Sensibilmente limitativo è il requisito della sanzione, intesa come minaccia di un male per l’ipotesi di una violazione, nonché il requisito del carattere vincolativo e dell’efficacia obbligatoria. Per Austin, i due requisiti si identificano poiché sanzione punitiva, vincolo ed obbligo sono concetti che si tengono l’uno con l’altro. Fra le analisi critiche dell’imperativismo sono particolarmente importanti quelle di Bobbio. Egli ha richiamato l’attenzione su una quantità di fenomeni che si possono dire in largo senso normativo pur no avendo la forza obbligatoria dei comandi e dei divieti; dall’altro lato ha riconosciuto la fondatezza di gran parte delle tesi dei non sanzionasti. Bobbio ha sottolineato come nel diritto si operi con strumenti che sono privi della forza di impulso caratteristica dei comandi. Sia i privati sia le pubbliche autorità creano rapporto compiendo atti il cui significato è una proposizione che non genera un vincolo obbligatorio (tali sono: le istanze, i pareri). Attacchi più diretti all’imperativismo possono essere condotti facendo riferimento, secondo Bobbio , alle norme programmatiche del diritto Costituzionale , alle direttive frequenti nel diritto

pubblico e alle raccomandazioni del diritto internazionale. Le norme programmatiche impongono al legislatore ordinario di emanare determinate leggi; ma poiché non esiste una procedura che possa costringere il legislatore a compiere l’attività richiesta, le norme programmatiche non riescono a creare un vincolo perciò che esigono :ad esse consegue solo un effetto obbligatorio secondario, consistente nel divieto di emanare norme che contrastino con quelle leggi che il legislatore dovrebbe adottare. Di direttive sono si parla in diversi sensi, sono state definite da Santi Romano come norme contenenti consigli, istruzioni,ecc, che non sono in se per se obbligatorie. Soltanto a obblighi secondari danno luogo anche le raccomandazioni; ma in ogni caso la condotta che esse sollecitano dagli Stati che ne sono i destinatari non acquista il carattere di obbligo giuridico dell’ordinamento internazionale. Il concetto imperativistico di comando è discutibile sotto il profilo del requisito della sanzione punitiva: non sempre una norma giuridica è accompagnata da una sanzione e non sempre la sanzione ha carattere punitivo. Non può non accadere che certe norme non siano seguite dalla previsione di una risposta dell’ordinamento all’eventuale violazione delle norme stesse. Bobbio riassume il senso delle sue osservazioni in tre punti essenziali. 1)Quella che si dice violazione di una norma regolativa del potere supremo si risolve nella produzione di un nuovo diritto: ciò significa che non è solo inutile disciplinare all’interno di un sistema l’ipotesi dell’abbandono del sistema stesso, progettare una norma che sancisca che se saranno compiuti certi atti, che comportin...


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