Riassunto l\'agire inclusivo nella scuola PDF

Title Riassunto l\'agire inclusivo nella scuola
Author Giorgia Uras
Course Scienze dell'educazione e della formazione
Institution Università degli Studi di Genova
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riassunto completo...


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Riassunto “l’agire inclusivo nella scuola” A scuola includere significa rimuovere le barriere all’apprendimento e alla partecipazione per assicurare il successo scolastico per tutti e per ciasciuno. Nonostante ciò l’agire inclusivo a scuola è ancora difficoltoso, perché gravato di visioni deterministiche; si sottovaluta il fatto che la responsabilità dell’agire inclusivo non è solo di docenti ed educatori ma di tutta la società. Nella prospettiva pedagogica l’inclusione è sostenuta da riconoscimento della diversità come un valore e non un limite; il contributo che tutti gli allievi assicurano nel percorso verso il successo scolastico, promuovendone e assicurandone la partecipazione attiva; la promozione di pratiche didattiche inclusive che favoriscano la dimensione partecipativa di tutti; l’idea di una scuola che apprende da se stessa, migliorando continuamente per assicurare il raccordo tra cultura e problematiche di una realtà in continuo mutamento. L’Italia è un Paese riconosciuto come molto attivo rispetto alle politiche inclusive, che non possono considerarsi comunque come definitivamente risolte. La qualità didattica è determinata dalla competenza di educatori e insegnanti, ma non è tuttavia sufficiente se non vi è la volontà della scuola e la capacità di riconoscere l’inclusione come progetto irrinunciabile per la società democratica. La pedagogia speciale si occupa della persona in quanto “speciale” in tutte le sue peculiarità, concentrandosi sui soggetti che durante l’obbligo scolastico incontrino difficoltà apprenditive. Guarda in particolare ai soggetti titolari di Bisogni Educativi Speciali (disabilità, bisogni evolutivi specifici, svantaggio sociale, economico, culturale e linguistico) che vanno soddisfatti secondo particolari premure, pur non originando esclusivamente da certificazioni e diagnosi, ma in generale da svantaggi esterni. Bisogna educare le differenze nell’uguaglianza, perché ogni soggetto è unico e irripetibile e il termine “speciale” esprime differenze comuni a ogni soggetto. Il concetto di inclusione rimanda da un lato all’idea di persona, dall’altro rimanda alla parità, all’equità, all’uguaglianza e alla partecipazione solidale. In ogni classe sono presenti alunni che manifestano richieste di speciale attenzione (svantaggio economico-sociale-culturale, DSA, ADHD..), complice il fatto che la società è sempre più multi-interculturale. Educare alle differenze è essenziale per il successo scolastico di tutti. Un principio che trova richiamo normativo nella legge 53/2003 che stabilisce che la presa in carico dell’alunno con BES spetta a tutto il personale docente curricolare e non solo all’insegnante specializzato, principio confermato anche nella legge 170/2010. Al concetto di BES si sta progressivamente sostituendo quello derivato dall’ICF di “rimozione degli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione”. Nella prospettiva pedagogica il bisogno educativo è speciale, non semplicemente perché lo dice la norma, ma per l’esclusività identitaria che caratterizza e distingue ogni soggetto. L’uguaglianza e la differenza sono due facce della stessa medaglia, perché l’uguaglianza valorizza le differenze che distinguono ogni soggetto dagli altri, mentre le differenze hanno come riferimento l’identità del soggetto, l’uguaglianza è tutelata dall’equità di trattamento secondo giustizia. L’educazione si pone come obiettivo la responsabilità verso l’altro come fondamento dell’idea di cittadinanza e la partecipazione solidale preserva e tutela l’uguaglianza nel rispetto delle differenze. La conoscenza può essere interpretata come sintesi fra agire e conoscere o come sapere emergente dalle pratiche e dai processi partecipativi attivati. Il termine partecipazione rimarca che si apprende grazie all’interazione con altri, che non significa “omogeneità” perché una comunità non è di per sé omogenea. Saper partecipare alla società ha molti punti in comune con il saper includere. Secondo l’approccio fenomenologico di Husserl, una declinazione del paradigma ecologico, la conoscenza non si realizza attraverso schemi rigidi applicati al mondo ma nell’incontro stesso tra il soggetto e il mondo. E’ sempre lecito dubitare, perché il mondo sensibile non è del tutto evidente; e poiché ciò che percepiamo è solo ciò che ci appare, nell’indagare un fenomeno dobbiamo

