L’esistenzialismo è un umanismo PDF

Title L’esistenzialismo è un umanismo
Author Geppy Grasso
Course Filosofia morale
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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L’esistenzialismo è un umanismo Introduzione L’opera è uno dei primi tentativi di portare la filosofia fuori dalle aule universitarie e dalle riviste, con lo scopo di rivolgersi ad un pubblico vasto e mutare la condizione sociale dell’uomo e la concezione che ha di sé; oltre a sintetizzare i punti salienti del suo pensiero, l’opera presenta anche delle significative variazioni: alcuni aspetti come il solipsismo del soggetto, la natura mancante della coscienza, il mondo e gli altri come ostacolo, vengono attenuati, per avvicinarsi ad una prospettiva che indica il mondo come realtà intersoggettiva, libertà umana non solo come angoscia ma anche come opportunità, possibilità di impegno e azione per la propria realizzazione. Intenzione di Sartre è mostrare come la realtà umana sia intersoggettiva e libera da necessità; la sua filosofia tiene però assolutamente conto dei condizionamenti ambientali del tempo nel quale ci si ritrova a vivere, tale che sarebbe impensabile l’idea di “natura umana” valida indipendentemente da essi, rinuncia anzi all’idea di natura, per accettare quella di “condizione” umana, per sostenere la convinzione che quanto consideriamo connotativo dell’umano dipende dall’epoca e dal contesto in cui si vive. Secondo la Arendt, l’esistenzialismo si propone di liberare l’uomo dal mondo del puro pensabile e lo rimette sulla strada per la realtà. Per Sartre, a fondamento dei valori dell’uomo non c’è che la libera decisione di adottarli, tramite i quali costruire l’universalità, che è un fine cui tendere, non un qualcosa di già dato da cui partire. L’individuo dunque deve assumere su di sé la responsabilità di orientare la propria vita senza al modello prestabilito: la sua condizione è assimilata a quella dell’artista: il creatore, sia di opere d’arte che di valori, è costretto a fare a meno di un criterio assoluto che gli serva da guida. La scelta sarà soggettiva ed arbitraria ma, muovendoci in una prospettiva intersoggettiva, i suoi principi influenzeranno l’intera comunità: chi sceglie di essere un certo tipo di uomo, sceglie una certa idea di comunità e le attribuisce un determinato valore. Dunque, l’intreccio tra universale e individuale è imprescindibile; l’essere umano, la vita e il mondo sono esito del nostro impegno. Questa parola si può intendere come consapevolezza che sin dalla nascita l’uomo è posto in una situazione organizzata nella quale è impegnato: egli impegna con la sua scelta l’umanità intera e non può evitare di scegliere. Sartre invita l’essere umano a progettarsi, a sviluppare un progetto esistenziale che sia consapevole della ricaduta sull’intera realtà, deve impegnarsi a perseguire fini trascendenti, tramite i quali esistere. Per trascendenza Sartre non intende riferirsi ad una dimensione ultraterrena, ma va intesa come oltrepassamento del dato presente, è la cifra stessa della vita e della condizione umana. Dunque, l’esistenzialismo è possibilità di una morale dell’impegno che superi una passiva adesione alla situazione in cui si è gettati, a favore di una progettazione autentica e responsabile. Sartre riconosce la possibilità d’influenzare la realtà di cui l’uomo fa parte: una società è prodotta dalle interazioni tra individui, che producono una totalità organizzatrice che retroagisce sugli individui per coprodurli quali individui umani (una sorta di circolo vizioso: la realtà mi influenza, io a mia volta influenzo la realtà, che crea una società che influenza le mie azioni): la realtà è l’esito delle nostre libere scelte che si producono inevitabilmente in azioni, in quanto il non scegliere è pur sempre una scelta. Per il filosofo francese, chi crede in una sorta di determinismo, negando il proprio spazio di autonomia e nascondendo le proprie responsabilità dietro alle contingenze (si riferisce al materialismo storico marxista, al cristianesimo con il disegno provvidenziale divino, e la psicanalisi con la visione del passato come determinante per l’evoluzione psichica della personalità futura), è in malafede. L’assunzione della responsabilità