Le scuole come luogo inclusivo proget work Unipegaso PDF

Title Le scuole come luogo inclusivo proget work Unipegaso
Author Riccardo Rapella
Course Didattica dell'inclusione
Institution Università Telematica Pegaso
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Summary

Projct work Per qualifica Educatore socio-pedagogico...


Description

Università Telematica Pegaso

CORSO INTENSIVO DI QUALIFICAZIONE PER L'ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI EDUCATORE PROFESSIONALE SOCIO-PEDAGOGICO Alfo 267

PROJECT WORK: LE SCUOLE COME LUOGO INCLUSIVO

RELATORE:

CANDIDATO:

dott.ssa Generosa Manzo

Ricci Soccorsa Giovanna

Anno Accademico 2018-2019

Sommario Capitolo1: le scuole come luogo inclusivo.....................................................................................................3 1.1dall’inserimento all’inclusione: l’evoluzione della scuola inclusiva...................................................3 1.2

Disturbi specifici dell’apprendimento...........................................................................................4

1.3

bambini ad alto potenziale.............................................................................................................5

Capitolo 2 La scuola di tutti e di ciascuno....................................................................................................7 2.1 Universal Design for Learning.............................................................................................................7 2.2 cooperative learning.............................................................................................................................7 2.3 Didattica per competenze.....................................................................................................................9 Capitolo 3: dalla teoria alla pratica.............................................................................................................10 3.1 progetto inclusione:............................................................................................................................10 3.2 unità di apprendimento di storia.......................................................................................................11 3.3 compito autentico per una didattica per competenze.......................................................................16 BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................................................21

Capitolo1: le scuole come luogo inclusivo Nel corso degli anni sono avvenuti costanti sviluppi sia sul piano concettuale sia su quello normativo. Nel mondo della scuola è possibile individuare una trasformazione nella sensibilità alla questione della disabilità a partire dal passaggio dal concetto di inserimento a quello di integrazione e infine, di inclusione. 1.1dall’inserimento all’inclusione: l’evoluzione della scuola inclusiva A livello normativo il termine “inserimento” è stato ufficializzato dall’articolo 28della legge 30 marzo 197, n.118, quello “integrazione” dalla legge 5 febbraio 1992, n, 104, quello di “inclusione” dalla convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità. Il termine “inserimento” si afferma con l’apertura delle classi ordinarie ai soggetti precedentemente confinati in classi differenziate o istituti speciali. L’inserimento rappresenta una grande conquista, ma non determina l’alterazione delle strutture e delle finalità di fondo della scuola, che rimangono sostanzialmente le stesse. L’inserimento non presuppone il cambiamento ma solo l’accoglienza. Dagli anni ottanta si inizia a parlare di integrazione, a sottolineare l’esigenza di un impegno mirato all’incontro tra i soggetti e le diverse culture presenti in classe. Gli alunni con disabilità non sono solo presenti in classe ma contribuiscono, al pari degli altri, al lavoro didattico. Inclusione è un concetto ancora più radicale: implica che la scuola dalle sue fondamenta, venga concepita in modo tale da consentire a chiunque, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche, psicologiche o culturali di poter realizzare il pieno sviluppo delle sue potenzialità. La prospettiva inclusiva rappresenta una svolta fondamentale negli ultimi anni la comunità europea ha posto la sua attenzione sull’educazione dei bisogni speciali e sulla loro integrazione nelle scuole. A tal proposito, l’attuale normativa italiana vigente a risulta chiara ed esaustiva. L'inclusione scolastica rappresenta un valore primario nell'ambito delle politiche scolastiche nazionali. Essa si ispira ai principi costituzionali di eguaglianza e pari dignità sociale di ogni cittadino; tali principi si sono concretizzati nell' applicazione delle norme previste dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, dalla Legge 8 ottobre 2010 n. 170 e, per quanto concerne gli alunni le cui condizioni non rientrano nelle previsione delle norme sopra citate, dalle indicazioni presenti nella Direttiva Ministeriale del 27.12.2012, dedicata a definire gli strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES). A questo riguardo, l'attenzione ai bisogni educativi speciali era già ampiamente sottolineata nelle Indicazioni nazionali per il curricolo (2012), laddove, nel capitolo "Una scuola di tutti e di ciascuno" si precisa che "Particolare cura è riservata agli allievi con disabilità o con bisogni educativi speciali, attraverso adeguate strategie organizzative e didattiche, da considerare nella normale progettazione dell'offerta formativa". Anche la Legge 13 luglio 2015, n. 107, individua espressamente fra gli obiettivi formativi prioritari del sistema d'istruzione il "potenziamento dell'inclusione scolastica e del diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi individualizzati e personalizzati" (Art. 1, comma 7, lett. l). I principi concernenti l'attenzione agli alunni con bisogni educativi speciali sono stati declinati in precise modalità operative diffuse mediante la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, la Nota MIUR 27 giugno 2013 prot. n. 1551 e la Nota MIUR prot. n. 2563 del 22 novembre 2013, che delineano le strategie di intervento a favore degli alunni con bisogni educativi speciali, nonché offrono indicazioni in merito alla redazione del Piano didattico personalizzato per gli alunni con bisogni educativi speciali. Tali disposizioni mirano ad assicurare agli alunni con bisogni educativi speciali, bisogni che possono assumere anche forma transitoria, gli adeguati strumenti di supporto indispensabili per la loro partecipazione alla vita scolastica su un piano di uguaglianza con gli altri compagni e compagne di classe. In questa prospettiva, il Piano Didattico Personalizzato non deve essere un semplice adempimento burocratico, ma uno strumento condiviso per consentire ad un alunno di dialogare e di cooperare