sospendere il giudizio. L’agire inclusivo si confronta con il sistema sociale, educativo e comunicativo che si influenzano reciprocamente determinando e rispecchiando il livello di inclusività della società, delle comunità e dei suoi membri. L’agire inclusivo può svolgersi secondo un percorso top-down o un percorso bottom-up, oppure secondo traiettorie non lineari; il modo più razionale di procedere è quello top-down, anche se gli effetti dell’agire inclusivo non rimangono confinati nel soggetto ma si dispiegano con un movimento bottom-up, quindi dal sistema educativo fino al sistema sociale. Quest’ultimo abbraccia tre sotto-sistemi che si influenzano reciprocamente e sono quello macro (sistema politico-legislativo), mesa (sistema di comunità), micro (sistema professionale). Le comunità scolastiche ricevono quindi stimoli dal sistema politico-legislativo (anche se non sempre dall’astratto le leggi si traducono in effetti pratici) perché la scuola non può esimersi dal confrontarsi con le normative. L’agire inclusivo esige un solido impianto, coerente, che abbraccia differenti piani: quello normativo, la determinazione della comunità scolastica, la consapevolezza e la competenza di educatori e insegnanti. (Macro) Già nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, fino alla recente Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con disabilità del 2006, troviamo l’obiettivo di realizzare una società inclusiva. Includere significa accogliere e far sentire ognuno parte della comunità, in una logica di cittadinanza attiva: più la comunità è inclusiva, più la cittadinanza è prossima alle persone. L’evoluzione legislativa italiana nel tema dell’inclusione, si è snodata a partire dalla medicalizzazione, all’inserimento, per arrivare poi all’integrazione e infine all’inclusione. (Mesa) La pedagogia speciale a scuola, rispetto al tema dell’inclusione, abbraccia questioni di carattere sociale e organizzativo e i bisogni educativi sono presi in carico da tutta la comunità scolastica. Un sistema scolastico inclusivo è tale quando rimuove gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla vita, offre quindi opportunità e fornisce risorse, tenendo conto delle differenze degli alunni e utilizzando adeguati strumenti (uno è l’Index for Inclusion). Importante anche il Piano Annuale per l’inclusione (PAI) che, istituito dalla direttiva SUI BES, fotografa lo stato dei bisogni educativi della scuola attraverso decisioni collegiali, definendo le azioni necessarie a risolvere le criticità. Individua inoltre i punti di forza e di debolezza e predispone il piano delle risorse necessarie per una migliore accoglienza. Il PAI è parte integrante del POF. (Micro) L’insegnante curricolare è di tutti gli alunni della classe, compresi coloro che sono affidati alle cure dell’insegnante di sostegno che collabora con gli altri docenti e individua e attua le strategie più adatte ad un efficace intervento. Le conflittualità tra docenti specializzati e curricolari sono frequenti, con effetti negativi su tutta la classe, essere inclusivi con gli alunni esige prima di tutto esserlo anche tra colleghi, lavorando in modo collaborativo e valorizzando le diverse competenze possedute. E’ necessario fare una distinzione tra azione educativa e azione comunicativa. L’azione educativa è è progettuale, comunicativa e valutativa e conferisce al sistema educativo una forma precisa; è un processo dove l’agire inclusivo produce conoscenza e cambiamento. L’azione comunicativa è tipica del terzo sistema, mediatizzato dalle metodologie e dalle tecnologie. In pedagogia si parla di “processo