delle proprie scelte grava sia su chi prende atto dell’inesistenza di Dio, sia su chi crede in cui ma sente la responsabilità personale di vivere concretamente e autenticamente i suoi valori. Sartre non invitava dunque a rinunciare a Dio, ma ad un Dio dietro al quale nascondersi per evitare di assumersi responsabilità. Per l’esistenzialista è scomodo che Dio non esista, in quanto l’uomo deve così riconoscersi come unico legislatore della sua esistenza, deve vivere secondo principi storicamente determinati e da rifondare. Tale presa di coscienza dovrebbe connotare l’esistenzialismo come un movimento che sprona all’azione, ma questo si converte invece in pessimismo e rassegnazione, cedendo il passo ad un senso di insufficienza e inadeguatezza, proprio di chi avverte il proprio compito come sproporzionato e vano rispetto alle dinamiche di forza che sembrano governare la realtà. Sartre proporne almeno tre spunti per affrontare questa situazione: il primo è riconoscere questo sentire come figlio della malafede, nascondimento dietro un’impossibilità inesistente, visto che nessuna situazione annulla la nostra capacità d’incidere sul reale; il secondo consiste nell’evidenziare come ogni scelta di ritirarsi dalla vita collettiva per provare a realizzarsi in una dimensione privata sia destinata a fallire; il terzo vede come la frustrazione della mancata realizzazione del propri progetti un frutto del desiderio di volersi Dio, di viversi come un Dio mancato. Possiamo avvertire il nostro operato come fallimentare solo se lo progetteremo a partire da un delirio di onnipotenza.

Contesto storico della conferenza L’esistenzialismo è un umanismo è resoconto stenografico di una conferenza che Sartre tenne a Parigi lunedì 29 ottobre 1945 al club Maintenant; intento fondamentale era presentare uno sguardo coerente e più corretto sulla sua filosofia rispondendo alle accuse a lui mosse, che non nascevano da un esame approfondito di L’essere e il nulla, ma erano obiezioni mosse più da motivi morali, o perfino di opportunità. Nella percezione comune, Sartre era l’antiumanista per eccellenza, che demoralizzava i francesi nel momento in cui la Francia in rovina aveva il maggior bisogno di speranze. Egli vuole rivolgersi in particolar modo ai comunisti, a cui vorrebbe riavvicinarsi, mostrando come il suo pensiero non contraddica l’idea marxista che siano i fattori economici a determinare l’uomo, ma fallisce nel suo intento. Egli vorrebbe partecipare attivamente alla vita collettiva schierato al fianco del partito comunista, ma la sua scelta non è fondata filosoficamente. La conferenza, in generale, permette di cogliere il primo momento di una svolta nella vita intellettuale, svolta che avverrà nella “Critica della ragione dialettica”. Nota biografica Nasce a Parigi nel giugno del 1905, trascorrendo i primi anni in casa dei nonni materni, dove ha l’occasione di sviluppare la sua passione per la letteratura. Compie gli studi al liceo di La Rochelle e poi all’Ecole Normale di Parigi per poi recarsi a Berlino nel 1933, dove apprende i fondamenti della filosofia di Husserl, la fenomenologia che ispirerà tutto il suo pensiero. Tra il 30 e il 40 unisce la sua critica nei confronti dell’ethos borghese al disinteresse per la politica, convinto di poter incidere sul reale grazie alla sola attività letteraria. Egli muta atteggiamento dopo la guerra e dopo la prigionia, dove avverte pienamente il peso del condizionamenti che limitano la libertà umana, e anche l’importanza della solidarietà collettiva e dell’impegno politico; milita nella Resistenza e fonda L’essere Temps Modernes; fonderà anche una formazione politica, RDR, che avrà vita breve. A partire dal dopoguerra, con il successo anche della filosofia esistenzialista, si avvicina al Partito Comunista Francese, posizione che lo allontana da Camus e Merleau-Ponty; negli anni 50 ridimensiona la sua fiducia nel potere della letteratura, definendo le sue posizioni come quelle di realismo amoralista, che segue il realismo concreto del PCF. Dopo il 68, quando guarda con simpatia ai fermenti anti-gerarchici e antiistituzionali del movimento studentesco, si è ormai distaccato dal PCF e recupera alcuni aspetti genuini del suo pensiero, come la centralità del soggetto, l’istanza libertaria, l’importanza