con il gruppo classe, nell' ottica della progettazione inclusiva di classe, della corresponsabilità educativa di ogni componente scolastica, per il raggiungimento degli obiettivi previsti secondo il ritmo e lo stile di apprendimento di ciascuno. Esistono, infatti, caratteristiche personali, collegate all'esperienza vissuta e a condizioni di salute, anche di natura transitoria, che necessitano di tutela, di "cura educativa", che si esplicita nel Piano Didattico Personalizzato. Esso ha, pertanto, la funzione, anche con riferimento agli alunni con bisogni educativi speciali, di dichiarare e di sistematizzare gli interventi educativi e didattici, di coinvolgere attivamente la famiglia, nonché di garantire la verifica e il monitoraggio degli obiettivi raggiunti. È anche attraverso tale strumento che si realizza un sistema scolastico più equo ed inclusivo, in cui la prospettiva pedagogica rivesta maggiore significatività di quella clinica. Non è pertanto la logica dell'adempimento burocratico a dover prevalere, quanto il principio della già citata "cura educativa", fondato sulla responsabilità del docente - o meglio, dei team docenti e dei consigli di classe - e sulla corresponsabilità dell'azione educativa. A tale riguardo è utile precisare che, nella scuola dell'infanzia, sarebbe più opportuno, qualora dall'osservazione sistematica emergano elementi riferibili a condizioni particolari e a bisogni educativi speciali, fare riferimento a un profilo educativo o altro documento di lavoro che la scuola in propria autonomia potrà elaborare e non ancora a un Piano Didattico Personalizzato. In sintonia con quanto già chiarito in precedenti documenti ministeriali (Linee guida allegate al D.M. 12 luglio 2011), il precocismo nell'insegnamento della letto-scrittura, ossia l'avvio di attività precipuamente didattiche, è infatti da evitare. D'altro canto, secondo i parametri della Consensus Conference del 6-7 dicembre 2010, la certificazione dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento non può essere rilasciata prima del termine del secondo anno di scuola primaria. Appare altresì vero che proprio negli anni dell'infanzia vengano manifestandosi situazioni di problematicità che soltanto in un secondo tempo si rivelano come veri e propri disturbi. È pertanto della massima importanza svolgere osservazioni quanto più possibile sistematiche e coerenti rispetto ai comportamenti attesi, sulla base dell'età anagrafica, da parte di ciascun bambino. Ciò anche al fine di dare continuità all'azione pedagogica e rafforzando un dialogo fra gli insegnanti della scuola dell'infanzia e gli insegnanti della scuola primaria. 1.2 Disturbi specifici dell’apprendimento Com’è noto la legge 170 dell’8 ottobre 2010 pone particolare attenzione in materia di disturbi specifici dell’apprendimento in ambito scolastico. Cosa sono i DSA?

Per disturbi specifici di apprendimento, identificati con l’acronimo DSA si intende disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici. Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche: dislessia: disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo); disortografia: disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica);  disgrafia: disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria);  discalculia: disturbo nelle abilità di numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri). Il riconoscimento dei DSA così come definito dalla normativa vigente, stabilisce che la scuola deve attivare un percorso didattico idoneo allo studente che presenti difficoltà, con la possibilità di accedere a “strumenti compensativi” e a “misure dispensative”, contenuti nel PDP (piano didattico personalizzato) che la scuola redige in collaborazione con la famiglia dello studente con diagnosi di DSA.  