formativo” come logiche operative e di “processo di apprendimento” come costruzione di logiche cognitive. Entrambi con una serie di azioni orientate alla costruzione della conoscenza secondo l’approccio della razionalità sequenziale (passaggio di trasformazione progressivo da una fase ad un’altra, anche se gli eventi si svolgono con una sequenzialità relativa), in contrapposizione alla razionalità compositiva. Un esempio è la valutazione, posta generalmente alla fine dell’azione educativa anche se in realtà si sviluppa in itinere, infatti gli strumenti di valutazione vengono predisposti già nella progettazione. Il processo di formazione è quindi circolare, oltre che caratterizzato da interazione, interdipendenza e integrazione delle varie componenti. Nel processo formativo sono presenti due dimensioni, una informativa e una operativa. La prima abbraccia l’analisi dei bisogni e del contesto e la valutazione di processo e di sistema, mentre la dimensione

operativa abbraccia invece la progettazione e la comunicazione. La condizione necessaria affinchè l’azione inclusiva sia efficace è che l’insegnante sappia coniugare la ricerca e l’azione. Alcuni strumenti necessari sono il PEI, il Progetto di Vita e il Piano Didattico Personalizzato. Il PEI e il Progetto di Vita descrivono interventi integrati fra loro, a favore dell’alunno con disabilità in un determinato arco temporale, tenendo conto di tutte quelle forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche; i vari soggetti coinvolti nel PEI stabiliscono i vari interventi finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione scolastica, guardando ad un bambino che un giorno diventerà adulto. Il PDP è uno strumento istituito dalla legge 170/2010 che riguarda gli alunni con DSA; il PDP esplicita la programmazione didattica personalizzata che tiene conto delle specificità segnalate nella diagnosi di DSA, un patto d’intesa fra docenti, famiglia e istituzioni socio-sanitarie dove vengono individuate misure dispensative e strumenti compensativi. Il PDP è pensato per gli alunni con DSA e anche con altri BES, per la difficoltà nell’utilizzo di normali strumenti per l’apprendimento. L’accoglienza presenta alcuni rischi, per esempio un eccesso di accoglienza può significare cercare di assumere il pieno controllo dell’altro, legando a sé in modo eccessivo l’alunno e soffocandone la libertà. Per evitare ciò l’accoglienza deve riferirsi al gruppo classe e non alla relazione con il singolo alunno e i docenti curricolari non devono lasciare soltanto all’insegnante specializzato il compito di dialogare con l’alunno con disabilità. Nella relazione educativa l’accoglienza deve essere equilibrata e disinteressata. Non è semplice accettare pienamente l’altro per come si presenta, senza prima aver accettato e accolto se stessi. A scuola non deve mai essere il singolo insegnante ad accogliere, ma tutta la comunità scolastica, a cui si aggiunge il ruolo della cura che significa “aiutare l’altro a ricongiungersi attivamente con il proprio progetto esistenziale”, mobilitandone le risorse e le potenzialità e favorendone la libertà. La cura quindi è un atteggiamento di premura e gratuità, fondato sul rispetto dell’altro, sull’empatia e l’autenticità. Il concetto di inclusione si declina in termini metodologici dove l’attenzione è sull’azione e in questo momento è necessario interrogarsi sulle metodologie più adeguate a favorire un’inclusione autentica, come mezzo e non come fine. L’educazione inclusiva non è circoscritta agli alunni con disabilità o BES, ma assume in carico tutte le differenze. L’azione didattica deve privilegiare strategie, tecniche e strumenti capaci di aiutare ciascun alunno a raggiungere gli obiettivi, aiutandoli ad arrivare ai massimi risultati possibili nelle varie aree e discipline, per poter meglio costruire il proprio Progetto di Vita. E’ necessario che l’approccio sia sistemico e non del singolo docente, cogliendo i richiami tra le varie metodologie inclusive che sono tra di loro complementari. Essenziale il lavoro critico-riflessivo dell’insegnante che individuando le soluzioni più adeguate, da luogo a proposte metodologiche