del punto di vista morale; critica il centralismo autoritario dei partiti comunisti, e vi contrappone una visione etico-attivistica dell’impegno politico, che ha senso solo se fondato sulla libertà. Muore a Parigi nel 1980. Sintesi della conferenza Critiche mosse da marxisti e cattolici, prima critica è che esistenzialismo induca al quietismo di disperazione, perché, portando a pensare che ogni azione nel mondo sia impossibile, induce all’inazione e dunque alla contemplazione, il che è un lusso, dunque ciò rende esistenzialismo una filosofia borghese (critica mossa da comunisti). Esistenzialismo non offre soluzione pratica vincolante e determinante e quindi per comunisti porta a mancanza impegno pratico. In secondo luogo, viene accusato di mostrare il lato peggiore di uomo, e trascurare aspetti ridenti di natura umana. Sia cattolici che comunisti dicono che esistenzialisti sono venuti meno alla solidarietà umana, considerando l’uomo come isolato, chiuso in prospettiva di solipsismo, isolamento del soggetto nell’io penso cartesiano. Cattolici lo accusano di negare la realtà e consistenza dell’agire umano: accusano di sopprimere Dio ed escludere valori stabiliti in eterno, lasciando la gratuità pura e semplice dell’azione. Dopo aver presentato le critiche, passa a definizione di esistenzialismo: “dottrina che rende possibile la vita umana e che dichiara che ogni verità e ogni azione implicano sia un ambiente, sia una soggettività umana”. Primo punto della discussione è legame esistenzialismo e naturalismo; Sartre è convinto che ciò che fa paura nella sua dottrina è il fatto stesso di lasciare possibilità di scelta all’uomo. Parla di moda esistenzialista, perché è moda? In mancanza di altre avanguardie la gente si rivolge ad esso, mentre per lui è la dottrina meno scandalosa che ci sia. Afferma che ci sono due scuole, esistenzialismo cristiano (Jaspers, Gabriel Marcel) e quello ateo (Heidegger, esistenzialisti francesi, Sartre stesso). Comune alle due scuole è questo, che L’esistenza preceda l’essenza: bisogna partire da soggettività. Per analizzare tale relazione dobbiamo prima partire da quella opposta, cioè dell’essenza che precede l’esistenza come nel caso di un libro, o di un tagliacarte. Di libro e tagliacarte abbiamo un concetto che ne definisce le caratteristiche, una preliminare tecnica di produzione, e questa idea si differenzia dalla concreta esistenza di un libro. Entrambi sono fabbricati realizzando un’idea, realizzando la loro esistenza: in entrambi i casi, l’essenza precede la loro esistenza, in quanto realizzo una cosa partendo dal suo concetto.

A questa concezione facciamo riferimento quando abbiamo davanti agli occhi l’idea di un Dio creatore, che crea l’uomo, che incarna un certo concetto che è nell’intelletto di Dio. Anche quando idea di Dio viene eliminata, con i filosofi del XVIII secolo, non scompare l’idea che l’essenza preceda l’esistenza, in quanto persiste l’idea che l’uomo possegga una natura umana, e che dunque ogni uomo sia un esempio particolare di un concetto universale. Secondo Sartre questa idea è presente anche in Kant. L’esistenzialismo ateo di cui sua filosofia è esponente si oppone alla dottrina della natura umana. Uomo non è realizzazione concreta di cosa già data; è proiettato verso il futuro, responsabile di sé e con sé di tutta l’umanità. Se Dio non esiste, c’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto, questo essere è l’uomo. L’uomo esiste innanzi tutto, sorge nel mondo, e si definisce dopo. L’uomo è ciò che si fa, e nella sua libertà si delinea la sua dignità. L’uomo sarà quello che avrà progettato di essere (non quello che vorrà essere, perché per Sartre la volontà è una particolare attitudine soggettiva in relazione a finalità scelte prima dalla libertà; la volontà è dunque un atteggiamento derivato e successivo rispetto alla libertà). Terzo punto affrontato da Sartre nella sua conferenza è il nesso problematico tra responsabilità/scelta/ angoscia. Uomo è responsabile di ciò che fa, uomo è un progetto che ha coscienza di progettarsi. Cade sull’uomo la responsabilità totale della sua esistenza, e in ogni decisione non decide solo per sé, ma risponde davanti al tribunale di tutti gli uomini. Il soggettivismo va inteso non solo come scelta del