1.3 bambini ad alto potenziale Secondo le statistiche, circa il 5% della popolazione infantile ha un alto potenziale, ossia uno sviluppo cognitivo superiore alla media dell’età (che si identifica normalmente con un QI superiore ai 130 punti). Alcune caratteristiche sono: • profonda curiosità e desiderio di approfondimento su questioni complesse, pensiero astratto; • precocità nello sviluppo del linguaggio, grande memoria e apprendimento spontaneo della lettura\scrittura in età prescolare; • enorme sensibilità, perfezionismo, facilità alla frustrazione e bassa autostima; • alto livello di energia; • sviluppato senso dell’umorismo; • dissincronia tra sviluppo cognitivo ed emozionale;

• difficoltà di integrazione nel gruppo dei pari; • difficoltà nel riconoscere l’autorità. Non si parla assolutamente di piccoli “geni” ma di bambini che fin da piccolissimi mostrano comportamenti peculiari, modalità di pensiero originali, difficoltà oggettive che li portano a sentirsi diversi dai coetanei. Non è una scelta e neppure un percorso facilitato, come si sarebbe portati a credere . Anzi, spesso la

plusdotazione si trasforma in un limite, se non riconosciuta e supportata. Per questo amo la definizione “alto potenziale”, è il riconoscimento di un nucleo innato che però necessita di cura per svilupparsi. Il valore di QI ovviamente non definisce un bambino, è solo un parametro, però rappresenta un punto di partenza per comprendere determinate caratteristiche. I bambini ad alto potenziale cognitivo iniziano ad apprendere spontaneamente, spinti dalla precoce curiosità e spesso l’ingresso nella scuola primaria rappresenta una grande delusione, si annoiano e non comprendono le richieste degli insegnanti. Hanno ottima memoria e velocità di ragionamento, per questo riescono ad affrontare i primi anni di scuola senza doversi realmente impegnare, senza dover imparare un metodo di lavoro, senza costanza e concentrazione sui compiti assegnati. E odiando ogni tipo di attività ripetitiva. Gli esperti parlano di pensiero “arborescente” o divergente, contrapposto al più comune pensiero sequenziale. I bambini ad alto potenziale collegano molte informazioni simultaneamente, li ramificano e scelgono strade alternative basate sull’intuizione. Ma i nostri programmi scolastici seguono un sistema essenzialmente sequenziale e per questo i bambini ad alto potenziale spesso non ottengono i risultati che ci si aspetterebbe da studenti tanto “intelligenti” e soprattutto si sentono così a disagio all’interno della classe. Allora si aprono diverse strade, facciamo alcuni esempi: • alcuni bambini reagiscono mettendo in discussione l’insegnante, disturbano i compagni, scappano, urlano. In questi casi il pericolo è avere diagnosi errate di ADHD, • altri bambini si chiudono nel silenzio, soffrono di iperadattamento alle regole scolastiche e rischiano di essere semplicemente dimenticati dagli insegnanti, • è anche possibile (soprattutto accade alle bambine) che scelgano di nascondere le peculiari competenze per integrarsi nel gruppo dei coetanei, per allontanare l’immagine di “diverso”. In tutti i casi il mancato riconoscimento dell’alto potenziale può portare all’underachievement o sotto rendimento, ossia uno scollamento tra il rendimento scolastico e le reali potenzialità del bambino. Se, come dicevo, durante gli anni della primaria i bambini ad alto potenziale riescono a compensare e ad avere buoni risultati, entrando nella scuola secondaria si scontrano con la propria sostanziale impreparazione ad affrontare sfide più complesse di apprendimento e ad organizzare il lavoro quotidiano. I risultati stentano ad arrivare, l’innato perfezionismo fa soffrire, la fatica dell’apprendere risulta frustrante, il sostegno del talento non è più sufficiente. L’autostima crolla e arriva la depressione di sentirsi improvvisamente privati del dono su cui avevano fatto così tanto affidamento. E il rischio di fallimento e di abbandono scolastico diventa elevatissimo per i ragazzi ad alto potenziale, molto più che nella media degli studenti. Ovviamente non sarà così per tutti ma purtroppo – senza il supporto adeguato – appare un percorso molto frequente. Per questo occorre riconoscere la diversità dei bambini ad alto potenziale come un valore positivo, occorre sostenerli con modalità di apprendimento che appaghino la loro necessità di complessità, occorre allenarli all’impegno e anche al fallimento. Infine, permettetemi, è indispensabile non dimenticare mai che sono bambini e – come tutti – hanno tutto il diritto di essere lodati e incoraggiati, troppo spesso diamo (genitori e insegnanti) per scontati