innovative, riconoscendo i compagni come una risorsa per tutta la classe. Le nuove tecnologie rappresentano importanti risorse in ambito pedagogico, nel favorire l’apprendimento e l’inclusione scolastica. Due problemi: per alcuni gruppi di persone l’accesso alle tecnologie è ancora oggi un problema, le cosiddette “categorie svantaggiate”, in secondo luogo la progettazione dei prodotti tecnologici è pensata per i “normodotati”. Anche nella classificazione ICF è previsto l’uso di TIC, in quanto aiutano a svolgere le attività di base, supportano la progettazione didattica avanzata per tutta la classe: non è importante aumentarne l’utilizzo sul piano quantitativo ma sul piano qualitativo, grazie ad una maggiore preparazione di docenti ed educatori. Le barriere presenti nella scuola e nella società che per tempo hanno separato i disabili dalle altre persone, si sono indebolite. Questo a partire dalla Legge 118/1971 che ha stabilito la presenza di alunni disabili nelle classi normali e l’abbattimento delle barriere architettoniche, pur non prevedendo la chiusura delle scuole speciali. Con la Legge 517/1977 l’integrazione degli alunni con handicap avviene attraverso la nascita dell’insegnante specializzato e di piani educativi adeguati all’alunno con disabilità. L’Italia è stata uno dei primi Paesi ad attuare l’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi normali. Con la Legge 104/1992 lo Stato si impegna a rimuovere le condizioni

invalidanti che impediscono la tutela della dignità umana e si impegna a rafforzare la cura nei confronti degli alunni con disabilità. L’approccio medico alla disabilità è stato sostituito da un modello socio-educativo, dove le difficoltà del bambino sono il risultato dell’interazione tra soggetto e ambiente. Il concetto di inclusione posa sicuramente su una buona integrazione, considerando gli alunni come tutti differenti. Le Linee guida per l’integrazione degli alunni con disabilità, raccomandano l’uso dell’ICF che prende in considerazione i molteplici aspetti della persona. La strategia inclusiva della scuola italiana è stata precisata ulteriormente nella Direttiva MIUR del 2012, che ha esteso il campo di intervento all’intera area dei BES. Il tema dell’inclusione ha trovato conferma anche nel Decreto Legislativo 66/2017, che ricorda che la qualità dell’inclusione scolastica verrà valutata dall’istituto INVALSI. Stabilisce inoltre che il Profilo di funzionamento va redatto secondo i criteri dell’ICF, da un medico specialista, un neuropsichiatra infantile, un terapista della riabilitazione, un assistente sociale con la collaborazione dei genitori e dell’amministrazione scolastica e va aggiornato ad ogni passaggio di grado di istruzione. Inoltre rafforza i percorsi formativi per gli insegnanti. Il PEI tiene conto della certificazione di disabilità e del Profilo di funzionamento, così da individuare strategie, strumenti e modalità adeguate; va redatto all’inizio di ogni anno scolastico, nel passaggio tra diversi gradi e nel caso di trasferimento va assicurato il dialogo tra docenti. E’ inoltre soggetto a verifiche periodiche. Presso ogni scuola va istituito il Gruppo di lavoro per l’inclusione con i docenti curricolari, di sostegno, il personale ATA e gli specialisti ASL. Gli alunni disabili hanno bisogno oltre al sostegno didattico, di docenti che ne supportino lo sviluppo all’autonomia per un Progetto di Vita che va oltre la giovinezza. Esso dura per tutta la vita, uno strumento per assicurare la reale presa in carica dei bisogni del soggetto, un’impresa collettiva, un’integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche ma soprattutto deve essere elaborato con la co-partecipazione del diretto interessato che sviluppa così le sue capacità metacognitive. Spesso gli insegnanti tendono a concentrarsi sul PEI e sul mondo della scuola, ignorando che anche il Progetto di Vita la riguarda e soprattutto che un PEI efficace deve sfociare in un Progetto di Vita, che dovrebbe essere creato a partire dalla scuola dell’infanzia. La famiglia resta lo snodo fondamentale per costruire, insieme alla scuola, un “dopo”, una vita adulta con disabilità, una vita