soggetto individuale per sé stesso, ma anche impossibilità di uscire dall’orizzonte meramente umano, impossibilità per l’uomo di oltrepassare la soggettività umana. Tematizza il concetto della scelta: l’uomo sceglie, ma nel fare ciò non ha prospettiva individualista, sceglie per sé e per tutti gli uomini, crea un’immagine dell’uomo quale noi giudichiamo debba essere, l’orizzonte dell’umanità intera: giacché non possiamo mai scegliere il male, scegliamo il bene, e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti. La nostra responsabilità coinvolte l’umanità intera, scegliendomi io scelgo l’uomo. Da ciò derivano concetti come angoscia, abbandono, disperazione: l’angoscia altro non è che il sentimento dell’uomo di fronte alla propria completa e profonda responsabilità, la consapevolezza di essere un legislatore che sceglie per sé e per gli altri. Si può reagire all’angoscia con la malafede, che è la condotta della coscienza che mente a se stessa, che si illude di impegnare solo se stessa e non gli altri; è un modo per sfuggire al pensiero “che cosa succederebbe se tutti la pensassero cosi?”. Ma pur mascherandola, l’angoscia appare, ed è quella chiamata da Kierkegaard angoscia di Abramo; chi può provare che io sia veramente designato a imporre la mia concezione di uomo e la mia scelta all’umanità? Dice Sartre che io sono con stretto in ogni momento a compiere degli atti esemplari, ogni cosa accade come se per ogni singolo uomo, tutta l’umanità avesse gli occhi fissi su ciò che fa e si regolasse su ciò che egli fa. Ogni uomo deve dirsi, solo io davvero colui che ha il diritto di operare in modo tale che l’umanità si regoli sui miei atti? Se non se lo dice, è perché maschera la propria angoscia. L’angoscia è la condizione stessa dell’azione, perché presuppone che l’uomo valuti una pluralità di soluzioni possibili e che si renda conto che, scelta una, essa non ha valore se non in quanto è stata scelta. È l’angoscia del capo militare che si assume la responsabilità di un assalto e manda un certo numero di uomini alla morte; compie un’interpretazione degli ordini dall’altro, e sceglie. L’esistenzialismo si oppone alla morale laica che vuole eliminare indiscriminatamente Dio senza pensare alle conseguenze. La rimozione dell’orizzonte divino comporta il venir meno dell’idea di un’assolutezza dei valori morali: con Dio svanisce la possibilità di trovare dei valori in un cielo intellegibile. Partendo da Dostoevskij, Sartre dice “se Dio non esiste tutto è permesso”, poiché il preteso valore assoluto del bene sarebbe del tutto privo di fondamento, e l’uomo è abbandonato perché non trova né in sé, né fuori di sé, la possibilità di ancorarsi. L’uomo è dunque libero di determinare se stesso e la propria natura, ma questa libertà non è frutto di una scelta, poiché egli vi è condannato; una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa. L’esistenzialista inoltre non crede alla passione che possa portare l’uomo a compiere certe azioni, dunque da usare come scusa; non crede neanche che l’uomo possa trovare aiuto in un segno dato sulla terra: l’uomo è condannato ad inventare l’uomo in ogni momento. Per quanto riguarda l’abbandono, il concetto fondamentale è questo: essendo abbandonati, scegliamo noi stessi il nostro essere, siamo noi a dare una nostra interpretazione del significato di un segno, non c’è nessuna morale generale che possa indicare ciò che è da fare, non ci sono segni pregiudiziali nel mondo. Sartre porta l’esempio di un suo allievo, combattuto tra l’andare in guerra per vendicare il fratello rimasto ucciso, o restare con la madre e consolarne l’esistenza: si trova di fronte a due tipi di morale, una della simpatia e devozione individuale, l’altra più ampia. Di fatto però, non c’è nessuna morale precostituita che possa aiutare nella scelta. (Kant diceva di non trattare mai gli altri come un mezzo, ma come fine: ciò però comporta comunque, nello scegliere la madre o la guerra, l’utilizzare l’altro come mezzo). Se i valori sono vaghi, ci si può affidare al sentimento, che si forma con gli atti che si compiono, ma il sentimento si può anche fingere: in definitiva, non posso né cercare in me lo stato autentico che mi spingerà ad agire, né chiedere ad una morale i concetti che mi permettano di operare.