i loro risultati. Lo vedo accadere continuamente a scuola, nonostante mio figlio abbia una maestra molto attenta, e lui ne soffre molto. Per concludere, l’alto potenziale cognitivo è qualcosa che i bambini hanno, non è una scelta né una scusa. Nella letteratura anglosassone si parla di bambini gifted, è una definizione calzante, positiva eppure non è sufficiente. L’alto potenziale è – appunto – un dono ma è anche un valore in costante divenire, deve essere riconosciuto, supportato, curato. Diversamente può trasformarsi nel peggiore nemico dei nostri bambini, motivo di frustrazione e di fallimento. E’ importante che i genitori siano preparati ad affrontare le sfide che questi bambini pongono e non rinunciare mai ad educarli, nel rispetto della loro diversità. Per farlo spesso occorre l’aiuto di specialisti, che supportino le famiglie nel creare specifici processi di resilienza e che facciano da ponte tra i bambini e le strutture scolastiche. E’ facile pensare che i bambini ad alto potenziale non abbiano bisogno di aiuto, soprattutto a scuola, eppure senza un supporto didattico adeguato rischiano di perdersi molto più dei compagni. La normativa pone particolare attenzione anche agli alunni e studenti ad alto potenziale intellettivo definiti Gifted Children in ambito internazionale. A seguito dell'emanazione della Direttiva 27.12.2012, molte istituzioni scolastiche hanno considerato tali alunni e studenti nell' ambito dei Bisogni Educativi Speciali. Tale prassi, assolutamente corretta, attua la prospettiva della personalizzazione degli insegnamenti, la valorizzazione degli stili di apprendimento individuali e il principio di responsabilità educativa. Anche in questo caso la strategia da assumere è rimessa alla decisione dei Consigli di Classe o Team Docenti della primaria che, in presenza di eventuali situazioni di criticità con conseguenti manifestazioni di disagio, possono adottare metodologie didattiche specifiche in un'ottica inclusiva, sia a livello individuale sia di classe, valutando l'eventuale convenienza di un percorso di personalizzazione formalizzato in un PDP. Capitolo 2 La scuola di tutti e di ciascuno “non c’è peggiore ingiustizia del dare cose uguali a persone che uguali non sono” Don Milani Come si può, quindi, rispondere alle esigenze di tutti rispettando le specifiche caratteristiche di ognuno? L’utilizzo di diverse metodologie che hanno l’obiettivo di mettere in campo diverse competenze associate ai “talenti” di ognuno, possono sicuramente essere un supporto efficace in termini di inclusione sia sociale, sia didattica. 2.1 Universal Design for Learning In questa prospettiva un’interessante proposta operativa è rappresentata dall’Universal Design for learning un modello di progettazione e di attuazione dell’istruzione sviluppato negli Stati Uniti per consentire a tutti gli studenti di acquisire le conoscenze, le capacità, l’entusiasmo per l’apprendimento. L’UDL recupera i principi della progettazione universale in architettura, dove la sfida di realizzare edifici e strumenti accessibili porta un beneficio per tutti (gli scivoli per l’accesso ai marciapiedi sono utili a chi usa la sedia a rotelle ma anche a mamme con passeggino o a chi semplicemente vuole correre), suggerendo di introdurre in educazione un ventaglio ampio e diversificato di possibilità di accesso ai contenuti da apprendere. Si parla anche di multi modalità, ovvero della possibilità di offrire uno stesso contento in modi e forme diverse mediante l’impego di più codici linguistici e di schemi espositivi e di lavoro diversificate per caratteristiche cognitive e conoscitive, linguistiche, sensoriali e motorie.

In una didattica che mira a formare ogni studente rispettando le specifiche caratteristiche di ognuno risultano particolarmente efficaci metodologie quali cooperative learning, didattica laboratoriale, mastery learning, modalità motivanti sia per chi necessita di essere potenziato e sostenuto per specifiche difficoltà sia per i bambini ad alto potenziale che sono stimolati attraverso proposte di lavoro che richiedono di mettere in campo diverse competenze. 2.2 cooperative learning Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti. Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di apprendimento gli studenti sviluppano determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di “abilità interpersonali e di piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di cooperazione qualitativamente alto” ...


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