che però necessita di essere normale. L’insegnante deve ridurre le lezioni frontali e preferire scelte metodologiche più varie (cooperative learning, il lavoro di gruppo, il tutoring, l’utilizzo di ausili informatici ecc) che consentano la partecipazione degli alunni; è utile anche che i docenti predispongano i materiali per i compiti a casa anche in formato elettronico per essere più facilmente fruibili per gli alunni che utilizzano ausili e pc. Anche la disposizione degli spazi è importante, devono essere accoglienti, confortevoli, stimolanti e organizzati in modo flessibile, perché possono aiutare nella focalizzazione dell’attenzione a livello visivo e acustico. Ancora oggi accade spesso che l’alunno disabile rimanga in classe per poco tempo e anche quando presente, svolga attività differenti; la socializzazione è fortemente svalorizzata. Oggi le cosiddette “scuole speciali” non esistono più, ma le forme di esclusione sono ben occultate all’interno delle classi “normali” quando l’alunno con disabilità svolge le sue attività fuori dalla classe o non partecipa a quelle comuni. In Italia ancora oggi non è garantito uno standard minimo di qualità dell’inclusione scolastica, che molto spesso categorizza e crea distinzioni. Una delle criticità italiane è la mancanza di una valutazione sistematica della qualità dei processi inclusivi; a tal fine il MIUR nel 2011 ha avviato due sperimentazioni: “valorizza”, un progetto che premia i docenti che si distinguono all’interno della scuola e “VSQ” che valuta lo sviluppo della qualità nelle scuole. La scuola inclusiva di per sé non esiste ma necessita di essere costruita, bisogna intraprendere un percorso di sviluppo per affermare una scuola permeata da una cultura inclusiva. Dovrebbero per questo motivo essere definiti dei “requisiti minimi” per l’auto-miglioramento e la riprogettazione; rifacendoci al modello delle “buone prassi” possiamo individuare alcune categorie o “Fattori di

qualità”: la gestione delle risorse, la cultura inclusiva, l’analisi, la formazione, le famiglie, il territorio, i processi integrati. Questi dovrebbero condurre alla creazione degli indicatori corrispondenti, senza però ridurre la qualità ad un qualcosa di razionalistico che non tiene conto della creatività, della capacità di collaborare ecc. e non valorizzi la collaborazione scuola-famiglia-alunno-Servizi. La D.M. del 2012 ha individuato tra i compiti del Gruppo di Lavoro per l’Inclusione la rilevazione, il monitoraggio e la valutazione dell’attività inclusiva a scuola (tramite gli strumenti dell’Index per l’Inclusione e il Quadis) e a tal proposito si richiede ad ognuna di elaborare il Piano Annuale per l’Inclusività. L’Index è il principale strumento per valutare la qualità dell’inclusione, affiancato da altri strumenti importanti come: gli indicatori di Canevaro, il primo ad occuparsi in Italia della valutazione dell’integrazione a scuola, che si snoda attorno a 6 indicatori che si concretizzano in 6 domande (Dove sono gli handicappati? Chi sono gli handicappati? Perché gli handicappati nella struttura scolastica? Come vivono gli handicappati l’esperienza scolastica? Con quali diritti, con quali doveri? Quanto costa l’integrazione?); gli indicatori di Gherardini e Nocera, i primi ad aver elaborato veri e propri indicatori per valutare la qualità dell’integrazione, si limitavano però all’integrazione dei ragazzi con sindrome di Down. Inoltre il loro questionario si rivolgeva solo agli operatori del settore (indicatori di struttura, indicatori di processo, descrittori di risultato); il Quadis-kit invece è uno strumento quali-quantitativo per l’autoanalisi e l’autovalutazione d’istituto sulla qualità dell’inclusione, elaborato per la prima volta intorno al 2000 consente di trovare i punti di forza e quelli critici, fornendo la possibilità di essere compilato in rete con altre scuole (gli strumenti sono: analisi documentale, focus group docenti, focus group studenti, intervista al Dirigente Scolastico); Tra il 2007 e il 2009 il MIUR ha promosso il Piano “I CARE: imparare, comunicare, agire in una rete educ...


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