Per quanto riguarda la disperazione, essa implica fare affidamento su ciò che dipende dalla nostra volontà o sull’insieme delle probabilità che rendono la nostra azione possibile. Sartre afferma che può impegnarsi in politica, ma dopo la sua morte sa che potrebbe essere ristabilito il fascismo: deve dunque abbandonarsi al quietismo? No, deve impegnarsi e seguire la formula “non c’è bisogno di sperare per agire”: egli può appartenere ad un partito, ma sarà senza illusioni e farà ciò che può. Mette in evidenza come l’esistenzialismo si opponga al quietismo: il quietismo è l’atteggiamento di coloro che pensano che gli altri possano fare ciò che loro non possono fare; in realtà, dice Sartre, l’uomo non è altro che quello che progetta di essere, non esiste che nella misura in cui si realizza, è l’insieme dei suoi atti, nient’altro che la sua vita. Un uomo si impegna nella propria vita, e fuori da ciò che si segna non c’è nulla: non c’è amore al di fuori di quello che si realizza (rispondendo a chi dice di non aver avuto un grande amore per non aver incontrato un uomo o una donna degni), lo stesso vale per le amicizie o il lavoro. Solo la realtà vale, i sogni, le attese e le speranze definiscono un uomo come un sogno deluso o mancato. Il vile e l’eroe descritti nei romanzi esistenzialisti non sono tali in virtù di un determinismo organico o psicologico, ma perché tramite i loro atti hanno assunto quella forma: c’è sempre per il vile la possibilità di non esserlo più, e cosi per l’eroe; ciò che conta è l’impegno totale. Dunque, l’esistenzialismo non è filosofia del quietismo, dato che si definisce l’uomo in base all’azione. Sartre tenta di rispondere all’accusa di solipsismo. Gli veniva mosso il rimprovero di murare l’uomo nella sua soggettività. Egli si concentra però ampiamente sulla soggettività dell’individuo perché in essa pensa di poter fondare una verità che sia condivisibile e valida intersoggettivamente. Punto di partenza è quello cartesiano, “io penso dunque sono”, verità assoluta per Cartesio, verità di coscienza: fuori dal cogito tutti gli oggetti sono solo probabili. La teoria cartesiana è l’unica che dia dignità all’uomo, è la sola che non faccia di lui un oggetto. La soggettività che viene raggiunta non è rigorosamente individuale, si scoprono anche gli altri nel cogito. Con l’io penso l’uomo raggiunge se stesso di fronte all’altro, e l’altro è tanto certo per noi quanto noi siamo certi di noi medesimi. L’uomo scopre tutti gli altri come condizione della propria esistenza, si rende conto che non può essere niente se gli altri non lo riconoscono come tale: per avere una verità sul mio conto devo ricavarla tramite l’altro. Sostituzione di essenza di uomo con condizione umana, collegata ad universalità non già data, ma che si va costruendo. La condizione umana è l’insieme dei limiti a priori che delimitano la situazione fondamentale dell’uomo nell’universo, limiti né totalmente soggettivi né totalmente oggettivi, ma hanno aspetti oggettivi (si incontrano dappertutto, dappertutto riconoscibili), e anche soggettivi (perché sono vissuti, e non sono sulla se l’uomo non li vive, se non li determina nella propria esistenza liberamente in relazione ad essi). Le condizioni storiche variano: l’uomo può nascere schiavo o signore feudale, ma non varia per lui la necessita d’essere al mondo, di esistere in mezzo agli altri, di essere mortale. Ogni progetto, per quanto individuale, ha sempre qualcosa di univ...


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